Capitolo 10
Dopo dieci ore ininterrotte di tiro al bersaglio, dopo seicento minuti di rabbia, proiettili, correzioni e accorgimenti, Jeremy Hunt era letteralmente un bagno di sudore. Avrebbe voluto fare una doccia, sì, rendersi presentabile prima della cena con il Comandante Jackson. E nessuno glielo avrebbe impedito, perché a nessuno interessava di lui o delle sue trovate last-minute. Tuttavia si ricordò degli antidolorifici, delle medicazioni, e grugnì. Sapeva che il Poligono dell'SRF non era un posto adatto per dilungarsi, così sbatté violentemente lo sportello del proprio armadietto, si lasciò sfuggire un'imprecazione a mezza bocca e attirò perfino l'attenzione di Daniel Begum.
«Che ti prende?» Chiese questi. Sembrava scocciato, infastidito. E lo era davvero: non sopportava l'idea che Sergej avesse invitato Jeremy a cena per parlare – di cosa, poi?
«Niente, mi girano le palle e basta» tagliò corto l'interpellato. Osservò lo sportello chiuso, il nome fresco di stampa che ci era stato appiccicato sopra da chissà chi, e digrignò i denti come un animale ferito.
«Lo credo bene!» Daniel non perse occasione per pungolarlo. Ripose gli Uzi nell'armadietto e subito dopo fece altrettanto con l'AK-47. Tenne soltanto la Colt, cosa che fece dubitare Jeremy per la propria incolumità.
Aveva come l'impressione che Daniel Begum lo detestasse a pelle. Non che la cosa non fosse reciproca, ovviamente, ma lo metteva comunque a disagio. Perciò storse le labbra, disse: «Non ti faranno uscire con quella.» Indicando la fondina di Daniel, gli vide restringere lo sguardo.
«Potrei uscire con l'intero arsenale, se volessi» lo corresse. «Faccio parte dell'URC, sono un membro stabile dell'SRF, nessuno si lamenterebbe se portassi con me una pistola...» Al che schioccò la lingua, lanciò un'occhiata di disprezzo a Jeremy e si terse il sudore dalla fronte. Con i Ray-Ban sulla sommità del capo e i capelli lucidi, rimpianse la sua presenza sul posto e dedicò la propria attenzione verso le docce. Ma non si mosse, no, tantomeno si azzardò a volgere il capo in quella direzione.
Ciononostante, Jeremy capì il suo disagio nel momento stesso in cui lo vide allentare i bottoni della divisa scura. «Fa caldo, no?» Azzardò. «Perché non ti fai una doccia, Begum?»
«Capitano Begum» rimarcò. I nervi a fior di pelle e gli occhi ridotti a due fessure. Provò l'impulso di sfoderare la Colt per minacciarlo, ma si trattenne a un palmo dalla fondina. «Se hai tanto caldo, Hunt, vai a rinfrescarti» sputò infine.
«Immagino che anche questo non sia affar mio» disse. Un lieve ghigno di soddisfazione gli si dipinse in viso. Nel togliersi la giacca mimetica, allora, vide lo sguardo di Daniel farsi più attento e seccato. «Ma c'è da dire che sei stato il primo a parlarmi del tuo passato...»
«Il mio passato non deve interessarti.»
«È per questo che non vuoi darti una rinfrescata?» Chiese. Sollevò perfino un sopracciglio e gettò la giacca sulla panca occupata da Daniel. La nonchalance con la quale si mosse non poté far altro che stupire il suo interlocutore. E Jeremy non mancò di notarlo, già, perché intravide un guizzo strano nei suoi occhi ossidiana – un guizzo diverso da quello minaccioso che animava il Colosso. «Hai paura?»
«Di te?» Daniel trattenne una risata, lo schernì a denti stretti. «Potrei ammazzarti prima ancora che tu possa rendertene conto, Hunt» disse. «Quindi no, non ho affatto paura di te.»
«E di cosa hai paura?»
Quella era una domanda che Daniel avrebbe preferito non sentire. Non a caso si alzò di scatto e lo fulminò con lo sguardo. «Di niente» sillabò. Lo vide togliersi la canottiera, sentì il tintinnio metallico della sua targhetta di riconoscimento e poi distolse lo sguardo quando la cinta dei pantaloni scattò per aprirsi. «Un soldato non ha paura di niente, cazzo.»
«Che discorso ammirevole» ironizzò. «Ma sarebbe ancora più credibile se riuscissi a dirmelo in faccia, Begum.»
