Photograph (Pov Ethan)
Ethan
Il via vai di gente dentro questa casa non si fermerà mai, e pensare che sono stato io a dare a mia sorella il via libera per organizzare una festa di Capodanno.
Che poi, che ci sarà mai da festeggiare nella fine di un anno e nell'inizio del successivo? Ok, è vero che forse lei ha qualcosa da festeggiare, ma per me, prima inizia il prossimo e meglio è. Voglio lasciarmelo alle spalle, questo anno schifoso.
Valle a raccontare a qualcun altro le stronzate, Ethan, mi rimprovera la voce della mia coscienza, alla quale non posso che dare ragione. Perché c'è una sola parte dell'anno che voglio dimenticare, e sono gli ultimi tre mesi e mezzo. Dalla mattina dopo la mia prima volta con Esther, quella mattina in cui, a causa mia, lei ha litigato furiosamente con suo padre, in poi.
Vorrei tornare indietro a quella mattina in cui l'ho lasciata da sola nel letto per litigare con mio padre, direi a lui che qualsiasi cosa abbia da rimproverarmi può aspettare, e ritornerei da lei, la terrei tra le mie braccia, per guardarla mentre si risveglia e dirle quanto è bella e quanto la amo.
Ma la verità è che indietro non si torna, e comunque le cose dovevano andare così. Non era ancora il momento perché io ed Esther formassimo una coppia stabile. Sarah ha ragione, siamo due ragazzi, con la maturità di due adolescenti, per quanto io mi ostini a sostenere il contrario. Ne ho avuto la conferma neanche un mese fa, quando ho lasciato che il lupo dentro di me avesse il sopravvento. Non riesco a gestire me stesso, come posso pretendere di attraversare indenne il percorso minato che è la vita di coppia?
Gioco con il talismano che mi è stato legato al collo quella mattina. Papà non mi ha ancora permesso di tornare a trasformarmi. Mi ha detto di prendermela con calma, di aspettare di sentirmi veramente pronto. Mi ha detto che non c'è fretta.
Ma probabilmente la verità è che l'ho spaventato. Che lui, come Sarah e come tutti, ha avuto paura di perdermi. E che non mi dirà mai che c'è bisogno anche di me, perché si stanno sfinendo con doppi turni di ronda, tutti quanti. Persino Sarah, da quando è tornata, ha ricominciato ad avere i suoi turni, indice di quanto sarebbe necessario anche il numero che costituisco io. Eppure sembrano tutti d'accordo nel tenermelo nascosto. Hanno paura che io non sia abbastanza forte. E forse hanno ragione.
«Ethan, mi daresti una mano?» la voce di Seth mi fa sobbalzare. Non mi ero accorto che si fosse avvicinato, perso com'ero nei miei ragionamenti.
«Sì, certo, cosa c'è da fare?»
«Portare il divano al piano di sopra, Alice sta facendo arrivare i mobili 'sacrificabili' da un deposito in Alaska»
«E saranno qui in tempo?»
«Non sottovalutare mai il potere del nome dei Cullen. E dei loro soldi, ovviamente» rido alla sua battuta, che poi è la verità, mentre ci avviamo a prendere il bianco divano che ha sostituito quello, altrettanto bianco, che ho distrutto meno di un mese fa.
«Dove dobbiamo metterlo?» chiedo.
«In camera di Edward, con tutto il resto del mobilio. E ricordati quello che hanno detto»
«Le camere da letto vanno chiuse a chiave. Non capisco perché ce lo debbano ricordare ogni volta che chiamano. Voglio dire, Sarah non ha invitato solo ragazzini arrapati»
«No, Sarah ha invitato metà del vostro anno del liceo. Ci sarà persino quello Scott. Ma stavolta, se prova a metterle le mani addosso, è morto»
«Ora capisco perché ce lo ricordano ogni volta che chiamano» ridacchio, un po' della sua faccia, un po' per l'effettiva soddisfazione che mi darebbe aiutare Seth a spezzare le ossa di quel porco che aveva osato pensare di portarsi a letto mia sorella senza il suo consenso.
«Sarah ha invitato anche Esther e i ragazzi dell'officina».
Il mio cuore perde un battito, mentre cerco una risposta che mi comprometta il meno possibile di fronte allo psicologo che cerca di farsi passare per amico, in questo momento.
