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189 - Verso l'oscurità...

Garvin si fermò nei pressi del fiume, se solo avesse potuto chiudere aiuto alle sue acque e tornare trionfante con tanti bei pesci, così l'avrebbero smesso di guardarlo come se fosse un cucciolo indifeso. Si concentrò sulle acqua davanti ai suoi occhi.
«Aiutami...» sussurrò chinandosi verso le sue acque, dalla profondità iniziarono ad emergere pesci, fuoriuscivano saltando sulla riva, Garvin rise soddisfatto e li raccolse, dalla terra fili d'erba si intrecciarono formando un cesto, era come se i suoi pensieri prendessero forma, la natura stessa realizzasse ogni suoi desiderio.
Garvin era soddisfatto sorrise estasiato, poi una goccia di sangue cadde del fiume, Garvin si rimirò e sentì il sapore del sangue riempirgli la bocca, doveva fermarsi o avrebbe perso nuovamente i sensi.
Persino lo stregone si congratulò e quando Garvin si appoggiò alla schiena di Freddie per riposare fu certo che quella notte non avrebbe avuto incubi.
Fu una voce a svegliarlo, un sussurrò, come portato dal vento, qualcuno lo stava chiamando. Vide che i suoi compagni stavano dormendo.
Si sollevò, il bosco era illuminato dalla luna, non sembrava lo stesso, la luce era diversa, gli alberi erano diversi, era come se i riflessi del fiume vibrassero ovunque, le acque lo stavano chiamando, c'era una voce nell'aria, non riusciva ad afferrarne le parole ma sapeva che lo stavano chiamando, il fiume lo stava chiamando.
Quando raggiunse la riva del fiume vide la ragazza, aveva lunghi capelli castani e occhi verde bosco, diversi da quelli dei suoi sogni.
Non l'aveva mai vista in vita sua, eppure inspiegabilmente sapeva cos'era, quella era una ninfa, esse erano l'incarnazione dei fiumi e dei boschi, delle montagne, erano gli spiriti della natura più puri, era stata lei ad aiutarlo a prendere quei pesci, aveva risposto lei al suo richiamo.
«Il mio nome è Aretusa, nasco dalle terre degli esuli, attraverso le acque del mio fiume riesco a spostarmi nei diversi mondi, ho sentito il richiamo della tua voce mio re...» esordì la ninfa quasi avesse letto la domanda che frullava nella mente di Garvin.
«Perché mi hai chiamato in quel modo, non sono un re... io non sono nessuno, non so chi sono, ma di certo non sono una persona importate.»
La ninfa rise e gli fece cenno di entrare nel fiume, Garvin prese la sua mano e si immerse nelle acque, la luce illuminava la ninfa i suoi occhi verdi screziati di macchie scure, rossastre «Sei in pericolo, lui ti vuole... abbatterà ogni ostacolo che si frapporrà tra di voi, brama la tua forza ma non solo quella. È convinto che solo tu possa risanare il suo cuore, che tua sia nato solamente per lui, ma non è così... Non è chi eri che importa, ma chi sei diventato a diventare...»
La voce della ninfa era melodiosa, ricordava a Garvin lo scorrere delle acque del fiume, Garvin la seguiva, si stava allontanando dalla riva.
GARVIN
Le acqua lo cullavano, sentiva una voce di donna in lontananza, Garvin si voltò e vide una figura svanire nelle profondità delle acqua del fiume.
GARVIN
Chi lo stava chiamando? Erano forse i suoi ricordi che scorgeva nelle profondità delle acque di quel fiume magico?
Non vide la creatura finché non lo afferrò, una mano verde lo trascinò sott'acqua, era una donna dalla pelle verdastra e dall'enorme bocca, Garvin cercò di richiamare l'elemento dell'acqua in suo aiuto ma la creatura lo morse con i suoi dentini aguzzi, erano solo sei ma erano affilati ed affondarono nella sua coscia strappandogli un silenzioso grido.
Il dolore era atroce, Garvin cercò di dimenarsi dalla morsa della creatura, non riusciva a concentrarsi, non riusciva a pensare, sentiva l'acqua riempirgli i polmoni: stava soffocando.
Tutto si fece buio e le spire lo ghermirono.
Non erano sopire d'ombra, erano dei tentacoli, tentacoli di una gigantesca piovra.
Si attorcigliavano attono ai suoi arti, si insinuavano in profondità.
Lo percepì viscido, nella sua bocca, stringere... stingere.
Un colpo al petto, due colpì e l'aria pungente irruppe violenta bruciando gelida nei suoi polmoni.
Garvin si girò su un fianco e vomitò, la ferita alla sua coscia sanguinava copioGarvinente, le sentiva ancora, le spire stingerlo, quel contatto evocava altri ricordi... Mani viscide che lo toccavano, respiri ansimanti e putridi, gemiti soddisfatti di piacere.
Garvin vomitò di nuovo, doveva cacciare quel pensiero.
Freddie lo aveva afferrato e tratto fuori dall'acqua "cosa stavi facendo? Queste acque pululano di creature pericolose... ti pareva il caso di fare un bagno?" gli urlò furioso.
Lo stregone lo spostò in malo modo e si accostò a Garvin, Freddie lo fulminò con lo sguardo.
Quando lo stregone gli sfiorò la gamba Garvin si scansò e lo allontanò con energia «Non toccarmi...» Sentiva il sibilo della creatura nelle orecchie "piccolo mio" gli sussurrava gemendo.
«Ti prego, lascia che ti aiuti, la ferita deve essere medicata»
Lùi fluttuò vicino a Garvin «Posso?» sussurrò allungando appena la mano.
Garvin osservò il folletto ed annuì, quando l'amico gli sfiorò la fronte Garvin sentì un profondo senso di benessere pervaderlo e quando chiuse gli occhi le immagini se ne erano andate, scacciate dalla magia del folletto.
Quando lo stregone si avvicinò di nuovo e lo avvicinò alle acqua del fiume si lasciò toccare, lasciò immergere la gamba nel fiume e non si ritrasse al tocco, la mano sulla sua coscia emanava calore, Garvin si appoggiò alla spalla di Leonard «Lasciati andare, lascia la mia magia fluire in te.»
Leonard osservò Garvin, era così indifeso,i capelli bagnati gli ricadevano sul volto, le labbra socchiuse, si fidava davvero?
«Non ricordi, non è vero?» sussurrò Leonard all'orecchio del ragazzo, ma si pentì subito delle parole dette e sperò che nessuno lo avesse udito.
Per un attimo aveva sperato di dimenticare, scordare tutto e perdersi in quel bosco immenso.
Ma fu solo un attimo e poi quei pensieri svanirono.
Lasciarono Garvin a riposare, la ferita alla gamba medicata.
La voce della ninfa raggiunse Garvin nei sogni «Non dimenticare, sei in pericolo, se lui ti avrà, se ti trascinerà nella sua tenebra, niente e nessuno sarà al sicuro.»
Leonard attese che anche il reticente Freddie crollasse prima di avvicinarsi a Garvin quando si chinò su di lui concentrò il suo oscuro potere «Ricorda la tenebra...» gli sussurrò sfiorandolo appena prima di ritrarsi.
Non era ancora il momento, l'incantesimo di Leonard iniziava ad avere affetto e Garvin si contrasse, osservandolo Leonard sorrise gioioso.
Garvin era nella tenebra, sentì una fitta al petto e percepì delle parole in lontananza «Ricorda...»
Delle spire d'ombra si insinuarono stringendogli le membra.
Chiuse gli occhi con forza e quando li riaprì vide che le sue vesti erano diverse, indossava una logora giacca marrone, degli strani guanti di lana che lasciavano esposte al freddo la punta delle dita.
Attorno a sé percepiva il freddo, la neve sferzata dal vento gli veniva sbattuta in faccia e il gelo gli penetrava nelle ossa.
Garvin crollò a terra colto da un improvviso malore, si sentiva così debole, come se non mangiasse da giorni.
Delle mani lo afferrarono a tradimento, inaspettate, gli strattonarono i capelli.
Sentì un gelido corpo stringersi a lui.
«Finalmente ti ho trovato...» una voce stridente, qualcosa di viscido gli scorse lungo il collo mentre delle mani gelide si affrettavamo bramose a rimuovere ogni barriera che li separava.
Garvin si dimenò qua quando cercò di allontanare quell'essere da lui si ritrovò privo di energia, debole indifeso.
Lo sentì gelido dentro di sé, voleva gridare con le lacrime agli occhi.
Una mano gli si strinse alla gola sollevandolo da terra, sentì il suo morso i denti che penetravano nella sua carne, Garvin gridò e si accasciò a terra, ogni cosa svanì ogni sensazione.
Garvin si rannicchiò e pianse vergognandosi della sua debolezza e gridò il dolore al vento, non importava quando potesse credere di aver raggiunto serenità, il dolore lo avrebbe raggiunto.
Perché doveva continuare a vivere?
Il boato fu improvviso, Garvin percepì il cielo squarciarsi, un fulmine cadde facendolo sussultare, una densa pioggia iniziò a scendere.
Il cielo urlava il suo dolore, gli elementi palpitavano con il suo cuore straziato.
«Dovresti stare attento, o ci farai cadere il cielo sulla testa di questo passo»
Garvin si votò e vide Leonard addossato ad un albero che lo osservava.
«Immagino che tu abbia avuto un altro incubo e immagino che tu non voglia parlarne... purtroppo per te, non puoi frenare il tuo potere dal manifestare le tue emozioni. Devi esercitarti, imparare a domarlo... o sarà lui a domare te...» concluse mentre il sangue sgorgava dal naso di Garvin.
Lo stregone gli si avvicinò cauto e gli inclinò indietro la testa «Lascia che ti aiuti...»
Quando lo stregone lasciò agire la propria magia Garvin percepì un fremito, come se quella forza smuovesse ricordi lontani, ma pioggia scorreva incessante su di loro unendoli sotto il proprio abbraccio.
Per un attimo Leonard lo osservò e si immaginò nel baciarlo, assaporare le sue labbra assaporandolo con passione. Ma poi si distaccò e l'immagine svanì spazzata via dalla pioggia.
Lo stregone lasciò Garvin solo con i suoi pensieri, sotto la pioggia incessante.
Garvin pregò che l'acqua lavasse via i suoi pensieri e le sensazioni di disgusto che portavano con sé, che la pioggia potesse confondersi con le sue lacrime lavando il dolore.
Quando la pioggia si diradò un raggio di sole spuntò tra le nuvole e colpì le cristalline acqua della cascata, la nebbia fu spazzata via dal vento e Garvin si trovò a rimirare le cascate della memoria, l'eterna custode dei ricordi dei morti.
Erano così vicini...
Ricacciò il dolore nel profondo e raggiunse i suoi compagni, disse loro che la cascata era visibile, Lùi si involò e confermò che si trovava a pochi giorni di cammino.
Camminarono per ore ma quando calò il sole si dovettero accampare.
Garvin rimase sveglio, non voleva dormire e così rimase a fissare le cascate in lontananza.
Il giorno dopo però la stanchezza si fece sentire, i suoi compagni capirono subito che qualcosa non andava, Garvin aveva profonde occhiaie lo sguardo vuoto e il passo pesante.
«Garvin non hai chiuso occhio stanotte non è vero?» gli chiese improvviGarvinente Freddie
«Cosa hai sognato stavolta da farti desiderare di non chiudere occhio?»
«NO, non può rispoderti...»
La voce di Lùi fu così dura e decisa che tutti sussultarono, Garvin fissò il folletto, il suo sguardo era fermo, la sua sagoma era concreta, reale come mai lo era stata.
Lui aveva visto, era come se Garvin nel suo sguardo potesse leggerlo, lui sapeva, aveva visto nella sua mente ogni cosa, aveva sentito... provato.
«Freddie, lascialo stare, non chiedere...» sussurrò il folletto divenendo nuovamente evanescente.
Quella sera Garvin si allontanò dai suoi compagni, non voleva dormire, non voleva sognare.
La cascata era così vicina e mai come in quel momento aveva terrore avuto terrore dei suoi ricordi. Voleva ricordare... ma ne era terrorizzato.
Quando fu abbastanza sicuro di essere lontano di accasciò al suolo e si rannicchiò su se stesso, perché non riusciva più a tenere lontano gli incubi, perché?
Qualcosa di morbido si strofinò alla sua mano e delle fusa attirarono la sua attenzione, quando Garvin aprì gli occhi vide una massa rossa con macchie nere e dei bellissimi occhi gialli «Tu? Che ci fai qui?» era Trudy, la bellissima gatta della casa della custode gli si strusciava. Garvin la strinse a se «Mi hai seguito?»
Le lacrime bagnarono il fulvo pelo della gatta «Dormi...» sussurrò la ragazza gatto direttamente mente di Garvin «Dormi veglio io su di te.»
Garvin la strinse, sentiva il dolce profumo di ciliegia e si calmò.
Le dolci fusa di Trudy lo cullarono e finalmente di addormentò.
Quando si svegliò Trudy era sempre al suo fianco, Garvin si accorse di essere più vicino alle cascate di quanto credesse.
Garvin avanzò verso le cascate a passo svelto con Trudy che trotterellava al suo fianco, quando giunse al lago vide la cascata che scendeva giù... Osservava il lago dall'alto e si sorprese a chiedersi cosa sarebbe accaduto se vi si fosse gettato dentro? Avrebbe ritrovato così i suoi ricordi?
Garvin si trovò a rimirarsi nelle sue acqua... C'erano volti riflessi, i volti dei morti lo osservavano, dal loro quieto riposo, Garvin li invidiava, invidiava la loro quiete.
Quando Garvin sollevò lo sguardo sulla roccia da cui sgorgavano quelle acque vide una figura alata, un'aura la circondava solenne.
Era un uomo, i capelli biondi e occhi scuri, pelle candida ricca di strani segni.
La creatura alata gli fece cenno e gli indicò le acque del lago in cui si gettava la cascata, indicava l'acqua? Di cercare rifugio nelle acque? Era forse giunto il momento di ritrovare i ricordi perduti?
NO, prima doveva parlare con il guardiano, così si voltò prese la rincorsa e spiccò il balzo sentì l'aria sostenerlo e spingerlo verso la sua meta, stava volando... Per un attimo si librò in aria leggero. Superò il suo obbiettivo e poi franò al suolo.
Garvin rise di sé, se voleva rifarlo l'atterraggio doveva essere perfezionato.
Il guardiano era li, da vicino appariva molto più terreno e meno etereo.
«Perché fuggi le acque di questa cascata, non giungi fin qui per riavere i ricordi perduti?» la sua voce pareva giungere da lontano, così distante dal mondo dei viventi

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