Capitolo 9 - Voci e silenzi
Il mattino dopo mi svegliai lentamente, il corpo finalmente riposato. La luce filtrava dalle finestre, e l'orologio segnava già le undici. Edward dormiva ancora al mio fianco, il respiro tranquillo. Cercai di non fare rumore mentre scivolavo fuori dal letto, i piedi nudi che sfioravano il pavimento freddo.
La casa era silenziosa perciò dedussi che fosse vuota. La porta della camera di Ian era aperta e riuscii a intravedere il letto già rifatto con cura. Mi avvicinai alla cucina e notai un post-it giallo attaccato al frigorifero. La calligrafia di Ember mi informava che sarebbe tornata nel pomeriggio.
Perciò sarei rimasta con i vestiti di Ian, senza però poter uscire in alcun modo di casa.
Stropicciai gli occhi ancora assonnata e mi guardai intorno alla ricerca della macchina del caffè. La trovai in un angolo della cucina e iniziai a macinare i chicchi. Il rumore era assordante nel silenzio della casa, ma quell'odore di espresso mi svegliò del tutto.
Presi il telefono dal tavolo e vidi dieci chiamate perse: tre di mio padre, il resto di mia madre. Sentii il cuore battere più forte nel petto mentre richiamavo, cercando di mantenere la calma.
«Dove diavolo tieni quel telefono?» L
a voce di mia madre risuonò dall'altro capo del filo, carica di irritazione.
«Buongiorno anche a te, mamma.» Risposi con un tono che speravo fosse tranquillo.
«Ti sei svegliata ora?» Il suo tono cambiò, diventando più preoccupato, ma ancora aspro. Mi resi conto troppo tardi di aver detto qualcosa che non avrei dovuto.
«Ieri notte i genitori di Edward hanno avuto un'emergenza,» dissi, abbassando la voce per non svegliare il bambino, anche se il rumore della macchina del caffè non l'aveva minimamente disturbato. «Sono dovuta rimanere con lui e abbiamo giocato fino a tardi.»
«Ti ho detto di chiamare spesso.» Il rimprovero fu inevitabile.
«Mamma, sono qui da un giorno.»
«Due,» mi corresse lei, con quel tono che conoscevo bene, ricordandomi la bugia sul ritardo dell'aereo. «Come sono i genitori del bambino?» Chiese, insinuante, come se volesse mettere in dubbio ogni mia parola.
«Chi?» Mi sentii ridicola nel rispondere così.
«Come chi?» La sua impazienza era palpabile.
«Sì, scusa, ogni tanto non ti sento molto bene, devo avere poco campo.» Mentii di nuovo, sentendomi stupida. «Sono fantastici.» Aggiunsi, cercando di chiudere in fretta. Non sapevo nemmeno chi fossero quei genitori, e mi chiedevo se li avrei mai conosciuti. Il pensiero che Tessa potesse aver detto a mia madre che Edward viveva solo con Ian mi fece salire l'ansia.
«Ok allora, buon lavoro e chiama.» La sua voce si calmò leggermente, e salutai frettolosamente prima di attaccare. Mi precipitai a prendere il caffè, cercando di scacciare l'agitazione.
Tra un sorso e l'altro, decisi di preparare la colazione per Edward, anche se ormai l'orologio segnava quasi l'ora di pranzo. Aprii il frigorifero e trovai delle uova e del formaggio. Le uova strapazzate mi sembravano una buona idea.
Mentre cucinavo, l'odore iniziò a riempire la cucina, e mi convinsi che, se qualcosa poteva svegliarlo, sarebbe stato proprio il profumo del cibo.
Mi sedetti sul divano, aspettando che si alzasse, quando sentii un piccolo peso che mi raggiunse. Edward si arrampicò sulle mie gambe, appoggiando la testa sulla mia spalla. I suoi occhi erano ancora pesanti, e si sfregava le palpebre con le mani, cercando di scacciare il sonno.
«Ian non mi fa mai andare a letto così tardi, ora so perché.» La sua voce era impastata e la sua osservazione mi fece sorridere. Era così piccolo e già sentiva il peso della notte passata.
«Ho preparato le uova» gli sussurrai, cercando di stimolarlo un po'. Ma lui fece solo un cenno con la testa, poco convinto. Sembrava che non fossero la sua passione.
«Mi piacciono i pancake,» disse con voce ancora assonnata. Era tutto ciò che mi serviva per capire che preferiva qualcosa di dolce.
«Possiamo farli domani,» gli promisi, cercando di consolarlo. Quando si alzò, il suo viso era l'immagine stessa della stanchezza.
Mi chiesi come facesse Ian a lavorare dopo una notte simile, a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti io, figuriamoci lui.
Edward si trascinò verso il bagno, e io impiattai le uova, cercando di rendere tutto più appetitoso. Stavo per sistemare i piatti sul tavolo quando un bussare deciso alla porta mi fece sobbalzare.
I suoi occhi mi colsero di sorpresa, come se stessero cercando di leggermi dentro. Mi scrutò per un attimo, poi allungò le braccia verso di me, passandomi le pizze che teneva. Appena Edward lo vide, corse ad aggrapparsi alle sue gambe, stringendolo forte.