Questi si trattenne dal correggerlo ancora, chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Per qualche istante riuscì quasi a calmarsi. Tuttavia era il caldo opprimente della divisa ad asfissiarlo, a farlo sentire esattamente come un bollitore per il tè. «Il fatto è che non mi piacciono i bagni pubblici» mentì. «Preferisco di gran lunga quello di casa mia.»
«Casa tua...» Jeremy echeggiò le parole di Daniel e si mostrò quasi curioso. «Beh, mi piacerebbe vederla.»
«Ma a me non piacerebbe mostrartela» lo rimbeccò.
«Immaginavo.» Uno sbuffo, poi un sospiro. Jeremy, si tolse gli anfibi e i pantaloni senza pensarci due volte. Poi, privo di un qualsiasi asciugamano, si diresse verso le docce comuni. «Puoi aspettarmi, perlomeno?» Chiese da lontano, alzando la voce.
Daniel rimase a bocca aperta, lo guardò con la coda dell'occhio e quasi provò l'impulso di fermarlo. Tuttavia non lo fece, no, e continuò a chiedersi con quale coraggio desiderasse di lavarsi in un posto simile pur avendo dei punti freschi tra le natiche. «Devo accompagnarti dal Comandante Jackson per cena, mi sembra» gli ricordò laconico. Gli occhi sul pavimento dei camerini e la testa su di giri. Più serrava i denti e più ricordava i suoi primi giorni fuori dal Dipartimento Medico dell'SRF. Allora si disse che no, lui non avrebbe avuto così poco pudore nel mostrarsi nudo di fronte a un chicchessia. Per certi versi lo ammirava, per altri lo detestava. E nella duplicità di quel sentimento, grugnì.
«Mi passi un asciugamano?» La voce di Jeremy lo riscosse, arrivò diretta alle sue orecchie assieme allo scrosciare dell'acqua della doccia.
Daniel trattenne il fiato, ringhiò un: «Non ne hai uno, Hunt?»
«No.»
La risposta semplice dell'interpellato non fece che spiazzarlo. «Non mi lavo mai qui, non ho asciugamani» sbottò irritato.
«Nemmeno uno?»
Dopo uno sbuffo frustrato, Daniel raggiunse il proprio armadietto. Per un attimo provò immaginò d'imbracciare l'AK-47 e fare fuoco nelle docce – un vero e proprio spargimento di sangue. Ma sarebbe stato ripreso, se non addirittura espulso, per una condotta simile. Così, afferrato malamente l'unico asciugamano a sua disposizione, si diresse a passo svelto verso le docce. Allungò il braccio senza curiosare, tenendo gli occhi ben distanti da Jeremy, e disse: «Tieni.»
«Grazie!» Il tono squillante, quasi sornione, era prettamente ironico.
«Prego» soffiò. Si ritirò verso la panca, sbottonando un altro paio di bottoni e allentando perfino la cravatta per fare aria al collo sudato. Poi vide uscire Jeremy dalle docce e tornò a fissare il pavimento con aria truce, assente.
«Non mordo mica» si lamentò questi, lanciandogli l'asciugamano dopo aver frizionato i capelli. «Al contrario...»
«Che vorresti dire?» Daniel scattò, restrinse lo sguardo e glielo puntò contro con astio. Vedere il suo profilo tonico, tuttavia, lo fece vacillare un po'.
«Che siamo sulla stessa barca e che non dovresti preoccuparti» scandì. «Non ho cattive intenzioni, Capitano Begum.»
L'interpellato schioccò la lingua, gli lanciò letteralmente addosso la sua divisa e sbottò con un: «Vestiti alla svelta ed esci, cazzo!»
«Non devo aspettarti?»
«No» borbottò. «Voglio farmi una doccia.»
«Contraddittorio...» cantilenò Jeremy, sollevando un sopracciglio. Poi, però, venne interrotto dall'ingresso del Comandante Jackson e deglutì a vuoto. Gli bastò guardarlo in faccia per capire quanto fosse stato inopportuno, così sospirò e fece per rivestirsi alla svelta. Si sentì uno sciocco, quasi un verme, per aver fatto leva sulle debolezze di Begum. E sì, provò a mettersi nei suoi panni, si fece assalire dai sensi di colpa.
«Sanguini» disse di getto Daniel, riscuotendolo. «Dovresti medicarti, seguire le indicazioni del Dipartimento Medico dell'SRF.» Adottò un tono più formale, raddrizzando la schiena e ignorando l'ingresso di Sergej per una propria presa di posizione – infantile, sciocca, perfino inutile.
