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Capitolo 16

Continuava a pensare al suo viso, a quell'espressione contorta e assorta, travolta dal piacere. E ogni qualvolta se la ritrovava dinanzi, ogni qualvolta socchiudeva gli occhi, dalle sue labbra usciva un sospiro maltenuto. Vedere Jeremy Hunt in quelle condizioni era stato emozionante, sì, e senz'altro diverso dagli attimi in cui spiava il Sergente Ramsey. Lo aveva fatto sentire vivo, di nuovo se stesso, di nuovo completo. Ma era nell'incompletezza che continuava a stagnare, a rantolare, e lo sapeva fin troppo bene. Perciò non impiegò molto a storcere le labbra in una smorfia.

Sarebbe voluto tornare indietro per chiedere il bis, per pretendere l'impossibile. E magari, nella migliore delle ipotesi, avrebbe fatto un viaggetto al Dipartimento Medico dell'SRF con il naso spaccato – conosceva il temperamento di Jeremy, dopotutto.

«Non lo vedrò per un po'» si disse piano, uscendo dal Poligono con le mani in tasca. L'aria assorta, lo sguardo vacuo. «Starà bene per un mesetto» concluse tra sé e sé. Poi sbuffò, aprì l'ombrello, cercò d'individuare la propria auto scura nella sera della Vecchia Washington. Quando la trovò, ormai, aveva già i pantaloni inzaccherati fino alle ginocchia. «Che palle» grugnì.

«Ezekiel Jenkins.»

Sentendosi chiamare, questi sollevò lo sguardo e spostò di poco l'ombrello. Aveva appena infilato le chiavi nella serratura della portiera dell'auto, ma le ritirò subito, scottato e divertito, per farle tintinnare attorno all'indice destro. «Capitano Daniel Bagum!» Esclamò. E sorrise, sì. Si sforzò di sembrare naturale, estraneo a qualsiasi discorso potesse avere a che fare con lui. «Qual buon vento?»

«Detesto i finti tonti» sibilò.

«Mi ha aspettato qui fuori e senza un ombrello per dimostrare quanto le sia indigesto, Capitano Daniel Begum?» Ezekiel sollevò un sopracciglio, lo squadrò da capo a piedi e non mancò di lasciarsi sfuggire una risatina. «O vuole un passaggio, forse?» Chiese. «Eppure gli appartamenti dell'URC non sono così distanti...»

«Voglio un passaggio, sì» disse. Non aggiunse altro, si avvicinò semplicemente allo sportello dell'auto di Ezekiel e aspettò che questi l'aprisse per sedersi accanto al posto del guidatore. Poi, non appena lo vide entrare a sua volta, lo fulminò con un'occhiataccia. «Dimentica tutto.»

«A cosa si riferisce?» Divagò ancora, facendo serrare i denti a Daniel.

«Eri lì, no?» Scioccò acidamente. «Hai visto tutto, hai ricattato Hunt e vuoi fare lo stesso con me.»

«No» grugnì. «Non ho mai pensato di ricattarla in alcun modo, Capitano Daniel Begum.»

«Taglia corto, il mio nome non è necessario» ringhiò.

«Non oserei mai sfiorare ciò che appartiene al Comandante Sergej Jackson» disse piano.

«Pensi davvero che io appartenga a qualcuno?»

«Non è forse così?» Sollevò un sopracciglio con fare divertito, per nulla curioso. «Checché ne dica, Capitano Begum, lei è in stretti rapporti con il Comandante Sergej Jackson...»

«E la cosa t'infastidisce» concluse a mezza bocca.

«No» mentì. «Dovrebbe?»

«Potrebbe» soffiò Daniel.

«In verità condivido il suo sentimento di odio, Capitano Begum» ammise a mezza bocca. Mise in moto l'auto, poi uscì dal parcheggio e si diresse verso gli alloggi dell'URC. «Non per Jeremy Hunt, s'intende.»

«Ah, no?» Fece schioccare la lingua, fin troppo consapevole di ciò che Ezekiel avrebbe voluto dire. Tuttavia non fece altro che spronarlo con quel suono e con il silenzio che ne conseguì.

