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CAPITOLO 61

《Anderson, finalmente un buon voto.》
La professoressa richiama la mia attenzione rivolta altrove. Mi consegna il compito di storia accompagnandosi ad un sorrisino non troppo sincero.

《Grazie》dico cordialmente cammuffando una risatina di esaltazione. Subito dopo la campanella dell'intervallo suona riecheggiando nell'aula silenziosa.
D'improvviso quindi si eleva un chiasso tonante e tutti si dirigono nei corridoi.

Ripensando ancora al fruscio delle onde della California, come se potessi udirle, apro il mio armadietto. È tutta la mattina che rivivo il weekend appena trascorso.

Poi afferro distratta il telefono precipitandomi alle macchinette per prendermi un caffè. Ne ho bisogno se non voglio addormentarmi sul banco.

《Ciao Rebecca.》
Oh no.
Mi volto a metà incontrando Sandy che mi rivolge un mezzo sorriso. Ora la rabbia che prima nutrivo per lei si sta sciogliendo ma non del tutto.

《Ciao Sandy.》
Prima era lei la mia unica amica qui, ora non ho nessuno. Ma preferisco rimanere sola piuttosto che avere una persona falsa al mio fianco.

《Come stai? Ti vedo bene.》
I suoi zigomi si sollevano. Ammiro il suo coraggio ma preferisco non parlarle proprio, è imbarazzante.

《Abbastanza bene e tu invece?》

《Uh anche io, se vuoi ti offro un caffè.》
Questa conversazione inizia ad innervosirmi.

《Ehm magari un'altra volta.》
Lei annuisce piegando di lato la testa. Leggo il senso di colpa nei suoi occhi.

《Certo, anche perché adesso devo andare a lezione...ci vediamo.》

《Va bene.》

Si allontana velocemente dunque tiro un sospiro di sollievo e poi mi costringo a non pensarci più.
Mi scotto quasi bevendo il caffè amaro. In seguito, tornando al mio armadietto, accendo il cellulare. Un messaggio non letto.
Mittente: Jonathan.

Sorrido leggendo il suo nome, è un gesto automatico ormai. Ma le mie labbra si serrano non appena sbircio il testo.
Per favore vieni subito qui, sono a casa di mia madre. È successo un casino

Il mio dito scivola involontariamente sul tasto "chiama". Gli squilli sembrano infiniti. Mi appoggio all'armadietto verde. L'ansia cresce in me.

《Rebecca?》

《Jonathan sono io, ma che succede?》
Sento solo il suo respiro irregolare.

《Jonathan! 》

《Io...non lo so cazzo, sto sto male...è un disastro!》
La sua voce trema e a tratti lo sento singhiozzare.
Oddio.

《Cosa? Ti prego spiegami.》

《Non posso, non posso...devi venire io...》
Non faccio in tempo a finire di ascoltare la frase che salta la linea.
《Cazzo》sussurro.
Devo andare da lui.
Non mi ricordo la strada per arrivare a casa di sua madre e non ho nemmeno un mezzo per arrivarci. Che cosa faccio adesso?
Il cuore mi pulsa forte. Ho paura per lui, non ho idea di cosa sia successo.
Come posso arrivarci?!

《Dannazione》sbatto l'anta dell'armadietto. Mi infilo una mano nei capelli ed alcuni ragazzi mi guardano di storto. Ma che volete tutti! Provo a richiamarlo ma non mi risponde.
Blythe!  Ma certo, ho il suo numero di cellulare e lei conosce la strada.

Con le dita tremanti tento di comporre il numero. Tre squilli.

《Rebecca che piacere sentirti così presto.》
Devo quasi tapparmi l'altro orecchio per udire le sue parole in mezzo al vociare del corridoio.

《Ciao Blythe mi dispiace disturbarti...》

《Figurati!》
La sento sorridere.

《Ascoltami ho un problema, cioè Jonathan ha un problema e ho chiamato te.》

《Oddio, quale problema?》

《Non lo so, non me lo dice. So solo che sembrerebbe essere grave. Devo andare a casa di sua madre, lui è lì...tu, tu potresti portarmici ora?》

《Ehm ora? Sì sì va bene. Ti aspetto tra venti minuti davanti al campus okay?》

《Sì grazie mille!》
Sono sollevata. Più o meno.

Nel frattempo suona la campanella di fine intervallo. Però non posso tornare in classe e se fuggo di nuovo dalla scuola andrò nei casini. Quindi cerco un'altra uscita e mi viene in mente la palestra, lì c'è un'uscita di sicurezza.