«Non mi va» borbottò seccato Jeremy, venendo subito fulminato dall'occhiataccia di Sergej. «Non è il luogo adatto, devo proprio?» Insistette, notò il suo cipiglio crucciato, infine si arrese e, sbuffando, aprì il proprio armadietto. Da lì prese non solo il disinfettante, ma anche le garze e una pomata lenitiva prescritta direttamente dal Dottor Howard. «Devo farlo qui?» Schioccò. Guardò prima Sergej, poi Daniel. Sperò che almeno quest'ultimo dicesse qualcosa, che andasse in suo soccorso, ma non ricevette risposta.
Solo allora, la voce di Sergej si fece sentire con un: «I membri dell'SRF sono in grado di badare a se stessi in qualsiasi condizione, in qualsiasi luogo.» Gli vide indurire i muscoli del viso, poi concentrò la sua attenzione su Daniel e aggiunse: «Se vuoi farti una doccia prima di cena, puoi andare.»
«Dove?» Retorico, Daniel restrinse lo sguardo all'indirizzo del suo interlocutore.
«Ovunque.» Con un'occhiata gli fece intendere che la situazione di Jeremy fosse pressoché lunga e fastidiosa, che potesse benissimo dedicarsi a una doccia veloce al Poligono e che nessuno lo avrebbe disturbato.
Allora Daniel deglutì. «Sissignore» rispose spicciolo. Raggiunse il proprio armadietto e iniziò a recuperare il necessario. Tuttavia, proprio nel momento in cui afferrò il sapone, sentì Sergej dire:
«Non era un ordine, Begum.»
«Lo so.» Non si voltò, né disse altro. Tentennò, quasi timoroso di voltarsi, e poi sparì con l'intera divisa addosso. Si nascose dietro le mattonelle chiare che separavano gli spogliatoi dalle docce, lasciò che Jeremy lo fissasse perplesso e che lo scrosciare dell'acqua lungo il condotto lo incupisse.
Si sentì solo, sì, e forse anche vuoto. Perciò procedette meccanicamente: si spogliò alla svelta, abbandonò gli anfibi a pochi passi dalla pozza d'acqua lasciata da Jeremy, appese la propria divisa ai ganci che normalmente venivano occupati dagli accappatoi e mosse qualche passo verso il fondo del vano.
Poi deglutì a vuoto, chiuse gli occhi. Un sospiro gli uscì dalle labbra, lo fece rabbrividire sotto il getto freddo della doccia. E perfino i pensieri sembrarono liquefarsi, confondersi, amalgamarsi.
Le ciglia che tremavano, le palpebre contratte, i muscoli tesi del viso che accompagnavano lo scorrere del sapone sulle cosce e il gelo nelle ossa.
Fu come tornare indietro nel tempo, essere nel pieno della Tempesta Jonas. Il cuore in gola e il respiro corto, accelerato.
E con la schiena in fiamme, Daniel ricordò le parole lontane di un mostro: Questa è la costellazione della Lira, Euridice.
Deglutì a vuoto, spalancò gli occhi, echeggiò nelle parole di Jeremy e continuò a dirsi che un soldato non avrebbe mai avuto paura – mai! – di niente e di nessuno. Ma si passò le mani sulle bruciature di sigaretta, si morse le labbra, tentennò con le sopracciglia aggrottate.
Il ricordo dei giorni trascorsi al buio lo faceva rabbrividire tanto quanto quello delle molestie subite. E lo scrosciare dell'acqua gli risuonava nelle orecchie come una condanna.
Aveva ancora paura del suo passato, delle persone, addirittura del sangue che aveva visto scorrere e che non era stato in grado di fermare.
Così, con la testa su di giri e i ricordi improvvisamente nitidi, annaspò. Si lavò in fretta, arrabbiato e irruente, fino a farsi sanguinare le spalle. E grattò troppo, si scrostò le ferite appena rimarginate nell'interno coscia.
Sentì i gemiti di dolore di Jeremy, li accavallò ai propri e li fece risuonare nelle proprie orecchie. Poi, maledicendosi mentalmente, si diede dell'idiota. Affondò ancora le unghie, chiuse gli occhi, sperò di lavare via ogni sofferenza.
«'Fanculo, brucia!» Lo sentì gridare, rimbombare, rimbalzare tra le pareti delle docce comuni. «Brucia, cazzo, brucia!»
«È normale, Hunt» fece la voce pacata di Sergej. «Sei stato operato da poco, hai bisogno di curare le ferite per tornare in carreggiata...» E prese una piccola pausa, fece palpitare a distanza il cuore di Daniel. «Vedrai che andrà tutto bene, passerà presto.»