«Ha fatto bene. Cosa hanno risposto?» butto lì, con malcelato interesse per la risposta che ha dato una sola dei tre che mi ha nominato prima Seth, che infatti sorride sornione, con l'aria di chi la sa lunga, mentre mi risponde, ovviamente iniziando dai due dei quali non mi frega niente.
«Tim e Adam hanno accettato immediatamente, non si lascerebbero mai scappare una simile occasione di conoscere nuove ragazze!»
«Motivo numero due per il quale Edward ci ricorda ogni volta di chiudere a chiave le camere da letto» borbotto tra me e me, mentre attendo che il lupo travestito da agnello mi dia l'informazione che voglio senza che io lo inciti. Cosa che non farà mai, perché lo psicologo che è in lui vuole che io pronunci quel nome che non lascia le mie labbra da quasi un mese, se non nel sonno, come mi ha detto Sarah. Sospiro, rassegnato, e gli faccio la domanda che vuole sentirsi chiedere.
«Ed Esther?» lo sussurro a testa bassa, aiutato in questo anche dal fatto che stiamo poggiando il divano sul parquet della stanza di Edward.
«Ha detto che doveva chiedere a mia sorella, ma non credo che Leah avrà problemi a concederle il permesso, sapendo che ci sarò io, qui»
«Dì piuttosto che ti eri già messo d'accordo con Leah, quando Sarah ha detto a Terry della festa»
«Bene, due volte in meno di un minuto. E la seconda persino ad alta voce e senza pensarci troppo. Fai progressi da giganti»
«E tu diventi sempre più stronzo. Che c'è, dentro quel letto vi passate il virus, tu e mia sorella? E poi se non stai attento un giorno o l'altro dirò a Sarah che mi usi come cavia da laboratorio»
«Vorrei proprio sapere a chi darebbe ragione, a quel punto» fingo di pensarci un attimo, ma l'immagine accigliata di mia sorella che mi è balenata in testa mi ha suggerito immediatamente la risposta.
«Probabilmente ci mollerebbe lì a litigare come due idioti dicendoci di crescere»
Scoppiamo a ridere, mentre rientriamo nel salone, dove troviamo Nahuel, in bilico su una scala d'acciaio, che sistema i festoni seguendo le direttive di Sarah.
«Che avete da ridere, voi due?» si indigna subito lei. Quando è al centro dell'attenzione, per un qualsiasi motivo, pensa che tutto quello che viene detto o fatto sia diretto a lei. E, beh, in questo caso avrebbe anche ragione, benché non c'entri niente con quello che sta facendo ora.
«Niente, principessa. Stavamo solo ipotizzando» le spiega Seth, mentre si avvicina a lei e le sfila dalle mani la cartellina da direttore dei lavori che ha in mano e la abbraccia. Distolgo lo sguardo, ciò non impedirà agli altri sensi di registrare le loro smancerie, ma almeno quelli sono involontari.
Mi avvicino a Nahuel, che continua a cercare di fissare le decorazioni al soffitto. Capisco il suo fastidio, e capisco anche il suo volersi distrarre dai due piccioncini. Pensavo che abitare insieme li rendesse meno... meno... meno 'così', ecco, quando sono in compagnia. Invece sono peggiorati, se possibile.
«Ti serve una mano?»
«Sì. Parla, per favore. Fai rumore, accendi la radio, quello che ti pare, ma, ti prego, copri il rumore dello slinguazzamento di quei due. Mi danno il voltastomaco»
Ridacchio, mentre eseguo gli ordini e accendo la radio.
«Oh, grazie. Un po' di pace per il mio povero cervello»
«Beh, effettivamente dopo un po' i pappagallini diventano noiosi»
Annuisce, mentre una voce nota irrompe sulla scena.
«Posso entrare?»
«Jen!» urla di rimando mia sorella, piantando in asso Seth per la sua amica. Mentre loro parlottano di cose che non voglio sapere, Seth viene verso me e Nahuel.
«Conoscendo tua sorella e Jen, l'intervallo durerà più o meno una ventina di minuti, e l'attenzione di Sarah sarà completamente su di lei. Fuggiamo?»
Seth deve essere arrivato all'esasperazione con i preparativi di questa festa, se è lui stesso a proporre la fuga.
«Cos'è rimasto da fare?» chiedo. Voglio valutare per bene quanto dovrò aver paura di mia sorella, domattina.
