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3 - Dispiaceri

William,

Abbiamo ricevuto una lettera dal preside Silente, e quello che ha scritto è semplicemente deplorevole. Non avevamo le parole per descrivere quanto accaduto in modo morbido e tranquillo ai tuoi fratelli, e crediamo che tu per primo ti renda conto della gravità della situazione.

Non ho voluto inviarti una Strillettera, ho pensato che non avrebbe potuto migliorare la situazione e non sei più nell'età in cui basta urlare per farsi ascoltare; non voglio compromettere la tua posizione a scuola ma non per questo non sono altamente delusa dal tuo comportamento. Speravo che tu non ricorressi mai alle mani. Sappiamo che quel ragazzo non ti va a genio, ma non è una scusa per metterti a picchiarlo.

Tu sei il primogenito della famiglia Weasley, sei l'esempio di tutti i tuoi fratelli e un punto di riferimento per Charlie e presto per Percy, che non ha smesso un secondo di lamentarsi da quando abbiamo ricevuto questa comunicazione.

Ci auguriamo che dopo questa storia, tu possa darti una regolata.

Tua madre, Molly.

"Cavolo, questa volta è proprio arrabbiata" fece Charlie scrutando le righe fredde alternando lo sguardo tra la lettera e le salsicce. William sospirò ad ogni paragrafo, facendo volteggiare gli occhi su quelle righe. Quello che non doveva succedere ora ce l'aveva davanti agli occhi insieme ad una buona dose di lividi in viso, erano così scuri che le lentiggini sembravano essere pori della pelle e si perdevano in quelle pozze viola.

Non aveva alzato lo sguardo nemmeno un momento, troppo deluso da sé stesso e troppo imbarazzato per i punti che aveva fatto perdere. Gli altri studenti non lo avevano nemmeno salutato e non era difficile capire il perché.

William era sempre stato così: ansioso di poter dare il meglio di sé e di rendere fieri i suoi genitori. Voleva con tutto sé stesso poter sentire le chiacchiere allegre di papà Arthur quando tornava a casa dal Ministero, sentendo che tutti erano invidiosi del figlio dotato che aveva messo al mondo. Si destreggiava tra la scarsa ricchezza della sua famiglia e la famelica voglia di poter dare una svolta alla vita, pur sapendo di non poter dare più di quanto il suo talento aveva da offrire.

Aveva sempre voluto dare il buon esempio a Charlie, per dargli un percorso spianato su cui operare e, al suo tempo, trovare le sue direzioni. Aveva sempre desiderato essere visto come quello su cui fare riferimento, con i corsi che aveva scelto poteva tranquillamente trovare vari impieghi che lo avrebbero accolto e gli avrebbero dato una modesta vita serena.

Ma il destino non era stato gentile con lui al momento della sua entrata in scena ad Hogwarts. Il destino aveva deciso che la sua prima prova per raggiungere il suo obiettivo sarebbe stata sopportare quello stronzo di Lestrange che da subito gli aveva provocato disagi su disagi e innumerevoli punizioni e umiliazioni. Fin dal primo anno gli aveva fatto capire che con lui non sarebbe stato facile, che sarebbe stata battaglia, e aveva subito messo in pericolo le loro vite sotto i colpi di un Troll di Montagna, senza contare che aveva lanciato una Maledizione senza Perdono.

William sbuffò passandosi una mano tra i capelli rossi. Il suo piatto era immacolato, non aveva toccato cibo. Tra poco gli sarebbe toccata una lezione di Aritmanzia, per fortuna senza i Serpeverde, e avrebbe anche dovuto usare la sua Giratempo per sostenere Antiche Rune che cadeva in contemporanea.

Charlie gli toccò un braccio per riportarlo alla realtà, vederlo con quello sguardo perso e che si martoriava il labbro inferiore con i denti lo metteva a disagio.

"Non ci pensare. In fondo l'anno è appena iniziato. Tutto quello che devi fare è rigare dritto e dare prova delle tue capacità"

"Non è così semplice Charlie. Una cosa del genere non la si passa a nessuno" sospirò William tenendo lo sguardo fisso sul legno del tavolone dei Grifondoro.

