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Capitolo 8 - Una notte insolita




La serata non era stata niente di speciale, così decidemmo di andare via. Nathan si offrì di guidare, dato che era l'unico tra noi a non aver bevuto. «Vi accompagno a casa e poi torno da Ian a dormire,» disse, lanciando uno sguardo verso Ian, che annuì con un cenno.

«Perché non rimanete anche voi?» propose Ian, rivolgendosi a me e a Ember con un tono casuale.

Ember si voltò verso di lui con un grande sorriso, e rispose subito di sì, poi mi guardò, cercando il mio consenso. Esitai per un attimo, non ero abituata a passare la notte a casa di ragazzi che conoscevo appena.

Erano già le due del mattino, e tutto quello che desideravo era un letto comodo dove potermi stendere. Sentivo la stanchezza ormai, e il pensiero di un letto confortevole era l'unica cosa che mi teneva sveglia dopo quella giornata lunga. Erano passate ormai più di ventiquattro ore da quando non dormivo veramente.

L'idea di dovermi preparare per il mio primo giorno di lavoro il mattino dopo mi preoccupava, e lo dissi a Ian. «Non lo so, domani devo stare con Edward,» mormorai, incerta.

Ian scrollò le spalle, come se non fosse un problema. «Sei già da me, avrai meno strada da fare domani,» rispose con un tono pratico che mi fece sentire sciocca per aver esitato. I miei vestiti erano ancora umidi per il bagno in piscina, e il freddo mi faceva rabbrividire. Ember mi rassicurò che sarebbe andata lei a prendere qualcosa di pulito per me la mattina seguente. Alla fine, mi lasciai convincere e accettai.

La strada per arrivare a casa di Ian fu sorprendentemente breve. Menlo Park era così ben organizzata che le distanze sembravano quasi irrilevanti. Ogni tanto mi chiedevo perché ci ostinassimo a prendere la macchina per spostarci, quando a piedi avremmo impiegato solo una mezz'ora. Mi stavo affezionando a quella cittadina, per quanto poco ne avessi visto.

Ogni volta che la macchina svoltava in una via nuova, mi sforzavo di memorizzarla, come se volessi mappare quel piccolo mondo nella mia mente. Le luci soffuse delle case e la tranquillità delle strade mi facevano sentire come se appartenessi a quel posto, anche se in realtà ero solo di passaggio.

Non appena mettemmo piede in casa, Ian pronunciò un nome, «Zoe». La vidi seduta sullo sgabello del bancone della cucina, con le gambe a penzoloni e la testa appoggiata a una mano. Il suo gomito affondava nel tavolo come se reggesse troppo peso.

«Ian, non so cosa sia successo oggi, ma tuo fratello era troppo agitato e non sono riuscita ad addormentarlo.» Le sue parole sembravano una scusa, ma la sua voce tradiva un sottile fastidio. Ian, senza dire altro, si diresse subito nella camera di Edward, lasciandomi con Ember e Nathan che la salutarono distanti.

Cercai di essere educata e mi presentai, ma notai subito un cambiamento nella sua espressione. Il suo volto si incupì, e un'ondata di disagio mi travolse, proprio come era successo prima in piscina. Non potevo fare a meno di chiedermi se anche lei fosse stata coinvolta nei suoi intrecci amorosi. L'idea mi lasciava un retrogusto amaro.

Quando Ian tornò, il suo viso era teso. Disse che Edward non gli aveva rivolto parola, quasi con un tono di frustrazione. Mi offrii di provare a parlare con il bambino, e lui mi lasciò fare. Entrando nella camera, lo trovai seduto sul letto, gambe incrociate e mani poggiate sui piedi. Aveva lo sguardo basso.

«Che succede?» domandai con una voce che cercava di essere dolce e rassicurante, ma non ottenni alcuna reazione.

Sentivo che avrebbe parlato solo se avessi trovato qualcosa che lo interessava davvero.

«Beh, vorrà dire che non ti proporrò quello che avevo in mente,» dissi alzandomi lentamente, cercando di non far rumore. Mi spostai verso la porta, fingendo di andarmene.

Come previsto, Edward alzò di scatto la testa, curioso di sapere se stessi per lasciarlo solo.

«Andiamo a fare due tiri a pallone?» suggerii con la speranza di strappargli un sì.

