Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Sadie della Gola

Mangia.
Ancora.

Riempie il bicchiere di latte e cacao, ingurgita tutto senza pensarci e si pulisce la bocca con il dorso della mano sentendo quel sapore dolce invaderle ogni parte del palato e scivolare giù lungo la gola. C'è una sorta di soddisfazione nel compiere quel gesto, così come in un angolo di sé vorrebbe non aver mai aperto il frigorifero pieno di tutti quei prodotti che in casa nemmeno dovrebbero esserci; o quantomeno secondo il suo personale e discutibile regime alimentare.
Ha ingerito altro cibo come se la colazione non fosse bastata, come se il suo stomaco fosse in realtà un pozzo senza fondo in cui continuare a gettare vettovaglie all'infinito nella speranza che presto o tardi si riempia - perché come per tutte le cose ci deve essere un limite, no?

Che schifo.

Ci sono giorni in cui resistere a quei desideri diventa una lotta serrata prima di tutto con se stessi, una battaglia che, seppur combattuta decine di volte, si continua a perdere, quasi non sia in grado di imparare dai propri errori - e saltuariamente lei ne è testimone nonché vittima. Non importa quanto si sforzi, quanto provi a contrastare il nemico, la curiosità ha la meglio. Dove è il suo limite, quindi? Quante leccornie può infilarsi giù per la gola prima di restare soffocata? Ancora non lo sa; e a dire il vero sarebbe meglio se evitasse di scoprirlo.

Perchè è sbagliato.

Tossico.

Letale.

Mangiare le fa male.

D'improvviso il telefono emette un rumore tintinnante da sopra il tavolo, lì dove Sadie ha abbandonato i resti del proprio peccato, i rimasugli dello scontro appena perso. Si sporge un poco per vedere di chi sia il messaggio appena arrivato e seppur involontariamente, sente il liquido dolciastro scorrerle dentro per andare a depositandosi sul fondo dello stomaco; così, quando le prime gocce lo riempiono, le sente echeggiare in tutto l'organismo, caverna nascosta che cela i più temibili pericoli. Ed è in occasioni come questa che le sembra impossibile mettere a tacere il desiderio di scoprire quale sia il suo limite. Più si impone di resistere e meno ci riesce, perché la forza di volontà spesso e volentieri non collabora come dovrebbe. L'autocontrollo si affievolisce facilmente quando l'ansia le attanaglia la gola, quando per un momento perde lucidità e torna a essere umana, esattamente come tutti gli altri.
Già, peccato che lei non debba esserlo, perché la perfezione non può permettersi simili debolezze.

Con la naturalezza di un gesto compiuto decine di centinaia di volte Sadie si protrae, pigia le dita insozzate sullo schermo e apre la cartella dei messaggi, lì dove un nome familiare l'ammalia al pari di una sirena - o semplicemente della stessa mostruosità che ha ingurgitato poco prima.
Sovrappensiero legge ad alta voce le poche frasi che si susseguono nel riquadro verde, in modo da renderle po' più concrete. Le palpa e le assapora, finchè alla fine sul viso le compare un sorriso. Il primo reale in quella giornata iniziata male e proseguita persino peggio. C'è un certo senso di sicurezza nel sapere che al mondo esiste qualcuno che finge quanto lei, se non di più, che accanto ha una persona che custodisce con tanta ferocia i propri segreti. L'invidia e l'ammira, perchè Sadie sa di avere ancora qualche pecca da sanare - e per questo poi si ritrova a creare toppe di carboidrati e lipidi nella speranza che nessuno noti la fatica e gli strappi che si creano nell'essere come è: un sogno. Una visione intangibile eppure reale, angelica.

Si passa la lingua sulle labbra, sente lo zucchero e pensa che non sia il momento per perdere tempo, così posa il telefono accanto al cucchiaio e porta gli occhi al cielo. D'improvviso lo stomaco dole, i crampi sembrano sovrastare ogni cosa. Il cibo d'un tratto sembra crescerle dentro, spinge con rabbia sulle pareti gastriche ricordando all'intero organismo quanto sia dannoso cedere a quel riprovevole vizio.
Sadie vorrebbe dire di saper sconfiggere da sola i propri demoni, peccato che non sia ancora abbastanza forte per impugnare la spada e lanciarsi all'attacco - ed è forse per questo che a ogni scontro finisce col perdere.