Un legno molto pregiato da cui si intravedevano percorsi irregolari delle vene e dei solchi. Sembravano diventare bisce che percorrevano un fiume in piena, come per fare a gara per raggiungere un luogo comune. Ci si immedesimò inconsapevolmente, non sapeva nemmeno come, ma per qualche momento si sentì come quelle bisce per raggiungere un luogo asciutto dove reclamare le sue competenze.

Ora chi gliele avrebbe riconosciute? Anche se era solo al suo terzo anno, sarebbero comunque passate voci del genere.

"Avete visto che Lestrange non è presente?" disse un compagno dello stesso anno di Charlie dandogli una gomitata e indicando il tavolo di Serpeverde. Erano tutti ammassati in un lato del tavolo, e il posto in fondo dove di solito Lestrange se ne stava seduto in solitudine, era deserto. William aveva appreso subito prima di raggiungere la Sala Grande che suo zio era arrivato lì dal Ministero. Di sicuro gli stava facendo una ramanzina infinita e di quelle particolarmente noiose e da irresponsabili. Come si dice: quando hai una colpa la devi scontare.

Ma William poteva dire una cosa del genere? Esonerarsi del tutto e lasciare tutto il carico all'altro? Lestrange lo aveva insultato, è vero, ma lui lo aveva colpito. Eppure i suoi genitori non erano venuti per parlare con il preside, cercare di mediare una possibile punizione per dare a William un'altra possibilità di svolta. Mamma Molly gli aveva solo inviato una lettera, nulla di più, mentre lo zio di Lestrange era venuto di persona, anche se non certo per aiutare il nipote.

Ti senti trascurato Weasley? Le parole taglienti di quel giorno gli riaffiorarono nella mente, quasi volendo rammendare un dato di fatto piuttosto crudele. Si sentiva trascurato? Sì. Si sentiva sottovalutato e giudicato solo attraverso fatti e azioni inutili, sempre in gioco pur di ricevere anche pochissimo ma di appagante.

"Bill ti sei incantato?" la voce di Charlie attirò la sua attenzione. Rispose con un verso svogliato per far capire che fosse ancora tra loro. Quella visione, che in condizioni normali lo avrebbe fatto gongolare, quella mattina lo fece sentire strano. Chissà quale delusione avrà la sua famiglia adesso. Come poteva definire il livello di delusione? Era alto o basso? Sua madre non era venuta, quindi era delusa oppure lo aveva perdonato e giustificato? Mamma Molly era sempre stata una madre con i fiocchi, attenta all'educazione dei figli e ai loro bisogni, ma allora perché non era venuta? Chiaro il perché: i fratelli andavano comunque controllati e lei non poteva né lasciarli soli né trasportarli tutti.

Come mosso da una strana forza, William si alzò dalla panca e percorse tutto il tavolo per raggiungere il portone che lo avrebbe condotto nel grande atrio e poi nei corridoi. Ignorò i richiami del fratello e di alcuni suoi amici che lo aveva intravisto, sentiva che doveva percorrere quella strada senza interruzioni. Si diresse verso la presidenza, l'ufficio di Silente, dove era certo che Lestrange e suo zio fossero ancora lì. Non aveva idea del perché, ma sentiva che doveva intervenire, assumersi le sue responsabilità e dimostrare di essere abbastanza maturo da capire la parola basta.

Ma il corpo si bloccò. Arrivato quasi a metà strada, un po' per l'ora di Aritmanzia che era iniziata e un po' per improvvisa codardia, non riuscì a muovere un altro passo. Forse dentro di sé non voleva ammettere una colpa che non aveva, o aveva, o forse era troppo timoroso che il suo intento non avrebbe portato a niente.

Ma al Diavolo! Pensò alla fine, che mi importa di quello là? In fondo se lo merita. Girò i tacchi per dirigersi verso l'aula di Aritmanzia, passando prima nella sua Sala comune e poi nel dormitorio per raccogliere il materiale della giornata. Si sforzò di sentirsi libero e leggero, in fondo non aveva fatto nulla di male e forse l'assenza dei suoi genitori poteva essere un sollievo. Mamma Molly non voleva peggiorare la sua dignità scolastica e questo glielo doveva, e si promise che avrebbe dato tutto per cancellare quegli episodi così ignobili dalla sua vita.

