Capitolo 3 - Confidenze notturne
Nolan propose di andare a mangiare qualcosa nel lounge dell'aeroporto. La sua carta di credito oro, ci aveva permesso di accedere gratuitamente entrambi.
Quel posto era un'oasi di tranquillità in mezzo al caos del terminal. Arredato con eleganza, le sedie in pelle nera e i divani spaziosi erano disposti in modo da garantire la privacy di ciascun viaggiatore. Le luci soffuse creavano un'atmosfera rilassante e le ampie finestre offrivano una vista panoramica delle piste, con aerei che decollavano e atterravano incessantemente.
Il buffet era un tripudio di colori e sapori. Tavoli lunghi coperti da tovaglie verdi, immacolate, erano colmi di piatti: frutta fresca, insalate, sushi, formaggi assortiti, fritture e una selezione di dolci che sembravano appena usciti da una pasticceria di lusso.
Il bar era altrettanto impressionante, con una vasta selezione di liquori, vini e cocktail.
Ci dirigemmo verso il buffet. Iniziai a prendere tutto quello di cui avessi voglia, riempiendo il piatto di tutte le fritture possibili, di antipasti e frutta.
«Hai intenzione di mangiarti tutta quella roba?» Nolan scoppiò in una risata.
«Non sai con chi hai a che fare» risposi, indicandogli la pancia
Si alzò per andarsi a prendere qualcosa da bere, e senza chiedermi quello che volessi, prese anche per me la stessa cosa.
Una volta seduti entrambi al nostro tavolo, mandammo un messaggio ai nostri genitori, dicendo loro che ci stavamo imbarcando e che da lì a poco saremmo partiti. Il piano funzionava perfettamente.
Mentre mangiavo, osservavo tutti gli aerei che partivano, immaginandomi dove fossero diretti e quali fossero le storie dei viaggiatori.
Quando mi sentii abbastanza sazia, mi dedicai di nuovo a Nolan.
«Hai intenzione di dirmi qualcosa su di te? Com'è la vita in ospedale? L'università è stata difficile?» chiesi impaziente.
«Reputo la mia vita perfetta,» addentò il suo panino, «proprio come l'ho sempre sognata» annuì mentre masticava. «Forse, a volte mi sento un po' solo, ma mi ci sono abituato. L'università è stata dura, ma non mi ha cambiato, credo invece di aver iniziato a bere un po' troppo in quel periodo.» Ridemmo entrambi.
Presi un sorso del succo che Nolan mi aveva portato, era davvero buono, così decisi di berlo come se fosse acqua. Il cibo fritto mi aveva fatto venire una gran sete. Quando finii il bicchiere, Nolan molto premuroso, me ne portò un altro.
«Ora so che non solo mangi tanto...»
Risi alla sua battuta, ma iniziai in qualche modo a sentirmi un po' strana.
«Perché ti senti solo?» non diedi molta importanza a quella sensazione.
«Non ho davvero una persona con cui pensare di costruire una famiglia. Ormai ho ventotto anni e la mia carriera mi occupa decisamente troppo spazio. Inoltre, le ragazze che ho incontrato non sono state poi così serie. Faccio quello che fanno tutti.»
Mi domandai subito se in ospedale prendessero vita davvero le storie d'amore che ho visto nelle serie tv, come in Grey's Anatomy, ma trattenni la domanda per non sembrare troppo invasiva.
«E tu? Hai il ragazzo?» mi chiese lui con fare disinvolto mentre infilava la cannuccia in bocca.
Avevo iniziato a sentirmi le mani formicolare e a vedere le persone doppie.
«Non mi sento molto bene, ho il vomito e mi sento un po' agitata.»
«Da quanto non bevi?» le sopracciglia gli si incurvarono in alto incuriosite
«Bere cosa?» chiesi, cercando sensibilità nelle labbra.
«Alcol» il suo tono voleva dimostrare quanto fosse ovvia la domanda e gli risposi nello stesso modo: «Da mai» allungando l'ultima lettera.
Quando confessai a Nolan che non avevo mai bevuto prima, inizialmente rimase un po' sorpreso. Poi vedendomi brilla, scoppiò in una risata incredula.
Le sensazioni che provavo mentre l'alcol cominciava a fare effetto erano nuove. La testa mi girava leggermente, come se mi trovassi su una giostra che si muove lenta e costante. Il mondo intorno a me sembrava più morbido, i contorni delle cose erano meno definiti. Ogni colore sembrava più vibrante e le luci soffuse erano diventate ormai ipnotiche.
