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Capitolo 19

Jeremy era rimasto nell'androne del terzo piano per un tempo a dir poco indecifrabile, con il cuore in gola e la consapevolezza che non sarebbe più potuto rientrare a casa di Daniel per colpa degli ordini di Sergej. E ammetterlo gli doleva alquanto, soprattutto perché questi aveva fatto irruzione in un momento poco opportuno – o forse a quello giusto, chissà.

Aveva ancora la testa su di giri e non smetteva di massaggiarsi il collo, di mordicchiarsi le labbra.

Era la prima volta che sentiva parlare qualcuno di una retata nella zona sud, e il fatto stesso che fosse caduto dal pero come un idiota non lo rallegrava minimamente. Continuava a chiedersi se fosse stata solo una scusa campata per aria, per rabbonire Sergej, ma poi giungeva alla stessa conclusione: Daniel non era tipo da scherzare con il fuoco, non si sarebbe mai esposto tanto senza avere la certezza di un asso nella manica.

Ma quella carta, per Jeremy, era stata una vera e propria bomba.

«Cosa ci fai ancora qui?» La voce di Sergej s'indurì, fece scattare in piedi Jeremy dalla sua posizione accovacciata. «Non ti avevo forse detto di andare via?» Sibilò nella sua direzione, restringendo lo sguardo.

«Sono uscito, mi pare» rispose questi, non mancando di restare sulla difensiva. «L'ordine che mi è stato impartito non era così specifico come crede, Comandante Jackson.» Ghignò inconsciamente, sfidandolo sotto le telecamere a circuito chiuso. Tuttavia non si sentì afferrare per il collo, né colpire in alcun modo. Lo vide procedere verso l'ascensore e gli sentì dire:

«La retata è vicina, Hunt. Torna a casa tua e restaci fino a nuovo ordine.»

«Voglio parlare con lei, Comandante» sputò di soppiatto.

«Di cosa?» Schioccò la lingua con una punta di fastidio, immaginando che Jeremy volesse premere sul fattore Daniel. Ma poi dovette ricredersi, perché gli sentì dire:

«Della retata, è ovvio.»

Allora sollevò entrambe le sopracciglia, si mostrò perplesso. «Non ne hai già parlato con il Capitano Begum?»

«Appena» borbottò, mentendo sia a se stesso che a Sergej. «Ci siamo concentrati sull'AK-47 e sulle armi che avrei dovuto portare con me...»

Sergej mosse appena il braccio sinistro e, illuminato dalla luce dell'ascensore, controllò l'orario. «Ho tempo» disse. «Se vuoi possiamo parlarne da te, Hunt.»

E questi annuì, deglutì a vuoto. Con i muscoli tesi e la rabbia ancora a fior di pelle, cercò di accantonare il discorso Daniel. Farlo, tuttavia, era difficile almeno quanto guardare Sergej negli occhi e fingere di non aver mai visitato il suo scantinato. «Perfetto» assentì. Lo raggiunse nell'ascensore e, dopo aver infilato la propria chiave nella serratura giusta, premette il pulsante del quinto piano. «Grazie per avermi regalato una reggia» fece a gran voce, aprendo la porta di casa.

«Non è una reggia» lo contraddisse. «Tutti gli appartamenti dei membri dell'URC sono identici.» Si guardò attorno, notando più disordine di quanto si sarebbe aspettato – magliette, pantaloni, camicie sparse. «Ma immagino che tu non abbia mai avuto una casa del genere Hunt» disse infine.

«Il Capitano Begum è senz'altro molto più ordinato di me» fece laconico, notando il cipiglio irritato di Sergej. «Ma non ne avevo idea.»

«Ora ce l'hai.» Breve e lapidario, Sergej non aggiunse altro. Infilò le nani in tasca e si diresse a passo svelto verso il salone.

Jeremy storse le labbra in una smorfia, lo guardò e ne seguì attentamente i passi. Poi si decise a parlare, a dare fiato alla bocca con un: «Mi parli della retata, Comandante.»

«Avevi delle domande da farmi, no?» Incalzò questi, sollevando un sopracciglio e stappando una bottiglia di Whiskey ancora chiusa per versarsi da bere al piano bar di Jeremy. «Iniziamo da quelle.»

«Quale sarà il mio ruolo?»

«Compattarti all'Unità di Reclutamento sul Campo, imbracciare l'AK-47 ed essere pronto a fare fuoco sulla feccia.»

«Quello non è forse il ruolo della sua Armata?» Restrinse lo sguardo, curioso e confuso.

