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Baciami ancora (Pov Sarah)

Sarah

«Ma la devo proprio mettere?» chiedo a Ethan, che, seduto sul mio letto, prova ad allacciarsi la cravatta.
«Sarah, non capisco questa fissazione che ti è presa proprio oggi. Sei sempre stata entusiasta di quella toga, non vedevi l'ora di indossarla ed ora fai tutte queste scene. Mi dici che hai?»
«Ho che è gialla! Ed Alice mi ha detto che il giallo mi sbatte. Senza contare che con il vestito che mi ha regalato sta da cani»
«Sapevi dal primo anno che la toga dei primi cinque studenti della scuola è gialla, ti sarebbe bastato impegnarti un po' di meno per indossare quella blu. E poi il fatto che sta da cani con il tuo vestito non conta nulla»
«Non conta nulla? Non. Conta. Nulla? - grido, probabilmente attirando l'attenzione degli altri cinque paranormali abitanti della casa - E' una catastrofe di dimensioni colossali!»
«Sarah, la toga sarà chiusa sul vestito. Nessuno lo vedrà. Di fatto non capisco perché Alice ti abbia mandato due abiti quando le hai detto che saresti andata alla festa stasera»
«Perché quello per stasera l'ha scelto mamma, e lei voleva comunque regalarmene uno a suo gusto»
«Sarah, tutto a posto?»
Come previsto, le mie urla hanno attirato il resto della famiglia. Papà, affacciato sulla porta della mia camera, con ancora la camicia sbottonata, tiene Jay per un piede e Joey in braccio sul lato opposto. Segno che li stava separando per l'ennesima volta, quando è stato attirato dalle mie urla.
«Sì, papà, va tutto bene - risponde Ethan - Sarah stava tirando fuori una catastrofe da una cosa da nulla. Il vestito non si intona alla toga. Pardon. Era il contrario»
Lo fulmino con lo sguardo, mentre si alza dal mio letto e si dirige verso le scale.
«Vado da Nessie. Forse almeno riuscirò ad essere pronto per l'inizio della cerimonia» dice, sparendo dalla mia vista.
Papà inizia a ridere, come sempre quando segue i nostri battibecchi.
«Mi chiedo se non sia stato un errore quello di permetterti di frequentare Alice - mi dice, porgendomi i miei fratellini. O forse nipotini? Non lo so, ho sempre preferito la prima - tienili così, se no fanno a pugni comunque e tu ci vai di mezzo. Certe volte, il fatto che Joseph sia l'unico con la coda è una gran scocciatura»
Mentre papà si allaccia la camicia, cerco di evitare che Jason e Joseph, cinque e tre anni rispettivamente, si prendano a morsi.
Il riferimento di papà mi fa sorridere. E' sempre così che io ed Ethan abbiamo chiamato Joseph: l'unico con la coda. Questo per distinguerlo dagli altri due: Jason e Juliet. Loro sono le "zanzare". Per sottolineare il fatto che, loro, dai Black non hanno preso niente, se non la carnagione - Jason - e il colore dei capelli - Juliet - oltre al cognome. Per il resto sono completamente made in Cullen-Swan.
Jason William, capelli rossi e occhi castani, per cinque anni di età, ha iniziato a muovere gli oggetti con il pensiero a soli sei mesi, quando Nessie lo aveva svezzato. Se così si può dire di un bambino che era passato da una dieta a base di sangue di donatori, a quella, più normale, a base di pappette e frutta, che finivano inevitabilmente sulle magliette di papà.
Juliet Isabella, capelli neri e ricci, occhi verdi per un anno di età, è in grado di manipolare gli elementi soltanto toccandoli. Hai bisogno di far bollire l'acqua per la pasta? Basta chiederglielo e farle toccare la pentola. E' efficacissima. Suppongo che tra qualche anno sarà anche in grado di far uscire il sole a Forks. Stando alle conoscenze di Carlisle i poteri dei vampiri si rinforzano con il tempo.
