Capitolo 4 - Riscoprire l'intesa
Finalmente dopo una lunga nottata, ci imbarcammo sull'aereo. Seduti ai nostri posti con la cintura allacciata, l'assistente di volo annunciò che eravamo pronti per il decollo.
Strinsi le mani intorno al bracciolo, perché fin da piccola avevo sempre avuto la paura dell'altezza. Nolan mi guardò con nostalgia, aveva capito al volo il mio disagio. Mi chiese se fosse sempre quel vecchio problema, così annuii. Propose di chiacchierare per distrarmi l'attenzione e mi strinse forte la mano.
Iniziai a raccontargli del venerdì precedente, di essere stata al Robin's con i suoi genitori e con i miei e non appena avevo messo piede lì dentro, sentii la mancanza sua e di Ember; avrei voluto che non si fossero mai trasferiti.
Mentre l'aereo iniziava a decollare, gli menzionai di quando giocavamo nella casetta di legno, sotto il scivolo: avevo cinque anni e facevamo finta di sposarci, con sua sorella che ci faceva da prete. Gli dissi che avevo sognato per molti anni di sposarlo, veramente.
La sua reazione fu deludente, perché rise, ma senza indugiare sull'argomento.
Tra un ricordo e l'altro, non mi resi nemmeno conto di essere già oltre le nuvole.
In pochissime ore, Nolan era di nuovo il mio migliore amico, l'unico che avessi mai avuto. Quando si era trasferito a Menlo Park, avevamo continuato a parare per alcuni mesi, finché lui trovò la ragazza. Forse per l'età, o per la sua gelosia, perché la amava, aveva smesso di parlarmi.
Ember aveva continuato a tenermi aggiornata sulla vita di Nolan, nella speranza che lui ricominciasse a parlarmi e che io non lo dimenticassi. Dopo un anno, però, la situazione era rimasta immutata e decisi di non voler più sapere nulla sul conto di Nolan Parker.
Pensando al passato, sentii stringersi un nodo in gola e gli occhi mi si inumidirono. Nolan se ne accorse immediatamente e mi chiese a cosa stessi pensando. Senza mentire, gli raccontai di quella volta, di come mi fossi sentita tradita, di quanto avessi sofferto, e che ora, dopo solo poche ore insieme, tutto sembrava tornato come prima. Lo percepivo come un tempo, lo osservavo con gli stessi occhi di allora. Era come radicato nel mio cuore, nonostante per anni avessi creduto di averlo dimenticato.
Lui rifletté per un attimo e poi mi chiese perdono. Mi confidò di essere stato con Olivia per alcuni mesi e di essersi lasciato con lei perché aveva tentato di avvicinarsi al suo migliore amico. Dopo un'altra breve riconciliazione, si erano definitivamente lasciati.
Da quando sua sorella era arrivata in città, Olivia aveva iniziato a girare intorno a lei. Erano diventate amiche, ma a lui non importava più.
Di seguito a quel periodo, Nolan aveva provato a vergogna nel contattarmi o nel darmi sue notizie, anche perché sua sorella gli aveva detto che non volevo più avere nulla a che fare con lui.
Si scusò nuovamente, ma non ce n'era bisogno: lo avevo già perdonato dal momento in cui era sceso dal taxi. Mi era mancato Nolan, e solo allora mi resi conto di quanto.
L'aeroporto di San Francisco mi accolse con un'aria di frenetica attività. I passanti si muovevano velocemente e le famiglie si riunivano con abbracci calorosi.
Le indicazioni per l'uscita erano chiare, ma il percorso sembrava interminabile.
Nolan aveva lasciato la macchina in aeroporto, durante la settimana trascorsa a Seattle. Appena vidi la sua auto, mi resi conto che le valigie non avrebbero avuto posto là dentro.
«Come faremo con i bagagli?» chiesi, trattenendo una risata.
«Non ti preoccupare, Rose,» rispose risoluto, «me la cavavo a Tetris.»
Riuscì a incastrare due delle mie valigie e la sua nel portabagagli, ma rimaneva ancora una valigia e gli zaini.
«Se mi siedo sopra la valigia, pensi che conti come posto a sedere?» chiesi mentre ridevo e cercavo di trovare un equilibrio con gli zaini infilati vicino ai piedi e la valigia in braccio.
«Beh, se ti allacci la cintura di sicurezza, direi di sì» scherzò Nolan mentre chiudeva il portabagagli con un colpo deciso.
Si schiarì la voce e continuò. «E comunque sono proprio fiero della mia Shelby, sta dimostrando di essere più spaziosa di quanto pensassi.» Diede due colpetti sulla capote. Piegò la testa per entrare in macchina e mi vide sommersa dai bagagli.
«Forse avremmo dovuto noleggiare un camion» risi della mia stessa battuta.
«O più semplicemente, avresti potuto portare meno roba con te» obbiettò.
