Bad day (Pov Ethan)
Ethan
Mi risveglio con un braccio indolenzito. Ancora con gli occhi chiusi, non capisco bene dove mi trovo, fino a quando non mi accorgo di essere abbracciato a qualcosa di morbido. Non dormo con un orsacchiotto dai tempi degli incubi di papà, quando Sarah mi prestava il suo per farmi addormentare, quando dividevamo lo stesso letto per farci coraggio a vicenda, perciò penso di stare ancora sognando.
Inspiro profondamente, prima di aprire gli occhi, e mi colpiscono le note del profumo di Terry. Spalanco gli occhi, e trovo i capelli della mia Esther a un centimetro dal mio viso. Le mie braccia sono avvolte attorno alla sua vita, la sua schiena aderisce al mio torace e il suo sedere al mio bacino.
Non è solo il braccio ad essere indolenzito.
Le nostre gambe sono intrecciate.
Di colpo, la realtà di quello che è successo mi travolge. Abbiamo dormito insieme.
Sento formarsi sulle mie labbra un sorriso di felicità, è stata una notte bellissima, ieri sera abbiamo parlato come facevamo prima di metterci insieme e ... abbiamo dormito insieme. Il fatto che io sia qui, sveglio, immobile nel tentativo di non farle aprire gli occhi prima del tempo mi rende possibile credere che non sia tutto frutto della mia immaginazione.
Sono felice. E la pioggia che ticchetta sul soffitto non cambierà il mio umore. Finché avrò lei al mio fianco ...
Formulare questo pensiero, anche a metà, fa sparire il sorriso dal mio volto.
Non potrò stare con lei ancora a lungo. Tra poche ore - cerco di guardare la sveglia sul comodino di Terry per capire bene quante, ma non ci riesco, non senza muovermi, e allora ci rinuncio - dovrò accompagnare Sarah all'aeroporto a Seattle e prendere possesso della mia stanza al dormitorio del campus.
Tra qualche ora sarò ufficialmente uno studente della facoltà di ingegneria meccanica all'Università di Washington.
Sono iscritto a quattro corsi. Sarei arrivato a cinque, in fondo non avrò niente da fare a Seattle. I miei amici del liceo se ne sono andati tutti al sole - California, Florida, c'è persino chi se ne è andato in Texas, alla Rice University - e, considerata la facilità con cui faccio amicizia, non avrò niente di meglio da fare che studiare. Ma Sarah mi ha ricordato che tutti i fine settimana tornerò a casa, per Esther e per il branco, e soprattutto che all'occorrenza dovrò tornare anche durante la settimana, quindi potrei non avere così tanto tempo da dedicare allo studio.
«Sei già sveglio, Ethan?» mi chiede Terry, con la voce impastata dal sonno, interrompendo il flusso dei miei pensieri, che mi stava portando lontano da lei. Istintivamente la stringo più vicina a me.
«Sì» le rispondo, sussurrandole tra i capelli.
«Sono le 7.30. Non ti svegli mai così presto!» dice prendendosi gioco di me. Ha ragione, Sarah mi rimprovera sempre per la mia scarsa collaborazione alle partenze mattutine. Lei e papà mi buttavano sempre giù dal letto per farmi arrivare in tempo a scuola. Chissà chi mi aiuterà ad arrivare puntuale alle lezioni, ora.
«Tra un'ora devo accompagnare Sarah all'aeroporto».
«Non può farlo zio Jake?» chiede lei, lamentandosi e girandosi tra le mie braccia, portando il suo viso di fronte al mio e i nostri bacini a contatto. Se pensavo che prima fossero fastidiose, adesso le mie parti basse fanno proprio male, costrette dentro i jeans.
«Non ha senso, io a Seattle devo andarci comunque. Ma andare così presto non mi fa piacere. Non più di quanto non lo faccia a te. Non ho voglia di salutarti»
«Non lo fare» mi risponde subito, cogliendo al volo la piccola speranza che le ho dato.
«Lo sai che non rinuncerò all'Università, Terry. E' un discorso che abbiamo già fatto. E a parti invertite non credo che abbandoneresti i tuoi sogni per me»
Mi allontano da lei, andando a finire contro il muro. Lei mi guarda disorientata, come se non capisse cosa ha detto o fatto. Ma lo sa, lo sa bene. Non può chiedermelo ancora. Sa quanto mi è difficile lasciarla qui, eppure continua a girare il coltello nella piaga. Continua a chiedermi di restare. E non riesco più a capire se sia inconsapevole dell'effetto che le sue richieste hanno su di me.
Stringo i pugni e mi sollevo a sedere. Porto le ginocchia al petto e me le stringo con le braccia. Lei si siede sui suoi talloni proprio di fronte a me e mi guarda fisso negli occhi. Distolgo lo sguardo. Sono arrabbiato. Con lei, perché non riesce a capire quanto sia difficile per me, e con me, perché già so che appena aprirà bocca per dire qualsiasi cosa, anche per insultarmi, la perdonerò. Come sempre.
«Ethan ... scusami» mormora. Ed io sento la rabbia defluire dalle mie membra. Ma stavolta non lo dirò. Non lo dirò. Non lo ...
«Non fa niente, lo sai che non posso essere arrabbiato con te a lungo» mi è bastato guardare un secondo il suo viso, i suoi occhi pieni di lacrime, per non avere più la forza di tenerle il muso. Si solleva sulle ginocchia, e raggiunge i miei piedi, fa aderire le sue cosce alle mie gambe, e si china verso di me, portando i suoi occhi all'altezza dei miei.
«Pace?» mi dice, guardandomi con gli occhi neri da cerbiatta dispettosa, nascosti dietro le lunghe ciglia nere. Mi sorride speranzosa, e quel sorriso sulle sue labbra mi fa venire voglia di baciarla. Il suo viso è talmente vicino al mio che riesco a posare la mia bocca sulla sua con uno sforzo minimo. Mentre ci baciamo, le mie mani si allacciano ai suoi fianchi, lasciando libere le mie gambe di allontanarsi e rendendomi possibile attirare Esther più vicina a me. Ma ho intenzione di farle scontare quello che ha detto prima, così allontano le mie labbra dalle sue e la fisso, con un sorrisetto di sfida.
«No» le dico.