Joseph Edward, a parte gli occhi - che gli sono valsi il secondo nome - è un perfetto piccolo Quileute. Capelli neri, carnagione scura e nessun potere sovrannaturale. E un appetito normalissimo per il cibo umano, che non guasta. E' per questo motivo che lui, tre anni, è "quello con la coda".
Persa nelle mie riflessioni, faccio appena in tempo ad accorgermi che Jay sta facendo muovere un vecchio carillon di nonna Sarah, che il nonno mi ha regalato per il mio diciottesimo compleanno, verso la testa di Joey.
Papà è più veloce di me, e riesce ad afferrarlo prima che impatti con la testa di Joseph, per finire poi a terra. Quello sguardo che ha messo su lo conosco bene. E lo conosce bene anche Jay, che si sta divincolando dalla mia presa in ogni modo che gli riesce di provare.
«Sarah sei pronta?» grida Ethan dal piano di sotto, distogliendo l'attenzione di papà da Jason.
«Sì, scendo subito! Il tempo che tu lasci July a Nessie!» gli urlo di rimando. Non lo vedo, ma sono sicura che abbia in braccio nostra sorella.
La adora. Letteralmente.
Passo Jason e Joseph a papà e raccolgo la toga, il tocco e il discorso che Ethan e io abbiamo scritto stanotte. Niente occhiaie. La nostra natura ci impedisce di essere meno che perfetti anche dopo una veglia di ventotto ore filate. Quando le ore iniziano ad essere di più, però, reclamano il conto.
Salgo in macchina, dal lato del guidatore, e metto in moto. Dopo un secondo e mezzo netto compare Ethan. Toga e tocco alla mano, sale in auto.
«Il discorso l'hai preso tu?» chiede, gettando le cose che aveva in mano sul sedile posteriore.
«Certo! Se aspettavo che lo facessi tu saremmo dovuti tornare a prenderlo!»
«O forse avrei dovuto dare sfoggio della mia memoria perfetta!»
«A forza di stare con la zanzara minor non ti sono più chiari i tuoi limiti?» gli dico ridendo.
«Pensi che sarebbe in grado di recitarlo a memoria?»
«Chi? Juliet? - gli rispondo, mentre ingrano la quinta e sparo la macchina a duecentocinquanta chilometri orari subito dopo essere usciti dalla riserva. Ho preso la guida spericolata da papà - E' in grado di leggerlo perfettamente, quindi, immagino, anche di ripeterlo a memoria!»
«Ci vogliamo provare?»
«Vuoi farla salire sul palco al posto tuo?» gli chiedo, è ovvio che stia scherzando, ma facciamo sempre di questi discorsi assurdi quando veniamo a scuola. Mi mancheranno le nostre scemate, quando saremo all'università.
«Ti immagini la faccia della preside Weber?»
«No, ma mi immagino la faccia di papà, Ethan!» scoppiamo a ridere entrambi, e continuiamo fino a quando, poco dopo, parcheggio l'auto di fronte alla scuola.
Scendiamo dall'auto e lui si appropria delle sue cose.
Mi dà un bacio sulla guancia - da quando c'è Juliet non è così insolito che si lasci andare - e se ne va in palestra, lasciandomi come una cretina in mezzo al parcheggio
«Poteva almeno aspettare che entrassimo insieme!» borbotto, mentre mi intrufolo nell'auto per raccogliere le mie cose e rendendomi conto, con disappunto, che Ethan ha preso la toga sbagliata.
«Ehi, sedere perfetto! - urla la mia amica Jennifer dandomi una pacca sulla parte del corpo che ha appena nominato. Se fosse stata un ragazzo sarebbe già morta - Vuoi lasciare in vita qualche uomo per stasera?»