Nolan lo sollevò con facilità, facendolo saltare in aria un paio di volte. Le risate di Edward riempirono la stanza, più forti di quanto avessi mai sentito. Nonostante la sua timidezza e il modo in cui evitava i giochi nuovi, in quei momenti sembrava un bambino come tanti. Tessa mi aveva detto che aveva difficoltà a socializzare, ma forse parlava solo dei suoi coetanei. Con noi, soprattutto con Nolan, non sembrava avere alcun problema.
«Buona la pizza, zio Nolan,» disse Edward con entusiasmo. Guardai le uova che avevo cucinato e sospirai. Ero contenta di vedere Nolan, quindi il mio piccolo sforzo culinario non mi sembrava poi così sprecato.
Dopo aver giocato un po' con Edward, Nolan si tolse la giacca con un gesto fluido, poi si avvicinò e mi posò un bacio leggero sulla guancia. La sua vicinanza mi fece trattenere il respiro per un istante. Era davvero difficile staccargli gli occhi di dosso, ma lui sembrava non accorgersene, o forse faceva finta di niente.
«Stai bene con i vestiti di Ian. Ah, a proposito, ho i tuoi vestiti puliti in macchina,» disse con un sorriso.
«Ember! Grazie,» esclamai.
«Sì, mi ha fatto trovare un post-it sul frigo.»
Così presi quello che aveva lasciato per me e glielo mostrai. Lui annuì come se confermasse che quella era proprio sua sorella.
Dopo pranzo, Edward mi chiese se poteva giocare un po' alla Playstation, e io lo lasciai fare senza pensarci troppo.
Rimasi seduta con Nolan, cercando un pretesto per continuare a parlare con lui, anche se la mia mente era altrove. «Come è andata a lavoro?» chiesi, più per rompere il silenzio che per reale interesse.
«Bene,» rispose lui. «Ho finito stamattina presto, ma sono andato a casa a dormire un po'. Sapevo che eri sola, così sono venuto a farti compagnia. E poi stasera ci vediamo tutti qui.»
Il fatto che avesse pensato a me mi fece piacere, anche se il ricordo di tutto il tempo che avevamo perso mi pesava ancora. Non avremmo mai recuperato gli anni che Nolan aveva scelto di non parlarmi, permettendo a Olivia di allontanarlo da me e da tutto il resto. Ma cercai di non pensarci e di concentrarmi su di lui, qui e ora.
«Cosa facciamo stasera?» chiesi, sperando in qualcosa di tranquillo.
«Ian ha invitato alcune persone a casa sua, tra cui ci sarò anche io,» rispose Nolan.
Un'altra festa. Non ero sicura di poter reggere, speravo in una serata più calma. «Voi non riposate mai?» domandai con un mezzo sorriso stanco.
«Poco,» disse lui, con un'alzata di spalle. «C'è troppo poco tempo per dormire troppo.»
Sbuffai, quasi rassegnata, e lui sorrise. «Ti abituerai,» mi disse, alzandosi in piedi per accendere la TV. Si voltò verso di me e mi prese le mani, tirandomi su dal divano.
Mi fece girare a ritmo di musica, alternando momenti in cui mi teneva stretta, le sue mani ferme sui miei fianchi, a momenti in cui mi sollevava da terra, facendomi volteggiare.
«Vedi, Rose,» disse lui a un certo punto, «a volte fare cose senza pensare ci rende più umani. Le cose spontanee ci fanno la vita più bella.» E in quel momento, mentre giravo tra le sue braccia, non potevo fare altro che essere d'accordo.
Quando la canzone si spense, rimanemmo fermi, i nostri sguardi incatenati. La distanza tra noi si era ridotta al punto che riuscivo a sentire il suo respiro caldo sfiorarmi le labbra. Se solo avessi avuto un po' più di coraggio, forse in quel momento avrei colmato lo spazio che ci separava e lo avrei baciato. Ma invece mi ritrassi leggermente, sistemandomi i capelli in modo distratto, cercando di mascherare il battito accelerato del mio cuore.
Il silenzio che si era creato fu interrotto da Edward che sbucò sulla soglia della porta, incuriosito da ciò che stava accadendo. Nolan, notando la sua presenza, colse l'occasione per spezzare la tensione. Con un sorriso affettuoso, allungò una mano verso Edward e lo invitò a unirsi a noi. In un attimo, ci trovammo tutti e tre a formare un cerchio improvvisato, saltando e muovendo i nostri corpi in modo goffo e scoordinato.
Vedere Ember, Ian e Nathan entrare mi fece piacere, ma una piccola parte di me rimase sorpresa dal comportamento di Edward. Mi lasciò perplessa il fatto non avesse corso verso suo fratello con la stessa energia che aveva riservato a Nolan.
Avevo finito il mio lavoro, o almeno così sembrava, ma la mia mente non riusciva a ignorare quei piccoli dettagli che Edward continuava a mostrarmi, quasi come se volesse che li notassi.
