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Da adesso in poi (Pov Seth/Sarah/Ethan/Leah/Esther)

Seth

Apro gli occhi, e so di essere in ritardo. Non c'è bisogno di controllare l'orologio, il fischiettio del signor Jones, il dirimpettaio, appena uscito a prendere il giornale sulla porta, mi dice che sono ben oltre il tempo consentitomi per rimanere a poltrire. O a contemplare Sarah, questa mattina.
Scivolo lentamente fuori dalle lenzuola, cercando di far muovere il letto il meno possibile. Non voglio svegliarla, era stanchissima già quando è arrivata, e poi... ci abbiamo dato dentro. Sorrido tra me e me, al pensiero, mentre apro delicatamente l'anta del mio armadio e prendo i vestiti puliti. Mi fermo ad osservarlo. Dovrò fare un po' di spazio per la roba di Sarah, anche se le ci vorrebbe un'intera stanza, per la mole di abiti che ha. Un altro sorriso nasce sulle mie labbra, al pensiero che ieri sera ha accettato di condividere con me questa casa, di considerarla la nostra casa. Esco dalla stanza.
Salgo, entro in bagno, mi lavo e mi vesto. Non mi rado, per risparmiare un po' di tempo, e scelgo volontariamente di saltare la colazione, anche se tra un paio d'ore avrò così fame da mangiare persino la scrivania del mio ufficio, per saziarmi. Magari prenderò un caffè - con un migliaio di muffin ai mirtilli - alla caffetteria della scuola più tardi con i colleghi.
Sono pronto per uscire, la valigetta ieri sera è rimasta in auto, e la cravatta me la lego al collo solo una volta in ufficio, ma, passando di fronte alla porta della mia - nostra - camera, capisco che non posso lasciarla qui senza neanche un saluto. Prendo un blocco di post-it sulla scrivania, scribacchio qualcosa su uno che lascio sul mio cuscino, qualcosa su quello che lascio in bagno e un messaggio che la farà sorridere in cucina.
Osservo soddisfatto per qualche secondo la mia opera, fino a quando un miagolio di quell'orribile orologio che ho ereditato dal precedente inquilino - o forse addirittura da Charlie - non mi riporta con i piedi per terra. Sono le otto e sto per fare tardi al lavoro.