«Jen, sai che il mio sedere è tutto tranne che perfetto - messo a paragone con quello di Nessie, poi...- E non ho intenzione di uccidere nessuno. Io»
«Fai bene a sottolineare che sei tu a non voler uccidere nessuno, perché conosco un paio di persone almeno che ti farebbero la festa per aver accettato di uscire con Scott»
Chiudo l'auto e ci avviamo verso la palestra. Jen è un'altra "toga gialla". Sarà con me ad Harvard. E menomale che ci sarà lei, perché quando Ethan mi ha dato buca avrei rinunciato volentieri alla borsa di studio.
«Che poi, perché hai accettato di venire alla festa con lui? Non ti è mai piaciuto!»
«Lo sai il perché...» le dico, mentre il fiato mi si mozza in gola perché il "perché" entra dalla porta della palestra.
Bello, alto, moro, con due occhi neri penetranti e un fisico scolpito, il "perché" non mi degna di uno sguardo. O meglio, non mi degna più di "quello" sguardo. Quella sera di sette anni e sette mesi fa, la sera in cui ho fatto la cazzata più grossa della mia vita, è stata anche la sera in cui ha smesso di guardarmi in "quel" modo. Come se fossi sua.
Era stato due anni e mezzo prima, che mi ero resa conto di essere follemente innamorata di lui. Ed era successo a scuola, a mensa, davanti agli occhi maliziosi di Jen.

Era entrato a mensa, con quel completo sempre impeccabile, ed aveva incrociato il mio sguardo. Mi aveva sorriso, per un attimo avevo immaginato "quel" sorriso, e il mio cuore aveva perso due colpi.
Avevo iniziato a sorridere come una cretina, ed ero anche arrossita, cosa che non era sfuggita agli occhi di Jennifer, come probabilmente non era sfuggita a quelli di tutti gli studenti della Forks High School, vista la mia carnagione.
«Sarah, c'è qualcosa che mi devi raccontare?» mi aveva chiesto Jen, con fare cospiratorio.
Avevo scosso la testa, tenendo gli occhi bassi e continuando a mangiare.
«Sarah, dalla tua reazione direi che ti sei innamorata, se non ti conoscessi abbastanza per sapere che ogni ragazzo di questa scuola ha un inspiegabile difetto quando passa sotto il tuo scanner. E' vero che con il fratello è il padre che ti ritrovi è ovvio che tu sia diventata così esigente, ma ci sono ragazzi carini anche qui!» aveva continuato.
«E se non fosse un ragazzo?» le avevo chiesto.
«Un insegnante? Sarah, stai dando i numeri?» mi aveva bisbigliato, per non attirare l'attenzione di chi ci stava intorno.
«Non... non è proprio un insegnante» le avevo detto, e il mio sguardo si era posato su di lui. Su Seth.
«Sarah, condivido il tuo gusto in fatto di uomini, ma lui è un po'... fuori portata, non so se capisci cosa intendo» mi aveva detto, guardandomi con condiscendenza.
«No, cosa intendi?»
«Beh... che non corrispondi proprio ai suoi gusti... Ecco»
Le ero scoppiata a ridere in faccia, di gusto.
«Sarah, sei impazzita?» mi aveva chiesto.
«Puoi dirmi tutto su Seth, tranne questo!» le avevo risposto, continuando a ridere fino a farmi salire le lacrime agli occhi.
«Sai qualcosa che non so?» mi aveva chiesto Jen, passando alla modalità reginetta del gossip.
«Solo che corrispondo perfettamente ai suoi gusti» anzi, che sono tutti i suoi gusti, avevo aggiunto tra me e me.
«Avete avuto una storia?»
«Jen, ho compiuto sedici anni appena un mese fa!» le avevo detto, scandalizzata.
«Beh, non si sa mai. Sicura che non ci sia stato niente, niente?»