Sentivo le guance riscaldarsi, così mi guardai attraverso la vetrata e notai quanto fossi rossa in viso. Un lieve formicolio prendeva le mie gambe, come se avessi appena finito una faticosa corsa. La mia mente era in uno stato di leggerezza che non avevo mai provato.
Era una sensazione di euforia mista a un lieve disorientamento. Ogni risata di Nolan sembrava più amplificata e il suona della musica di sottofondo stava quasi svanendo.
«Dai, sul serio? Quanti anni hai?» chiese, cercando di smettere di ridere, ma senza successo.
«Ventuno» risposi secca
«Lo so» serrò le labbra e scosse la testa disapprovando. «Se fossi rimasto in città a quest'ora saresti stata un'altra persona.»
Scrollai le spalle, cercando di essere indifferente, ma mi incuriosì particolarmente in che cosa sarei stata diversa se lui fosse rimasto a Seattle.
«Hai mai fatto sesso, almeno?» si sfregò le mani nell'attesa della risposta.
«Nolan!» gridai, ma a bassa voce.
«Okay, lo prenderò come un no» i suoi occhi azzurri divennero maliziosi
«Smettila! Ti sembra il luogo e il momento di parlarne?» gli domandai, sentendo le guance bruciare
«Beh, se non altro, sono intrappolato in un aeroporto per altre... » alzò il polso sinistro per guardare l'orologio, «cinque ore, dopo aver mentito ai miei e con te ubriaca» fece una smorfia strana, come se fosse ironicamente soddisfatto. «Oh, e tra un'ora teoricamente dovrei essere all'aeroporto di San Francisco.»
Battemmo entrambi le mani sul tavolo mentre ridevamo, come eravamo soliti fare da piccoli.
«Non è così terribile il fatto che io non abbia mai bevuto.»
«E neanche fatto sesso» aggiunse lui.
«Nolan!» esclamai di nuovo, imbarazzata.
«Sì sì, ma sappi che qualsiasi cosa di nuovo succeda nella tua vita, è meglio se succede con me, almeno mi assicuro che tu non faccia troppe stupidaggini» la sua voce era maliziosa e sicura, e non ci ero per niente abituata.
«Come se ne facessi di solito» alzai gli occhi al cielo. Poi improvvisamente mi resi conto di quello di cui stava parlando. Avevo appena bevuto con lui per la prima volta. Quindi qualcosa di nuovo poteva essere solo... il sesso.
«Nolan!» questa volta gridai un po' troppo, perché alcune persone si girarono verso di noi.
Il momento di imbarazzo passò rapidamente, perché per quanto le sue battute fossero insinuanti, la sua sicurezza e il suo modo di fare riuscivano a mettermi a proprio agio. Era come se la sua presenza avesse un effetto calmante, facendomi dimenticare le mie inibizioni.
Nolan si scusò e si allontanò un attimo per fare una telefonata. Lo vidi alzarsi dal divano con un movimento fluido e la sua espressione concentrata mentre tirava fuori il suo telefono dalla tasca. Si passò una mano tra i suoi capelli per sistemare una ciocca ribelle dietro l'orecchio, prima di appoggiare il telefono ad esso.
Camminò lentamente verso una zona più tranquilla del lounge, la sua postura era dritta e sicura. Notai le sue spalle rilassarsi leggermente mentre parlava, il suo corpo oscillando appena da un piede all'altro. Conversava e gesticolava, dando enfasi al discorso.
A un certo punto, inclinò la testa di lato, ascoltando attentamente la persona dall'altra parte della linea. Poi, annuì più volte, si passò la lingua sulle labbra e abbozzò un minuscolo sorriso tirato, come se cercasse di rassicurare l'interlocutore.
Nolan iniziò a riavvicinarsi, segno che la chiamata stava finendo. Infine, chiuse con un «Grazie, ci vediamo appena torno» e fece un respiro profondo.
«Ho chiamato l'ospedale,» mi informò, «avevo un turno domani mattina presto e non riuscirò ad andarci, ma recupererò con uno da quarantotto ore.»
«Quarantotto?» chiesi incredula. «È assurdo stare così tanto in ospedale. Come fate a essere lucidi e poter operare?»
Mi sorrise, anche se visibilmente stanco. «È parte del lavoro. Facciamo quello che dobbiamo fare. Non credere, però, in quelle ore riposiamo anche.»
Non potei fare a meno di pensare quanto fosse impressionante il suo lavoro. Stare in ospedale, affrontare turni estenuanti e dormire pochissimo: era un sacrificio immenso. Per un secondo lo immaginai camminare per i corridoi dell'ospedale, con il viso un po' esausto, ma determinato.
Erano già passate le undici e tra l'emozione del viaggio e l'effetto dell'alcol, cominciavo a sentirmi davvero sfinita.