«Ci sarebbe da terminare di appendere le decorazioni e sistemare un po' l'illuminazione. Nulla che non possano fare da sole»
«E i mobili?»
«Arriveranno domani e ci penseranno gli addetti al trasloco. Sarah si divertirà un sacco a dirigere i lavori». Ha valutato bene il livello di furia al quale potrebbe essere esposto, prima di proporre di fuggire, e il piano mi sembra ben architettato, senza contare Nahuel che potrebbe combinare un casino, se non fugge da quest'aria satura di eccitazione sessuale.
«Dove andiamo?»
«Che ne dite di una birra giù al pub?»
«Ottimo»
In meno di trenta secondi, prendiamo le giacche dall'appendiabiti nell'ingresso e siamo nell'auto di Seth, pronti a partire.
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31 dicembre 2026
«Ethan! Ethan, svegliati!» la dolcissima voce di Sarah mi squilla nelle orecchie al risveglio. Un secondo di tentennamento, poi mi giro dal lato opposto, convinto di averla sognata. Lei dovrebbe essere da Seth, a quest'ora.
«Ethan, piantala di fare il bambino! Hai idea di che ore siano?» no, ok, non l'ho sognata, è qui.
«Sarah, non lo so che ore sono, ma è presto, che ci fai qui?» borbotto con la bocca impastata dal sonno, senza neanche degnarmi di aprire gli occhi o voltarmi dalla sua parte.
«Presto? Presto?» urla, con la voce di chi si sta facendo prendere dal panico, mentre mi sfila il cuscino da sotto la testa. Solo il terrore che decida di soffocarmi mi spinge a sollevarmi a sedere e a guardare la sveglia sul comodino.
«Sono le undici meno dieci, Sarah, e quando sono rientrato ieri sera era tutto in perfetto ordine. Mi dici che cos'hai da urlare così tanto?» sbotto arrabbiato.
«Ho che il camion con i mobili doveva essere qui venti minuti fa e non è ancora arrivato e mancano solo dieci ore alla festa e... e... e -»
«Sarah, fai un respiro con me - dico, afferrandole i polsi e costringendola a guardarmi - I mobili saranno qui in tempo, sarà tutto pronto con largo anticipo e tutti ti faranno i complimenti per la magnifica serata che hai organizzato»
«Dici?»
«Dico. E adesso, visto che mi hai svegliato, paghi pegno e mi prepari la colazione, mentre mi vesto»
«Pancakes con il miele e una tazza di latte caldo in arrivo per te» scatta sull'attenti facendo il saluto militare, prima di uscire dalla porta seguita dal cuscino che le ho lanciato dietro.
Mi alzo dal letto, sospirando. Scuoto la testa e mi infilo nel bagno, è il caso di fare una doccia.
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«Ma come sei bello, Ethan!» mi canzona Sarah quando scendo in cucina. Ho un paio di jeans stracciati e una maglietta scolorita, non può dire sul serio. Non raccolgo la provocazione. Stasera alla festa mi vestirò decentemente, per il momento voglio solo stare comodo.
«E Nahuel, non l'hai svegliato?»
«Non ho intenzione di fare da cuoca a entrambi - mi dice, posandomi il piatto e la tazza di fronte - E comunque non c'è. Ho provato a cercarlo in casa, ma non l'ho trovato. Non so dove sia andato»
«Hai provato a casa nostra?» chiedo, senza pensare, ma sussulto al vedere l'espressione scura di Sarah.
«No, non ho ancora provato a casa di papà» mi dice, voltandosi a girare il pancake che sta preparando per sé stessa.
«Sarah, scusami, non ci ho pensato. Ma ancora non mi hai spiegato perché reagisci così ogni volta che ho un lapsus del genere»
«Perché è difficile abituarsi a chiamare casa un posto dove abiti da poco, specialmente se colui per il quale la chiami in quel modo esce la mattina presto per un turno di ronda imprevisto»
«E' per questo che gironzolavi qui da prima che mi svegliassi?»
Annuisce. «Seth ha dovuto sostituire lo zio Jared. Kim aveva la prima ecografia, e lo zio se l'era scordato, quando con il resto del branco abbiamo deciso i turni»
«Quindi i mobili in ritardo non c'entrano niente?»
Scuote la testa, e ci fissiamo qualche istante.
«Sarah?»
«Dimmi»
«Stai bruciando il pancake» sorrido, mentre lei si volta allarmata a cercare di salvare il salvabile, ed inizio ad attaccare la mia colazione.