Cercando di non dare nell'occhio cammino svelta verso questa che fortunatamente scopro essere deserta. Raggiungo la porta di emergenza che affaccia sul retro e la apro. Ce l'ho fatta.

Mi ritrovo in una zona del campus che non conosco e così cammino accanto all'edificio. Ho la mente sovraccarica di pensieri. La mia agitazione cresce ogni secondo di più. E se arrivo troppo tardi? 
Quando ho sentito la voce di Jonathan così disperata mi è mancato il fiato.
Solo a pensarci sto male.

Cinque minuti dopo sono sul marciapiede del campus ad aspettare Blythe. Tremo stringendomi nel cappotto.
Il cielo cupo mi dice che tra poco pioverà, ci manca. Il vento mi taglia il viso, batto i denti e mi lacrimano gli occhi. Odio l'inverno e odio non sapere cos'è successo a Jonathan. Temo che gli abbiano fatto del male.

《Rebecca!》
Davanti a me appare Blythe finalmente. È avvolta nella sciarpa che le copre il mento e nel cappuccio bianco.

《Eccoti! Grazie mille per esserr venuta》le sorrido raggiungendola.

《La mia macchina è quella, vieni.》
Entriamo in una piccola vettura blu e poi lei mette in moto.

《Allora? Cosa ti ha detto Jon?》
I suoi occhi azzurri si rabbuiano.

《Non lo so ma dobbiamo muoverci. Mi ha detto solo che sta male, che è successo un casino》spiego. Guardo un punto fisso davanti a me mentre la città scorre dal finestrino.

《Mi dispiace, sono preoccupata.》

《Anche io, non l'ho mai sentito così》sospiro.
Ho i nervi a fior di pelle.

《Sei stata gentile ad aiutarmi.》

《Non preoccuparti di questo adesso, è normale aiutarsi》sorride appena lei.

《Già.》

Continuo a mangiarmi le unghie.

《Rebecca, respira vedrai che andrà tutto bene.》
La sua mano si appoggia sulla mia coscia in segno di conforto. Sono stanca di sentirmi dire questa frase.
《No non è vero, ho paura. La casa è distante?》

《No mancano ancora una decina di minuti》mi spiega.

Per tutto il tragitto mi torturo di domande e mi attorciglio i capelli. Non voglio che gli accada niente. Lui è tutto ciò che ho.

《Siamo arrivate.》
Blythe parcheggia l'auto davanti alla casa di sua madre. Ha lo stesso aspetto spoglio dell'altro giorno ma la vista da questa collina è sempre mozzafiato.

《Grazie, tu vai pure.》

《No...》

《Per favore, vai. Non voglio che Jonathan sappia che tu sia qui, magari non vuole dirlo ai suoi amici. Quindi ti prego di andartene, me la caverò.》

Il suo sguardo si abbassa.

《Okay, tu sii forte. Vedrai che non è nulla di grave. Vai Rebecca.》
Le sorrido appena e poi scendo dalla macchina guardando l'auto andar via.

Dopodiché avanzo verso la villetta e salgo gli scalini. Ad ogni respiro mi manca il fiato. I miei passi sembrano tonfi pesanti che rimbombano sul legno del pavimento. Dentro al petto sento una strana sensazione, come se qualcosa mi ribollisse dentro.
Respira.

Prendo coraggio e busso alla porta marroncina. Degli sprazzi dell'incendio mi vagano per la mente ricordandomi un evento traumatico e doloroso. Come quello che temo di stare per vivere.
Nessuno però viene ad aprire.
Quindi busso di nuovo ed aspetto, ma niente.

Oramai ho la tachicardia. Cazzo.
Appoggio la mano alla maniglia e la sforzo, ma la porta era già aperta.
Con uno scricchiolio questa si spalanca ed io mi trovo davanti ad un salotto disordinato immerso nella penombra. La cupa luce esterna entra filtrata nel soggiorno. Davanti a me noto subito due divani verdoni, un tavolino con sopra una bottiglia di alcool vuota ed una televisione. Le pareti bianche sono l'unica fonte luminosa della stanza.

È tutto disordinato, a partire da alcuni libri e alcune fotografie sparse sul pavimento. L'arredamento è vecchio. In fondo al soggiorno intravedo un lungo corridoio. Mi richiudo la porta alle spalle studiando ancora l'ambiente in cui mi ritrovo.

《Jonathan?》

Hey carissimi💫
Questa volta ho aggiornato tardi ma avevo dei "problemi personali" (si tratta di un ragazzo in realtà )

Anyway questo capitolo si fa interessante
Se vi è piaciuto commentate babies♥
Bye for now


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