Deve muoversi, quella robaccia sta ammuffendo in lei, l'avvelenerà.

La vocina interiore le ricorda che più il tempo passa e più, poi, le sarà difficile liberarsi di tutta quella schifezza. Una volta che l'avrà assimilata sarà fregata, non ci sarà alcun modo di liberarsene; e come un virus le deformerà le interiora poco per volta, deturpandola anche nell'aspetto.
Si alza di colpo, quasi spaventata da qualcosa e si dirige verso il bagno. I calzini scivolano svelti sul pavimento, sente le piastrelle fredde pizzicarle i piedi al pari del gelo che fuori dalla finestra invade ancora New Orleans e, d'un tratto, il silenzio che aleggia per la casa le ricorda di quanti inverni ha passato a nascondersi dalle orecchie e dagli occhi dei suoi genitori, di quel fratello perfetto per riuscire a portare avanti i suoi obiettivi: essere all'altezza, essere migliore, inarrivabile per tutti; essere ammirata, desiderata, essere il modello di riferimento o l'origine dell'invidia più perversa.

Entra nella stanza come se stesse entrando in una chiesa e con la stessa riverenza chiude la porta dietro di sé. Non c'è nessuno che possa spiarla, eppure ciò che sta per fare è qualcosa d'intimo, solo suo e della tazza del cesso. Con dita ancora tremanti alza la tavoletta bianca e osserva il suo piccolo tempio di ceramica. È talmente pulito che nessuno potrebbe mai immaginare quali tipi di peccati vi si compiano nella circonferenza pallida, eppure qualcuno, se lo sapesse, potrebbe paragonarlo alle porte per l'Inferno. Accovacciandosi sul tappetino altrettanto lindo Sadie inizia a raccogliere in una crocchia malferma i capelli scuri: non ha alcun desiderio di mischiarli alla bava e al rigurgito.
E una volta finito, ecco che il suo rituale può avere inizio.

Mentre si sporge non si domanda come sia arrivata fin lì, eppure dovrebbe. Dovrebbe fermarsi ancora qualche minuto e ricordare quella ragazzina un poco sfigata, brava in matematica e scienze eppure terribilmente fuori posto. Dovrebbe pensare a lei e chiedersi se sarebbe fiera di ciò che è diventata, peccato che non lo faccia.
Fa scricchiolare la colonna vertebrale, si concentra al pari di un chirurgo che s'accinge a fare la prima incisione col bisturi. Alza il braccio e avvicina la mano, guarda la propria lama di falangi e carne e poi, prendendo un ultimo respiro, s'infila due dita in bocca compiendo la consueta procedura. Con la punta dei polpastrelli pigia sul palato molle, lì dove l'osso non arriva e l'effetto è assicurato. Avverte il conato farsi strada, mettersi in posizione per poter scattare fuori con una contrazione dello stomaco, così fila le dita di fretta per non strozzarsi, ma non succede nulla. Seppur alle spalle abbia anni di esperienza non è abbastanza brava e alle volte fallisce ancora; ma non è tutto perduto, si può riprovare. Quindi nuovamente prende posizione, perché l'idea che tutta la robaccia che ha ingurgitato stia mettendo radici nella sua pancia la manda in crisi. E' un male da debellare, un corpo estraneo da asportare - e questa volta il tentativo va a buon fine. Sadie si sporge in avanti con un colpo di reni in modo da non sporcare in giro. Le sue mani afferrano con foga la ceramica fredda mentre quel piccolo sgarro pomeridiano viene rigurgitato fuori. Sente lo stomaco contrarsi con forza sotto alla pelle, la gola bruciare con maggior intensità ogni volta che un bolo le si spinge attraverso.
Chiude gli occhi per non vedere e va in apnea incontrollata, impedendo al naso di sentire l'aria malsana. È terribile ciò che si fa, in un angolo di sé ne è consapevole, ma la libera e questa è l'unica cosa che le importa.
Butta fuori tutto ciò che temeva non se ne sarebbe mai andato e lo fa sentendosi potente in quella triste fragilità.

