CAPITOLO 36
《Ma mi stai ascoltando?》
《Certo scusa》rispondo tornando alla realtà.
《Allora dicevamo, magari il prossimo weekend potremmo andare a farci una passeggiata a Seattle, che ne dici?》
A dire il vero l'idea non mi entusiasma per niente ma fingo di essere contenta.
《Okay Mike》 sorrido.
《Sai, sei sempre bella.》
Ridacchio per la sciocchezza mentre facciamo irruzione nella veranda.
《Che ne dici di una cioccolata calda per iniziare la mattinata?》
Annuisco indifferente fissandomi i piedi e avvicinandomi al bancone affollato.
《Rebecca ordina tu, vado alla toilette》dice Mike.
《Tranquillo.》
Oggi sono ansiosa per il compito di algebra ed inoltre sono triste senza un motivo preciso. Almeno è una bella giornata, il sole spicca nel cielo leggermente velato e non fa neanche freddo. Ripasso a mente le formule matematiche mettendomi in coda per ordinare anche se già so di essere senza speranze.
《Jonathan!》
Alzo di scatto il capo in direzione della voce che ha pronunciato quel nome. Lui è a un metro da me indaffarato a servire un gruppo di ragazzi, mi sento male dall'intensità con cui lo sto fissando. Jonathan è sempre stato così sensuale e in questi giorni ho sentito la sua mancanza. Dovrei parlargli però ho paura che lui sia ancora arrabbiato con me e con suo fratello.
È il mio turno dunque mi avvicino adagio al bancone mentre lui è chinato a cercare qualcosa.
Appoggio le mani fredde sul ripiano attendendo che uno dei baristi mi serva.
Nell'istante in cui Jonathan si rialza i nostri occhi si incontrano e subito mi sento mancare l'aria.
La sua espressione è amareggiata ma intravedo una scintilla di emozione nel suo sguardo innocente che mi fa sorridere.
Tento subito di cammuffare il mio sorrisetto in un colpo di tosse.
《Ciao》lo saluto incerta.
《Ciao.》
《Allora, come...come stai?》
《Devo lavorare e mi stai facendo perdere tempo》sono un colpo per me queste parole perché volevo essere gentile con lui.
《Jonathan ti prego perdonami》dico a bassa voce sporgendomi in avanti. Fortunatamente nessuno sembra ascoltarci.
《Per che cosa? Non è a me che stai facendo un torto》ribatte distaccato.
《Voglio solo parlarti, solo cinque minuti.》
《Non credo di poterteli concedere, devo lavorare.》
《Intendo quando hai finito di lavorare》sbuffo.
Lui si ferma un attimo guardandomi con un'espressione che mi trasmette agitazione.
《Sta arrivando il tuo fidanzatino》si avvicina al mio viso e poi sparisce in cucina.
Sto ribollendo dal nervoso e sono anche delusa, insomma io speravo di chiarire con lui e invece ho solo peggiorato le cose.
《Hey che ti ha detto?》mi chiede Mike preoccupato.
《Nulla.》
Lui appoggia la sua mano sulla mia guancia calda e sussurra:《Non essere triste, non te lo meriti.》
Questo piccolo gesto mi rincuora un po' e sorrido.
《Ecco è così che ti voglio vedere...l'hai ordinata la cioccolata?》
《No Mike, sei un ingordo》ridacchio.
《Vorrà dire che la prenderò a scuola alle macchinette perché adesso è tardi e dobbiamo entrare》sorride lui.
***
Irrompo in aula e il professore consegna la verifica di algebra da svolgere. Sono super concentrata e l'ora passa troppo in fretta. Spero almeno di prendere sufficiente.
Le lezioni successive sono noiose e mi mordicchio le unghie per tutto il tempo. Sono assorta tra i miei pensieri continuando a riflettere sul da farsi. Ho capito di provare solo affetto per Mike però non so come dirglielo, proprio non ci riesco.
《Anderson rispondi tu》la voce fastidiosa della prof di storia si insinua nelle mie orecchie facendomi sudare freddo.
《Ehm mi scusi ma non mi sento bene e non stavo ascoltando》invento la scusa piu banale del mondo e lei si dimostra perfino dispiaciuta.
La mattina termina finalmente e non vedo l'ora di mangiare qualcosa, in mensa.