*********************

Riesco, non so per quale intercessione presso gli spiriti - mio padre, forse? - ad arrivare in tempo, ma non apro neanche la porta del mio ufficio, che Angela esce dal suo.
«Ti devo parlare» mi dice. La sua faccia è grave, i suoi occhi fissi a terra. Tra le mani stringe un pacchetto avvolto in una carta da pacchi anonima. Annuisco.
«Da te o da me?» chiedo.
«Meglio da me» risponde. E' tesa, e Angela non lo è mai, ma -
Mi congelo. Ieri aveva una riunione con il consiglio scolastico, quel gruppo di genitori puritani non avrà mica scoperto che io -
No, non voglio perdere il mio lavoro. E non lascerò neanche Sarah, l'ho aspettata troppo. Ti prego, papà, se sei da qualche parte lassù tra gli spiriti, non permettere che sia questo.
Angela si siede dietro la sua scrivania e mi invita a fare altrettanto su una delle due poltrone di pelle nera che sono di fronte a lei.
«Il professor Berty andrà in pensione» afferma. Se è qualcosa che ha a che fare con me, la sta prendendo molto alla larga. Io il vicepreside Berty ci siamo parlati si e no tre volte da quando lavoro qui.
«Il professor Berty andrà in pensione, il che non sarebbe un male, se non mi lasciasse priva di un vicepreside poco prima del Ballo d'Inverno»
«Che... che c'entro io?» chiedo, balbuziente e titubante, ancora impaurito dalla sua faccia tesa.
«Ieri c'è stato il consiglio scolastico, lo sai, vero? - annuisco - Berty... il caro professor Berty, ha pensato bene di avvertire prima loro delle sue dimissioni, che me. Ma non li ha informati del fatto che io non sapessi nulla, così, quando mi hanno interpellata per la scelta di un sostituto, dicendomi che una decisione l'avrebbero presa loro, se non avevo le idee chiare, ho fatto il tuo nome. Ora, la scelta che avrei fatto sarebbe stata la stessa, anche senza questo ultimatum, ma ti avrei dato la possibilità di declinare la mia offerta. Una possibilità che non hai ora, perché la mia dichiarazione è stata presa come la certezza della tua disponibilità. Sarai il nuovo vicepreside di questa scuola»
«E... non è una buona notizia?» domando. Sono ancora un po' diffidente, potrebbe esserci qualche risvolto strano, in questa faccenda, ma mi rilasso, quando un sorriso fa capolino sulle labbra di Angela. Sospiro.
«Sì, lo è. E credimi, avrei voluto davvero chiederti se volevi accettare l'incarico, ma ieri pomeriggio ero così infuriata con quel vecchio bisbetico per non avermi avvisata in tempo... Ho bisogno di una persona di cui potermi fidare, e non di un altro so-tutto-io che mi considera una pivellina solo perché mi ha avuta come studentessa»
«Angela, calmati. Se è solo questo va bene. Sarò il nuovo vicepreside di questa scuola»
«Se è solo questo?» mi chiede incuriosita.
«Sei uscita dall'ufficio così scura in volto che per un attimo ho temuto che il consiglio avesse scoperto di me e Sarah e pretendesse le mie dimissioni»
«Avrei combattuto con le unghie e con i denti per evitarlo. Il miglior consulente in questa scuola da almeno trent'anni e lo cacciamo perché ha una relazione con una ex-studentessa, maggiorenne e in grado di intendere e di volere più di molti di quei puritani? Che tra l'altro è un motivo che nulla ha a che vedere con il tuo lavoro e non implica la violazione di nessuna legge?»
«Ti adoro»
«Se ti sentisse Sarah sarebbe gelosa»
«Lo sa che ti adoro - rido - Ma sa anche che amo lei e che non ha nulla da temere»