Via, via... tutto se ne va via, pensa ogni volta che il pastoso liquido caldo le cola fuori dall'esofago. È come tirarsi fuori gli organi, i liquidi, l'anima - ed è per questo che quando finisce alza il capo guardando il vuoto di fronte al proprio viso rosso. Ha le lacrime agli occhi, eppure non piange. Potrebbe ma non lo fa; quella gioia va tenuta nascosta, stretta dentro al petto per impedire che qualcuno gliela possa togliere. Annaspa in quel modo preoccupante e nel portarsi la mano alla gola cerca il proprio battito. Vuole sentirlo calmarsi, vuole percepire il controllo tornare in suo totale possesso.
Sa che deve attendere perché i polmoni si riempiano d'aria, la testa smetta di girare, le gambe tornino stabili - se si alzasse ora crollerebbe a terra con incredibile facilità. È già successo, non desidera che ricapiti.
Tiene il conto del tempo tramite il tremolio della lampadina sopra la sua testa, un po' a intermittenza, e quando arriva a cento socchiude gli occhi. Inspira. Con la stessa reverenza di prima si rimette in piedi, lancia un ultimo sguardo grato al suo trono bianco, ora un po' meno candido, e infine sorride; ci son davvero poche cose che la soddisfano come scorgere i resti di quel colore malato che galleggia sul fondo del cesso. La conforta, mentre ad altri farebbe schifo.

Idioti.

Non hanno idea di cosa si perdano, del senso di liberazione che ne consegue. Già, perché alla fine del suo rito lo sciacquone si porta via tutto, anche le preoccupazioni che l'assillano a ogni sguardo sconosciuto e, soprattutto, i chili di troppo, come quelli che il bicchiere di latte e cacao di poco prima porta con sé.

E ora che nel water c'è acqua quasi limpida, pulita, anche Sadie può dire di essere tersa.

Barcollando appena si avvicina al lavandino, afferra lo spazzolino, vi mette sopra il dentifricio e si toglie di bocca il sapore acido dei succhi gastrici. Preme con forza sulla lingua per lavare via l'alone giallo che si è andato a creare, prova inconfutabile del suo credo tossico, malato, letale. Nessuno deve sapere e quei pochi che conoscono la sua fede non devono scoprire quanto sia radicata, quante follie sia disposta a compiere per quel Dio inarrivabile che è la perfezione, l'apoteosi.
Mentre si smacchia il corpo alza lo sguardo sul proprio riflesso e ciò che vede, Sadie lo trova più rassicurante. Non importa se dovrà fissare nuovi appuntamenti con dentisti sempre diversi, men che meno se dovrà comprare altra crema depilatoria per liberarsi di tutti gli effetti collaterali - sono prezzi che è disposta a pagare.
Più si guarda e più si convince che tutto, in lei, sembri essere migliorato dopo quei minuti di corrosiva preghiera, dall'aspetto all'umore - e così, quando quella sera uscirà con gli altri, sarà sublime. Chiunque avrà occhi solo per lei, perchè anche senza tutti i suoi sforzi è impossibile negare che sia bella, bellissima. Negli anni ha speso ore a imparare ad esaltare il proprio aspetto, ha insegnato al proprio corpo come agire. Con pazienza è diventata la femme fatal che nessuno si sarebbe mai aspettato diventasse - liberarsi dei resti dei crimini che compie quotidianamente è solo un extra.