«Anche l'URC fa parte dell'Armata» minimizzò. Poi scolò il bicchiere tutto d'un colpo e pungolò Jeremy con un'occhiata gelida.

«E qual è il suo ruolo specifico?» Deglutì a vuoto, conscio del fatto che fosse stato proprio l'URC a recuperarlo fuori dal tombino del Settimo Distretto.

«Ignorare i civili, identificare i potenziali membri per il reclutamento, spostare i feriti e porsi in prima linea.»

Jeremy socchiuse le labbra, fece per dire qualcosa, ma le parole gli si cacciarono indietro in un singulto. Non riusciva proprio a immaginarsi come soldato di prima linea in una guerriglia. «Prima linea?» Echeggiò inconsciamente. Un brivido gli accapponò la pelle delle braccia. Vide annuire Sergej, poi versarsi altro Whiskey con nonchalance. «Ma non sono mai stato sul campo di battaglia» sputò in un rantolo.

«C'è sempre una prima volta, Hunt» disse. Sorseggiò, poi fece schioccare la lingua sul palato e sorrise. «Questa è la tua prima volta.» Lo gelò sul posto e se ne rese conto, perciò trattenne una risatina asciutta, sadica, e tracannò il resto del bicchiere per posarlo successivamente sul piano bar.

«E se non dovessi farcela?» Obbiettò. Le sopracciglia corrugate e la voce ridotta a un soffio. «Se mi colpissero diventerei un peso per l'intera Armata, no? Creerei un varco!»

«Nessun varco» scandì Sergej, muovendo addirittura un indice per avvalorare la propria tesi. «I miei uomini ti cammineranno sopra senza problemi.»

Jeremy sgranò gli occhi, si sentì stranamente inutile, impotente e piccolo – sì, piccolo. Era come se potesse immaginare chiaramente la scena di fronte a sé: una mandria impazzita che lo devastava osso dopo osso fino a spappolargli il cranio, fino a bucargli i polmoni, fino a renderlo poltiglia dimenticata. Deglutì a fatica, sentendo un conato risalirgli lungo lo stomaco.

«Ti facevo più forte, Hunt» lo schernì Sergej. «Immaginavo che il tuo passato ti avesse temprato abbastanza per farti credere nell'impossibile, per farti sentire superiore a tutti...» Storse il naso con una punta di fastidio. «Ma a quanto pare mi sbagliavo. Credi davvero di poter essere ammazzato così facilmente, eh!» E allora rise, sì, scosse la testa, mosse appena le spalle, lo prese in giro con un'occhiata di sguincio e solo per vedergli aggrottare le sopracciglia.

«Non mi credo immortale» disse semplicemente. «È questo che ci differenzia, Comandante.»

«Altre domande?» Chiese, trattenendo la risata come possibile – magari continuando a disprezzare l'inettitudine di Jeremy.

«La retata è nella zona sud del Settimo Distretto, giusto?» Lo vide annuire, così indurì lo sguardo e continuò: «Che tipo di retata sarebbe? Come ci muoveremo? C'è qualcuno che organizza questi assalti?» E la sua perplessità era evidente, poteva percepirsi sia nel tono che nel modo in cui guardava Sergej.

«Li organizzo io» rispose laconico. «Sono ben organizzati, ma mai su carta» aggiunse. «È tramite il passaparola che la Terza Armata ha il pieno potere, che si riserva l'effetto sorpresa.»

«Non capisco» soffiò Jeremy. «Avere uno schema cartaceo per stabilire i movimenti delle truppe non sarebbe più utile?» Gli vide scuotere ancora la testa, così indurì i muscoli del viso e serrò i denti in un moto di frustrazione.

«Non hai mia incontrato i membri della Terza Armata, vero Hunt?»

«Eccetto lei e i membri dell'URC?»

«Esattamente» schioccò. Incrociò le braccia al petto e gli si avvicinò con fare divertito.

«No, nessuno» confermò.

«Immagino che tu non abbia la benché minima idea di cosa significhi trovarsi là in mezzo...» E si trattenne dal ridergli nuovamente in faccia, si umettò le labbra, scandì: «È il caos, il delirio, una bolgia.» Lo vide trasalire, perciò rincarò la dose. «Dovresti considerarti fortunato, Hunt: ho scelto di affiancarti ai membri dell'URC e di non ingigantire le tue paure per renderti un killer perfetto.»