«O-i-ure-ia-mio» bofonchio, con la bocca affollata dalla prima, buonissima, frittella, che mi ha preparato Sarah. Che, puntualmente, si volta e mi rimprovera con lo sguardo, come ha sempre fatto fin da quando eravamo piccoli. Deglutisco e ripeto quello che ho appena detto.
«Dicevo. Non ti illudere che ti dia il mio. E comunque vedi che non cambia niente il fatto che tu chiami casa un altro posto? Tu sei Sarah e io sono Ethan. Siamo fratelli e nessuno può cambiare questa verità»
***************
La sera arriva fin troppo presto e gli invitati sono già qui prima che io abbia il tempo di rendermi bene conto di cosa significhi tenere una festa di queste proporzioni in questa casa. Nahuel non si è visto in giro per tutto il giorno, ed inizio a preoccuparmi. In compenso Seth è comparso a metà del pomeriggio, ed è stato un bene che avessi io le chiavi delle camere da letto.
Sarah mi ha messo a fare da usciere, visto che "sei tu il padrone di casa ed è tuo compito accogliere gli ospiti".
Finora sono arrivati molti dei nostri compagni di scuola e qualche ragazzo della Riserva. Di lei ancora nessuna traccia. E forse ho capito perché Sarah ha insistito perché fossi io ad accogliere gli ospiti. In questo modo saprò perfettamente da quale istante in poi scomparire dalla circolazione.
«Ethan!»
«Ciao, Tim! Adam. Benvenuti!»
«Sapevamo che tua sorella aveva fatto le cose in grande, ma affittare questa villa deve esservi costato una fortuna!»
«Ehm... veramente è di certi parenti di Ness. Sono stati felici di prestarcela»
«Stai scherzando, vero? Alla Riserva si vocifera che i proprietari abbiano in qualche modo a che fare con la morte di tua madre. E tuo padre sposa una loro parente, pur sapendolo?» perfetto, Adam, mi sta davvero venendo voglia di fare a pugni con qualcuno, e se continui così ti sarai guadagnato un enorme bersaglio sotto il mento.
«No, Adam, i proprietari della villa non sono gli stessi di vent'anni fa. Devi aver perso qualche passaggio di proprietà nel mezzo - affermo, il più diplomaticamente possibile, ed è solo l'arrivo di altri ospiti a distogliermi dalle manie omicide verso di lui - Ora, se volete scusarmi, devo salutare altre persone»
Glaciale, mi allontano da loro. Spero solo che non abbiano voglia di raccontare quella storia a qualcun altro. Lo spero davvero, per loro.
***************
Un paio d'ore dopo, la festa è nel suo pieno svolgimento ed io sono ancora alla porta ad attendere gli ultimi ritardatari. Di lei nemmeno l'ombra.
«Eth, vieni via di lì e goditi un po' la festa. Sono arrivati tutti!»
«Tutti?»
«Sì, c'è anche lei. E' andato a prenderla Seth, ma sono passati dalla porta sul retro. Ed è tornato Nahuel»
«Ah... ok... vado a cercarlo»
Sono passati dalla porta sul retro. Mi sta evitando.
Sono passati dalla porta sul retro. Non vuole vedermi.
Sono passati dalla porta sul retro. Non vuole avere niente a che fare con me.
Sono passati dalla -. Non facendo attenzione a dove metto i piedi, è inevitabile andare a sbattere contro qualcuno - mi sorprende non averlo fatto prima - un armadio a due ante che riconosco come qualcuno del branco.
«Zio Collin, ma che ci fai qui?»
«Sarah mi ha detto che potevo venire» mi risponde, scrollando le spalle. Sarah l'avrà pure detto, ma l'avrà sicuramente fatto dopo che tu hai insistito parecchio. Non glielo faccio notare, però, perché la mia attenzione viene attirata da qualcos'altro. Da qualcun altro.
Il suono della sua risata sovrasta chiaro tutto il trambusto della stanza e giunge fino alle mie orecchie facendomi dimenticare tutto. Lo zio Collin e la folla non esistono più. Mi volto di scatto verso l'origine del suono, e la vedo, bella come non mai, o meglio, bella come sempre, con un tubino di raso nero che fascia le sue forme perfette e le mette in evidenza. E la scollatura che - gli spiriti mi perdonino - è un attentato alla salute delle coppie presenti. E soprattutto di quella dei due ragazzi che parlano con lei senza riuscire a tenere gli occhi sul suo viso.