«Che ne dici se ci spostassimo sui divani?» Indicai quello più vicino a noi.
Lui annuì comprensivo. «Vieni, vediamo se troviamo un angolo più tranquillo.»
Mi aiutò a raccogliere le mie cose e ci dirigemmo verso una zona del lounge un po' più tranquilla. Mi lasciò scegliere e il posto e mi sedetti con un sospiro di sollievo, quasi come se mi fossi buttata sul letto di casa mia.
Nolan si sistemò accanto a me, poggiando un braccio sullo schienale del divano. «Sei proprio a pezzi, eh? Dovresti riposare un po' mentre aspettiamo.»
«Lo so,» risposi, chiudendo gli occhi per un momento. «È solo che è stata una giornata carica e l'alcol sicuramente non ha aiuto, ma non voglio lasciarti solo a sorvegliare le nostre cose.»
Nolan scosse la testa e mi guardò rassicurandomi. «Sono abituato a gestire la stanchezza.» Poi mi allungò il braccio. «Vieni qui.»
Mi sistemai comodamente sulla sua spalla e mi tenne stretta a lui, come se non volesse perdermi. Gli anni separati erano rimasti fermi nel tempo, lui era rimasto fermo nel tempo. Mi proteggeva come era solito fare quando eravamo piccoli, era ancora quel ragazzo che avevo promesso di sposare quando avevo cinque anni.
«Raccontami della tua specializzazione. Se tornassi indietro sceglieresti sempre questa?» chiesi nella speranza che la sua voce mi aiutasse ad addormentarmi.
Nolan sospirò profondamente. «Vedere quei bambini malati di cancro mi ha portato a non volere più figli; ho paura che potrebbe succedere anche al mio. Quando, però, riusciamo a curarli, provo una sensazione nel petto che non riesco a descrivere a parole. Sono solo bambini e, nonostante quello che attraversano, li vedo sempre sorridere, per la colazione e la cena, per un nuovo giocattolo, sono sempre felici.»
Si fermò per un momento, guardando il vuoto. «Quando vengono dimessi dall'ospedale, è come se un pezzo del mio cuore andasse via con loro. Anche se è il momento più bello in assoluto quello della dimissione, perché significa che hanno superato il peggio, mi mancano. Abbiamo un cartello in ospedale con tutte le foto dei bambini che ce l'hanno fatta e quelli che... Beh, non importa. Mi piace quello che faccio.»
Intravidi i suoi occhi lucidi e in un gesto sincero, se li strofinò con la mano per asciugarli, girando la testa altrove nel tentativo di non farsi vedere. Mi si strinse il cuore a vederlo così vulnerabile.
Durante tutto il racconto rimasi con la testa appoggiata vicino al suo collo, mentre la sua voce si mescolava con il suono caotico dell'aeroporto.
Nolan prese il mio telefono per scrivere ai miei che eravamo arrivati e che il viaggio era stato stancate. Fece lo stesso anche lui con i suoi.
Mentre ero in dormiveglia, sentii le sue dita accarezzarmi il braccio. Ogni tanto il suo sguardo si posava su di me e rimaneva immobile. Avvertii come la sensazione che volesse ricordarsi di quella sera per sempre.
Giocherellava con il telefono usando l'altra mano , alternando momenti in cui lo metteva via e momenti in cui lo riprendeva.
Aprii leggermente gli occhi per vedere cosa stesse facendo e mi accorsi che stava guardando delle foto di un bambino che gli aveva appena mandato un sua collega. "Stanotte è una bella nottata, ha sconfitto il cancro." Sentii la bocca di Nolan curvarsi in un sorriso.
Era strana quella situazione, non stavo abbracciata con un ragazzo dal primo anno del college, quando provai ad avere una relazione, ma le cose non andarono proprio nel verso giusto. Lui era sempre occupato, con altre, e io credevo a ogni bugia che si inventasse.
Alla fine, una mia amica l'aveva beccato con una e mi aveva riportato la foto. Da quel giorno, persi completamente la fiducia negli uomini e mi dedicai solo a me stessa.
Ma in quel momento, mi sentii sopraffatta dalle emozioni, quel senso di sicurezza così intenso e il conforto che mi stava trasmettendo, erano nuove per me. Sentivo il calore attraverso i vestiti e quei tocchi delicati che esercitava su di me, avevano un effetto calmante che mi cullava dolcemente.
Mise di nuovo il telefono in tasca, ormai spazientito dall'attesa. Portai il braccio intorno alla sua vita e lui capì che ero sveglia. Ero stanca, ma non ero riuscita a dormire nemmeno un secondo.
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