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PROLOGO

                      Jonathan

Da una decina di minuti ormai passeggio nervosamente avanti e indietro sul largo marciapiede. È mattina presto e le strade di Seattle iniziano a prendere vita. Le auto scorrono già numerose sulle vie, il vociare delle persone si fa sempre più chiassoso e la familiare aroma di caffé proveniente dal bar italiano all'angolo sembra darmi il buongiorno. 

Mentre ricomincia la routine quotidiana, avvolta dal tepore mattutino, io sono immobile davanti all'orfanatrofio. Non riesco ad entrare, eppure voglio farlo.
Alla sola idea di irrompere là dentro mi sudano le mani, nonostante io non ricordi assolutamente niente della mia infanzia. Ho passato tutta la notte a tormentarmi di mille pensieri, ed ora me ne sto qui a fissarmi i piedi.

Di colpo qualcuno mi spinge in avanti facendomi quasi cadere.

《Oddio scusa.》
Una voce graziosa proviene dalle mie spalle. Dunque mi volto incontrando lo sguardo di una ragazza. È sicuramente più piccola di me e si sta mordendo il labbro mentre innarca le sopracciglia.

Per un attimo il mio cuore manca un battito, è identica a lei. La stessa fronte alta, i medesimi occhi azzurri e lo stesso biondo cenere. Stringe fra le gracili braccia dei libri, il ritratto perfetto di una studentessa impacciata.
Mi sembra di rivivere il primo scontro che ebbi con Rebecca, quando ancora era bionda e molto più timida.

《Non preoccuparti.》
Nello sguardo della ragazza leggo imbarazzo, esattamente come il suo sguardo le prime volte che mi incrociava. Io mi sentivo così potente rispetto a lei, era la sua insicurezza a darmi questa sensazione. Chiaramente la intimidivo e tutto ciò mi divertiva e mi attraeva al tempo stesso.

《Ehm allora io vado》ridacchia la giovane davanti a me. È nervosa, sono così inquietante?

Io scuoto la testa con il mio solito fare strafottente e lei sparisce dietro l'angolo. La osservo allontanarsi, guardo la chioma bionda ondeggiare scossa dal vento e il passo affrettato. Dopo averla persa di vista, mi sento di nuovo vuoto. È come se stessi lasciando andare il ricordo di Rebecca per l'ennesima volta. D'un tratto mi riappare un flash di quella sera.

Chiudo gli occhi per scacciarlo via ma ormai sto già rivivendo i minuti più brutti della mia vita.
Rivedo l'incidente, lei scaraventata sull'asfalto. In quell'istante mi si era gelato il sangue, la mia paura più grande sarebbe potuta realizzarsi.
Urlavo, pregai il cielo affinché lei sopravvivesse.
Piangevo disorientato, riuscivo solo a chiedere scusa a quel corpo privo di sensi. Soltanto allora capii di amarla troppo, realizzai che non potevo perderla. Alla fine però quella notte la persi lo stesso.

La porta dell'imponente orfanatrofio si apre e ne fuoriesce una coppia. Così decido di cogliere l'occasione per irrompere nel palazzo.
Posso farcela. Infondo è anche per lei se sono qui, come se volessi dimostrarle che sono cambiato, che sono una buona persona.

Che stupido, in ogni caso lei non lo verrà mai a sapere. E il pensiero che mai più avremo notizie l'uno dell'altra mi spezza.

Rivolgo un'occhiata veloce al sole ancora basso prima di entrare. Poi subito mi ritrovo in una luminosa sala d'attesa vuota, quindi procedo percorrendo il corridoio bianco dinanzi a me.
Sento le voci dei bambini provenire dal piano superiore, credo stiano giocando. Sono sicuramente molto rumorosi.

Cerco di avanzare stringendo forte la foto che tengo in mano, l'unico mio scatto di quando ero ancora qua dentro. Avevo i capelli cortissimi ed un faccino paffuto.
Giunto alla fine del corridoio deserto una signora mora con una lunga gonna nera mi viene in contro sorridente.

《Buongiorno, come posso aiutarla?》

Ha l'aria giovanile, ma dalle pieghe sul suo volto suppongo che abbia circa sessant'anni.

《Eh...vorrei sapere se è possibile parlare con un responsabile.》

Lei annuisce dopodiché mi accompagna in un ufficio facendomi cenno di sedermi. Lei intanto si posiziona sulla poltrona nera dietro la scrivania.

《In realtà sono io che gestisco questo orfanatrofio.》
Ha una voce grossa e continua a sistemarsi l'orecchino. È una signora ben curata, come questa stanza moderna e accogliente. Le pareti sono azzurrine con dei dettagli dorati attorno alle finestre. Sono presenti pochi mobili d'arredamento, ma al contrario parecchie piante danno un tocco chiccoso all'ufficio.

《Lei chi è?》

Coraggio. A parlarmi è un' odiosa vocina rinchiusa nella mia mente.

《Io mi chiamo Jonathan, Jonathan Stuart, ho ventuno anni e sono qui perché ho scoperto da poco di essere stato adottato.》

Bravo, sei stato chiaro e diretto.
Lei annuisce ma dal suo viso non leggo alcuna emozione.

《Poi mi hanno anche detto che i miei genitori mi abbandonarono qui, ovviamente prima che quelli adottivi mi prendessero con loro.》

《Immagino che lei voglia risposte》fa' un mezzo sorriso.

《Si, ma anche se è una richiesta azzardata, vorrei risalire ai miei veri genitori.》
Poi poso la mia foto sulla scrivania rossa.
La signora la studia concentrata.

《Sa, il mio compito è quello di mandare avanti l'orfanatrofio, non quello di indagare sul passato di qualcuno.》

Io roteo gli occhi sbuffando.

《Però magari potrei fare un'eccezione, io mi ricordo di lei sa? Fui io ad aver rassicurato sua madre, fui io ad averla seguita durante il suo soggiorno. Sono passati così tanti anni...》afferma orgogliosa. Sembra felice di avermi rivisto dopo diverso tempo.

《Quindi lei può aiutarmi? Ha detto di aver conosciuto mia madre》dico speranzoso giocherellando con l'anello.

《Sì la aiuterò.》

Autrice
Finalmente ho iniziato il sequel di BURN!
Spero che questo prologo vi soddisfi, anche perché sarà credo l'unica parte "narrata" da Jonathan.

Sono felice di riniziare con voi questa nuova "avventura", Rebecca e Jonathan mi mancavano haha

Davvero grazie per il sostegno che mi avete dato con il primo libro, spero di ottenere buoni riscontri anche con il sequel🔥
Bacii
-Sara

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