Ripercorse il tragitto a ritroso carico come un mulo e imboccò il corridoio che lo avrebbe poi portato al secondo piano. L'aula era poco distante dalle scale, e questo per William era un sollievo visto il peso specifico che la sua borsa aveva accumulato con i libri.

L'aula era quasi deserta. Evidentemente gli altri studenti stavano ancora finendo di mangiare la colazione, in fondo William non aveva toccato cibo. Prese posto in prima fila e sistemò libro, pergamena e inchiostro con piuma, pronto per prendere tutti gli appunti possibili.

Ad un tratto, un rumore di passi svelti attirò la sua attenzione. Non si capiva da dove provenissero, ma era certo che chiunque fosse doveva avere una certa fretta. Era indeciso se andare a vedere o farsi gli affari suoi, avrebbe anche fatto la figura dell'impiccione, ma alla fine la curiosità prese il sopravvento, tanto aveva già il materiale pronto per la lezione.

Appena fuori dalla porta, mentre si sporgeva, una figura da lui fino troppo conosciuta si era allontanata a grandi passi, seguita da una poco distante che muoveva passi più lenti. Era un uomo alto e dalla lunga capigliatura platinata legata in una bassa coda. William era certo di averlo già visto da qualche parte e non fu molto difficile ricordarsi dove: era Lucius Malfoy, lavorava al Ministero e papà Arthur non aveva mai avuto buone parole nei suoi confronti.

Più volte lo aveva sentito lamentarsi di quanto fosse altezzoso e arrogante, e non perdeva tempo per insultarlo riferendosi alla sua fissa per le ventotto sacre famiglie, di cui, teoricamente e praticamente, facevano parte anche gli Weasley. Vederlo lì a scuola con quello sguardo disgustato mentre scrutava le pareti di pietra dava una chiara idea di che tipo fosse: uno altezzoso che si credeva sopra a tutto e tutti, gli ricordò il caratteraccio di Lestrange, che era passato prima. No, Lestrange almeno non si vantava dei suoi averi ad ogni occasione, questo almeno poteva esserne sicuro.

L'uomo si fermò davanti a William, lo squadrò da capo a piedi in un modo che lo mise a disagio. Non si era mai sentito così osservato come in quell'occasione, e non era affatto una cosa piacevole. Si chiese se dovesse o meno prendere parola.

"Non è molto difficile capire chi tu sia, William Weasley, detto Bill immagino"

"Lei come sa il mio nomignolo?" chiese William con una nota di imbarazzo. Non voleva credere che suo padre si riferisse a lui chiamandolo Bill e non con il nome effettivo. Non gli dava fastidio, ci mancherebbe, ma almeno che non lo facesse sembrare troppo mammone. Lucius assunse un'espressione ironica, che non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni per far capire al ragazzo la risposta che gli avrebbe dato, e William ebbe l'impulso di abbassare lo sguardo per non arrossire del tutto.

Malfoy sorrise, un sorriso ancora più odioso di quello del nipote, come presto immaginò William sapendo che erano in due a percorrere lo stesso tragitto. Quel Serpeverde era nipote di un uomo tanto odioso, iniziava a capire da dove avesse preso l'atteggiamento arrogante e superbo.

"Mi rammarico per come mio nipote ti ha... Ridotto quel bel visino. Avevo intenzione di chiedere scusa anche a tuo padre ma... Ho pensato che dovesse farlo Antheo" Lucius assunse un tono tra il compiaciuto e il dispiaciuto. Due emozioni totalmente opposte che lui riusciva a fondere, dato che una era palesemente falsa. William non disse niente, non voleva le scuse del nemico, non sarebbe servito a nulla ormai, ma lo zio dell'altro pareva insistere.

"Antheo! Gira i tacchi e vieni subito qui!" Malfoy chiamò Lestrange in un modo così severo che perfino il povero William ne rimase pietrificato. Un tono del genere non lo aveva mai sentito e per un attimo gli dispiacque per il ragazzo. Vide il Serpeverde tornare indietro sbuffando sonoramente, i lividi sul volto lo rendevano ancora più spaventoso. Ora William si sentì osservato da entrambi i due parenti e non sapeva sinceramente cosa fare. L'altro ragazzo distolse lo sguardo posando gli occhi altrove, un chiaro segno di rifiuto nell'ordine dello zio di chiedere scusa.