«È tardi, e Ian è arrabbiato.» La sua voce era bassa, quasi timorosa, ma mi colpì il fatto che avesse parlato.

«Ci penso io a lui,» dissi con un sorriso.

Vedere che finalmente si era aperto, anche solo un po', mi riempì di una strana felicità. Gli feci cenno di aspettare il mio richiamo, e lui rispose con un sorriso largo.

Tornai in cucina, dove trovai Ian impegnato in una conversazione con Zoe. Lei si lamentava del tempo che aveva passato ad aspettarlo e di come sperasse di dormire insieme.

Ian le spiegò che Nathan sarebbe rimasto a dormire da lui, quindi non sarebbe stato possibile. Ma Zoe, con un tono quasi provocatorio, replicò: «Quando mai è stato un problema lui? Secondo me, se glielo proponessi, potremmo fare anche una cosa a tre.»

Le sue parole mi fecero rabbrividire, e vidi Ian scuotere la testa, visibilmente imbarazzato perché proprio in quel momento, mi affacciai dalla porta, grattandomi la testa.

«Ehm... volevo solo dirti che sto uscendo con Edward a fare due tiri a pallone e non dirmi di no, non è una domanda.» La mia voce uscì più sicura di quanto mi sentissi.

Ian mi guardò, prima corrugando le sopracciglia, poi scoppiò a ridere. Non mi aspettavo quella reazione e rimasi sorpresa.

Per alleggerire l'atmosfera, iniziai a fare il verso dell'uccello Cappuccino, ripetendo frasi ridicole come: «La minaccia è dalla nostra parte. Bomba fuori uso. Esci dalla tana. Andiamo in giardino.»

Edward, sentendo quelle parole, scattò come una molla, precipitandosi verso la porta. Si infilò le scarpe con una rapidità sorprendente e corse in giardino.

Mentre lo seguivo, sentii Ian dire a Zoe: «Continuiamo un'altra volta questa conversazione. Devo andare da mio fratello.» Il tono della sua voce era definitivo, lasciando a lei la decisione di andarsene o aspettare un qualcosa che probabilmente non sarebbe mai accaduto.

Presi la palla e la lanciai a Edward, mentre Ian si dava da fare a prenderla, facendo finta di non riuscirci. Le nostre risate riempivano il vicinato, e per un po' tutto sembrava normale. Edward era un bambino vivace, e non sembrava avere alcun problema in quel momento.

Mi chiedevo se forse avesse solo bisogno di più attenzioni, se i suoi genitori fossero troppo distanti, o se Ian non riuscisse a comunicargli l'affetto di cui aveva bisogno. Non volevo giudicare, ma la rapidità con cui era cambiato il suo comportamento mi colpiva.

Ian mi distolse dai miei pensieri quando, notando il mio tremore, mi chiese se avessi freddo. Annuii, ma mi accorsi che lui stava fissando i miei seni. I capezzoli erano induriti dal vento e dal freddo e d'istinto mi portai le mani al petto coprendoli.

Immediatamente sentii il viso scaldarsi, e notai che Ian se ne accorse. «Ho già visto dei capezzoli, anche senza maglia, non preoccuparti,» disse ridendo.

Edward si accorse della conversazione e iniziò a ridere pronunciando di continuo la parola tette. Mi imbarazzai più del dovuto, anche perché un bambino di sette anni mi stava prendendo in giro.

Ian mandò Edward in casa a prendere una felpa e, mentre il bambino si affrettava verso la porta, si avvicinò a me.

«Sei incredibile,» gli dissi, sedendomi sui gradini con le ginocchia al mento.

Lui si sedette accanto a me e non poté fare a meno di ridere quando arrossii ulteriormente. «Mi piace quando sei a disagio,» disse, divertito.

Finalmente tornò con la felpa e poi andò di nuovo in casa, su consiglio del fratello, a lavarsi i denti e a mettersi il pigiama.

«Rose, vorrei chiederti un favore,» iniziò Ian con una certa esitazione. «So che domani è solo il tuo primo giorno e che potresti avere impegni, ma ho dei clienti lontani e potrei fare tardi. So anche che non sei una babysitter e che puoi dirmi di no, ma mio fratello sta così bene con te e non ti conosce nemmeno. Mi farebbe piacere se potessi rimanere con lui.»