Lei è mia. Ruggisce il lupo nel mio petto, e non potrei essere più d'accordo con lui, mentre mi avvicino a grandi passi al terzetto, prendo Esther tra le braccia e premo le mie labbra sulle sue con forza, per marchiare il territorio. Solo il dolore lancinante che sento a un piede mi fa riprendere. La lascio immediatamente andare, anche se a malincuore, mentre il lupo continua a rimproverarmi.
«Dì un po', ma sei completamente impazzito?» mi urla contro, pestando i piedi ed allontanandosi.
«Sembra che la ragazzina non abbia molto gradito»
Mi volto furioso verso quello che - ora lo riconosco - ha tentato di mettere le mani addosso a mia sorella.
«Si chiama Esther. E se vuoi continuare a giocare a basket in una squadra maschile, faresti bene a stare lontano da lei. Io e te abbiamo già un conto in sospeso, non stuzzicarmi troppo» mi volto e sto per andarmene, quando la sua voce pronuncia una frase di troppo.
«Dici per quella puttanella di tua sorella, Black? Sono sicuro che avrebbe molto gradito se Clearwater non si fosse messo in mezzo»
Mezzo secondo dopo è con i piedi a un metro da terra, schiacciato contro la parete e il collo sotto la mia mano.
Gli occhi urlano terrore da tutte le parti.
«Ripetilo ora, se hai il coraggio - affermo, stringendo un po' la mano - Non fai più il gradasso, eh?»
Non mi importa che tutti mi stiano guardando e che si stiano chiedendo perché attacco Scott in questo modo. Voglio solo dargli una lezione. Non può toccare ciò che è mio e pensare di passarla liscia.
«Ethan, basta!» urla Sarah. Sento i suoi passi avvicinarsi, mentre continuo a tenere gli occhi puntati sul maniaco.
«Eth, guardami» non la ascolto, e finisce per stringermi il viso tra le mani, per farmi voltare verso di lei.
«Eth, stammi a sentire, non ne vale la pena. E' un coglione, lo sappiamo tutti, lascia perdere. Hai altro a cui pensare, in questo momento»
Lascio andare Scott, di colpo.
«Tu sei completamente fuori di testa, Black!»
Lo sento, ma non lo sento. E' solo il sottofondo al suono rimbombante dei singhiozzi che ho provocato io. Sarah mi lascia, ed io seguo l'odore familiare della mia Terry e il suono dei suoi singhiozzi. Non posso lasciarla piangere, non quando so perfettamente che è colpa mia.
La trovo, in un bagno del primo piano, tra le braccia di Seth, che la culla nel tentativo di calmarla.
Un secondo dopo al suo posto ci sono io, e, se Esther se ne è accorta, non ha dato modo di vederlo. Non è vero che mi sta evitando.
Seth mima con le labbra qualcosa come "Non fare cazzate" al mio indirizzo, poi chiude la porta e si allontana.
«Puoi perdonarmi?» chiedo.
Non c'è una risposta, solo un paio di braccia che si stringono più forte contro il mio torace, e un naso umido di lacrime che accarezza la pelle del mio collo.
«Non sarei dovuta venire» mormora. E stavolta sono mie le braccia che si stringono in una preghiera silenziosa. Non te ne andare.
«Non avrei dovuto baciarti... in quel modo» lo aggiungo dopo un attimo, perché se c'è una cosa della quale non mi sto pentendo è proprio l'aver posato le labbra sulle sue. Il mio cuore ha fatto le capriole, quando ha collegato la consistenza di quella bocca con le emozioni che mi ha sempre scatenato. Solleva lo sguardo a cercare i miei occhi, e la pelle del mio collo formicola, si lamenta per l'abbandono, la implora di tornare dov'era. I miei occhi, invece, si beano della decisione nei suoi, quella stessa luce che li animava poco prima di ogni -
Le sue labbra sono morbide sulle mie. Dura un attimo, il battito di ali di una farfalla, una di quelle che si riproducono per mitosi nel mio stomaco, ed è già finito.
«Hai ragione, è così che avresti dovuto baciarmi. Sarebbe bastato»
La sua voce, il calore dell'abbraccio, la sensazione delle sue labbra sulle mie. Tutto richiama il sogno della notte scorsa. Tutto.