Jeremy restò a bocca aperta, non seppe proprio cosa dire. Batté le palpebre, deglutì a fatica, infine si lasciò sfuggire ben più di una curiosità: «Cosa significa? In che modo pensa d'ingigantire le loro paure? Perché parla di loro come killer e non come soldati?»

«Perché solo dei killer possono uccidere dei killer» dichiarò. E non aggiunse altro in merito ai suoi crucci, fece semplicemente spallucce. «Anche tu lo diventerai, Hunt» disse, puntandogli l'indice contro. «Lo diventerai molto presto.»

«Vuole farmi estromettere dall'URC perché sono andato a parlare don il Capitano Begum?» Scattò Jeremy, agitato e confuso.

«Non ho detto questo» lo contraddisse.

«Lo ha lasciato intendere, però.»

«Avrei più di un modo per allontanarti, se solo volessi» scandì. «Ma non è ciò che voglio, perciò non hai di che preoccuparti: sei e resterai un membro dell'URC.»

«E la storia del killer?» Incalzò, vedendolo procedere a passo deciso verso il corridoio.

«Anche i membri dell'URC sono dei killer a sangue freddo» precisò allora, frenando la propria avanzata. Gli lanciò un'occhiata di sguincio e si limitò a ghignare. «Posso andare?» Chiese retorico, non aspettandosi minimamente un'ulteriore insistenza da parte di Jeremy.

Ma questi glielo negò, si mosse nella sua direzione per afferrarlo e guardarlo dritto in faccia. «No» disse. Gli occhi infiammati, ancora confusi e ancora arrabbiati. «Voglio sapere dove andremo e cosa faremo, Comandante.»

«È una sorpresa» mormorò questi, avvicinandosi al suo viso solo per vederlo retrocedere di un passo. Trattenne una nuova risata e sollevò il mento soddisfatto. «Non sei contento, Hunt? Una sorpresa speciale solo per te...»

«Voglio saperlo.»

«No, non vuoi» soffiò Sergej. «Tu vuoi parlarmi di qualcos'altro e vuoi tenermi qui fin quando l'argomento non ritornerà al punto di partenza.»

«Voglio essere pronto alla retata» continuò a denti stretti. «Si è fatto un'idea completamente sbagliata sul mio conto, Comandante.» Allora si sentì afferrare per la giacca e mancò un battito. Sbiancò, deglutì, trattenne il fiato. A un palmo dal viso di Sergej, ebbe come l'impressione di poter essere schiacciato.

«Daniel Begum» disse, soffiò. Lo vide fremere a un passo dalle proprie labbra e provò ancora lo stesso moto omicida di poco prima. Avrebbe voluto strangolarlo seduta stante, sì, ma farlo comportava una miriade di scartoffie, rapporti e giustificazioni che non aveva voglia di compilare. «È questo di cui vuoi parlare, no?»

«No» balbettò. E mentì, perché poteva solo mentire in una circostanza simile. Non aveva testimoni, non c'erano telecamere a circuito chiuso, senza contare che quello che aveva di fronte era il Comandante della Terza Armata, non un chicchessia.

«Menti» dichiarò vicino al suo orecchio, sentendolo deglutire a vuoto. Così aggiunse: «Allora sarò io a parlartene.»

«Non ce n'è bisogno» provò a dire, sentendosi subito mancare l'aria nel petto quando Sergej lo sbatté nuovamente al muro. Annaspò, poi vide il suo sguardo tagliente ed ebbe come l'impressione che fosse minaccioso, tagliente, più inquietante di quello del Colosso. Perciò, senza vie di fuga, restò in silenzio.

«È nato in una setta di Testimoni di Geova, una di quelle minoranze religiose che, contagiose come la peste, ha sempre tenuto per sé i propri abomini. È stato disassociato dopo aver denunciato quello che, a detta del Consiglio, era solo frutto della sua mente perversa. Poi, di conseguenza, è stato abbandonato in mezzo alla strada della Vecchia Washington...» Si fermò, attese un qualsiasi cenno da parte di Jeremy. Ma nonostante non ne ricevette nessuno, continuò a parlare: «Non so come sia sopravvissuto, né come abbia trovato il coraggio di farlo, ma il fatto stesso che continuasse a chiamare alla Sede Centrale della Terza Armata aveva destato in me un certo interesse.» Prese una piccola pausa, si umettò le labbra, scosse perfino la testa. «Non aveva più una famiglia, non aveva neppure degli amici, ma continuava a fare delle soffiate, a cercare di convincere il Dipartimento, a lasciare messaggi su messaggi!» Un lieve ghigno gli si dipinse in faccia. «Infine ha smesso di farlo. E abbiamo atteso una settimana per mobilitarci, per infiltrarci attraverso una spia dell'SRF. Una volta scovato il seminterrato cui Daniel Begum era stato rinchiuso, una volta individuati i pilastri della setta e i soggetti più pericolosi, abbiamo semplicemente aspettato. Non abbiamo reagito per mesi, ci siamo limitati a osservare, a far scorrere molto sangue innocente, prima di procedere con la retata vera e propria.»