Sputa e si sciacqua la bocca. Distoglie gli occhi da se stessa e inspira per l'ennesima volta, quasi volesse avvertire ancora una volta il senso di vuoto che le annulla lo stomaco.
Scioglie i muscoli del collo, si gode lo scricchiolio delle ossa e, una volta finito, decide di tornare in cucina: ha compiuto il proprio dovere. Così Sadie avanza con calma, quasi cullandosi nell'assuefante autocompiacimento che prova, ma quando gira la chiave e oltrepassa la soglia del bagno un peso d'improvviso torna a gravarle sulle spalle. Un luccichio grifagno dal tavolo la raggela e un pensiero sbagliato arresta le gambe. Accanto al cellulare che ha abbandonato poco prima vi è il cucchiaio ancora sporco di cacao, al suo fianco la bustina con i resti di polvere marrone riversi un po' ovunque. Sabbia zuccherosa che ammalia, che prova a incantare la bambina che è in lei: ingenua, soggiogabile, incosciente. Sadie Jones fissa lo scenario che le si prospetta di fronte e si morde le labbra, rendendosi conto che di tutto quello schifo ne vuole ancora.

No, non è vero, sta benissimo così.
Pigia con un po' più di forza i denti nella carne.

Deve però ammettere che sarebbe così semplice far passare sopra all'acciaio sporco la lingua, togliere con le papille gustative i rimasugli di quella delizia nociva.
Stringe i pugni.
No! Si deve controllare, non può cedere proprio ora. In fondo sta bene così, lo giura.
Ed ecco che deglutisce e scuote la testa, si ricorda a quale premio sta ambendo, a quanta fatica ha fatto per arrivare sin lì. Ogni sacrificio non può essere vano, ogni lacrima o contrazione dello stomaco non possono essere rese prive di valore - deve resistere, cristiddio!
Così compie tre falcate decise, afferra il manico del cucchiaio e si sforza di mettere a tacere la voce che nella testa la supplica di abbassare lo sguardo, fissare le striature dolci che segnano l'acciaio e leccare via quell'arabesco di cacao. Non deve assecondare quei desideri malsani, non deve essere tediata dai brontolii dello stomaco, dai crampi alla pancia, dai giramenti di testa che l'inseguono giorno dopo giorno. Lei dopotutto lo sa, dannazione se lo sa: per essere guardata, cercata, amata deve apparire perfetta, il suo corpo deve essere asciutto, sgonfio, uguale a quello delle ragazze che compaiono su quelle meravigliose copertine patinate, che scivolano sulle passerelle come creature eteree, fate d'aria e sangue.
Ed ecco che quindi si volta, si avvicina al lavabo con quell'oggetto in mano. A ogni passo la voce che cerca di zittire però prova a riemergere dalle viscere della mente e ha lo stesso suono della sua, d'una sé passata che aveva creduto essere svanita nel tempo ma che invece è rimasta sempre lì, come un guardone che l'osserva dallo spioncino della porta. La tartassa, non le concede alcuna tregua - e inevitabilmente gli occhi cascano in basso, si adagiano sulla conca del cucchiaio e lasciano che le ciglia si crogiolino nei resti del cacao mischiato al latte ormai rappreso.
Vuole leccare.

No! No, non può!

Come farà a uscire di casa se si macchia ancora di quel peccato? Tutti vedranno la sua debolezza, la giudicheranno, punteranno quelle dita disgustose nella sua direzione e scoppieranno a ridere nello scorgere lo sporco intorno alla bocca, la carne compressa dall'elastico di qualsiasi indumento. Con che coraggio guarderà in faccia Joe, Margot, Cameron e soprattutto Christian? Come potrà sopportare le occhiate di sufficienza che le rivolgeranno dai loro scranni? Per essere alla loro altezza, o addirittura al di sopra, non deve assecondare alcun desiderio tanto infimo, deve farsi forza, diventare guerriera indomita.

Sadie prende quindi un respiro profondo e l'aria entra nelle narici per poi scendere lungo la gola irritata, brutalizzata dal suo stesso rigurgito. Brucia. Ed è proprio in quel rassicurante dolore che le ricorda di aver fatto la cosa giusta che trova la fermezza per dirsi ancora una volta "basta".

Toc.