«No?» ripete. E il tono con cui lo fa mi fa quasi pentire di quello che ho deciso di fare. Ma continuo lo stesso.
«No. E' guerra»
Le mie mani iniziano a muoversi lungo i suoi fianchi, facendole il solletico. Non ha mai saputo resistere al solletico, e questa volta non fa eccezione. Inizia a contorcersi e a cercare di allontanarmi da lei. Io la guardo e sorrido.
«Ethan ... No ... No ... No ...» grida, a voce sempre più alta, ma non mi lascio impietosire e continuo a farle il solletico, ridacchiando.
La porta si spalanca, me ne rendo conto solo per il rumore che fa sbattendo al muro. E' lo zio Sam, e ci fissa come se avesse visto un fantasma. Mi fissa come se avesse visto un fantasma.
Cerco di guardare la situazione per come la vede lui.
Esther, sdraiata sotto di me, cerca di tenermi lontano, poggiando le braccia sul mio torace. Io, a cavalcioni su di lei, ho le mani sui suoi fianchi, vicino al suo seno. Lei gridava, e ad un orecchio esterno sarebbe potuta sembrare spaventata.
Oh. Cazzo.
E' questo il mio ultimo pensiero, prima di trovarmi a mezzo metro da terra, a fissare negli occhi un licantropo che ha smesso di trasformarsi da anni, e che temo ricomincerà a breve, se non riesco a spiegargli che ha frainteso tutta la situazione. Esther è stupita quanto me, e continua ad alternare velocemente sguardi preoccupati a me e spaventati a suo padre.
Io mi pongo in atteggiamento di resa. So per esperienza diretta, con lo zio Paul in primis, che con un ex-licantropo incazzato non c'è da scherzare. Soprattutto quando ti tiene sollevato con una sola mano. Soprattutto se pensa che tu stessi per ... - non riesco neanche a pensare una cosa del genere - sua figlia in casa sua. Soprattutto se sembra non riconoscere chi ha davanti.
«Sam!» zia Emily compare sulla porta, ha negli occhi la paura di chi ha già visto lo zio in queste condizioni - il che mi ricorda le sue cicatrici - ma anche il coraggio che la contraddistingue, e che la spinge ad avvicinarsi a lui. Gli sfiora un braccio, quello che non è impegnato a tenere me sollevato da terra, accarezzandolo fino ad infilare la sua mano nella mano dello zio Sam.
«Sam, per favore, metti giù Ethan. Sono certa che qualunque cosa tu abbia visto quando sei entrato qui dentro abbia una spiegazione logica» gli dice dolcemente, ma allo stesso tempo con decisione.
«Lui ... Voleva ... La ... Obbligava ... A ... Stava ... Cercando ... Di ... E ...» parla a fatica, tra i denti. Conosco la sensazione. Non vuole scoppiare e cerca di trattenersi.
«Papà, no! - urla Terry, che finalmente sembra aver riacquistato un po' di lucidità - Ethan mi stava facendo solo il solletico ...» Si alza dal letto, mettendosi esattamente tra me e suo padre. La lunghezza del braccio dello zio le consente di farlo. Allunga le braccia intorno al collo di zio Sam, e lo abbraccia. Un attimo dopo, io ho di nuovo i piedi a terra, e lui sta stringendo sua figlia e sua moglie in un abbraccio quasi disperato.
«Io ... mi dispiace ...» dice, guardandomi negli occhi. Ma so che le sue scuse non sono rivolte solo a me.
«Fa niente. - rispondo - Probabilmente al tuo posto avrei fatto la stessa cosa»
Non so cos'altro aggiungere. E mi imbarazza stare qui a guardarli se penso a quello che lo zio Sam ha creduto che io potessi fare, perciò prendo la via della porta e scendo in soggiorno.
Judith è in pigiama e guarda un cartone animato alla televisione. Persino la prospettiva di parlare con lei e cercare di sfuggire ai suoi interrogatori mattutini è più allettante dello stare nella stessa stanza dello zio Sam.
«Che hai combinato?» mi chiede, con gli occhi ancora assonnati e nessuna voglia di muoversi dalla posizione comoda che ha sul divano.
«Niente, Judy ... sono state fraintese le mie intenzioni» le rispondo, sospirando, sedendomi a terra con le spalle appoggiate al divano. Non voglio tornare a casa, non con questo stato d'animo, quando lì tutti si aspettano che entri con una faccia sognante e un sorriso estasiato.
«Papà ha fatto una faccia quando ha sentito Esther gridare ...»
«Eri già sveglia?»
«Sì, e se avesse aspettato un secondo, prima di correre su, gli avrei ricordato che quello era "l'urlo da solletico"»
Piccola furbastra. E così lei l'aveva capito subito.
«Sono contento che almeno tu non mi consideri un mostro» borbotto sottovoce, mi viene spontaneo, anche se so già che chiederà spiegazioni.
«Neanche Esther ti considera un mostro, perché qualcuno dovrebbe considerarti un mostro? Stavi solo giocando con Terry, no?» mi dice, muovendosi dalla sua posizione e sedendosi di fianco a me. Si intrufola sotto un mio braccio e mi circonda il torace con le sue braccia. Se non sapessi che sto parlando di Judith azzarderei con il dire che mi sta abbracciando.
«Vedi? Io non abbraccio mai nessuno, ma non mi fai paura, quindi con te lo faccio, perché sono sicura che non mi farai del male» si stringe a me, e rimane così per un po'. Non so cosa fare. Questa bambina ha ereditato il sesto senso della zia Emily. Sa perfettamente cosa mi passa per la testa e cosa fare per rassicurarmi.
«Judy ha ragione» è la voce dello zio ad interrompere la dimostrazione d'affetto di Judith. Lei si allontana da me, quasi vergognandosi del fatto che qualcuno l'abbia vista manifestare il suo affetto così apertamente, ed io scatto in piedi, come se avessi ricevuto un ordine.
«Ethan, perdonami. Mi dispiace aver creduto possibile ...»
«Ti ho già detto che probabilmente avrei fatto la stessa cosa nella tua situazione» gli dico, senza guardarlo negli occhi. Perché nei miei c'è il seguito di quella frase. Magari non se conosco alla perfezione la persona che ho di fronte e di quale amore ama mia figlia.