L'aeroporto era a soli trenta chilometri di distanza dalla loro casa. Ci avremmo impiegato davvero poco ad arrivare, se Nolan non avesse deciso di prendere il ponte di San Mateo e passare dall'altra parte della baia, per poi tornare sul ponte Dumbarton.
Il paesaggio era artistico; le montagne in lontananza che creavano uno sfondo impreciso e l'acqua sotto la strada rendeva tutto surreale e sublime. L'autostrada era ampia e carica di corsie, anche se le automobili erano poche, sicuramente meno rispetto a Seattle.
«Senti,» disse rompendo il silenzio, «so che ci sarà tempo per vedere la baia in modo più comodo, senza una valigia in braccio, ma volevo che avessi delle belle immagini. È bello quando arrivi in un posto nuovo e hai subito dei bei ricordi.
Nolan era stato davvero premuroso. Mi aveva reso la persona più felice del mondo. Nonostante avessi fatto un'ora di tragitto con venti chilogrammi addosso, invece di venti minuti, fu meraviglioso, ogni curva della strada, ogni scorcio del paesaggio, rimasero indelebili nella mente.
«Grazie,» si voltò per un attimo nella mia direzione, «lo dico davvero. So quanto sei stanco perché non hai dormito.»
«L'oretta di sonno in aereo mi ha risvegliato,» mi rispose rassicurante. «E poi volevo che vedessi quanto è bello qui.»
Mentre ci avvicinavamo a casa, ero sempre più entusiasta di vedere Ember, ma avevo paura di perdere Nolan di nuovo, come se quell'intimità creata in poco tempo, potesse svanire in una notte di troppo.
Arrivati a casa, Ember si precipitò fuori, aprì la portiera e cercò di tirare fuori la valigia con tutte le sue forze, ma nel farlo scivolò con il bagaglio sul marciapiede. La scena fu così comica che entrambe scoppiammo a ridere. Mentre lei rideva a terra, spostai la valigia e le tesi la mano per aiutarla a rialzarsi.
Ci abbracciammo così forte che quello mi sembrò essere il momento più bello della giornata, anche se, tutti i gesti premurosi di Nolan avevano già toccato il mio cuore in modo speciale.
«Non hai idea di quanto sia felice che tu sia qui. Finalmente ti farò conoscere anche Nathan dal vivo.»
Nathan era il fidanzato di Ember; l'avevo visto varie volte su Facetime e ci avevo parlato, ma non lo aveva mai portato con sé a Seattle.
Nolan ci incalzò a entrare in casa e fu proprio in quel momento che prestai attenzione alla struttura, rustica e accogliente, con un porticato che conferiva un calore speciale.
Ember mi accompagnò al piano di sopra e mi mostrò la mia stanza, l'ultima in fondo al corridoio proprio in ordine dopo la sua e quella di Nolan. Dalla finestra, il giardino curato e l'erba appena tagliata offrivano una vista piacevole.
La felicità che provavamo entrambe era così intensa che non riuscivamo a esprimerla a parole. Ci abbracciammo di nuovo, saltellando per l'eccitazione. Nolan ci sorprese in quel momento e, ridendo, lasciò le valigie all'ingresso della camera.
«Vado a dormire, domani mattina inizio il turno e ho bisogno di recuperare qualche ora di sonno» annunciò e si diresse verso la sua stanza e, mentre si voltava per l'ultima volta verso di noi, gli mimai un altro grazie con le labbra.
Tornammo al piano di sotto per non disturbato ed Ember iniziò a raccontarmi i piani per il giorno stesso. La nostra prima tappa sarebbe stata la visita al piccolo Edward per conoscerlo. La sera, Nathan si sarebbe unito a noi e poi saremmo andati a una festa.
Annuii anche se leggermente stanca.
«Cos'hai? È stato mio fratello? Ti ha detto qualcosa?» chiese impaziente Ember.
«No, no. È solo un po' di stanchezza e lo stress per le bugie» la tranquillizzai, prima che i suoi pensieri potessero catapultarsi in qualcosa di insensato.
«Ma... Sei riuscita a perdonarlo? Avete fatto pace?» abbassò la voce, affinché lui non sentisse. Probabilmente stava già dormendo, ma lei preferì esserne sicura.
«Per me è sempre stato Nolan, lo sai. È sempre rimasto qui» le indicai la parte sinistra del petto.
Dopo che Ember mi chiese se avessi fatto pace con suo fratello, tentennò un po' prima di decidersi a raccontarmi tutto. «Ti spiego,» disse, «mio fratello è uno dei migliori amici di Nathan e spesso usciamo insieme. Stasera non credo che venga, perché domani inizia il lavoro e il turno alle sei del mattino, e penso che voglia riposare prima di andare. Non verrà alla festa, però sarebbe stato strano se voi due non vi foste parlati. Sono così contenta, Rosalie.»