La lascio bruscamente e le do le spalle. Sento i suoi passi avvicinarsi a me, le sue braccia intorno alla mia vita, i suoi seni schiacciati contro la mia schiena.
Non posso, non voglio cedere ad un istinto. Mi pentirei, domattina. Non posso farle questo. Dice la mia testa.
Puoi e vuoi, perché è questo che ti sta chiedendo. Senti il calore della sua pelle contro la tua. Senti la corsa forsennata del suo cuore mentre aspetta una risposta da te. Senti il suo respiro affannato che fa da eco al tuo, senti la forza delle sue braccia che non vogliono lasciarti andare, attorno alla tua vita.
Senti il suo odore di donna che sale alle tue narici. E' pronta per te, si schiude solo per te, vuole solo te.
E, per una volta, lascio che sia il mio cuore a vincere, perché non c'è nulla di razionale in quello che sento per lei. Nulla di razionale in quello che mi fa chinare la testa sulla pelle del suo collo per assaggiare quel dolce sapore che non pensavo sarebbe più stato mio. Nulla di razionale in quello che mi fa estrarre la chiave dalla tasca posteriore dei jeans per aprire la porta della mia stanza, che comunica con il bagno. Nulla di razionale in quello che sta per succedere su questo letto dopo che i vestiti sono volati via e il tempo dei giochi è terminato.
Nulla di razionale.
Solo l'urgente bisogno di essere uniti. Quel bisogno che tiene incatenati i nostri occhi e le nostre mani, mentre la mia carne trova la strada tra le umide pieghe della sua femminilità. Solo la necessità di avere questo momento tutto per noi a saldare le nostre labbra, nel tentativo di soffocare i gemiti che rompono la magia del silenzio che ci avvolge, nonostante la festa al piano di sotto. Solo la perfezione di un attimo. Quell'attimo in cui il suo bacino si spinge contro il mio e la sua carne si contrae pulsante contro la mia. La perfezione di un attimo di gioia che si cristallizza nella lacrima che le sfugge da un angolo dell'occhio sinistro e che asciugo con le mie labbra.
I fuochi d'artificio che salutano l'arrivo del nuovo anno ci trovano così, gambe e braccia intrecciati, uniti molto più di quello che potrebbe sembrare ad una prima superficiale occhiata.
Eppure, sono gli stessi fuochi, quelli che ci sorprendono insieme a vivere un sogno, a riportarci alla realtà. A riportare me alla realtà, e a farmi rimpiangere di aver ceduto alle richieste del mio cuore. Perché nella realtà non c'è ancora un posto per noi come coppia. Perché nella realtà io non sono ancora pronto per tutto questo. Perché nella realtà non so ancora cosa voglio da me stesso o per me stesso. Perché nella realtà sono soltanto un ragazzino che non sa prendere la decisione giusta. Perché nella realtà le conseguenze dell'attimo più bello degli ultimi due mesi e mezzo faranno male a me e all'ultima persona alla quale vorrei fare del male. Perché nella realtà quello che ho appena fatto va catalogato nella categoria "cazzate", di quelle che Seth mi aveva sconsigliato di fare.
Eppure, nonostante tutto, non riesco a considerarlo un errore. Io amo Esther, ma non mi sento pronto a riprovare a stare con lei come coppia. Ho paura di commettere gli stessi sbagli. Ne ho un'infinita paura, perché nella realtà sento di non essere cambiato affatto.
Scivolo fuori da lei e dal suo abbraccio e i miei pensieri si condensano in un sospiro che dice più di quanto io voglia farle sapere.
«Cos'hai, Ethan?» mi chiede, ma nella sua voce c'è già la consapevolezza di quello che sto per dirle.
«Non è ancora il momento. Non mi sento ancora pronto per riprovarci. Ma ti amo, e ti amerò per sempre»
Gli occhi le si riempiono di lacrime, ma è forte, la mia Esther, e le trattiene tutte, ingoiando il dolore che so vorrebbe urlare alla foresta. Lo so, perché è lo stesso dolore che sta spezzando me. Raccoglie i suoi indumenti, sparsi sul pavimento, così come io faccio con i miei, e sparisce nel bagno. Uscendo da questa stanza, sento che è come uscita dalla mia vita. Addio, Esther.
Le lacrime che finora ho trattenuto rompono gli argini e scorrono silenziose sulle mie guance. Perché, dov'è scritto che i ragazzi non piangono?
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