In quel momento a William venne una sensazione scomoda, delle scuse che non meritava non le avrebbe mai accettate. Alla fine, riflettendoci bene, chi aveva cominciato era proprio lui: se non lo avesse fermato con quella frecciatina, Lestrange non lo avrebbe insultato e lui a sua volta non lo avrebbe colpito. Quindi quello era un privilegio troppo grande perfino per lui che in due anni aveva solo subito le oppressioni di quell'elemento, dato che nell'ultimo periodo aveva deciso di reagire anche lui.

Malfoy obbligò il nipote a pronunciare quella parola traditrice di dignità, che lo avrebbe abbassato ulteriormente nella scala del successo, ma William non voleva che questo avvenisse, non in quelle circostanze. Erano andati troppo oltre entrambi ed ora nessuno era in grado di compiere quel passo indietro, come se si trovassero in un precipizio che ti da a disposizione cinque passi falsi per raggiungere il ciglio e tu, pur sapendo che non esiste, ti ostini a compiete un sesto passo che ti farebbe cadere nel vuoto.

Ma quel passo, William non lo avrebbe compiuto, non oggi: "Signor Malfoy... non è Lestrange a doversi scusare per primo" disse con una nota di dispiacere misto all'imbarazzo della situazione. Per la prima volta vide uno sguardo sorpreso e smarrito in quel volto tumefatto di Lestrange, quando di solito lo aveva in mente trionfante e arrogante. L'uomo emise un lieve verso alzando le sopracciglia, quasi non si aspettasse una simile iniziativa e forse era proprio così. William continuò, a questo punto doveva terminare il turno: "Prima che lui mi insultasse... Be' io l'ho provocato. Ho deciso di mia iniziativa di dargli fastidio e lui ha solo risposto"

"Capisco..." disse Lucius Malfoy con finta sorpresa, in realtà era proprio quello che voleva e William se ne accorse troppo tardi. Era proprio caduto dentro al precipizio, pur evitando il sesto passo falso, ma qualcuno lo aveva chiaramente spinto, oltre che il suo buon senso.

Lestrange sbuffò scuotendo la testa, pareva solo più offeso, forse perché lui aveva capito il gioco di suo zio e nolente lo aveva assecondato, o forse perché aveva avuto la chiara conferma della debolezza del nemico: "Nessuno ti ha chiesto di farlo" gli rispose acido. Non era proprio la risposta che William si aspettava, ma non riuscì a ribattere davanti alla seconda fuga del ragazzo che ignorò i richiamo dello zio.

******

"Nessuno ti ha chiesto di farlo" la risposta di Antheo arrivò fino troppo acida persino per lui. Non poteva credere che quello stordito di Weasley si fosse fatto infinocchiare dalle moine di suo zio, era completamente fuori da ogni prospettiva. Si era fatto fregare con una sola frase. E lui? Lui aveva orchestrato il gioco inconsapevolmente, per il puro scopo di non soddisfare lo zio. Non avrebbe mai ammesso davanti a lui di essere solo un attaccabrighe, non lo avrebbe mai soddisfatto.

Nemmeno aspettò che Weasley potesse replicare, non voleva sentire la sua voce dopo quel colpo basso. Erano stati chiarissimi: i parenti non dovevano essere coinvolti e quello era un gesto fin troppo sleale anche per un Mangiamorte come Antheo. La vittoria se proprio si voleva conquistare, doveva essere presa in modo sportivo e giusto e non attraverso inganni ignobili. Suo padre glielo aveva sempre detto: una vittoria sleale in questioni personali ti rende solo come i topi di fogna che si nascondono, e questo Antheo proprio non voleva che succedesse.

Non ascoltò i richiami e gli ordini di suo zio, non gli avrebbe dato un'altra vittoria, e girò l'angolo a gran velocità e ignorò qualche fantasma a cui tagliò la strada, era troppo arrabbiato per scusarsi anche con quelle masse fredde morte anni addietro. Uscì dal castello e si ritrovò nell'immenso cortile che iniziava a riempirsi di neve. Era in anticipo quell'anno ma in quel momento ad Antheo non importava. Si fermò davanti alla foresta proibita, quanto lo chiamava quel luogo tanto lugubre. Voleva entrarci da solo, senza che nessuno lo vedesse, così giusto per fare due passi e vedere se ciò che si diceva di essa fosse tutto vero.