Mi fece piacere sapere che Edward sembrava a suo agio con me, anche se non riuscivo a capire se fosse questo il motivo per cui Ian mi chiedeva di restare.

«Vuoi che stia con lui perché davvero vedi che gli piaccio o perché la tua serata con Zoe è finita male?» chiesi, non potendo fare a meno di esprimere i miei dubbi.

Ian sgranò gli occhi, come se non si aspettasse la mia interrogazione. «Entrambe,» rispose secco, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Mi sentii un po' confusa non aspettando la sua sincerità. «D'accordo,» dissi, non sapendo come reagire alla sua risposta.

«Di fronte a te mi vergogno un po' di essere così come sono, di stare con tutte e con nessuna, perché tu non sembri il tipo.»

«Già,» risposi, sentendo un leggero imbarazzo nel mio tono.

«Però questo sono, perciò se potessi non giudicarmi con lo sguardo.»

Mi accorsi di aver assunto un'espressione strana, e misi le mani sulla bocca, cercando di nascondere il mio viso. «Non ti giudico,» tentai di mentire. «È solo che...»

Non mi lasciò finire. «È solo che mi giudichi.»

«Sì, è vero,» ammisi. «Un po'.»

Poi continuò, «So cosa hai sentito in cucina, ma Ember è una mia amica. Non le farei mai niente di simile e sinceramente, se Nathan dovesse mai tradirla, starei dalla sua parte. Per favore, credimi.»

La frase squallida di Zoe mi tornò in mente. «Come fanno a piacerti tutte le ragazze che vogliono farsi sia te che i tuoi amici o addirittura se li sono fatti?»

«Chi ha mai detto che mi piacciono?» ribatté Ian.

«Allora perché vai con loro?» chiesi.

«Perché è solo un bisogno fisiologico. Niente cuore,» spiegò con un tono distaccato.

«Non credo che per loro sia così.»

«All'inizio sì, poi dopo diventano tutte strane. È proprio lì che smetto di parlarci.»

Mi sembrava strano quanto poco sentimento mettesse in quelle parole. Da un lato, Ian era un fratello premuroso e un amico unico. Dall'altro, sembrava un tipo che prendeva in giro le ragazze, usando il loro affetto per poi allontanarle una volta che si affezionavano. La contraddizione mi turbava, e mi chiedevo come qualcuno potesse essere così diviso tra due nature così opposte.

Ember e Nathan rimasero in camera per la maggior parte del tempo. Quando ci sentirono rientrare, sbucarono dalle porte socchiuse per darci la buonanotte. Ian mi prestò un pigiama e finalmente mi sistemai comoda.

Mentre camminavo lungo il corridoio, incrociai Ian che mi fissava dall'alto in basso. Sentivo il suo sguardo su di me come se stesse analizzandomi.

Avevo addosso i suoi pantaloncini del pigiama e le mie gambe erano in bella vista, tanto che non riuscivo a distogliere lo sguardo. Lui non cercava di nascondere l'osservazione; anzi, sembrava intenzionato a farmi sentire a disagio. Tossii per attirare la sua attenzione.

«Avrai visto anche delle gambe, immagino?» chiesi, cercando di mantenere un tono casuale.

«Sì,» rispose lui, «solo che alcune sono più belle di altre.»

E di nuovo un tentativo di mettermi in soggezione. Ma cambiò discorso quando notò che non stavo più parlando.

«Vado da Edward a leggergli qualcosa prima di metterlo a letto.»

«Vado io» affermai. Io avrei potuto dormire un po' di più finché suo fratello non si fosse svegliato. Lui, invece, sarebbe dovuto andare a lavoro presto ed erano già le quattro e mezza.

Ian si occupò di preparare il mio letto in una delle stanze, riempiendolo di coperte, e mi indicò dove trovare il libro in camera di Edward. Andai verso la porta della stanza del bambino e la aprii lentamente. Edward era già seduto nel letto, aspettando.

«Va bene se sono io a leggerti la favola questa sera?» chiesi con un sorriso e lui annuì felice.

Non ricordo per quanto tempo continuai a leggere. La mattina dopo, quando mi svegliai, il libro era ancora in mano e Edward era addormentato accanto a me.

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