Le sue dita finalmente mollano la presa e per ora, pensa tirando un sorriso sghembo, ha vinto lei. Già, ma il suo è un trionfo breve, lo sa fin troppo bene. Arriverà l'ora di cena e nuovamente il campo di battaglia si riempirà dei soldati nemici: carboidrati, proteine, grassi vari e zuccheri annessi, tutti muniti del loro atavico desiderio di soffocarla. Sadie a quel punto dovrà aggrapparsi con le unghie e con i denti al bordo della cucina, guardare ancora una volta i carciofi, le carote e quel brodo fatto fare apposta per lei in un bistrot lontano da casa e pregare che l'intruglio che ingurgiterà possa essere sufficiente a fermare l'avanzata delle truppe della Fame.

Scuote la testa. Non deve pensarci adesso, le fa male, l'agita - e non deve farsi sopraffare. Svelta si volta, afferra il telefono, risponde ai messaggi in sospeso e conferma a Margot l'appuntamento; ed è quando la seconda spunta appare accanto all'orario di spedizione che si rende conto di essersi distratta per troppo tempo, di aver perso la cognizione della realtà. È in ritardo per la lezione sugli studi sperimentali preclinici, per quell'inutile monologo che il Professor Frost porterà avanti fino a tardo pomeriggio. Non che gliene freghi qualcosa, a dire il vero. Se dovesse essere del tutto sincera ammetterebbe che preferirebbe spendere quelle ore dedicandosi a una qualche forma di attività fisica, in modo da tonificare quel poco di carne che ancora le resta addosso, il minimo per non mettere in allerta chiunque incroci la sua figura, ma ha una reputazione da mantenere, una media da tenere alta e una borsa di studio a cui far fronte - non può permettersi il lusso di ignorare gli impegni scolastici. Allora accelerando i movimenti si prepara, mette ciò che le serve in una borsa che sulla spalla le pesa sempre un po' troppo e si dirige poi verso la porta - anche se, prima di uscire, si concede ancora qualche secondo. Davanti a uno specchio che riflette solo il suo viso, Sadie si ferma e si rimira, provando una soddisfazione tanto sbagliata quanto apprezzata. Ad accoglierla ci sono labbra pallide e occhi grandi, di un azzurro che pare cielo in primavera, se non fosse per quella luce sempre più flebile, per quel guizzo di vita che nella solitudine della sua casa, lontana dai riflettori del mondo si va spegnendo. Eppure si piace. Con quell'aspetto che crede farla sembrare una creatura a metà tra sogno e realtà si sente bella, leggera, una Fata che avanza tra le strade di una New Orleans priva di magia. Lei è visione onirica, incanto. Lei è perfezione.

Distoglie lo sguardo tendendo un nuovo sorriso.
Uscendo di casa e chiudendosi la porta alle spalle, Sadie si scopre leggera, libera. Arriverà al cancello della Toulouse facendosi sospingere dal vento, librandosi come quella volta di molti mesi prima. È stato grazie a quel suo modo di muoversi, di venir cullata dalla brezza che gli occhi di Chris si erano posati su di lei - e per far sì che mai si spostino deve continuare a essere eterea. A pensarci bene il loro era stato uno di quegli incontri predestinati, voluti dal fato, scritti già da tempo nel libro delle cose che devono accadere. Lui non era mai stato uno studente della Toulouse, o di un qualsiasi altro college, ma quel giorno si era addentrato nel campus per... beh, lui l'aveva chiamata noia, ma Sadie non ne era mai stata convinta. Con la testa rivolta verso il cielo e le mani nascoste in tasca, Christian sembrava star cercando qualcosa. Quel giorno aveva creduto fosse Cameron, ma nei giorni e nelle settimane successive, conoscendolo meglio, aveva finito con il non esserne più tanto certa. Forse stava semplicemente cercando una creatura come lei, effimera. Ricorda ancora le sue parole, le prime che si sono scambiati. Se le passa sulla punta della lingua mentre si ferma di fronte alla fermata del bus, le assapora come una caramella da succhiare.

"Te l'hanno mai detto che hai lo sguardo delle cose fragili?"

1.1
Revisione 2021

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro