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Capitolo 2

Jeremy continuava a vedere scarafaggi su scarafaggi. Vere e proprie blatte che zampettavano sulle carcasse di altre blatte. E topi di fogna, sangue, muffa. Succedeva sempre, ogni qualvolta chiudeva gli occhi. E il riposo non era mai tale, no. Malgrado si trovasse nel Dipartimento Medico dell'SRF, sentiva ancora l'odore pungente delle fogne, del sangue, e quel fastidiosissimo dolore disperso in ogni sua cellula. Era davvero malridotto, denutrito, disidratato. Per rimetterlo in sesto ci sarebbero voluti giorni se non addirittura settimane o mesi. Ma per quanto riguardava il suo assetto mentale, il Comandante Sergej Jeckson si era ben espresso: nessuna terapia psichiatrica sarebbe stata utile o rilevante.

Il Dottor Howard non era dello stesso parere, tuttavia non aveva alcuna autorità per procedere diversamente dalle disposizioni. E dopo ventiquattrore di lavoro si trovò a sospirare, a sbuffare, a picchiettare indeciso con la penna biro sulla cartella del civile Jeremy Hunt. Le labbra piegate in una strana smorfia e lo sguardo assente. «Sarebbe un vero spreco se dovesse ripiegare in un DPTS a sfondo depressivo» commentò all'improvviso, facendo sollevare un sopracciglio al Capitano dell'Unità di Reclutamento sul Campo.

«Il Comandante è stato chiaro: niente psicofarmaci» rispose lapidario. «A lungo andare potrebbero intaccare le sue prestazioni sul campo.»

«A lungo andare, già» echeggiò con fare meditabondo. Poi scosse la testa, disse: «Non credo che il civile abbia mai risposto chiaramente alla domanda che il Comandante crede di avergli posto quando lo ha trovato nella zona sud del Settimo Distretto.»

Ma la replica del Capitano dell'URC fu spicciola: «Non credo che il Comandante abbia posto alcuna domanda.»

«In queste condizioni, però...»

«Potrebbe benissimo evitare di sprecare fiato, Dottor Howard» lo interruppe. «Il suo lavoro consiste nel rimetterlo in piedi il prima possibile, non nel teorizzare.»

«Ne sono consapevole» assentì. Posò perfino la biro sulla cartella clinica di Jeremy Hunt per fissare negli occhi il Capitano dell'URC. «Il civile deve essere arruolato il prima possibile.»

«Esattamente» confermò questi. «E se è tutto chiaro, Dottor Howard, gradirei un rapporto completo...» Si alzò in piedi, abbandonò la scomoda seduta metallica e non aggiunse altro. Scrutò il viso appassito del Dottor Howard senza battere le palpebre neppure una volta. Poi, quando lo vide annuire, tese le orecchie.

«Il civile è rimasto in sala operatoria per otto ore consecutive» disse. «Ha perso molto sangue, perciò ha subito una trasfusione mediante le sacche di AB negativo fornite dall'SRF.» Prese una piccola pausa, accertandosi che il Capitano dell'URC avesse compreso la criticità del caso. Infine aggiunse: «L'articolazione del gomito sinistro ha necessitato l'impianto di un chiodo in titanio, la cartilagine dell'orecchio destro è stata ricreata da zero e la sutura del retto ha richiesto più tempo del previsto...» Deglutì. «Per fermare l'emorragia abbiamo dovuto cauterizzare anche parte del colon.»

«E i parametri?» Indagò.

«I parametri vitali sono stabili.»

Senza ulteriori cerimonie, il Capitano dell'URC si congedò battendo i tacchi da perfetto militare. Dopodiché, dando le spalle del Dottor Howard, procedette a ritroso sui propri passi e abbandonò lo studio per imboccare il corridoio.

«Certo che quelli dell'URC sono davvero pesanti!» A lamentarsi fu l'assistente del Dottor Howard, un ragazzetto di appena sedici anni con il naso puntellato di lentiggini e le braccia piene di faldoni. «Come diavolo si fa a essere così fiscali?»

«Acke...» lo chiamò, facendolo avvicinare alla scrivania.

«Mh?»

«Sei fortunato che ti abbia scelto come assistente, perciò non ficcare il naso nelle faccende dell'SRF» lo ammonì, colpendolo dritto in fronte con una schicchera e facendogli aggrottare le sopracciglia. E per poco non ebbe l'impressione di vedergli perdere l'equilibrio.

«Agli ordini» borbottò irritato, posando i faldoni con un tonfo e massaggiandosi la parte lesa. Ma poi chiese: «Perché non gli somministriamo uno degl'Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina?» E si beccò un'occhiataccia da parte del Dottor Howard. «Rischia grosso, non è giusto che il Comandante della Terza Armata lo faccia impazzire...»