Mi siedo con una mia compagna del corso di musica scoprendo di avere diverse cose in comune con lei, tranne la positività.
Questa ragazza piena di vita e di cultura mi ricorda tanto me stessa un anno fa. Ci assomiglieremmo molto se io non fossi cambiata.
Parliamo del più e del meno, probabilmente mi reputa una persona normale e serena.
Dopo pranzo non vedo l'ora di rifugiarmi in camera e così saluto la mia compagna per dirigermi verso il dormitorio femminile.
Cammino distratta mentre i capelli ondeggiando sul mio viso coprendomi la vista.
《Rebecca!》
Deglutisco bloccandomi avendo riconosciuto la voce.
《Cosa vuoi?》chiedo a Jonathan dietro di me. Voltandomi lo vedo a pochi centimetri dal mio viso con i capelli al vento ed una larga felpa rossa. I suoi occhi verdi sono semicoperti dal ciuffo castano ma protetti dalle lunghe ciglia.
"Com'è bello" penso.
《Va bene.》
《Che cosa?》
Mi sta già confondendo.
《Parliamo, vieni》mi afferra il braccio e subito mi si blocca il respiro però non mi ritraggo ma lascio che mi guidi.
I nostri passi sono leggeri e svelti e tra di noi è solo il brusio del venticello a parlare. Il sole è ancora alto anche se meno caldo e la brina sull'erba che c'era questa mattina si è sciolta ormai.
《Sediamoci anche qui, se ti va bene》la voce rauca di Jonathan taglia l'aria.
Mi lascio cadere al suolo percependo subito l'umidità del terreno.
《Rebecca anche io ti devo parlare.》
《Okay.》
《Se io mi comporto da stronzo è per il tuo bene, so che non sei felice》il suo sguardo si incolla su di me e mi travolge senza lasciarmi concentrare.
《Allora in che modo mi faresti del bene se mi dai preoccupazioni inutili?》
《Perché...sinceramente è difficile da spiegare》sussurra incrociando le gambe.
Io, in attesa che lui continui la frase, piego le ginocchia portandole al petto e comincio a dondolarmi.
《Vedo qualcosa dentro di te che non vuoi mai dire. Non pretendo di saperlo ma voglio almeno che tu sia sincera con te stessa, che tu sappia quello che stai facendo.》
Rimango soltanto in silenzio avvertendo una stanchezza mentale improvvisa.
Io purtroppo so quello che sto facendo, continuo a riflettere sulle parole di Jonathan e mi convinco che ha ragione.
Lui potrebbe aiutarmi davvero a uscire da questa situazione però deve sapere la mia storia prima. Così inizio a raccontare con fatica.
《Cinque mesi fa la mia vita è completamente andata in rovina. Non ci crederesti se ti dicessi che poco tempo fa ero una ragazza diversa e solare. Una sera a Boston tornando a casa mia accompagnata dalla mia migliore amica ho visto la mia casa andare in fiamme...》
Jonathan sgrana gli occhi.
《I miei genitori...sono...loro sono morti, bruciati vivi》una fitta mi colpisce lo stomaco.
Guardo il ragazzo accanto a me che sembra aver scritta in volto la sua tristezza.
《Io non so cosa sia successo quella sera ma ricordo solo di aver corso verso la mia casa e poi di essere svenuta. Mi hanno portata all'ospedale insieme a mio fratello che ora sta bene. Dopodiché ho vissuto per tre mesi da mia nonna, sono stati dei mesi orribili.》
《Ed ora che cosa ci fai a Seattle?》
《Semplicemente non potevo più restare lì》chiudo gli occhi ricacciando indietro le lacrime.
Avvolgo le braccia attorno alle ginocchia e Jonathan mi stupisce prendendomi una mano e stringendola nella sua. Ci scambiamo un'intensa occhiata che mi risveglia. Mi sento improvvisamente libera, sono svuotata dalla mia sofferenza e mi sento compresa. Non mi aspettavo questa reazione di Jonathan perché solitamente la gente dici cose del tipo "mi dispiace, non te lo meriti" o " povera te, che orrore".
Ma questa volta lui non ha detto niente, ha agito.
Hey, spero che il capitolo vi sia piaciuto, buona domenica♥
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