«Ad ogni modo ... - fa un sospiro, e non continua la frase per come l'aveva iniziata - Terry si sta cambiando, ha detto che avevi un impegno a casa e voleva accompagnarti. Vuoi qualcosa per colazione prima di andare?» mi chiede, e so che continua a sentirsi in colpa per quello che è successo, anche se non è bravo con le parole, ma non è mia intenzione rendergli le cose più facili.
«No, ma grazie per l'offerta. Mangerò qualcosa a casa» abbozzo un sorriso a cui risponde con un mezzo sorriso falsissimo, per poi rivolgersi a Judith.
«E tu, ranocchietta? Vuoi qualcosa da mangiare?»
E, di nuovo, il suo sesto senso si fa sentire nella risposta che dà allo zio Sam.
«No ... ma voglio un abbraccio grande grande dal mio papà!» gli dice, e sul viso dello zio si forma un sorriso vero, luminoso. La prende tra le sue braccia e, così allacciati, se ne vanno in cucina.
Io mi siedo sul divano, ad aspettare Terry. Me ne tornerei a casa da solo, ed ora come ora sarei anche felice di partire per Seattle subito, ma lei vuole venire con me.
«Ethan ...» è zia Emily a comparire in soggiorno, deve aver sistemato la sua camera e quella di Judith prima di scendere.
«Zia» dico con tono neutro. E tanto basta per farla sedere accanto a me. Come dicevo, il famoso sesto senso di zia Emily. La cosa giusta, al momento giusto.
«So che sei deluso dal fatto che Sam non abbia avuto fiducia in te - esordisce - Ma prova a capirlo ... è un padre, adora le sue figlie, e sentire Esther gridare in quel modo ...»
«Zia, ti ripeto quello che ho detto anche a lui. Probabilmente al suo posto mi sarei comportato nello stesso modo»
«Ma credi che non l'avresti fatto se avessi saputo che il ragazzo di tua figlia è innamorato di lei di un amore così forte da fare male, che non gli permette di fare qualcosa che possa nuocerle»
Annuisco.
«Ne riparleremo quando avrai una figlia sedicenne con un fidanzato di poco più grande che conosci dalla culla» dice, poggiandomi una mano sul ginocchio ed accarezzandomi una coscia. Come ha fatto tante altre volte, per rassicurarmi, ma questa volta mi dà fastidio e la fermo.
«Mamma, non spaventare così Ethan!» dice Esther facendo il suo ingresso nel soggiorno. Ha una gonna a pieghe bianca lunga fino a poco sopra il ginocchio, e una camicetta decorata con un motivo a fiori neri, le maniche a sbuffo e dei laccetti che dovrebbero permetterle di chiudere la scollatura a V.
Conosco quella camicetta, ma prima, quando il suo seno non era così ... cresciuto e non la tirava così tanto, avevo meno voglia di strapparla. Mi rendo conto della direzione che hanno preso i miei pensieri e scuoto la testa. Forse ha avuto ragione lo zio a pensare male di me. Forse sono un mostro.
I corti capelli di Terry sono tirati indietro con delle mollettine colorate, e si è anche truccata leggermente. Mi fa sentire a disagio. Io sono vestito come ieri sera, non mi sono ancora lavato, e probabilmente puzzo.
«Andiamo?» le chiedo, alzandomi in piedi ed avvicinandomi a lei. Infila la sua mano nella mia e la stringe. Mi sorride, e annuisce.
«Ciao, zia ... salutami Judith ... e lo zio»
«Non ci vedremo prima che tu parta, vero?» mi chiede, alzandosi dal divano anche lei.
«No, non credo che ripasserò da qui» sorrido. Ma è un sorriso di circostanza, di quelli che non credo di aver mai usato in casa di zia Emily e zio Sam.
Zia Emily mi abbraccia forte, nonostante sia mano nella mano con Esther, poi mi allontana e, guardandomi negli occhi, mi fa le solite raccomandazioni.
«Stai attento, a Seattle»
«Zia, tra meno di una settimana sarò di nuovo qui!»
Esther scuote la testa, ed insieme ci avviamo verso la porta.
Appena fuori, si stringe a me, e in risposta le cingo le spalle con un braccio.
«Non pensavo che avessi un odore così buono di prima mattina» mi dice, a un certo punto. Sta tentando di non farmi pensare a quello che è successo, sicuramente.
«Dici sul serio? Pensavo di avere bisogno di una doccia!»
«Hai l'odore più buono del mondo. E stamattina è ancora più buono perché su di te sento anche il mio odore»
«Mi senti più tuo?» le chiedo.
«Sì, ti sento più mio. - mi risponde ridendo - Anche se mi manca ancora qualcosa»
«Cosa?»
«Il bacio del buongiorno» e, così dicendo, si ferma, obbligandomi a fermarmi a mia volta, mi tira verso di sé e mi bacia. Un bacio appassionato, un gioco di labbra, di lingue e di denti, con le sue mani che si legano dietro al mio collo e tirano i capelli sulla nuca, mentre le mie si fermano alla base della sua schiena trattenendola contro di me.
«Ora va meglio» dice, quando si allontana. Ha dato lei inizio al bacio e lei lo fa finire.
Mette di nuovo la mano nella mia ed inizia a camminare, trascinandomi con sé, ancora stordito dall'eccitazione che mi ha trasmesso con quel bacio.
Camminiamo ancora un po', in silenzio, per mano, ed è di nuovo lei a prendere la parola.
«Mi devi scusare»
«Per cosa?» le chiedo.
«Per non averti difeso subito stamattina. Ero scioccata dalla reazione di papà, e non riuscivo a capire cosa potesse aver visto per scatenare la bestia che è in lui. E quando ti ho visto arrenderti ... ho immaginato che tu avessi capito quello che era successo ... e mi sono sforzata di vederlo anche io ... ma non sono riuscita a farlo finché lui non l'ha detto alla mamma» parla confusamente, non trova le parole e lo fa di corsa, senza prendere fiato. Stavolta sono io a fermarmi.
Prendo il suo viso tra le mani e la costringo a guardarmi negli occhi.
«Terry ... non è successo nulla. Non hai colpa di nulla. Non stavamo facendo nulla di male. Era solo una situazione facile da fraintendere. Non doveva neanche esserci bisogno che mi difendessi, maledizione. - lascio il suo viso, le braccia ricadono lungo i miei fianchi, e le mie mani si stringono a pugno, mentre lo sguardo cade a terra - Sono dispiaciuto del fatto che tuo padre mi abbia ritenuto capace di una cosa simile, anche se solo per un attimo» è solo con lei che riesco ad ammettere, per la prima volta da quando è successo, cos'è che mi ha veramente colpito di tutta la situazione. Zia Emily c'è arrivata da sola, ma la mia voce riesce a dirlo solo ora, solo a lei, solo nel tentativo di tranquillizzarla.
Esther mi abbraccia, strofina la sua guancia sul mio petto, ora è lei a cercare di tranquillizzare me.
«Credo che si senta già in colpa per averlo pensato» sussurra.
In risposta la abbraccio, e chino la mia testa sulla sua. Non voglio che sia così triste. Ed oggi ha già troppi motivi per esserlo, come me.
«Vieni a Seattle con me? Così vedrai la mia stanza al campus!» le dico, un cambio d'argomento è quello che ci vuole in questo momento, per entrambi.
«Mi piacerebbe, ma poi chi mi riporterebbe indietro?»
«Io» le rispondo.
«Ma se è illogico che tuo padre accompagni Sarah, perché questa pazzia non lo sarebbe?» mi chiede, ma so che sta per accettare, vuole stare ancora un po' con me. Come io voglio stare ancora un po' con lei.
«Perché ... decido io ciò che è logico e ciò che non lo è ... - mi chino sulle sue labbra e la bacio. Un bacio leggero, che finisce subito - e questo lo è»
Ricominciamo a camminare, con il sorriso sulle labbra, ed arriviamo a casa mia.
Non riesco neanche ad aprire la porta che già il ciclone Sarah mi travolge.
«Eth! Sei venuto!» mi è saltata al collo per abbracciarmi, e la sua solita esuberanza riesce a darmi un po' di serenità, che sfocia nell'allegria. Non mi sforzo di sembrare allegro quando le rispondo.
«Come hai solo osato pensare il contrario, Sarah! Il mio doppio e la mia metà, no? Come facevo a non salutarti per bene, scema!» faccio una smorfia offesa, ma dal suo sorriso so che ha capito che sto scherzando. Piuttosto, fa una faccia preoccupata dopo aver sfiorato Esther con lo sguardo. Non ci si metterà pure lei con questa storia della gelosia, adesso?
«Beh ... più che la metà ... direi un quarto ...» balbetta. Sarah che balbetta? Credo che sia la prima volta nella storia che la sento così indecisa. E poi che significa? Le ho detto una cosa che ci diciamo fin da quando eravamo in fasce, praticamente, che cos'è questa novità? La guardo di traverso, e lei, in risposta, mi indica Esther con gli occhi.
Ok, il problema della gelosia è il solito. Ma è possibile che Esther debba essere così ossessiva? Finirà per volermi rubare l'ombra come nella storia di Peter Pan.
«Comunque hai fatto un viaggio a vuoto. Ha detto papà che mi accompagnerà lui - riprende Sarah. Papà deve aver pensato che mi sarei fermato un po' più a lungo dagli zii - Deve sistemare due cose con lo zio Embry all'officina e andiamo»
Papà all'officina di sabato mattina? Il sabato non ci va più o meno da quando si è messo con Nessie, che cos'è questa novità? Vuoi vedere che ha parlato già con lo zio Sam e vuole sfogarsi con qualcuno prima di affrontarmi? Vorrei chiedere a Sarah se sa di qualche telefonata ricevuta da papà, ma non voglio preoccuparla inutilmente.
«Almeno ti ho salutata» borbotto. E, prima che capisca che c'è qualcosa che non va, prendo Esther per mano e mi avvio verso la mia camera. A metà scale mi rendo conto che agli occhi di Sarah potrebbe sembrare strano che io non mi lamenti della levataccia che mi hanno fatto fare inutilmente.
Mi fermo, e mi volto nuovamente verso di lei.
«Ad ogni modo, potevate anche avvisare. Io ed Esther avremmo fatto a meno di svegliarci all'alba - non posso fare a meno di guardarla e sorridere, ripensando a stanotte - Noi andiamo a dormire in camera mia»
Poco prima che mi chiuda la porta alle spalle, sento Sarah chiamarmi.
«Eth! - quando imparerà che quel nomignolo mi snerva? penso, alzando gli occhi al cielo, per affacciarmi solo con la testa fuori dalla stanza - Vuoi la torta al cioccolato per quando ti sveglierai?»
Che in codice significa: "Hai intenzione di fare sesso con Esther mentre papà non c'è?"
Ridacchio, per l'assurdità della situazione. Davvero non si è resa conto che finché non sarò sicuro che Esther è innamorata di me, e non dell'ideale di me che si è costruita in tutti questi anni, non succederà niente del genere?
Non le rispondo e mi chiudo la porta alle spalle.
«Che significava?» mi chiede Esther, che si è già seduta sul mio letto. Papà ha insistito che avessi un matrimoniale, per stendermici di traverso, dato che non trovavamo un letto delle dimensioni giuste.
«Te lo dico. Ma promettimi che la finirai con questa storia della gelosia. Sono le mie sorelle, Esther!»
«Ma passi più tempo con loro che con me!» ribatte.
«Sì,ma ... Al diavolo, non capirai mai quanto mi fa male questa situazione».
Faccio il giro del letto e mi stendo sul lato opposto a quello dov'è lei. La sento raggiungermi alle spalle.
«Terry, ho caldo» le dico, duramente, quando sento le sue braccia avvolgersi attorno alla mia vita.
«Ethan ... scusami ...»
«Ti rendi conto che non puoi sempre fare così? - sbotto, alzandomi a sedere, seguito prontamente da lei - Non puoi sempre fare qualcosa che sai darmi fastidio, poi chiedere scusa, cosciente del fatto che non posso non perdonarti, e rifarlo trenta secondi dopo»
«Ma io ...»
«Io ti amo. E' questo che stavi per dire? Perché ti informo che l'amore non giustifica ogni cosa. Soprattutto queste manie di controllo che hai su di me» sto tremando. E' meglio che mi allontani da lei prima di combinare qualche guaio.
«Sai una cosa? Non ho più sonno» mi alzo ed esco dalla stanza sbattendo la porta.
Papà e Sarah stanno salendo in macchina proprio ora, perciò, per il momento, la ramanzina di papà me la risparmio. Mi infilo in camera di Sarah e chiudo accuratamente a chiave sia la porta del bagno che quella della camera. Non ho voglia di vedere nessuno.
Frugo tra i CD di Sarah, ne prendo uno con la grafia di zio Embry, del periodo in cui cercava di "educarci alla musica sana" - hip hop per lo più - lo infilo nel lettore e alzo il volume al massimo. Voglio che sappiano dove sono, perché non voglio che si preoccupino, ma non voglio che vengano da me. E questa musica urla "State alla larga".
***************
Un paio d'ore dopo bussano alla porta. E' il tipico tocco di papà. Quello che dice "se non apri butto giù la porta". E visto che la camera è di Sarah, e non credo che gradirebbe se papà distruggesse la porta, benché non abiterà qui per un bel po' di tempo, mi alzo dal letto e vado ad aprire.
«Ciao, papà» mugolo, senza neanche alzare gli occhi, dopo aver aperto la porta. Torno a sdraiarmi sul letto di Sarah.
«Ethan, cos'hai? - chiede, poi continua senza neanche aspettare una risposta - Hai una faccia tremenda. Ti va di raccontarmi?»
Sono più che sicuro che già sappia tutto, ma sta chiedendo la mia versione dei fatti. E non si fermerà a quello che gli hanno detto gli altri, per formare un giudizio ha bisogno di avere tutto il quadro completo. Adoro mio padre.
«Ho avuto una piccola incomprensione con zio Sam - cazzo, è imbarazzante parlare con tuo padre del fatto che tuo zio ha pensato che tu potessi ... - Stavo facendo il solletico ad Esther, lei ... urlava, come fa sempre ... solo che stavolta ...»
Non ce la faccio. Non riesco a guardare in faccia mio padre e a dirgli quello che zio Sam ha pensato che potessi aver fatto. Perché quell'insulto era rivolto tanto a me che a lui.
«Ethan, ho già parlato con Sam. Mi ha chiamato poco dopo che tu ed Esther siete usciti di casa sua. E' lui che ho incontrato all'officina, non zio Embry. Sembrava ... sembrava un'anima in pena, Ethan. Credo di non averlo mai visto così rammaricato ... forse ... l'unica volta ... è stata quando gli è capitato di ripensare ai graffi di Emily mentre eravamo trasformati ... - si ferma e sospira - Ethan ... so che ci sei rimasto male, per quello che ha pensato»
«Tu no?» gli chiedo, alzando un sopracciglio.
«Sì ... all'inizio - si ferma e mi guarda - ma poi mi sono messo nei suoi panni. E ho pensato che se avessi trovato Seth e Sarah nella stessa situazione probabilmente Seth non sarebbe qui a raccontarlo. E neanche io. Tua sorella mi avrebbe fatto fuori circa quindici secondi dopo» ridacchia, e anche io. Ha perfettamente ragione sulla reazione di Sarah.
«Io ... non riuscivo a credere che potesse ritenermi capace di una cosa del genere ...»
«Tua madre mi ha raccontato che anche Edward ha pensato che io avessi obbligato Renesmee a venire a letto con me, quando l'ha scoperto. L'ha dovuto trattenere dal venirmi a cercare subito. Lei si fidava di me»
«Solo perché siamo così grossi dobbiamo essere vittime di questi pregiudizi»
«In compenso le nostre donne ci adorano!» mi dice, ridendo.
«Già» commento amaramente.
«C'è qualcos'altro?» mi chiede, tornando improvvisamente serio.
«Sì. Ho litigato con Esther. Non ne posso più della sua gelosia. Specie perché è ingiustificata. E' gelosa delle mie sorelle!»
«Se le tue sorelle sono belle come le loro madri non puoi farci niente! - mi prende in giro, per un attimo - ti ha chiesto di nuovo di rimanere qui?»
«Sì. Ed è sempre più difficile dirle di no, perché sento che è una cosa che vuole veramente»
«Vuoi che ...»
«No. Niente ordini alpha. Vorrei che capisse da sola ...»
«Sei un bravo ragazzo»
«Sono tuo figlio»
«Possiamo entrare anche noi?» dalla porta appare Nessie, con le zanzare e il cucciolo.
«Certo che potete!» dico, e non faccio in tempo a concludere la frase che ho i miei fratelli accoccolati sul petto.
«Non devi essere triste, Ethan. Noi ti vogliamo bene» è la piccola Juliet a parlare, e parla anche per i nostri fratelli.
Nessie si siede sulle ginocchia di papà, ed entrambi ci guardano felici.
«Devo ... devo andare a preparare i bagagli» dico, anche se non è vero, perché sono già pronti. E' solo che questi momenti mi imbarazzano sempre un po'. Anche se ormai non mi tiro più indietro.
Papà ride, stringe Renesmee e le dà un bacio sul collo.
«Che dite, lo lasciamo andare?» chiede alle tre piccole belve che mi stanno tenendo in ostaggio. Per risposta loro si stringono ancora di più a me.
«No. Abbiamo già lasciato che Sarah se ne andasse, non vogliamo che se ne vada anche Ethan» risponde Joseph. Che strano, ho sempre pensato che fosse più legato a Seth che a me, ed ora ... questa manifestazione d'affetto.
Lo stringo a me, come stringo Jason e Juliet, e respiro i loro odori. Così diversi tra loro, ma così umani. Abbiamo messo insieme sangue di vampiro e sangue di licantropo e i loro odori sono usciti così puliti. Loro non avranno mai problemi ad integrarsi, perché se tutto va come deve, continueranno a crescere normalmente.
Profumano di buono, profumano di innocenza. Profumano di bambino.
Continuando a stringerli, mi sdraio sul letto, e mi addormento.
***************
Mi risveglio sentendo l'odore di carne alla brace provenire dal barbecue in giardino. Stanno preparando il pranzo. Sento tante voci provenire dal piano di sotto.
Zia Rachel ... Zio Paul ... Nonno Billy ... e i miei cugini che litigano con i miei fratelli come al solito. Prima o poi finirà che scopriranno tutti i segreti della famiglia solo perché hanno fatto arrabbiare Jason o Juliet al punto di non far loro controllare i loro poteri.
Un pranzo in famiglia. Non so se ho voglia di partecipare, considerato anche il fatto che non sarei dovuto essere qui. Mi alzo dal letto di Sarah e vado in camera mia. All'aprire la porta, l'odore delle lacrime di Terry colpisce il mio naso e mi fa stringere il cuore. Ecco perché odio litigare con lei, finisco sempre con il sentirmi in colpa, anche se ho ragione. Mi siedo sul letto, dove ancora le coperte sono spiegazzate per la sua presenza, e accarezzo il cuscino, che è ancora umido. Deve aver pianto un bel po' prima di decidere di tornarsene a casa sua.
Sono combattuto tra il desiderio di chiamarla, per rassicurarla e dirle che va tutto bene, e la necessità di farle capire che così, per me, non va tutto bene. Sono combattuto tra l'imprinting e me stesso.
Non posso continuare a farmi male con i miei stessi pensieri, perciò decido di utilizzare una scusa per scendere al piano di sotto e vedere che aria tira.
Mi affaccio alla finestra della camera e attiro l'attenzione di papà e zio Paul.
«Papà, quale auto devo caricare?» che tradotto significa "quale auto posso portare via?".
«Tutte tranne la golf! A quella ci tengo!» mi risponde. So perché ci tiene, quella è l'auto che aveva da ragazzo. E poco importa che dopo abbia avuto i soldi per comprarsene di nuove. Quella l'ha sistemata lui e ci tiene in maniera particolare. E' stato uno dei suoi primi successi da meccanico ... e ci ha portato spesso in giro la mamma quando era incinta di noi.
Afferro le valigie ed inizio a scendere le scale, sperando che nessuno mi veda. Passo dalla porta di fronte, e mi dirigo verso la costruzione che fa da garage, da quando il garage è adibito ad altre funzioni. Poso le valigie, apro la saracinesca, e cerco di capire quale delle auto sia meno vistosa da portare in giro. Forse la monovolume che papà ha comprato quando eravamo piccoli io e Sarah. O addirittura il vecchio pick-up di mamma.
No, ok. Il pick-up attirerebbe più attenzione delle altre auto, per certi versi.
E' proprio mentre osservo quel vecchio furgone arrugginito che vedo il fiocco sul tetto di un'auto che non era mai stata prima nel nostro garage. Mi avvicino e sul cofano c'è una busta, con su scritto "Per Ethan".
Questa è l'ennesima trovata di mamma&Co. Ne sono sicuro.
Apro la busta e dentro c'è un biglietto firmato Edward. Come volevasi dimostrare.
"Bella ed Alice si stanno impegnando a creare un intero guardaroba per Sarah, ed io, Jasper ed Emmett abbiamo pensato che questa potrebbe esserti utile.
Ti auguriamo una meravigliosa vita da universitario a Seattle"
«Ti piace?» mi volto di colpo, per trovarmi di fronte a mio padre.
«Lo sapevi?» gli chiedo, indicando la macchina con la testa.
«Sapevo che volevano regalarti un'auto. Non sapevo che avrebbero comprato una Wolkswagen Touareg. Ma, del resto, sapevo che non si sarebbero limitati ad un'utilitaria»
«Perché lo hai permesso?» chiedo, stupito del fatto che in questi ultimi due mesi ci abbia lasciati viziare così tanto dai Cullen, quando non ha mai permesso che accadesse in sette anni.
«Tua madre ha insistito. Ed ero distratto ... le ho detto di sì senza darle ascolto»
Papà ... distratto ... che liquida la mamma mentre gli parla di me e Sarah ...
«No ... papà ... dimmi per favore che intendevi qualcos'altro da quello che ho capito. Non eri a letto con Renesmee mentre la mamma ti parlava di noi ... tu sei un essere asessuato e tale devi rimanere ... tu sei un essere asessuato e tale devi rimanere ...» lo ripeto come un bambino scemo. E papà scoppia a ridere.
«Non è colpa mia se tua madre è un vampiro e di notte non dorme ...»
«Ok ... perfetto ... adesso penserò anche alla mamma ed Edward in quei termini. Non bastavate tu e Nessie. Grazie, papà, per aver rovinato la mia beata ignoranza ...»
«Credevo che le mie attività notturne con Nessie ti fossero chiare da quando hai fatto quell'incursione notturna nella nostra camera sfruttando il passaggio interno!»
Avvampo. Ma per quanto tempo ancora me lo rinfaccerà? Jason e Joseph avevano gli incubi, ed io e Sarah li avevamo portati dai loro genitori ... ovviamente quello a cui era toccato il compito ingrato di aprire la porta ero stato io ... e l'avevo richiusa subito.
«Ho ancora gli incubi» gli rispondo, imbarazzato.
«Queste sono le chiavi. Ti aspettiamo per pranzo, ovviamente» dice, cambiando improvvisamente argomento e uscendo dal garage, lasciandomi interdetto.
Carico le valigie sull'auto e mi siedo per un attimo al posto di guida.
I sedili sono comodi, e i vampiri hanno fatto installare tutti gli optional possibili e immaginabili, compresi i finestrini oscurati. Come se dovessi portare in giro qualcuno di loro.
Faccio un sospiro e scendo dall'auto.
Entro di nuovo in casa. Ha smesso di piovere, ma ancora ci sono delle nuvole nere terrificanti, e hanno apparecchiato dentro.
Zio Paul è il primo ad accorgersi che sono entrato.
«Nipote! Finalmente ci degni della tua presenza!» mi sorride e mi dà una pacca sulla spalla. In effetti la terminologia più corretta sarebbe tenta di smontarmi una spalla.
«Eh, già!» borbotto, massaggiandomi la suddetta parte lesa e sedendomi al tavolo. Finisco tra Zack e zio Paul. Mai posizione fu meno gradita.
Passiamo il pranzo discutendo del più e del meno, del viaggio che mi aspetta per Seattle, dell'auto nuova e dei corsi che frequenterò all'università. E così arriviamo al dolce.
Prendo la mia fetta di torta e vado a sedermi in veranda, dove ho passato tante sere a chiacchierare con papà, Sarah e Seth ... e a cercare di rubare minuti per rimanere alzati con i più vari stratagemmi.
Zio Paul mi raggiunge e si siede accanto a me.
«Ti manca Sarah, eh? Di solito sei taciturno, ma oggi hai battuto ogni record di muso lungo esistente. Sei riuscito a battere persino quello di tuo padre quando è tornato Edward»
«Grazie, zio. Sai come tirare su le persone» gli dico, ironico, ma sto ridacchiando. E' vero, è un po' brusco, ma sa come tirare su il morale delle persone.
«Allora, qual è il problema?» mi chiede, tornando serio.
«Nell'ordine ... Zio Sam mi ha deluso, e non pensavo che questo fosse possibile ... Ho litigato con Esther ... e devo partire ... Questa giornata fa proprio schifo»
Alza lo sguardo verso il cielo, poi commenta.
«Beh, sì ... effettivamente la giornata lascia un po' a desiderare» zio fuori-luogo Paul torna a farsi sentire.
Gli lancio un'occhiataccia.
«Era solo per sdrammatizzare. Di Sam me ne ha parlato già Jake. - oh, perfetto, Jacob lingua-lunga Black non vedeva l'ora di confrontarsi con qualcuno! - E mi sono ritrovato a pregare perché il bambino che sta nella pancia di tua zia sia un maschio. Non so se riuscirei a trattenermi in una situazione del genere. Ma, allo stesso tempo, capisco te. Perché Sam conosce alla perfezione i sentimenti che provi per sua figlia, visto che li prova lui stesso per sua moglie, e sa che non potresti mai farle del male. E questo ci porta alla lite con Esther. Ethan, i nostri rapporti di coppia non sono perfetti. Guarda me e tua zia, non facciamo altro che bisticciare dalla mattina alla sera. L'imprinting ci aiuta a trovare la nostra anima gemella, la metà perfetta, ma poi sta a noi costruire un rapporto con lei. E non è vero, come dice sempre tuo padre, che per noi è facile tenerci buone le nostre donne, perché sappiamo sempre quello che vogliono. Anzi, è paradossalmente più difficile, proprio perché lo sappiamo. La difficoltà maggiore sta nel trovare un equilibrio tra quello che vogliono loro, e quello che è bene per noi, perché spesso non coincidono. E credo che questo sia uno dei problemi più grandi tra te e Esther. Dovete ancora trovare un equilibrio»
«Lei non mi aiuta molto, se è gelosa anche della mia ombra e non vuole permettermi di andare all'università» borbotto.
«E' per questo che avete litigato?» mi chiede.
«Sì»
«Non cedere - mi dice, e si alza - Adesso vieni dentro e saluta tutti. E' ora che tu vada»
Il giro dei saluti è stato lunghissimo e lacrimoso. Juliet mi ha inzuppato la maglietta, e si è aggrappata a me come un koala. La volevo portare via con me, tanto mi dispiaceva lasciarla lì in quelle condizioni, ma poi papà e Nessie sono riusciti a convincerla che tornerò presto, tanto presto che dovranno passare solo sei giorni prima che io sia di nuovo qui. E lei mi ha lasciato andare.
Uscire dalla riserva ed immettermi sulla statale mi dà un senso di libertà, ma anche di oppressione. Più mi allontano da La Push, però, più il senso di oppressione diventa quasi un senso di liberazione.
Accendo la radio, e mi accorgo che Jasper non ha dimenticato - d'altronde come potrebbe - i miei gusti. Mi concentro sulla musica e mi rilasso. Ora sono pronto ad affrontare il trasferimento a Seattle.
***************
Parcheggio nel primo posto disponibile che trovo nei pressi della McMahon Hall, uno dei dormitori del campus della University of Washington e, prima di scaricare l'auto, mi avvio verso la portineria. Qui incontro il responsabile del dormitorio, che mi consegna le chiavi della mia stanza, la N925, al nono piano della torre nord, una piantina del piano e una serie di opuscoli sulle opportunità e le attività del campus. Il regolamento del dormitorio è appeso in camera, mi dice.
Esco e recupero i bagagli, chiudo la macchina e mi avvio verso l'ascensore. Come i ragazzi normali, anche se potrei tranquillamente portare tutte le valigie in camera salendo le scale e arrivando completamente riposato.
Mentre aspetto che arrivi l'ascensore, consulto la piantina e vedo che il piano a cui sono stato assegnato è un piano misto. Ad Esther questo non piacerà. Farò a meno di dirle questa cosa per telefono, almeno stasera. Non ho voglia di litigare di nuovo per le sue ossessioni.
Appena arriva l'ascensore, salgo e premo il pulsante 9. Arrivato al piano mi avvio alla mia stanza. So, dalla piantina, che ha le finestre sul lago Washington, e che è in una posizione isolata dal resto del piano. In un angolo della costruzione, vicina al balcone e al bagno. Per essere al primo anno mi è andata veramente bene!
Capisco di aver cantato vittoria troppo presto quando apro la porta e trovo il disastro.
Questo posto rappresentava la perfezione, fino a quando non mi sono scontrato con un compagno di stanza disordinato - ed è dire poco - che tra parentesi non è neanche presente in stanza.
Ha già sistemato le sue cose sul lato più interno della stanza, quello lontano dalle finestre, e sono contento che almeno non dovrò contendermi quel lato con lui, ma ha occupato tutte le superfici disponibili con i suoi bagagli, che non ha ancora finito di sistemare.
Prima di iniziare ad aprire i miei, sposto pazientemente i bagagli del mio nuovo "amico" nel suo lato della stanza, e mi appresto a prendere possesso di quello che, per i prossimi dodici mesi almeno, sarà il mio alloggio.
Ho appena finito di sistemare tutto, sto rifacendo il letto, quando il mio compagno di stanza entra, spalancando la porta, avvinghiato ad una biondina che sembra volergli mangiare la faccia.
«Ehm, ehm» mi schiarisco la voce, sperando di attirare la loro attenzione, ma non cambia niente. Ah, sì, la loro posizione. Prima era lui a stare contro lo stipite della porta, ora e lei, e lui le solleva una gamba, tenendosela contro il fianco.
Perfetto. E' pure un esibizionista.