«Dovresti guardarti allo specchio, quando parli di lei. Ti brillano gli occhi e ti riempi di energia»
«Davvero?»
Annuisce.
«Comunque c'era un altro motivo per il quale volevo parlarti». Torno improvvisamente serio.
«Spara»
«Traslochi in città e lo devo sapere da quella pettegola della signora Briggs, la cassiera del supermercato? Alla quale l'ha detto la signora Jones, che stando a quanto mi ha detto la signora Briggs, è la tua dirimpettaia. Il che, anche con le mie scarse conoscenze della dislocazione delle pettegole di questa città mi dice che sei andato a vivere nella vecchia casa di Charlie e Bella e non mi hai ancora neanche invitata a prendere un caffè. Bell'amico che sei!»
«L'avrei fatto... ma ho traslocato solo domenica e questa settimana è stata e sarà un po' movimentata»
«E' tornata?»
Sorrido.
«Quindi era questo l'impegno improrogabile di ieri pomeriggio?»
Annuisco.
«Questo è per lei» mi dice, porgendomi il pacchetto che aveva in mano poco fa.
«Cos'è?»
«Pagine del mio diario di adolescente che parlano di Bella. Ho sempre desiderato parlare con Sarah di lei, è stata la prima vera amica che io abbia avuto al liceo, e le ero molto affezionata, anche se probabilmente Bella neanche lo sapeva. Beh, le ho copiate, stampate e fatte rilegare, spero che le possa essere utile. So che Jake le parla molto di Bella, e che l'ha sempre fatto, ma spesso un punto di vista esterno può essere d'aiuto, in qualche modo»
«Bella è... era una brava ragazza. E sono sicuro che Sarah apprezzerà molto il tuo gesto». E lo farà anche Bella.

*********************

Sarah
Seth... sei un elefante in una cristalleria! Penso, svegliandomi. Per quanto stia cercando di compiere ogni gesto nel modo meno rumoroso possibile, non riesce a non svegliarmi. Ma apprezzo l'impegno, così trattengo il respiro e cerco di non muovermi, fino a quando non esce dalla stanza. Allora, e solo allora, mi concedo uno sbadiglio e rotolo dal suo lato del letto. Si sbaglia di grosso se pensa che l'avrà vinta ancora una volta, ieri è successo solo perché ero stanca e non avevo voglia di litigare.
Abbraccio il suo cuscino e respiro a fondo il suo odore. Può solo un odore eccitarmi al punto che, se non fossi sicura che farebbe tardi al lavoro - e che è una cosa che odia - lo andrei a prendere in bagno e lo riporterei qui per tenerlo chiuso in questa stanza per tutta la giornata?
Sento i suoi passi per le scale. Lo sento fermarsi dietro la porta, e posso quasi vederlo mentre appoggia la mano sulla maniglia, indeciso se aprire o no. So che alla fine lo farà, perciò rotolo sul mio lato del letto e ritorno nella posizione che avevo prima.
Seth entra nella stanza, si avvicina al letto, poggia qualcosa sul suo cuscino - posso sentire il suo odore intensificarsi. Non ha il dopobarba, perciò non si è rasato - ed esce di nuovo. Prima di tornare a muovermi aspetto che la porta di casa si apra e chiuda, e che la sua auto si metta in moto.
Apro gli occhi, sentendomi finalmente libera di non urtare i suoi sentimenti, mostrandogli che nonostante tutte le sue attenzioni mi sono comunque svegliata.
Mi sollevo a sedere ed afferro il quadratino di carta gialla che Seth ha appoggiato sul suo cuscino. Ne respiro l'odore, prima di leggere quello che c'è scritto. Note di carta, gomma inchiostro e... Seth... riempiono il mio naso.
Me lo porto di fronte agli occhi ed inizio a leggere.

"Buongiorno, principessa!
Sono andato a lavoro, ma non
Potevo lasciarti senza neanche un saluto.
Questa notte sei stata meravigliosa. Durante,
ma soprattutto dopo. Non ti ho
ancora ringraziata per le tue parole.
Sei la compagna migliore che potessi desiderare.
Ti amo.
S."

«Ti amo anch'io, Seth» mormoro, baciando il pezzetto di carta che ho tra le mani. Mi alzo, gettando coperte e lenzuola in fondo al letto, lasciando che il letto 'prenda aria'.
Nel frigorifero trovo un cartone di latte a metà e poco altro... prima che Seth torni da scuola per portarmi a casa di nonno Charlie andrò a fare un po' di spesa. Frugo negli sportelli e mi annoto quello di cui potrebbe aver bisogno, per sopravvivere la prossima settimana, fino ad arrivare allo sportello in basso su cui è attaccato un altro foglietto giallo.

"Ho comprato i tuoi cereali preferiti.
Buona colazione! J"

Tipico di Seth, preoccuparsi delle mie necessità - che poi non possono essere neanche definite tali - e dimenticarsi delle sue. Scuoto la testa, sorridendo, mentre apro la scatola di cereali al cioccolato e ne verso un po' nella tazza che ho preso da sopra il lavandino. Riconosco questa tazza, la dipinsi io in seconda media. Che artista terribile che ero! Eppure Seth l'ha conservata, e la usa tuttora, forse perché gli dava speranza visto che io... No, Sarah. Non ci devi pensare. E' una così bella giornata, non te la rovinare con questi pensieri tristi.
Mi lavo e mi vesto, tamponando i capelli con un asciugamano e lasciandoli liberi di asciugarsi da soli. Nessun problema di cervicale, mai, neanche con il freddo e l'umidità di Forks. Sono un licantropo, io!
Indosso un paio di jeans chiari e una maglia marrone lunga fino a metà coscia. Ai piedi un paio di stivali con il tacco. Non è proprio una mise per andare a fare la spesa, ma va bene lo stesso. Le pettegole di Forks avranno già abbastanza di cui parlare vedendomi uscire dalla casa di nonno Charlie, stamattina.
Sorrido, ripensando alla richiesta di Seth di considerare questa come la mia casa. Sorrido, infilandomi il piumino, mentre penso che sto per uscire a compiere la prima azione che mi farà sentire un po' più a casa. Sorrido, mentre prendo dalla scrivania un post-it e una penna e compilo una lista, trascrivendo i miei appunti mentali.
Esco sulla veranda di casa, tirandomi dietro la porta. La devo chiudere a chiave? Forks è una città così tranquilla... e poi non ho le chiavi. Se chiamassi Seth il frigorifero pieno non sarebbe più una sorpresa... perciò la lascio così. Tanto la signora Jones starà dietro le tendine bianche della sua finestra per tutta la mattina, e avvertirà subito Seth, o il 911, o entrambi, se dovesse accadere qualcosa.
Il freddo pungente che penetra nel mio corpo attraverso le narici non ha nessun effetto su di me. I capelli ancora umidi e legati in cima alla testa con un elastico formano una lunga coda che oscilla seguendo l'ondeggiare del mio corpo sui tacchi e mi sfiora la schiena ad ogni passaggio. Adoro la sensazione di questa carezza sulle spalle, anche se il rumore è fastidiosissimo, data l'interposizione del piumino.
Sorrido alle persone che, sorprese, mi fissano come se vedessero un fantasma. Non somiglio così tanto a mia madre, né tantomeno lei avrebbe mai messo queste scarpe o si sarebbe truccata in questo modo, per andare a fare la spesa. Sarebbe inciampata alla prima crepa nell'asfalto.
Al supermercato non c'è grande folla, ancora. Infilo la monetina nel carrello e lo sgancio dalla sua postazione. Girovagare tra le corsie è una cosa che ho sempre amato, fin dalla prima volta che papà mi ha portata al supermercato. Tutto questo mescolarsi di odori così diversi che ti riempiono le narici tutti insieme, per poi separarsi e distinguersi nelle diverse corsie. L'odore fresco e umido della frutta e della verdura, l'odore caldo e fruttato delle crostate appena sfornate, l'odore penetrante e sgradevole del cibo per animali.
Riempio il carrello con tutto ciò che è sulla mia lista, e mi attardo al banco panetteria per prendere del pane fresco e un dolce da portare a casa di nonno Charlie più tardi. Potrei prepararne uno io, ma non ne ho proprio la voglia.
Tra le tante cose che ho comprato, c'è uno spazzolino. Seth non ne aveva uno di riserva, e stamattina mi ha dato il permesso di usare il suo, ma so che gli dà fastidio. Sorrido.
Mentre pago alla cassa, sento un ronzio fastidioso provenire dalla mia tasca, ronzio che si ripercuote sul mio fianco in un leggero solletico. La vibrazione del mio cellulare.
Lo estraggo dalla tasca, e vedo che mi è appena arrivato un messaggio. Mittente: Ethan.
Lo apro, non so perché mio fratello stia cercando di mettersi in contatto con me. Ma quello che leggo me lo rende immediatamente chiaro.
"Da quanto lo sai?"