La vedeva sempre dal campo di Volo o dal piccolo stadio di quidditch, dove giocava come riserva, quello sport aveva smesso di piacergli nel momento esatto in cui aveva visto la sua vita sfumare in un processo. Vedeva quelle chiome scure degli alberi e sentiva dei versi insoliti, voleva vedere un Unicorno dal vivo e forse anche una Manticora - al primo anno aveva avuto a che fare con un'Acromantula e un Troll di Montagna - e poterli studiare e toccare da vicino pur sapendo il livello di pericolosità. Quella foresta era simile al suo temperamento: ombrosa e inquietante. Lui si sentiva proprio così, solo che nella sua foresta interiore nessuna Creatura magica osava avvicinarsi.

Era come guardarsi allo specchio, poteva quasi vedere il suo volto coperto dalle contusioni subite.

Il vento leggero e ghiacciato gli accarezzò il volto dando sollievo a quei pochi lividi che ancora pulsavano caldi. Aria di pioggia si avvicinava sempre di più e l'umidità si appiccicava alla mantella come una calamita, scendendola scomoda e pesante. Avrebbe potuto riempire secchi interi di quell'umidità.

Alcune gocce caddero sulla sua testa, poi sul volto e rigarono la pelle percorrendo strade immaginarie. Un tempo liberatorio secondo Antheo, come se il temporale potesse cancellare tutto quello che aveva addosso, fuori e dentro. Se solo avesse potuto aprirsi in due e lasciare che quell'acqua piovana scorresse nelle sue vene, l'avrebbe vista uscire nera, inquinata da tutto lo schifo che riempiva la sua anima.


Volle godersi quel tempo così freddo, sentire l'acqua che lo infradiciava tutto, avrebbe saltato le lezioni ma non gli importava niente. Per ora non gliene importava proprio niente.

Mi dispiace. Quelle due parole gli vennero in mente come una freccia scocciata. Erano due parole che avrebbe dovuto pronunciare subito ma non lo aveva fatto, due sole parole che pesavano più di un macigno ciascuna. Non doveva dirle a vuoto, lo sapeva bene, necessitavano di un volto per avere valore.

Mi dispiace. Quanto coraggio ci voleva per ammettere le proprie colpe? Attaccare e uccidere in battaglia come i suoi genitori richiedeva forse molta meno consapevolezza rispetto al pronunciare solo due parole che ti scoprivano come un libro aperto, sfondando un portone che aveva perso ogni serratura e ogni sigillo.

"Mi dispiace..." disse a bassa voce, senza riuscire a pronunciare il nome del destinatario. Lo odiava è vero. Ma perché lo odiava? Cosa aveva fatto di tanto orribile da meritarsi il suo odio? Sì, quella famiglia era in rapporti con i babbani. E allora? Non capì perché gli venne in mente quella domanda. E allora, allora non poteva essere considerato come una rispettabile famiglia se aveva a che fare con esseri più inferiori. Se sei una delle Sacre Ventotto devi attenerti a un certo canone, non puoi certo frequentare cani e porci. Sì, come se Antheo potesse parlare.

"Mi dispiace" disse ancora, sapendo bene a chi lo doveva indirizzare, sapendo bene di aver strattonato troppo la corda e di essersi auto-danneggiato fino a quel momento. Non voleva arrivare a questo, non lo aveva mai voluto. E non aveva mai voluto dimostrare ciò che in realtà voleva esprimere a parole con i pugni. Sentì gli occhi pungere, ma forse era solo per la pioggia che stava penetrando dentro le palpebre, tanta era l'acqua che lo stava innaffiando.