«Non lo sai?» Domandò, fermando il suo fiume di parole e facendogli battere le palpebre.

«Cosa?»

«Non c'è nessun uomo sano di mente nella Terza Armata.» Un piccolo ghigno di frustrazione gli si dipinse in faccia, facendo scattare Acke con i gomiti sui faldoni.

«Come sarebbe a dire?» Sbottò questi. «La Terza Armata è quella che si occupa di ripulire lo Stato dalla criminalità organizzata, è impensabile che si tratti di un branco di pazzi allo sbando!»

«Ci vogliono dei killer per eliminare dei killer» citò. A seguire di quella dichiarazione, una lunga pausa sembrò come bloccare il respiro di entrambi. «Non sono parole mie, ovviamente» ci tenne a precisare. «È stato il Comandante della Terza Armata a dirlo – lo ha detto quando ha portato qui il suo primo civile.»

«E chi sarebbe il suo primo civile?» Acke inclinò la testa da un lato, confuso e agitato al contempo. Il mento posato sul pugno chiuso e le labbra tese, contratte.

«Lascia perdere» borbottò il Dottor Howard. Cercò di tagliare corto, di alzarsi dalla scrivania con la cartella di Jeremy Hunt in mano, ma venne subito bloccato dallo sguardo di ghiaccio di Acke. «Perché ho scelto un assistente così testardo?» Sbuffò.

«Perché sono un genio» gli ricordò lui. «E perché avevi bisogno di qualcuno che seguisse le cartelle dei civili ripescati dall'URC.» Lo vide annuire, ma non mollò la presa e, con un sorrisetto beffardo, ripropose la domanda: «Allora, Dottor Howard... Chi sarebbe questo fantomatico primo civile?»

«È stato portato qui un anno prima del tuo arrivo.»

«Questo non risponde alla mia domanda» cantilenò Acke, iniziando a seguire il Dottor Howard lungo il corridoio. «Ma ci stiamo avvicinando, no?» Sorrise. «Quanti anni aveva?»

«Diciotto.»

«Quindi adesso è un ventenne» commentò, ponendosi un indice vicino alle labbra con fare assorto. «E come si chiama? Chi è?»

«Il braccio destro del Comandante della Terza Armata, Daniel Begum.» Vuotato il sacco, ma non disse altro e sospirò stancamente. Poi entrò nella stanza di Jeremy Hunt e chiuse fuori Acke. Ebbe come l'impressione che questi stesse sbuffando, ma non se ne curò, no, perché aveva ben altro a cui pensare – come per esempio l'idea di somministrare a Jeremy qualcosa di diverso dalla semplice Morfina. «Magari potrebbe andare bene uno degl'Inibitori delle Mono Ammino Ossidasi» borbottò tra sé e sé. «Con la Fenelzina, forse, gli eviterei una ricaduta depressiva...»

La voce di Jeremy uscì in un soffio, disse: «Non voglio niente.»

«È sveglio, Hunt?» Il Dottor Howard batté le palpebre, quasi deglutì a vuoto. Si chiese se Jeremy avesse davvero capito cosa stesse farfugliando tra sé e sé, se si sarebbe preoccupato di dirlo direttamente al Capitano dell'URC o al Comandante della Terza Armata. E impallidì, sì, perché il solo pensiero gli fece correre un brivido lungo la schiena.

«Non sono depresso.» Fu la semplice risposta di Jeremy.

Il Dottor Howard si sforzò di sorridere, poi allungò una mano verso l'interruttore della Morfina e alzò il dosaggio di un paio di tacche. «Tanto meglio» disse. «Come si sente?»

«Come se mi fosse passato sopra un fottuto carro armato» biascicò. Aveva la gola secca, la lingua rattrappita e le labbra screpolate. «E ho sete» aggiunse infine.

«Deve smaltire l'anestesia senza introdurre liquidi attraverso l'esofago, spiacente.»

«Voglio un cazzo di bicchiere d'acqua» obbiettò, strascicando le parole una a una. Si sentiva le palpebre pesanti, a stento riusciva a intravedere la sagoma del Dottor Howard. C'era troppa luce per lui, troppo bianco. Deglutì a vuoto. «Ho sete» ripeté.

«Vedo che è parecchio ostinato, Hunt...» Il Dottor Howard sospirò, poi si allontanò di un passo e fece il giro del lettino per guardarlo meglio in faccia: aveva un livido violaceo sul mento e uno sullo zigomo, nonché delle profonde occhiaie dal colorito verdognolo. «Tuttavia non posso proprio accontentarla, lei è sotto la mia responsabilità» disse.

«Chi diavolo è lei?»

Il Dottor Howard non rispose, anzi. «Perché non prova a riposare?»

E la voce di Jeremy si alzò appena, sputò un: «Non voglio farlo.»