Jeremy non aveva parole, riuscì a chiedere soltanto: «Perché?»

«Perché nessuno di noi era certo che Daniel Begum avrebbe resistito tanto, perché nessuno credeva possibile che la sua voglia di vivere fosse tanto grande da poter essere associata all'SRF con un reclutamento immediato.» Lo disse come se nulla fosse, continuando a ghignare. Poi aggiunse: «Ma siamo dovuti intervenire prima dell'irreparabile, prima che fosse reso inutilizzabile, prima che lo sciogliessero nell'acido per completare lo snuff movie su Orfeo ed Euridice.»

Socchiuse le labbra per dire qualcosa, ma non ci riuscì – non subito, almeno. Sentiva le parole di Sergej riecheggiare nelle proprie orecchie e non riusciva a credere che fosse stato proprio lui a pronunciarle. «Lo avete fatto soffrire intenzionalmente» soffiò. «Lo avete lasciato nelle mani di una setta tanto pericolosa per vedere se fosse stato in grado di sopravvivere...» E lo vide annuire, sorridere, mostrare i denti come se nulla fosse. Allora provò l'impulso di colpirlo, di distruggerlo, di farlo soffrire tanto quanto aveva fatto soffrire Daniel. Gli s'incendiarono gli occhi, le vene, l'intero cervello. «È mostruoso!» Ringhiò.

«No, Hunt, non lo è affatto» disse. «Tutto questo è necessario per individuare chi può far parte della Terza Armata e chi no.»

Jeremy trattenne un conato, poi chiuse gli occhi. Aveva la vista annebbiata e la sensazione che non sarebbe riuscito a controllarsi – proprio come il giorno in cui aveva colpito Foster nel bagno del Campo di Addestramento. «Vada via» gracchiò. «Se non vuole morire adesso, Comandante, esca di qui.»

«Gentile, da parte tua, avvisarmi» ridacchiò questi, riuscendo solo a farlo infuriare. «Ma capirai bene che uccidermi è inutile.»

«Esca subito» scandì Jeremy, trattenendo le palpebre verso il basso. Ciononostante vedeva solo sangue – sì, solo sangue – e non riusciva a fermare la fibrillazione che gli percorreva le vene almeno quanto la voglia di fare a pezzi Sergej. Si passò una mano sul viso, sulla fronte, e frustrato si portò indietro i capelli.

«Non raccontarlo a Daniel» sillabò Sergej, facendogli spalancare gli occhi.

«Cosa?» Ruggì. «Non dovrei raccontare la verità all'uomo che continua a venerarla, Comandante?»

«Esatto» assentì. Lo vide fremere sul posto, poi dovette anche parare un suo pugno, una ginocchiata istintiva, e sentirne il ringhio frustrato vicino al collo. «Non ti crederebbe, penserebbe che tu sia solo un povero invasato che si è preso una cotta per niente.» Dopo averlo detto, Sergej tirò Jeremy per i capelli e lo guardò negli occhi. «Intesi?» Chiese, poi sorrise ancora.

Jeremy ringhiò, le pupille ridotte a due capocchie di spilli. E prima ancora che potesse accorgersene, prima ancora che potesse racimolare qualche idea, reagì d'istinto: gli sputò in faccia, colpendolo all'altezza dello zigomo destro. «Ma ne fotto degli ordini!»

«Non dei miei!» Ruggì Sergej, pulendosi lo zigomo con il guanto in pelle. «I miei sono legge per tutti, te compreso.» E dopo averlo detto, lo colpì con violenza all'altezza dello stomaco. Lo sentì boccheggiare, lo vide rantolare indietro e finire carponi sul pavimento del corridoio. «Mi raccomando, Hunt...» soffiò sull'uscio. «Rimettiti presto.» Chiuse la porta senza guardarsi indietro, conscio che Jeremy non fosse riuscito a trattenere un conato e che avesse appena sporcato il pavimento.

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