"MI DISPIACEEE!!!" alla fine quelle parole gli uscirono come un urlo potente, con quanto fiato aveva in corpo, e anche se lo lanciò verso la Foresta Proibita sperava che il vero destinatario lo sentisse dall'aula di Aritmanzia e che, anche senza darlo a vedere, accettava quelle parole dal suo peggior nemico. Urlò ancora: "MI DISPIACEEEEEE!!!" e ancora, e ancora, sempre più forte e allungando sempre di più le ultime sillabe. Voleva gridare fino a non aver più né voce né fiato.

E non era più tanto sicuro che fosse la pioggia ad avergli arrossato gli occhi, nemmeno lo shampoo che gli colò dalla testa dentro alla doccia del dormitorio. Da quanto tempo non piangeva? Calcolando che i suoi genitori erano stati processati appena prima dell'inizio della scuola, nemmeno troppo. Considerando che aveva fino a quel momento soffocato la sofferenza nel bullismo e nelle botte contro chi era, almeno in quel campo, più felice di lui, di certo aveva avuto un ottimo intervallo. L'acqua calda della doccia non aiutava il suo corpo a liberarsi dei brividi, doveva essere rimasto sotto al temporale davvero per molto tempo visto che Gazza lo aveva trascinato dentro e il pavimento, per il carico dei vestiti, si era allagato tutto. Ed ora era sotto al getto caldo, a guardare il suolo e a lasciare che le gocce bollenti gli rigenerassero il corpo intorpidito.

Ottimo, le lezioni del mattino erano ufficialmente saltate, così come forse quelle del pomeriggio sentendo la minaccia di uno starnuto farsi largo tra le narici, giusto perché doveva anche prendersi un malanno. Non gli era mai capitato di ammalarsi sotto la pioggia o sotto la neve, di solito il suo corpo era abituato a climi tanto rigidi, la sua tenuta si ergeva sulle coste nord del Regno Unito, quindi gli era molto semplice reggere temperature fredde a tal punto. Doveva essere l'umore a terra.

"Fanculo!" disse a un certo punto tirando un lieve pugno contro la parete della doccia. Ma perché si stava facendo influenzare così? Di solito era più forte di carattere, non doveva lasciare che uno stupido scontro rovinasse la sua esistenza, era o non era il figlio di Bellatrix e di Rodolphus?! Loro non si arrendevano mai, e se cadevano si rialzavano più feroci di prima, e a testa alta finivano il lavoro. Weasley era solo una breve parentesi di buon senso, ma Antheo aveva cose molto più importanti.

"Antheo? Ci sei?" la voce di Adreo echeggiò dentro al bagno, risvegliando effettivamente Antheo. Si guardò la mano che aveva colpito il muro, anche se non era stato un colpo forte aveva comunque lasciato i segni. Chiuse l'acqua, era rimasto abbastanza tempo sotto, e prendendo l'accappatoio e un asciugamano si avvolse nel cotone sentendo il tepore avvolgere la pelle pallida. Si diede una strofinata veloce alla testa, quei capelli ricci e scomposti avevano una velocità di asciugatura elevata e non dovette dunque perderci troppo tempo.

Adreo lo stava aspettando appena fuori dal bagno, e vedendolo vestito e pulito e con una faccia da zombie, si chiese se il cugino non avesse effettivamente bisogno di parlare. Lui in fondo c'era sempre stato, lo aveva sempre rassicurato quando suo padre non aveva abbastanza fiducia nelle sue capacità ed aveva sempre contribuito a rallegrargli i pomeriggi insieme a Ninfadora. Ora era il suo turno e Antheo stava chiaramente soffrendo.


"Senti... ne vuoi parlare?"

"A che servirebbe? Li farebbe uscire?"

"No, come non era mai servito a far cambiare mio padre. Ma almeno tornavo a casa più leggero" Adreo si avvicinò sorridendo. Voleva essere disponibile più che poteva per lui, in fondo era il parente a lui più vicino. Antheo alzò leggermente gli angoli della bocca, non voleva rifiutare un aiuto così sincero.

"Adreo io... non so perché, sto sempre male. Le giornate sono sempre più grigie e nemmeno le materie che preferisco aiutano ad alleggerire quest'oppressione" si sedette sul letto, il materasso cigolò leggermente. Non era comodo come quello di casa sua, se ancora poteva ricordarselo, ma almeno ti dava aria di casa. Passò una mano sul lenzuolo bianco e delicato.