Ethan

«Che cazzo -» dico, interrompendomi subito dopo la parolaccia, afferrando la fonte del rumore che mi ha svegliato questa mattina. Il cellulare che mi sono scordato di spegnere. Non guardo neanche lo schermo, sicuro di sapere chi mi stia chiamando.
«Sarah, che vuoi?» chiedo, a metà tra l'insonnolito e l'arrabbiato, schiacciando il pulsante di risposta alle chiamate.
«A meno che non sia registrato sotto il nome di tua sorella, mi ricordo di essere dotato di organi che lei non ha e di essere sprovvisto di un bel davanzale che lei invece ha» mi risponde la voce maschile al di là della cornetta, chiaramente divertita.
«Nahuel, stavo dormendo, perché mi chiami così presto?»
«Presto? Bello, sono le dieci. Io sono in piedi da un pezzo, qui a Seattle è un giorno di lavoro, non stiamo tutti a poltrire nel letto come te!»
«Ti prego, non urlare» mi strofino una mano sugli occhi, mentre cerco di recuperare un po' di lucidità per parlare con il mio amico.
«Cos'è? Post-sbornia o avventuretta da una notte e via? O entrambe?»
«Non sono te, e lo sai. Nessuno dei due. Solo un risveglio un po' brusco»
«Ah. Non hai ancora fatto colazione?» mi chiede, tornando serio.
«No, per-»
«Ti richiamo dopo, allora. Prima di mangiare sei sempre intrattabile» riaggancia velocemente, lasciandomi basito. Prima. Incuriosito e incazzato, poi.
Compongo il suo numero, nella speranza che capisca che non ho voglia di giochetti e che deve rispondermi subito.
«Ethan, davvero, sarebbe meglio che facessi prima colazione»
«Nahuel, davvero, se non vuoi che io venga lì sarebbe meglio che mi dicessi tutto e subito»
Sospira, e stiamo in silenzio per qualche istante, prima che lui si decida a parlare.
«Sono io»
«Cosa, Nahuel?»
«Sono io la tua guardia del corpo, Ethan. Faccio regolarmente rapporto a tua sorella Renesmee, e ho conosciuto tuo padre qualche mese fa, mentre eri allo stage per Harvard» dice stancamente, gettando la maschera, e lasciandomi interdetto.
«Ah, non sono umano, sono un mezzo vampiro, il che spiega perché ieri mattina l'odore che ho portato con me nella stanza ti abbia fatto arricciare il naso, sebbene tu dissimuli in maniera egregia»
«Pensavo a mia sorella»
«Prego?»
«L'odore. Pensavo fosse una suggestione, dettata dal fatto che stessi pensando a Renesmee»
«Quindi non ti eri ancora accorto di quanto non fossi umano?»
«E come avrei fatto, di grazia? Mangi con me e Trix, stai sempre con noi, fumi come un turco e il tuo odore era così nascosto dal deodorante che-»
«Ethan, abbassa la voce»
«No, Nahuel. Tu mi chiami di prima mattina e mi rovesci addosso il fatto che il mio compagno di stanza, il mio amico più caro, uno dei pochi per i quali avevo pensato di tradire il mio segreto spiegandogli molte delle mie stranezze, non solo le conosce una ad una meglio di me, quasi, ma è praticamente obbligato ad essermi amico» sto urlando, rabbioso, per non cedere alla tristezza.
«Non sono vincolato per contratto ad esserti amico, potrei semplicemente guardarti da lontano. Affezionarmi a te è stata una scelta»
«Non mi frega un cazzo delle tue scelte. Dovevi dirmi subito chi eri, dare a me una possibilità di scegliere!»
«Ce l'hai adesso» non so cosa mi faccia più incazzare, se il suo tradimento o il tono calmo con cui mi sta parlando, dimostrandomi che forse della mia scelta non importa niente a lui, o forse che si aspettava precisamente questa reazione, e che perciò mi conosce meglio di quanto io voglia.
«Devo pensarci» sputo tra i denti, cercando di controllare il tremore che mi accorgo solo ora ha iniziato a percuotere tutto il mio corpo.
«Sapevo che avresti reagito così, ma lei sembrava così sicura che-»
«Lei? Lei chi?» chiedo, poi il quadro si forma limpido davanti ai miei occhi.
Sarah, tesa nella stessa stanza con me e Nahuel. Sarah in piedi di fronte a lui che cinguetta allegra al mio rientro in stanza. Sarah che cerca di sviare la mia attenzione.
Sarah.
«Non... non ci credo» sussurro nel telefono. Mi ha tradito anche lei. Il mio doppio e la mia metà. Mi ha tradito. Sono solo. Solo.
«Ethan, mi -»
«Abbi almeno il buon gusto di non dire 'mi dispiace'. Sapevi perfettamente cosa stavi facendo»
«Ok, ma... niente»
«Rispondi solo a un'altra domanda. Me l'hai detto solo perché Sarah ti ha costretto?»
«Ci pensavo da settimane, da quando ho iniziato a tenere alla tua amicizia, Ethan. Ma c'era sempre qualcosa che mi diceva che non era il momento. Una lite con Esther, voi due che vi lasciate. Il mio interesse per Beatrix che invece è interessata a te. Perdonami, se puoi»
«Ci devo pensare»
«Capisco» mormora rattristato.
«No, davvero, Nahuel. Ci devo pensare. E devo chiarire la cosa anche con mia sorella. Anzi - sorrido amaramente, anche se lui non può vedermi - con le mie sorelle»
«D'accordo»
«D'accordo»
Il suono dell'interruzione di chiamata cade tra me e il mio amico come un masso da una montagna. Pesante, con un senso di definitività quasi palpabile. Qualunque cosa io decida, non potrà mai essere come prima. Perché ai miei occhi non sarà mai quello di prima.
Per qualche istante continuo a fissare lo schermo del cellulare, fino a quando non si spegne. Allora e solo allora riesco a scuotermi dal mio torpore. Digitare le lettere sul cellulare che vorrei solo lanciare contro il muro è più difficile di quanto pensassi, e quando alla fine premo il tasto 'invia', mi abbandono alla tristezza.
Salto dalla finestra ed esplodo, ululando al vento il mio dolore.

Leah

«Harry, cucciolo, vieni qui! Papà sta per arrivare, e dobbiamo farci trovare pronti per andare a pranzo dai nonni!»
Mio figlio, tre anni, non mi risponde. Cosa che succede puntualmente ogni volta in cui lo chiamo ed è preso in qualche altro impegno. Come, ad esempio, torturare il cane.
Mi affaccio nel soggiorno e non lo trovo. Il furbetto sta diventando sempre più ingestibile, da quando ha imparato il meccanismo di apertura della porta di ingresso. E' una preoccupazione in più, questa, ma di solito non se ne va mai più in là della cuccia del cane. E' per questo che quando mi affaccio dalla porta e non è in vista vengo colta da un improvviso senso di panico.
«Harry!» chiamo, convinta di vedere il suo faccino spuntare fuori da dietro una delle poltrone della veranda, ma non succede.
L'agitazione inizia a prendere il sopravvento su di me, non riesco a ragionare lucidamente, e comincio a correre intorno alla casa, alla ricerca del mio piccolo furfante. Mi blocco, quando la sento.
Sento quella voce che in altre occasioni avrei voluto lontana da casa mia e che si sarebbe tenuta alla larga da casa mia. Ma è qui per un motivo.
«Tio Tet e papà»
«Davvero hanno costruito da soli questa grande casa di legno?»
Mio figlio è in braccio a Sam, guardano la casa sull'albero che Seth e Embry hanno costruito per il piccolo, e della quale il bambino non ha mai usufruito per colpa delle mie ansie di mamma.
«Mamma, cos'hai?» chiede il mio cucciolo, quando finalmente mi vede, ottenendo come risultato quello di far voltare verso di me l'uomo che lo tiene in braccio.
Vedere mio figlio aggrappato a lui mi fa ritornare alla mente troppi ricordi. Tutti quei sogni che ho dovuto seppellire in un angolo della mia mente per non impazzire, quando ho trovato Sam ed Emily nello stesso letto.
Buffo come ripensarci ora non mi faccia più soffrire, e anzi mi strappi un sorriso mentre vado loro incontro.
«Ciao Lee-Lee» mi dice Sam, rispondendo - timidamente? - al mio sorriso, mentre Harry si sporge dalle sue braccia per raggiungermi.
«Ciao, Sam. Posso offrirti un caffè?»

*********************

Seduti attorno al tavolo della mia piccola cucina, con le tazze di caffè tra le mani, iniziamo il discorso che lo ha spinto a venirmi a cercare.
«Sei in ritardo» gli dico. Mi guarda perplesso, probabilmente non afferra il senso della mia affermazione. Le rughe sulla sua fronte si distendono, però, quando finalmente ci arriva. E' sempre stato orgoglioso, Sam, e in questo momento non fa un'eccezione. Ammettere di non aver capito sarebbe come ammettere una debolezza. E lui non vuole mostrare le sue debolezze.
«Non sapevo se sarei stato gradito, da queste parti» mi risponde, dopo qualche istante di silenzio.
«C'è tua figlia, qui, Sam. E' nel tuo pieno diritto venire qui a chiedere come sta. Ovviamente evitando di farlo quando c'è anche lei. Non credo sia ancora pronta a confrontarsi con te» lo guardo dritto negli occhi, come ho sempre fatto con tutti. Non è più un'eccezione, per me, riesco a sostenere il suo sguardo. Porto la tazza alla bocca, mentre aspetto che replichi. Gli ho, di fatto, vietato di venire a trovare sua figlia. Deve trovare qualcosa da dire.
Mentre aspetto, lo osservo attentamente. E' invecchiato. Sono comparse le rughe intorno agli occhi e alle labbra, e la barba incolta che porta non serve a renderlo più giovane, ma solo a dargli un aspetto stanco. E la stanchezza viene confermata anche dai suoi occhi.
Le mani si stringono così forte sulla tazza che temo possa romperla, le nocche sono bianche per lo sforzo. Porta le unghie cortissime, come tutti gli uomini, e la sua pelle sembra resa ruvida dal troppo lavoro. Si sarà rinchiuso in falegnameria, in questi mesi, per non pensare a sua figlia.
«Hai ragione»
Due parole, scivolate dalle sue labbra in fretta, come se temesse di potersi pentire di quello che mi ha appena detto, interrompono le mie osservazioni. La sedia si sposta indietro rumorosamente, mentre si alza. Persino Harry, che fino a poco fa era completamente distratto dal suo gioco, ha riportato l'attenzione su di noi.
«Sam...» lo chiamo, posando una mano sulla sua.
«Hai ragione, Leah. Non dovevo venire»
«Sai che non volevo dire questo, Sam»
«E allora? Ho rischiato di perderla già una volta, Leah. Sono stato fortunato che abbia deciso di rimanere con te, non posso provocare la sua fuga di nuovo»
Cade sulla sedia. L'uomo orgoglioso che era seduto di fronte a me fino a un minuto fa, quello che conoscevo vent'anni fa, cede sotto il timore che accompagna costantemente un buon genitore. Quello di ferire il proprio figlio.
«Non fuggirebbe. Credo piuttosto che direbbe qualcosa di cui si pentirebbe, Sam. E' una brava ragazza, che ha avuto un periodo un po' sfortunato. Tutto qui»
«Mi odia»
«Non odia né te, né tantomeno Emily. E' un adolescente, che ha sempre creduto nell'amore, vedendo te e tua moglie. Sapere che in quell'amore c'era qualcosa di poco giusto, secondo i suoi standard, l'ha un po' fatta deragliare. Dalle un po' di tempo, Sam. Tornerà a casa da sola»
«Come sei tornata tu?»
«Sì, Sam. Come sono tornata io. Ma se quel ragazzino inguaribilmente romantico che era Jake non mi avesse dato il permesso di andarmene, probabilmente io non sarei qui a parlare con te, ora»
«Perdonami»
«Per cosa?»
«Per averti fatta soffrire. Non lo meritavi. Fino al giorno in cui Emily non è diventata tutto il mio mondo ero davvero convinto che saresti stata la donna giusta da avere al mio fianco, quella con cui avere dei figli ed invecchiare»
«Lo so. Ed io ti ho perdonato da tempo. Forse sarebbe ora che tu perdonassi te stesso, Sam. L'imprinting non è una cosa che si può controllare, e non era tua intenzione farmi soffrire. All'epoca ero poco più che una bambina, che aveva visto i suoi sogni infrangersi sotto i suoi occhi, trovando il suo ragazzo e la sua migliore amica nello stesso letto in atteggiamenti non facilmente fraintendibili. Poi c'è stata la trasformazione, e il sentire il tuo amore per lei, così puro, non mi ha resa certo migliore di quella che ero. E la tua ostinazione a volermi tenere lì, vicina a te, come se il leggerti nel pensiero non fosse già una punizione sufficiente... ma quando Jacob è diventato il lupo alpha mi ha dato la possibilità di andarmene e mi ha salvata. Lui capiva cosa significava stare vicini alla persona che si ama più della propria stessa vita e non poterla avere. Quando mi ha permesso di andarmene per cercare di dimenticarti, mi ha dato la possibilità che lui non si stava concedendo. L'ho davvero apprezzato, perché lui, più di tutti, avrebbe potuto dirmi di rimanere a soffrire in silenzio, come stava facendo lui stesso»
«Lee-Lee...»
«Quando sono tornata, ogni cosa aveva acquisito un significato. Tu avevi una moglie e una figlia piccola. Seth aveva Sarah e non si staccava un secondo da lei. Jake aveva i suoi figli e Seth a cui badare. Io ho trovato la mia anima gemella in Embry, che all'epoca iniziava a chiedersi perché non trovasse nessuno che lo amasse. Sam, le cose sono andate come dovevano. Probabilmente non avremmo funzionato neanche, come coppia»
«Sei sempre stata più saggia di me» mi dice, abbozzando un sorriso, ed alzandosi.
«E' perché sono una donna, Sam» rispondo, alzandomi in piedi insieme a lui.
«Allora... la prossima volta ti telefono, per sapere se c'è Esther» mormora, imbarazzato, dondolando sui suoi piedi.
«Forse è meglio - lo abbraccio - Non ti preoccupare, Sam. Riavrai tua figlia, intera e pronta ad affrontare ogni discorso con te in maniera matura. Non so quanto tempo ci vorrà, ma ti prometto che ci riuscirò»
«Non ne ho il minimo dubbio, Leah»
«Mi devo preoccupare?» sorrido, per la battuta di mio marito, che, appena entrato in casa, mi trova abbracciata al mio ex. Sorrido perché so che non ha nulla da temere, visto che è solo l'abbraccio tra due vecchi amici che si ritrovano dopo lungo tempo. E, per dimostrarglielo, non mi stacco da Sam subito dopo essere stata colta in fallo, e volto il viso verso Embry , che ha in braccio nostro figlio. Gli sorrido, e mi allontano lentamente da Sam.
«Te lo prometto» gli dico un'ultima volta, prima di raggiungere mio marito per salutarlo con un lungo bacio.
«Allora, devi preoccuparti?» gli chiedo, dopo aver lasciato le sue labbra.
«No, ma se ti fa quest'effetto devo chiedere a Sam di passare più spesso!» ridiamo tutti e tre, mentre Harry, dato un bacio sulla guancia a suo padre, si fa mettere in terra per tornare ai suoi giochi.
«Io devo andare» dice Sam.
«Grazie per la visita. E la prossima volta porta anche Emily e Judith» risponde Embry.
«Grazie a voi. Per tutto»

Esther
Da quando vivo con Leah la mia vita è tornata molto regolare. Vado a scuola tutte le mattine, faccio i compiti tutti i pomeriggi, aiuto in casa, gioco con Harry e sto attenta che non si faccia male, e Leah sembra contenta di me.
Di sera ci sediamo sul divano, con una tazza di camomilla tra le mani, mentre zio Embry racconta una storia ad Harry per farlo addormentare. E' solo alla sera che Leah mi aiuta, e solo dopo essersi accertata che per tutto il giorno io abbia seguito le sue regole.
Mi fa chiudere gli occhi e inizia a parlare.
Alcune volte di come si è sentita dopo il tradimento subito da parte di mio padre e mia madre, ma non lo fa mai con rabbia, né con rammarico. Me ne parla serenamente, e da questo capisco che ormai l'ha superato ampiamente e che non ho il diritto di essere arrabbiata con i miei.
Altre volte mi parla di Ethan, di quello che le raccontano Sarah e zio Jake. Penso lo faccia per stimolare le mie reazioni. Sempre più spesso, infatti, nelle cose che lo riguardano si affaccia il nome di Beatrix e sempre più spesso tremo impaurita. Lei sembra davvero creata appositamente per lui, hanno tanto in comune, e gli sta vicina in un modo paziente. Si è conquistata la sua fiducia, ed aspetta che lui sia pronto a ricambiare i suoi sentimenti. Ho davvero paura che me lo porti via. E dovrei incolpare solo me stessa, per questo.
Certe sere, invece, ci sediamo sul divano a chiacchierare e basta. Parliamo a ruota libera, come due amiche. Non so se anche questo abbia uno scopo, ma parlare con lei mi fa sentire leggera. Non devo tenermi tutto dentro, ho qualcuno con cui parlare di quello che provo.
Un'amica. Molto più grande di me, che però mi ascolta senza giudicare.
«Signorina Uley, potrebbe continuare lei?»
Beccata in flagrante mentre pensavo ad altro, non do alla professoressa Blackhope di trovarmi anche impreparata. Ad alta voce leggo il brano da lei scelto esattamente dal punto in cui Meredith si era interrotta.
Jane Austen si adatta perfettamente a quella zitella retrograda della professoressa. Quella donna ce l'ha a morte con me perché faccio parte della famiglia di uno dei "protettori", quei ragazzoni meravigliosi che non l'hanno mai degnata neanche di uno sguardo - non che se lo meriti. O forse ha avuto una mezza storiella con lo zio Brady... mi sembra di ricordare qualcosa del genere dagli ultimi giri di ronda con lui.
E pensare che se Camille sapesse che giri ha avuto zio Brady capirebbe perché non l'ha ancora sposata. Anche se sono convinta che sia più perché sta aspettando il grande amore della sua vita, quello a cui poter rivelare chi è davvero. Il suo imprinting.
Com'è che sono finita di nuovo su questo argomento? Non lo devo fare, ogni volta mi inacidisco perché non riesco a non pensare che l'imprinting sia una prigione, non un vero legame, se non ti lascia libero di amare qualcun altro.
Torno sempre a pensare a Ethan, che se non fosse incatenato a me, magari si starebbe dando una possibilità con quella Beatrix. Impazzisco solo all'idea, ma magari lui sarebbe felice.
E torno a pensare a papà. Se l'imprinting non fosse esistito io non sarei qui, lui non avrebbe tradito Leah, o almeno così penso, e starebbero ancora insieme.
Non è colpa sua.
L'illuminazione mi coglie del tutto improvvisa, e capisco che è a questo che puntava Leah. Farmi capire che non è colpa di papà. E' solo successo.
Credo che dopo la scuola farò un salto a casa, in barba alle regole di Leah. Tanto lei sarà a pranzo sa Sue e Charlie con tutti gli altri per il compleanno di Ethan e Sarah, ed io vado solo dalla mia famiglia. Sono certa che per una volta capirà. Non sono ancora pronta a tornare a casa stabilmente, ma una chiacchierata con i miei con potrà farmi male.
Un dolore improvviso mi stringe il cuore, fa male, come se qualcuno lo tenesse chiuso in un pugno. Fa male da morire, non mi fa respirare. E' lo stesso dolore di quando Ethan mi ha lasciata, solo... più forte. Se ne sta andando. Se ne sta andando via e sta soffrendo. Non posso saperlo così, voglio che qualcuno parli con lui e lo faccia guarire, anche se quel qualcuno non posso essere io.
Più di una volta Ethan mi ha detto che non può negarmi niente se io lo desidero con tutto il cuore, perciò mi concentro e formulo un desiderio, ed è una cosa che voglio con tutte le mie forze.
Ethan, ritorna.

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