«Un bacio la scorsa estate - meglio mentire sulla reale data di quel bacio - ma poi più niente. E se dici qualcosa a qualcuno ti uccido con le mie mani»
«Ehi! So mantenere un segreto - l'avevo guardata di traverso. Era una cara ragazza, ma mantenere un segreto era al di là della sua portata, o almeno così pensavo, all'epoca - Voglio dire un segreto che valga la pena essere mantenuto. E questo lo è. Comunque, tornando a te... lo devi far ingelosire. Se ti ha baciata vuol dire che gli piaci. E che ha buon gusto, anche se, Sarah, fattelo dire, così conciata sembri un maschiaccio. Hai qualcuno che ti possa aiutare con la moda?»
Avevo scosso la testa, c'era zia Rachel, ma piuttosto che dirle che mi ero scoperta innamorata di Seth e che mi serviva aiuto per questo mi sarei sparata. Poi avevo avuto un lampo di genio.
«Ci sarebbe... una cugina» meglio farla passare così.
«Allora fatti aiutare da lei. Lo farei io stessa, ma i miei vogliono che li aiuti all'albergo, nel fine settimana»
Era stato quel fine settimana che Alice mi aveva coinvolto per la prima volta nel suo giro di shopping.

«Sarah, mi stai a sentire?» mi chiama Jen.
«No, scusami, dicevi?» le rispondo, riprendendo a camminare con la testa sulle spalle.
«Dicevo che dopo due anni e mezzo o te lo scopi o la fai finita di pensare a lui!»
«Jen!» la rimprovero, cercando mio fratello con gli occhi per avere una scusa per uscire da quel discorso.
"Te lo scopi". La fa facile, lei, che non sa quanto io sia stata deficiente.
Lui era mio, lei non sa neanche quanto, e io l'ho allontanato dicendogli che "se si fosse presentato il problema gelosia, avremmo ridiscusso i nostri equilibri".
Deficiente, deficiente, deficiente che non sei altro!
L'avevo capito appena dieci giorni dopo, quando non l'avevo trovato a casa sua e nonna Sue mi aveva detto che era partito. Senza salutarmi.
E l'avevo capito ancora meglio quando mi ero scoperta innamorata di lui.
Deficiente, deficiente, deficiente che non sei altro!
Probabilmente mi sarebbe bastato andare da lui e dirgli che lo amavo. Ma no, l'orgoglio di cui il mio paparino mi aveva gentilmente rifornita, nonché la cocciutaggine, mi avevano impedito di farlo.
Deficiente, deficiente, deficiente che non sei altro!
Finalmente incrocio Ethan. Sul palco. Vicino a Seth che gli spiega come e quando deve alzarsi a parlare. Ridono. Sono così belli...
«Sarah, ti sei imbambolata di nuovo!» mi rendo conto di essere una pessima amica, oggi, ma non riesco a comportarmi diversamente.
«Scusa, Jen, cercavo Ethan, ha preso la mia toga per sbaglio!» le dico, sganciandomi da lei, tanto poi saremo sedute vicine, e raggiungendo mio fratello.
«Ethan, hai preso la mia toga!» gli dico, cercando di non lasciarmi incantare da Seth ancora una volta.
«Sì, me ne ero accorto. Te l'avrei portata non appena avessi finito qui!» mi risponde.
«Ciao, principessa, non mi saluti neanche?» mi chiede la voce. Quel principessa mi va stretto da quando ho capito - me l'ha spiegato papà - che è il modo di Seth di farmi capire che sono ancora una bambina. La bambina.
«Ciao, Seth! - gli rispondo, voltandomi verso di lui con il mio migliore sorriso - Ho saputo che stasera farai da chaperon al ballo!»
«Sì, farò il vecchio della situazione, ed eviterò che voialtri giovincelli facciate uso di sostanze poco consone alla vostra età»
«Questa viene dal professor Berty! - che era vecchio già quando mamma frequentava questo liceo - Non certo dalla preside!» gli rispondo ridendo.
«Mi hai beccato! - mi dice lui di rimando, mentre sul suo viso si forma quel sorriso meraviglioso che prima dedicava solo a me - Comunque volevo farti i complimenti per il discorso. Ethan dice che l'hai scritto tu!»
«L'abbiamo scritto insieme - gli rispondo, arrossendo - comunque, grazie!»
«Sì, l'abbiamo scritto insieme mentre io dormivo sul tuo letto» sottolinea mio fratello.
Ethan è forse quello più scocciato dalla fase di stallo in cui sto con Seth, perché lui vorrebbe dire a Esther quello che prova per lei, ma papà e zio Sam vogliono che aspetti che sappia tutta la storia del branco prima, e ogni volta che ci vede fare finta di niente si innervosisce e cerca di mettermi in imbarazzo. Anche lui, come Jen , non capisce perché abbia accettato l'invito di Scott per questa sera, quando ho passato praticamente tutto il liceo a cercare di evitarlo.
«Ok, sì, è tutto merito mio. Ora puoi darmi la mia toga, così torno da Jen?» dico a Ethan. Che non ha ancora capito che più lui insiste a mettermi in imbarazzo più la situazione tra me e Seth peggiorerà, anziché migliorare.
Mi porge la toga con uno sguardo mortificato, consapevole però che gli perdonerò anche questa, e mi saluta con un cenno della mano.
«Ci vediamo tra un po', Seth» gli dico, scendendo dal palco con eleganza e raggiungendo Jen.

***************

Ora il liceo è veramente terminato. Ho il mio diploma in mano e sto cercando di raggiungere la mia famiglia.
Papà ha fatto un tale casino durante la cerimonia che Seth è dovuto scendere dal palco a minacciare di cacciarlo via. E il bello è che la colpa era del quarto di vampiro e del mezzo licantropo che si stavano azzuffando tra le sue gambe.
Non ho ancora capito perché Jay e Joey litighino così tanto. Ok, la loro natura è quella che è, ma non stanno un minuto senza azzuffarsi, e soprattutto la cosa nell'ultimo anno è notevolmente peggiorata.
Finalmente li raggiungo. Ethan, non so come è già qui, ha già Juliet in braccio. A me rimane da scegliere tra Jay e Joey. Entrambi tra le braccia di papà. Juliet, strano a dirsi per una figlia femmina, odia stare in braccio a lui. Credo che questo provochi una grande ilarità in nonno Edward.
Decido di non prendere nessuno dei miei fratelli. Forse ho capito perché litigano così tanto.
«Jay , si può sapere perché litigate tanto, voi due? Siete fratelli, non dovreste farlo!»
«E' per te, Sarah - lo sapevo, io - E' per chi ti sposerà quando saremo grandi!» mi risponde, con il candore dei suoi cinque anni. Contrariamente ad ogni aspettativa, crescono normalmente.
«Jay, nessuno di voi due mi sposerà, quando sarete grandi - meglio mettere le cose in chiaro da subito e farli smettere di litigare - siete i miei fratelli. Non possiamo sposarci!»
«E chi sposerai, Sarah?» mi chiede Joseph, serio.
Arrossisco e tossisco. Colpita e affondata da un bambino di tre anni. Se la loro crescita corporea è normale, non è così per la loro intelligenza.
«Qualcuno prima o poi la sposerà!» dice allegramente Seth, raggiungendoci.
Seth, quanto ti... amo. Penso tra me e me.
Seth sa tutto delle mie "relazioni", più di quanto in effetti non sappia papà, o meno, se guardiamo il pelo dell'uovo. Perché papà sa perfettamente che i ragazzi con cui sono uscita negli ultimi due anni non sono stati altro che il tentativo malriuscito di far ingelosire Seth.
«Allora, dove andiamo a festeggiare?» chiedo, per cambiare argomento.
«Qualcuno mi ha detto che casa Cullen ha riaperto i battenti, per oggi!» dice Nessie, in un gran sorriso.