"Vedo costantemente tutti che ricevono delle lettere dai parenti, a volte qualche regalo. Io ormai non ricevo niente se non una lettera ogni tanto da mia zia per sapere come sto, e la risposta è sempre la stessa"

"E non hai mai pensato di dirle invece la verità? Almeno per sfogarti"

"Non voglio che si preoccupi per niente, in fondo che cosa può fare? Saprebbe che non è la stessa cosa" era come se davanti ad Antheo si ergesse una scogliera scoscesa e friabile, lui doveva misurare bene i passi per non sdrucciolare e finire nel mare in tempesta. A casa sua il mare era sempre gonfio e i suoi genitori gli avevano spesso proibito di avvicinarsi troppo agli scogli per non cadere. Lui non era così stupido da cadere per caso, ma i tic turettici che si erano fatti risentire la notte del processo lo avevano sfinito, temendo che potessero capitare nei momenti meno opportuni.

Fino a quel momento lo stress aveva innescato un raptus di violenza lanciandolo contro Weasley, impedendo quindi alle convulsioni e ai movimenti scattanti di mostrarsi, liberava il nervosismo coi pugni e i calci e urlava dietro a tutti, la normale manifestazione del suo stress. Aveva sempre avuto problemi solo arrabbiandosi.

Adesso quel precipizio gli mostrava anche le conseguenze del suo sgarrare troppo: se avesse ancora una volta sfidato pubblicamente Weasley avrebbe dovuto essere fuori dalla scuola in pochi secondi, e suo zio Lucius non avrebbe mai accettato un parente espulso.

"Weasley almeno ha sentito cosa ne pensava sua madre, via lettera, anche se non è venuta. Zio Lucius non ha fatto altro che fare le moine a Silente per innervosirmi. Odio quando fa così"

Adreo ascoltò a testa bassa. Non sapeva cos'altro dire per alleggerire la situazione, era un bel casino. Antheo era sempre sul filo di un rasoio e Weasley pareva sempre spingerlo a destra o a sinistra per farlo cadere, pur sapendo che sarebbe stato afferrato e avrebbero fatto un volo tutti e due. La loro era una pura guerra d'orgoglio, evidentemente vinceva chi reggeva di più dopo infinite battaglie silenziose e manesche, dolorose come lame taglienti. Era incredibile come Weasley riuscisse sempre a rimettersi in gioco anche dopo il peggiore degli insulti, ed era incredibile come Antheo riuscisse a cadere tanto in basso quando si minava al suo nervosismo.

Quei due potevano essere tranquillamente due draghi che lottavano per lo stesso territorio, per lasciare le uova e procreare. Non si sarebbero fermati finché uno dei due non fosse caduto stremato dalle ferite, e le loro risse non sarebbero mai finite a meno che uno dei due non si fosse fatto male sul serio.

I due ragazzi parevano voler finire proprio così, nemmeno i continui richiami dei professori e del preside erano serviti a smorzare il loro volere. Volevano dimostrare a tutti il più forte, peccato che le loro abilità tenessero la bilancia perfettamente in equilibrio. Non vi era uno che dominava sull'altro, sempre uno più avanti e uno indietro per poi invertire i ruoli: dove uno eccelleva con la bacchetta, l'altro lo schiacciava con la mente e la volta dopo erano uno nel ruolo dell'altro.


"Antheo?" fece poi Adreo, quella dubbio lo assillava dall'ultimo scontro "Voi non smetterete mai ti mandarvi in infermeria a vicenda vero?"

"Ci sono tanti modi di finire in infermeria Adreo. Dipende solo la dinamica"

"Cerca almeno di non farti espellere Antheo. Devi per forza averlo sempre nel mirino?"

"Io nel mirino ne ho tanti, ma lui è il mio preferito" il sorriso di Antheo si allargò leggermente. Tra tutti i possibili pretendenti, Weasley li batteva tutti: rispondeva a tono e non gli dava vittoria facile, un degno avversario su cui testare le proprie abilità. Per la verità era quasi sempre Weasley a prendere la posizione, Antheo si limitava a fare frecciatine a vuoto aspettando che qualcuno abboccasse. Questo rendeva la sfida più interessante dovendo poi misurarsi con il contrattacco dell'altro.


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