Tossisco, e stavolta ottengo l'effetto sperato. Lui solleva lo sguardo. Ha degli occhi di un colore indefinito, sembrano viola, ma non ne sono certo, e i capelli corvini sono lunghi fino a sotto l'orecchio. Porta un orecchino. Niente di male, io ho un tatuaggio.
«Oh ... sei arrivato! - dice, lasciando andare la gamba della bionda e tendendomi la mano. Mi colpisce il suo odore. Del tutto coperto dal deodorante. Axe Africa. Lo stesso che uso io. - Io sono Nahuel. Si, lo so, è un nome strano, mia madre aveva molta fantasia. Tu sei?»
«Ethan, piacere. Lei è?» chiedo, indicando la ragazza.
«Tu sei?» le chiede lui.
«Cassidy» risponde, con una vocina da oca giuliva che finora avevo sentito solo alle cheerleader del liceo.
Certo che anche lui, quasi se la porta a letto e non sapeva neanche il suo nome.
«Tesoro, ti vengo a cercare dopo ... adesso faccio amicizia con il mio compagno di stanza» le dice, liquidandola, con una voce mielosa. Lei sorride e se ne va, salutandolo agitando la mano e lanciandogli un bacio.
«Che schifo ...» borbotto, quando chiude la porta.
«Non sarai mica uno di quelli "niente sesso senza amore" ?» mi chiede.
«Non giudico quello che fanno gli altri, ma troverei quantomeno edificante che chiedessero il nome delle loro vittime, prima di portarsele a letto. Così è veramente squallido. E comunque mi riferivo al casino che hai lasciato in stanza»
«Ti dà fastidio?»
«Se il tuo casino invade il mio spazio vitale, sì»
Ci fissiamo per qualche secondo in cagnesco - che per me è tutto dire - poi sorride.
«Bene, sei uno che parla chiaro e non ti fai intimidire. Mi piaci»
«Riesci a sostenere il mio sguardo incazzato per più di quindici secondi. Non devi essere male come sembri. Disordine escluso» ribatto.
Chiacchieriamo del più e del meno per una mezz'oretta, chiariamo le nostre provenienze, mi parla della sua famiglia, ed io gli parlo della mia, limitandomi a raccontare la versione ufficiale, quella con mamma morta, papà risposato e la mia sorella gemella fidanzata.
«Tua sorella è molto bella?»
«Sì, ma è fidanzata»
«Hai una foto?»
«Sì»
«Posso vederla?» chiede.
Annuisco, indicandogliela. La cornice è sulla mensola, difficilmente non riuscirebbe a capire quale è la mia gemella.
«E' quella con i capelli neri o quella con i capelli rossi?» dannazione, mi ero scordato di quanto si somigliassero Nessie e Sarah!
«Quella con i capelli neri. L'altra è la moglie di mio padre»
«Si danno da fare, vedo» dice, indicando i miei tre fratellini. Quella è una foto scattata il giorno della presentazione di July alla tribù. Poco meno di un anno fa.
Il mio cellulare che squilla interrompe la nostra conversazione. E' un messaggio ... che sia ...
No, è di papà.
"Qualsiasi cosa succeda o in qualsiasi modo te lo chieda Seth, tu non hai il numero di casa di Sarah a Boston"
Papà è di nuovo in rotta con Seth. Chissà che avrà combinato questa volta.
Non faccio in tempo a posare il telefono sulla scrivania che quello ricomincia a squillare. E' Seth.
«Pronto?»
«Ethan, hai sentito tua sorella per caso?»
«Quale?»
«A quale posso riferirmi?»
«Non saprei. A Juliet?»
«Ethan, per favore. Sono preoccupato»
«No, non l'ho sentita - guardo l'orologio appeso sopra la porta - Ma a Boston sono le dieci di sera adesso. Sarà appena arrivata a casa, e starà litigando con Edward come suo solito. Aspetta almeno un'altra mezz'ora prima di andare a denunciarne la scomparsa alla polizia!»
«Spiritoso! Dici che devo aspettare che mi chiami lei?»
«Esattamente, è quello che ho appena detto»
«Ok. Grazie»
«Di niente»
Attacco. E Nahuel mi fissa in modo strano. Ma attende che mandi un messaggio a Sarah prima di parlare.
"Per favore, chiama Seth. Sta facendo impazzire il mondo. E."
«Hai un bel rapporto con il ragazzo della tua gemella»
«Stanno insieme da una vita, non posso non averlo»
«Edward chi è?» cazzo, mi sono lasciato sfuggire quel nome. Ma pensavo che fosse distratto.
«Mio cugino di Boston. Figlio di una cugina di mia madre. Mia sorella vive a casa sua»
«E il tizio non è preoccupato?»
Scoppio a ridere.
«No, si conoscono tra di loro. Ed Edward è innocuo da quel punto di vista. Si è sposato l'anno scorso!»
«Fidanzato non è sposato, e sposato non è morto!» commenta allegramente. Se sapesse quanto ci va vicino tutto questo modo di dire con Edward ... che è morto. E pertanto fedele. E soprattutto Sarah è la figlia di sua moglie.
Ora che ho in mano il telefono, ho di nuovo la tentazione di chiamare Esther. Ma zio Paul si è raccomandato. Devo resistere.
Lo getto sul letto.
«Senti, ti va di venire a una festa? L'hanno organizzata delle ragazze del piano di sopra, e mi hanno invitato. E non credo che avranno problemi se mi presento con un ragazzo in più»
Che faccio? Ci vado oppure no? Non sono dell'umore giusto per una festa ... ma forse una festa è proprio quello che mi ci vuole in questo momento.
«Ok! Devo vestirmi in modo particolare?»
«No, direi che anche così va bene»
«Perfetto. Allora ... tempo di farmi una doccia e ti raggiungo di sopra»
«No ... la festa è tra mezz'ora. Fai in tempo a lavarti e vestirti. Ti aspetto qui!»
Raccolgo le mie cose, e vado a fare una doccia nel bagno comune, il cui ingresso è proprio di fronte alla mia camera.
Mezz'ora dopo sono pronto per andare alla festa. In jeans e maglietta.
«Perfetto! Andiamo» dice Nahuel, scattando in piedi non appena mi vede sulla soglia della porta.
E mi avvio con lui verso il piano superiore.
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