«Scherzi? Ci sono tutti?» le chiedo, incredula.
«Non tutti. Ci sono solo Alice e Bella, in effetti. Rose e Emmett vi fanno gli auguri e si scusano per non essere qui, ma avevano un "lavoro non precisato" con un anaconda in corso - rido all'affermazione di papà, e so che è serio, perciò mi viene ancora di più da ridere - Edward e Jasper si sono dati a un "finesettimana da scapoli" e Carlisle ed Esme sono andati a trovare alcuni amici in Europa. Ma mi hanno assicurato che avrete tutti i vostri regali!»
«Ci sarebbe piaciuti averli qui! In fondo Edward è il "nonno" di queste tre belve, Jasper è stato il nostro allenatore per anni e agli altri abbiamo imparato a volere bene!» gli risponde Ethan.
«Anche a loro sarebbe piaciuto essere qui, Ethan, e saranno molto felici delle tue parole» dice Nessie abbracciandolo.
Qualche minuto dopo siamo in auto. La zanzara maior e il lupetto sono voluti venire con noi, e papà ha chiesto a Seth di fare altrettanto, in modo da darci una mano con le due belve.
Lo so che lo fa perché domani partirò per un mese, vado in California con Jennifer e la sua famiglia, e poi me ne andrò ad Harvard e vuole che per allora le cose con Seth siano sistemate. Ma tutta questa pressione non mi aiuta. E dovrebbe saperlo, perché sono come lui.
La pressione non ci aiuta.

**************

La festa a casa Cullen è stata il solito raduno del branco in un posto un po' meno stretto del solito.
Mamma e Alice hanno regalato a me e ad Ethan due computer portatili, perché potessimo "tenerci in contatto". Il fatto che lui sarà a Seattle, e io a Boston, sulla costa opposta degli Stati Uniti, in effetti non aiuta il nostro rapporto.
Ora sono in camera mia, e mi sto preparando per la festa di stasera. L'entusiasmo è scemato quando papà mi ha ricordato che Seth sarà lì in veste ufficiale, e che quindi non potrà darmi tanto peso. Sarò come qualunque altro studente.
Come sono stata per quattro anni. Sebbene fossi la seconda studentessa della scuola per merito, alle spalle di Ethan, e nonostante l'avessi fatto in gran parte per lui. Perché fosse fiero di me.
Ma ha ragione Jen. Se lui ha imparato a fare a meno di me, io avrei imparato a stare senza di lui. In fondo, se quella storia dell'imprinting fosse vera, lui si sarebbe dovuto rendere conto di quello che provo molto tempo fa.
Finisco di prepararmi per le otto. Scott passerà a prendermi tra mezz'ora. Scendo al piano di sotto - la piccola casa dei Black ha raggiunto il secondo piano cinque anni fa, con la nascita di Jason e la necessità mia e di Ethan di avere un po' di privacy, e tra qualche mese sarà del tutto inutile - dove trovo nonno Billy e nonno Charlie intenti a guardare una partita.
«Gli altri?» chiedo.
«Tua sorella e i tuoi fratelli sono da Rachel» mi risponde nonno Charlie, senza neanche girarsi a guardarmi.
«Anche Ethan?»
«No, lui sta tagliando la legna con tuo padre» mi dice nonno Billy.
Se papà sta tagliando la legna sono solo due i casi. O prevede di fare un falò a breve, e non credo proprio che ce ne sarà bisogno, o stasera ad Ethan toccherà il turno come babysitter.
E sono quasi certa che sia questa l'opzione giusta.
«Insomma non c'è nessuno in questa casa che possa dirmi come sto...» cerco di far staccare gli occhi dei miei nonni dal televisore, per farli posare su di me, ma senza alcun successo.
Il vestito che la mamma ha scelto è perfetto, anche se sul colore credo che abbia giocato molto il fattore "Edward". Io e lei abbiamo lo stesso incarnato, e lui si è fissato sul fatto che il colore che ci sta meglio addosso sia il blu.