Dopo i saluti e gli abbracci tra i ragazzi, che si comportavano come se non si fossero visti da mesi, Nolan si avvicinò con i miei vestiti in mano.
«Puoi usare il mio bagno, se vuoi farti la doccia,» si rivolse a me Ian. Annuii, e senza pensarci troppo, trascinai Ember con me.
Mentre l'acqua calda scivolava sulla mia pelle, ascoltavo Ember parlare, cercando di assorbire le sue parole. Non potevo fare a meno di notare la stanchezza nella sua voce, il modo in cui il suo solito entusiasmo sembrava smorzato.
«Dove sei stata tutto il giorno?» le chiesi, rompendo il silenzio.
«Ho litigato con Nathan,» rispose, e la sua voce aveva un tono che non mi piaceva. «Ieri sera, dopo la festa,» aggiunse, come se volesse dare una spiegazione.
Ember non era il tipo da litigare facilmente, e sapere che c'era qualcosa che non andava mi preoccupava. «Lui dice che sono troppo aperta con Ian e con gli altri ragazzi che conosco. Io non penso di fare niente di male, inizia un po' a stancarmi. Però ora abbiamo risolto, mi ha detto che proverà a essere un po' meno geloso.»
Le sue parole mi fecero alzare le antenne. «E tu come stai?» chiesi, cercando di capire cosa provasse davvero.
«Ho sempre l'ansia quando sono con altre persone, ma spero sia solo un periodo.»
«Io credo che lui sia così e basta. È difficile che una persona gelosa smetta di esserlo,» dissi, cercando di scegliere le parole con cura. Non volevo ferirla, ma era importante che fosse onesta con se stessa.
«Lo so, ma cerco di sopportare,» sembrava essere decisa a portare avanti questa relazione nonostante tutto.
«Perché? Hai solo ventun anni,» le feci notare, sperando che capisse che non aveva bisogno di sopportare una situazione che la rendeva infelice.
«Rovinerei il gruppo e la loro amicizia, non posso farlo.»
«Ma... Tu non c'entri niente con la loro amicizia,» provai a farle capire, ma lei cambiò discorso prima che potessi insistere.
La sentii tirare su col naso, e quando sbirciai dal vetro, vidi il suo riflesso che si asciugava una lacrima in fretta.
Volevo proteggerla, impedire che soffrisse, ma capivo che in quel momento era lei stessa a infliggersi il dolore. Pensai a Nathan, al modo in cui si comportava, e mi chiesi se Zoe avesse ragione a sospettare che non fosse del tutto onesto con Ember.
«Com'è Edward? Ti trovi bene con lui?» voleva cambiare argomento e alleggerire la conversazione.
«È un bambino eccezionale,» risposi con un sorriso sincero. Ed era vero.
Ember si lasciò scappare una risata quando mi fece quella domanda. «E Ian? Siete rimasti svegli fino alle cinque,» chiese con un tono malizioso, il che mi fece arrossire un po'.
«Cosa Ian?» risposi, cercando di mantenere un tono indifferente.
«Ammettilo, dai, è figo. Non ti piace?» mi stuzzicò.
«È un bel ragazzo, sì,» dissi, cercando di nascondere un sorriso. Avrei voluto aggiungere che suo fratello fosse molto meglio, ma temendo di farle un dispiacere, mi trattenni.
«Secondo me, è attratto da te,» aggiunse lei, con uno sguardo significativo.
«Difficile non esserlo,» scherzai, «Lo credo anche io, basandomi sui complimenti che mi fa.»
«Già, peccato che sia un po' attratto da tutte,» ribatté Ember, abbassando la voce come se fosse una confidenza. «Però per una botta e via non è male.»
«Ember, non voglio che la mia prima volta sia una botta e via,» dissi, sinceramente preoccupata.
«Io non riesco a crederci che te e quel manzo di Alan non abbiate fatto niente. Come hai fatto?»
«Ci abbiamo provato, ma lui era troppo indelicato e poi una volta era ubriaco e l'altra pure. Alla fine sono contenta che sia andata così,» spiegai frettolosamente.
Uscii dalla doccia avvolta in un asciugamano, uno intorno ai capelli e l'altro attorno al corpo.
«Roseee,» urlò Ember, «Hai oltrepassato i vent'anni, non puoi rimanere vergine a vita.»
«E cosa devo fare? Buttarmi addosso al primo che mi ritrovo davanti?» risposi, non senza un pizzico di sarcasmo.
Aprendo la porta del bagno, trovai Ian proprio lì, fermo davanti a me. I suoi occhi scivolarono sul mio corpo, e mi sentii vulnerabile. Alzò le braccia in un gesto che voleva essere una sorta di invito. «Se vuoi, io sono disponibile,» affermò sicuro.
Non sapevo fino a che punto avesse sentito, ma speravo che si fosse perso gran parte della conversazione.
Mi coprii la faccia con le mani per l'imbarazzo. Dovevo smetterla di trovarmi in queste situazioni umilianti con lui.
Credo che in quel momento abbia capito che avevo oltrepassato il limite della vergogna, così non indugiò oltre e se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle.
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