«No, non odio Jeremy Hunt» confermò. «Lui non mi ha portato via niente.»

«Io sì, invece.» Ridacchiò, scosse perfino la testa. «E come avrei fatto?»

«Potrei essere un attivo membro dell'URC se solo qualcuno non mi avesse scavallato per simpatia» sputò. «E quel qualcuno lo conosciamo entrambi, Capitano Begum...»

«Dipende da ciò che intendi per simpatia.»

«Sa bene a cosa mi riferisco» tagliò corto. «O vuole che sia più esplicito, forse?»

«Non guasterebbe.»

Ezekiel indurì i muscoli del viso, premette sull'acceleratore e tagliò la strada a un paio di auto per raggiungere l'edificio dell'URC il prima possibile. Infine sotto lo sguardo infuriato di Daniel, disse: «Non ho mai provato l'ebbrezza di scopare con il Comandante Sergej Jackson, cosa che penso potrebbe piacermi almeno il doppio di quanto piace a lei, Capitano Begum.»

E questi restrinse lo sguardo, si avvicinò a Ezekiel per sembrare il più minaccioso possibile. «Dovresti provare a chiederglielo come favore personale, allora.» E si fermò, accennò un ghigno sinistro. Infine aggiunse: «Ma non credo che al Comandante Jackson piacciano gli eunuchi...» Allora si distanziò, fece per scendere dall'auto di Ezekiel solo per sentirsi strattonare indietro. Rimbalzò contro il sedile in pelle, sgranò gli occhi per un istante e poi lo fulminò. «Che cazzo vuoi?»

«Il Sergente Aldon Ramsey continua a farsi le seghe pensando alla bella Euridice» scandì maligno, ricambiandogli il favore. Lo vide trasalire sul posto, indurire lo sguardo e serrare le labbra. Così si prese la briga d'incalzare, di aggiungere altra cattiveria su cattiveria: «Guarda le fotografie che ti ha scattato, le riviste proibite, e si smanetta tutte le notti...»

«Mi fai schifo, Jenkins» gracchiò. «Sei solo un mezzo uomo» aggiunse rabbioso.

«Sono una spia dell'SRF» lo contraddisse astioso, rinserrando la presa sulla sua spalla per costringerlo a restare in auto.

«Ce ne sono a centinaia come te» disse Daniel. «Più utili e meno fastidiose, tra l'altro.»

«Più utili non direi!» Mosse l'indice libero per negargli quella verità. «Perché, deve ammetterlo, senza di me non sarebbe ancora vivo.» Sorrise ancora, mostrò perfino i denti e cercò d'ingoiare l'offesa di Daniel per rincarare le proprie. «Senza il mio intervento non si sarebbe salvato, sarebbe morto negl'inferi come la bella Euridice – o nell'acido, chissà... Era acido quello sul fondo della scena?»

Daniel digrignò i denti, allontanò Ezekiel con una spinta e scese dalla sua auto con il fiatone. Gli occhi sgranati, le sopracciglia aggrottate e l'aria che faticava a uscirgli dalle narici allargate. Tremava come una foglia e non riusciva a spostare lo sguardo dal finestrino costellato di gocce di pioggia. Socchiuse le labbra come per dire qualcosa, ma si lasciò sfuggire solo un: «'Fanculo, pezzo di merda.» Poi, dopo aver trattenuto un conato, sollevò gli occhi sull'ingresso dell'edificio dell'URC. E non impiegò molto a darsela a gambe, no, perché il ricordo dell'acido cui volevano immergerlo vivo per lo snuff movie aveva preso a bruciargli nelle viscere.

Dal canto suo, Ezekiel premette sull'acceleratore. Sgommando sull'asfalto umido, fece bruscamente inversione e schizzò Daniel con l'acqua di una pozzanghera poco distante dal marciapiede. Ma non si fermò per sentirlo imprecare, né lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore. Aveva come la sensazione che questi non si sarebbe fermato comunque, che sarebbe rientrato negli appartamenti dell'URC. Perciò digrignò i denti, restrinse lo sguardo. Con le mani ben posato sul volante, concentrò la propria attenzione sulla strada appena illuminata.

Daniel si mosse alla svelta: entrò trafelato nella hall, ignorò il saluto della guardia all'ingresso e procedette a passo spedito verso l'ascensore. Le chiavi in mano, poi la vista appannata e il tintinnio metallico. Premette convulsamente il tasto nero, ritirò le chiavi e cercò quella del terzo piano. Quando entrò nel vano, ormai, aveva le sopracciglia aggrottate, lo stomaco sottosopra e le labbra serrate, sigillate. Si portò una mano alla bocca, trattenne a stento un conato e infilò a forza la chiave nella fessura giusta. Raggiunto il proprio appartamento, infine, corse verso il bagno. E con ancora i vestiti bagnati addosso, con i ricordi troppo nitidi dietro le palpebre, con le parole di Ezekiel nelle orecchie, vomitò.

«Non è vero!» Sputò, ringhiò. Le dita serrate sulla ceramica del gabinetto e gli occhi sgranati. «Non è vero! Non è vero!» Trattenne un conato, alzò la voce, cercò di convincersi di avere ragione. Poi cedette e vomitò ancora. Finì con un avambraccio posato sulla tavoletta e una mano premuta sull'addome, con le ginocchia appena divaricate e una chiazza d'acqua stagnante sulle mattonelle chiare del bagno. «Non è vero...» E lo ripeté pianò, si alzò a fatica, raggiunse a passi incerti il lavandino per guardarsi allo specchio.

Non voleva credere che fosse stato Ezekiel a chiamare l'SRF per la retata di due anni prima, non voleva neppure pensarci. Farlo avrebbe significato solo una cosa: dover spostare la sua devozione da Sergej a Ezekiel. Ed era impossibile, inaccettabile.

Deglutì a vuoto, poi si sciacquò sia il viso che la bocca sotto il getto d'acqua fresca del lavandino. E lavò i denti, sì, perché aveva come l'impressione di aver rigurgitato acido e bile, odio e rancore. Infine, con gli occhi arrossati e iniettati di sangue, si sedette sul bordo della vasca da bagno. La osservò, la fissò come spaesato e neppure si tolse i vestiti di dosso. Man mano che l'acqua saliva, però, sentiva anche il ribollire della propria angoscia. «È solo una spia di merda» si disse. «Un mezzo uomo con manie di grandezza e tendenze manipolatorie...» Si umettò le labbra, tracciando mentalmente il profilo di Ezekiel Jenkins. Poi sobbalzò, sgranò gli occhi e girò di scatto la manopola dell'acqua. Con il cuore in gola, rimase in silenzio. E attese un po' per scoprire se quel suono appena udito fosse stato o meno un'allucinazione. Lo sentì ancora, più nitidamente, così deglutì e uscì da bagno per raggiungere la porta d'ingresso. «Chi è?» Domandò. Non guardò dallo spioncino, tantomeno aprì. Alzò la voce con rabbia, ruggendo.

«Jeremy.»

Quel mormorio lo fece fremere sul posto, riuscì perfino a farlo arrossire. «Che cazzo vuoi?» Sputò. «Non ti voglio tra le palle, Hunt...» E si bloccò, si morse le labbra, immaginò che le telecamere di sorveglianza stessero riprendendo Jeremy nell'androne del terzo piano. «Cazzo, devi andartene! Non puoi stare qui.»

«Devo parlarti» disse.

«Io no» replicò velocemente. «Non ho niente da dirti, niente da spiegarti...»

«Devo parlarti» ripeté serio, battendo un pugno sulla porta di Daniel.

E questi sgranò gli occhi, corrugò le sopracciglia, serrò perfino i denti. Inspirò a fondo, provò a considerare l'ipotesi di farlo entrare e subito l'accantonò. Scosse la testa, disse: «No.»

«Perché sei così fottutamente complicato, Begum?»

«Perché sei così fottutamente insistente, Hunt?» Lo rimbeccò. E non lo sentì rispondere, non lo vide insistere contro la porta. Allora si avvicinò, guardò attraverso lo spioncino e lo vide sbuffare con le mani in tasca – era chiaro che non avesse alcuna intenzione di andarsene. «Sono rientrato da poco» disse. «Devo ancora lavarmi, cazzo...»

«Aspetterò.»

«Quanto sei petulante!» Schioccò la lingua, provò l'impulso di farlo entrare per lasciargli ampio accesso al salone. Tuttavia poi si morse l'interno delle guance e preferì lasciarlo fuori come un cane. «Io vado, se ti stufi di aspettare puoi sempre parlarmi in mensa...»

«Non mangi mai in mensa» lo contraddisse a gran voce Jeremy. «Mangi, almeno?»

«Ma che cazzo...» Daniel si portò una mano al viso, sospirò con fare rassegnato e alzò la voce per farsi sentire: «Non sono cazzi tuoi, Hunt!» Poi percorse il corridoio, tornò in bagno e tirò subito lo sciacquone. Si tolse l'uniforme zuppa, aprì lo sportello alla destra dello specchio e recuperò il pacchetto di Camel per accendersene una. «Che testa di cazzo» borbottò. E solo allora s'immerse nella vasca da bagno. Sollevò lo sguardo verso il soffitto, aspirò a fondo ed espirò dalle narici come fosse un drago. «È così fottutamente insistente» si disse. Ma chissà come, invece di provare fastidio, riuscì ad abbozzare un sorriso. «Perché continua a cercarmi?» E conosceva già la risposta, perciò non fece che mordicchiarsi le labbra, che aspirare dalla sigaretta accesa, che intossicarsi i polmoni per qualche minuto di totale apatia.

Uscì dalla vasca solo quando l'acqua parve essersi freddata, quando la pelle si fu completamente arrossata e il cuore iniziò a pulsare veloce – al pari di un tamburo – fino a gonfiargli le vene del collo e a incendiargli i sensi.

E si accese un'altra sigaretta, osservò le cicatrici nell'interno coscia, serrò i denti con stizza. Sbuffando fumo dalle narici, infine, ripensò al bacio rabbioso che si era concesso negli spogliatoi del poligono. Si sentì un idiota, un burattino in preda agli ormoni, un oggetto. E non impiegò molto ad afferrare il rasoio, non impiegò molto nemmeno a passarselo sulla pelle già lesa. Chiuse semplicemente gli occhi, grugnì un: «Come mi è venuto in mente?» E poi, di nuovo: «Perché l'ho chiamato in quel modo?» Si sentì lacerare dentro, si morse le labbra, percepì lo scorrere del sangue e il ticchettio denso sulle mattonelle. «Che diavolo vuole adesso da me?» Borbottò irritato, lanciando il rasoio nella vasca ancora piena. E sbuffò, sì, osservò le tre nuove ferite – tre nuove domande senza risposta, tre nuove vergogne – per poi medicarle e bendarle. In qualche modo, stranamente, pensò di essersene liberato.

Ma quando raggiunse la porta, quando guardò attraverso lo spioncino, vide che Jeremy Hunt era ancora lì: in piedi, fisso, con le mani in tasca e le labbra storte in una smorfia di disapprovazione. E ciò riuscì soltanto a farlo annaspare, a farlo retrocedere con una mano premuta sulla coscia.

Non si era liberato di un bel niente, lo sapeva. E Sergej aveva ragione a rimproverarlo, a dirgli che ogni ferita era inutile.

«Capitano Begum?»

Daniel non rispose, si morse le labbra e cercò di non emettere alcun suono. Tuttavia sentì ancora la voce di Jeremy:

«Ho sentito i passi, non sono sordo e non sono nemmeno scemo.»

«Sei ancora qui?»

«Devo parlarle davvero.» Adottò un tono più formale, convinto del fatto che così facendo avrebbe visto la porta di Daniel aprirsi. Ed ebbe ragione a crederlo, perché vide il suo sguardo ossidiana fare capolino oltre un piccolo spiraglio di luce tra porta e stipite.

«Di cosa?» Domandò questi.

«Ho incontrato Ezekiel Jenkins al Poligono» soffiò, sperando che quello potesse essere un sufficiente assaggio di conversazione. «Posso entrare o no?»

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