«Ti odio» soffiò Daniel a denti stretti. E non seppe se quelle parole fossero rivolte a Jeremy o a Sergej, perché nel suo immaginario contorto era come se quest'ultimo si stesse interessando a qualcun altro, a qualcuno che non fosse lui. «Ti odio, ti odio...» Si morse le labbra, restrinse lo sguardo, chiuse perfino l'acqua. Cercò di calmare il respiro, di chiarirsi le idee, ma continuò a sentire le lamentele fastidiose di Jeremy e quei suoni striduli che tanto gli smuovevano il sistema nervoso. Perciò deglutì e, senza neppure pensarci, afferrò la divisa per asciugarsi, tamponarsi, strofinarsi addosso – sempre più arrabbiato, sempre più frustrato, sempre più geloso. «Che cazzo ho fatto?» Si chiese in un soffio. Vide la camicia chiara sporca di sangue e trattenne uno sbuffo. Infine, avvolto alla meno peggio dai pantaloni neri, uscì dalle docce con aria truce.
«Ma cosa...» Sergej provò a dire qualcosa, avrebbe voluto ammonirlo. Non mancò di notare la camicia che Daniel stringeva forte tra le nocche e dovette distogliere lo sguardo per non aggiungere altro. Si portò una mano alla testa, massaggiando la sommità del naso, e ignorò i presentì per badare alla propria emicrania. «Beh, a questo punto direi che possiate indossare qualsiasi» mormorò. «L'incontro formale è annullato.»
«Annullato?» Jeremy sgranò gli occhi, quasi annaspò.
«Niente divise, non serve...» minimizzò. Ma poi seguì Daniel con lo sguardo, lo vide lanciare giacca e camicia sull'AK-47 per tirarne fuori una fresca di bucato. E trattenne a stento una risata, sì, scosse perfino la testa. «Avrei dovuto immaginarlo» disse tra sé e sé.
«Non è mia abitudine girare nudo in strada, Comandante» rispose semplicemente. Le spalle ben piantate contro gli armadietti e la camicia bianca, pulita, che copriva l'abominio sulla sua schiena. Deglutì, lo guardò negli occhi, infine si allontanò con i pantaloni in mano.
Jeremy, d'altro canto, poté solo osservare la scena con disappunto. Lo sguardo ridotto a due fessure e l'irritazione nelle vene. Echeggiò le parole di Daniel solo per rielaborarle: «Non è mia abitudine avere più di una divisa, Comandante – sa, vengo dal Campo di Addestramento del Settimo Distretto...» E giurò di vederlo sorridere, di trattenere una risata, ma non ne fu così certo da poterci mettere la mano sul fuoco.
«Ne hai una di riserva sul fondo dell'armadietto» lo contraddisse. «Fai parte delle reclute del Poligono, Hunt, non puoi girare con la mimetica addosso.»
«Mi piaceva la mimetica» obbiettò, facendo spallucce. «Ma non disdegno l'offerta» aggiunse. «Sempre meglio che puzzare di cane morto...»
«Puzzi comunque di cane morto, Hunt» lo pungolò a distanza Daniel.
«Ah, sì?» Sputò irritato. «E perché mai?»
«Non mi hai chiesto il sapone.»
Jeremy storse le labbra in una smorfia irritata, ma non si voltò nella direzione di Daniel. Cercò di mantenere la calma, di vestirsi in fretta e seguire sia il Comandante Jackson che il capitano Begum con l'espressione di un vero soldato dell'SRF. Tuttavia, non appena restò solo con Daniel nella Dodge Charger, disse: «Non ho intenzione di rubarti le sue attenzioni.»
«Non so di quali attenzioni tu stia parlando, Hunt» schioccò questi. Il tono acido, forse anche colpevole. Si sentì colpito, colto nel vivo, e deglutì. Mise in moto la vettura, poi aggiunse: «Ti sei fatto un'idea sbagliata, molto sbagliata... E se qualcuno ti sentisse, magari, potrebbe credere che il tuo incidente non sia stato propriamente un incidente.»
«Non lo chiamerei incidente» borbottò aspro, incattivito dalla sola idea che qualcuno potesse definirlo come un incidente.
«Lo stupro, Hunt» tagliò corto. «Quello che ti ha portato via mezzo intestino.» Schioccò la lingua, poi girò il volante per uscire dal parcheggio. E restò in silenzio, seguì l'auto di Sergej fuori dal Poligono. «Dire certe cose non ti fa sembrare normale, perciò evita di farlo. Se ti avesse sentito qualcun altro, probabilmente, saresti già stato rinchiuso.»
Jeremy aggrottò le sopracciglia. «Rinchiuso dove?»
«In manicomio» soffiò. «Perciò evita. E non fraintendere di nuovo ciò che riguarda i tuoi superiori.» Lo sentì deglutire, lo vide annuire con la coda dell'occhio, infine si concentrò sulla strada.
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