Passammo il resto della mattinata a raccontarci delle rispettive esperienze universitarie, dei compagni di corso e a spettegolare sulle ragazze che se la tiravano. Ember, pur appartenendo più alla categoria di quelle belle e un po' vanitose, era ben consapevole della sua posizione, cosa che mi divertiva. Preparammo il pranzo insieme, scambiandoci aneddoti che già conoscevamo, dato che io ed Ember ci sentivamo quasi tutti i giorni.
«Aspetta un attimo,» si bloccò Ember all'improvviso, girandosi verso l'orologio appeso in cucina, «dobbiamo andare a svegliare Nolan, altrimenti stanotte non dormirà più. Inoltre, ci deve accompagnare, perché la mia macchina è dal meccanico. Puoi andarci tu, così finisco io di preparare gli hamburger?»
Accennai un sì con un sorriso e mi avviai verso la stanza di Nolan. Aprii la porta con cautela, cercando di non fare troppo rumore. Nolan era profondamente addormentato, il suo respiro regolare e il volto rilassato. Mi avvicinai al letto e, con delicatezza, posai una mano sulla sua spalla, scuotendolo leggermente.
Quando iniziai a scuoterlo, Nolan aprì gli occhi all'improvviso e, con un'espressione birichina, urlò "BOO!" per spaventarmi. La sua voce improvvisa mi fece trasalire e, senza volerlo, iniziai a urlare anch'io. Nolan scoppiò a ridere, divertito dal suo stesso scherzo.
Mi sentii sciocca per essermi lasciata spaventare così facilmente, ma non potei fare a meno di sorridere di fronte al suo divertimento. «Sei proprio un bambino,» affermai, cercando di nascondere il mio sorriso dietro un'espressione severa.
Ancora ridendo, Nolan si stiracchiò e si sollevò dal letto. «Scusa, non ho resistito,» abbozzò un sorriso malizioso. «Era troppo divertente.»
«Vieni, alzati,» gli dissi, scuotendo la testa ma con un sorriso divertito. «Ember ha bisogno che ci accompagni, la sua macchina è dal meccanico.»
Appena si alzò dal letto, notai subito che fosse in mutande. Imbarazzata, mi girai di scatto e mi avviai verso la porta velocemente. Lui, con tono scherzoso, urlò: «Non devi vergognarti!»
Poi, con una risata maliziosa, aggiunse: «Ah sì, non ne hai mai visto uno.»
Sbattei la porta uscendo dalla sua camera, ma potei ancora sentirlo ridere e urlare mentre mi avviavo giù per le scale: «Almeno dimmelo, ne hai mai visto uno?»
Non risposi, il cuore che batteva più veloce per l'imbarazzo. Ember, che stava ancora preparando gli hamburger, mi guardò con un sorriso complice. «Tutto ok?» mi chiese, sollevando un sopracciglio.
«Sì, sì, tutto bene,» risposi, cercando di nascondere il rossore sul mio viso. «Nolan si sta preparando, tra poco sarà giù.»
Passammo qualche minuto in silenzio, mentre aiutavo Ember con il pranzo. Il mio cuore batteva ancora forte, ma non potei fare a meno di sorridere, pensando a quanto mi fosse mancato quel lato giocoso e spensierato di Nolan.
I sentimenti che Nolan mi creava erano contrastanti. Da un lato, mi sentivo imbarazzata per le sue battute audaci, ma dall'altro, non potevo fare a meno di divertirmi. Sapevo che le sue intenzioni erano genuine, che quei commenti scherzosi erano semplicemente il suo modo di farmi sorridere e stemperare la tensione.
Quando Nolan arrivò in cucina, indossava un paio di pantaloncini corti che mettevano in risalto le sue gambe muscolose e una canotta che faceva lo stesso con le sue braccia possenti.
Era sempre stato un bel ragazzo, e io lo avevo sempre visto con gli occhi della migliore amica della sorella, quella che non avrebbe mai avuto una possibilità. Nolan era più grande di me e non mi aveva mai considerata in quel modo. Era sempre stato il fratello maggiore, almeno dal suo punto di vista.
Senza esitazione, prese i piatti e iniziò ad apparecchiare, aiutando sua sorella come se fosse una routine consolidata tra loro. Mise i tovaglioli piegati vicino ai piatti e sistemò le posate sopra di essi. Mi faceva strano vederlo in quel ruolo domestico, ma allo stesso tempo era tenero osservare la complicità tra lui e Ember.
Ci sedemmo a tavola e iniziammo a mangiare. Non sono mai stata capace di mangiare senza sporcarmi, e presto le salse iniziarono a colarmi sul mento, bagnando le dita.
Continuavo a pulirmi con il tovagliolo, ma senza successo. Nolan scoppiò a ridere, sputando involontariamente un pezzo di cetriolino.
Ember, vedendo la scena, scoppiò a ridere anche lei, e presto ci ritrovammo tutti e tre a ridere così tanto che il pranzo durò molto più del previsto.
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