«No?» Sollevando un sopracciglio, il Dottor Howard diede uno sguardo veloce al monitor sulla sinistra e controllò la velocità dei battiti cardiaci di Jeremy – sembravano impazziti. «Perché?»

«Dove sono?» Neppure lui rispose alla domanda, ne grugnì solo una nuova e poi un'altra ancora: «Chi mi ha portato qui?»

«L'Unità di Reclutamento sul Campo della Terza Armata.» Il Dottor Howard non era certo che Jeremy stesse assimilando tutte quelle informazioni, ma ebbe come l'impressione di vederlo annuire contro il cuscino. «Sei stato scelto dal Comandante per diventare una recluta, verrai dimesso e trasportato al Campo di Addestramento del Settimo Distretto.»

«L'SRF...» soffiò. «Non sono carne?»

Il Dottor Howard sollevò un sopracciglio con fare confuso. «Tutti siamo fatti di carne e sangue, Hunt» lo contraddisse.

«L'SRF ha ripulito la zona sud?»

«Ti hanno trovato nella zona sud del Settimo Distretto» confermò.

«Ma l'hanno ripulita?» Insistette, si sforzò perfino di voltare la testa verso la sagoma del Dottor Howard.

«Io sono un medico, non un soldato» rispose questi. E trattenne una risata, scosse la testa. «Non so niente dell'SRF, Hunt.»

«Balle» borbottò. Poi chiuse gli occhi, serrò i denti e tornò in uno stato di semi incoscienza. Il brulicare degli scarafaggi tornò a fargli visita, e a questo si aggiunse anche lo sguardo ossidiana del Colosso, l'odore del sangue di ratto, la prepotente fitta tra le natiche. Gridò, spalancò gli occhi appannati dalle lacrime e si trovò di fronte il volto più nitido del Dottor Howard.

Ma a parlare non fu lui, bensì una figura più bassa e minuta: Acke. «Non ti stordisce neanche la morfina, eh?»

«Aumenta il dosaggio, piuttosto» borbottò il Dottor Howard. «Non disturbare il civile, Acke.»

«Non disturbo nessuno...» E questi sbuffò, si avvicinò al pulsante della morfina solo per esser fermato dallo sguardo allarmato di Jeremy.

«Non voglio addormentarmi ancora.» Aveva la voce stridula, terrorizzata. «Non fatemi dormire. Non fatemi dormire, cazzo!»

«Acke...»

L'interpellato batté le palpebre, distolse gli occhi da quelli sofferenti di Jeremy e fissò il Dottor Howard. «Non vuole riposare» balbettò. «Se questo non è DPTS, io sono un'incompetente.»

«Aumenta quella fottuta Morfina» sbottò imperioso, facendogli serrare i denti. Nelle orecchie percepì il lamento frustrato di Jeremy Hunt e il grugnito di Acke.

«Va bene.» Non disse altro, serrò semplicemente i denti ed eseguì l'ordine del Dottor Howard. A malincuore, poi, storse le labbra per osservare il viso stravolto di Jeremy crollare di lato. «Come sono i parametri?» Chiese. La voce bassa e lo sguardo fisso sulla sua fronte sudata.

«Normali.»

«Ma lui continua ad avere incubi» soffiò. Attese una risposta senza riuscire a ottenerla, così sbottò e, retrocedendo di un paio di passi, disse: «Questo caso mi fa incazzare, la Terza Armata mi fa incazzare...»

«Acke, modera i termini» lo ammonì subito.

«Non voglio vederlo, Dottor Howard.»

«Sei il mio assistente...» Sbuffò, seguendolo con la coda dell'occhio. Quando lo vide raggiungere la porta, allora, alzò il tono: «Devi aiutarmi con il civile.»

Ma Acke scosse la testa, neppure si voltò a guardarlo. Aveva ancora chiaro in mente lo sguardo smarrito di Jeremy Hunt, il suo respiro affannato, il tono di voce stridulo che lo supplicava di non procedere con la Morfina. «Mi occuperò dei faldoni» tagliò corto. «Ma non voglio vederlo.»

«Sei un pessimo assistente» lo apostrofò. E chissà come, chissà perché, riuscì perfino ad abbozzare un sorriso.

«Lei è un pessimo medico, Dottor Howard.» Si chiuse la porta alle spalle, procedendo imbestialito verso lo studio.

«Un pessimo medico...» borbottò tra sé e sé. «Forse.» Si morse le labbra, si guardò attorno, infine tirò fuori una siringa dalla tasca del camice bianco e la infilò a forza nella flebo. Osservò il liquido giallognolo scendere goccia a goccia lungo il tubicino trasparente e tirò un sospiro di sollievo. E si sentì meglio, sì, molto più a posto con la coscienza. «Magari mi giocherò il posto» si disse. «Ma per un po' starà bene.»

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