Ho i capelli raccolti sulla nuca, e ho detto a Scott di comprare dei fiori bianchi, che staranno alla perfezione con il vestito e i sandali a tacco altro che mamma mi ha regalato insieme ad esso.
«Tesoro, sei magnifica!» mi dice papà, poggiato allo stipite della porta sul retro.
«Non capisco tutto questo spreco di energie per quell'imbecille!» commenta invece Ethan, non nascondendo la sua avversione per l'imbecille, che mi viene a prendere appena quindici minuti dopo, perfetto nel suo smoking nero.
La sua auto è tirata a lucido, come ci si aspetta che sia in una situazione del genere. Mi aiuta a salire in auto, chiudendo lo sportello come un perfetto cavaliere, e come un perfetto cavaliere mi porge il suo braccio per appoggiarmi a lui, quando devo scendere.
Cinque minuti dopo, capisco il motivo per cui non sono mai uscita con Scott. E' uno spocchioso egocentrico che pensa che tutto gli sia dovuto solo perché è un campione di basket. E' uno di quelli che Ethan godrebbe nel far ricredere sulle proprie capacità.
Passo la prima ora e mezza del ballo a chiedermi che fine abbiano fatto tutti.
Non solo non riesco a vedere Seth, dal posto in cui sono seduta, ma neanche Jen e Simon sono in vista, da qui. Continuo ad agitarmi sulla sedia, sperando di attirare l'attenzione di qualcuno che possa salvarmi da questo supplizio. Scott è talmente preso a parlarsi addosso da non rendersi nemmeno conto che mi sto annoiando a morte, e che sto cercando una via di fuga da lui.
Fino ad ora non ha fatto altro che parlare dei suoi trofei di basket e delle partite che la squadra della scuola avrebbe perso se non ci fosse stato lui, ed ho la spiacevole sensazione che sia questa la considerazione che ha di me. Una partita vinta di cui vantarsi con gli amici, o un trofeo da mettere in bella mostra sulla sua mensola. O una tacca in più sulla cintura, come dice nonno Charlie, quando cerca di mettermi in guardia da tipi come... come Scott, in effetti. No, grazie.
«Sarah, ti stai annoiando?» mi chiede a un certo punto. Lo fisso per qualche secondo sbalordita. Forse non è del tutto deficiente come penso.
«Un pochino» ammetto, ma sempre con educazione, come mi è stato insegnato fin da quando ero una bambina.
«Andiamo» mi dice porgendomi la mano, che afferro sicura, pensando che mi porterà in pista a ballare per un po'. In fondo è questo che si fa alle feste, no? Si balla.
Mi accorgo solo un po' troppo tardi che invece la direzione che stiamo prendendo è quella dell'uscita.
«Scott, dove stiamo andando?»
«Tu hai detto che ti annoiavi, e ad essere sincero anche io mi stavo per addormentare, così ho deciso di anticipare un po' la seconda parte della serata!» risponde con un sorriso, che non vale la metà di quelli di mio padre, di Ethan, o di Seth.
Poi mi rendo conto del lessico che ha usato. Ha detto "anticipare", non "movimentare" o qualsiasi altra cosa che implichi un cambio di programma. Vuole fare qualcosa a cui aveva già pensato.
«E dove andiamo?» chiedo. Più informazioni ho, maggiore è la speranza di elaborare una contromossa.
«Ho prenotato una stanza al Bed-Mington» mi dice, facendomi oscillare la chiave di una stanza di albergo davanti agli occhi. Il Bed-Mington è il motel sulla statale. Cerco di divincolarmi dalla sua presa, evitando di dimostrargli quanto io sia più forte di lui. Non starebbe bene se una signorina gracile come me avesse la meglio su un campione di basket come lui. Anche se ammetto che mi piacerebbe vedere l'espressione sulla sua faccia se succedesse.
«Perché invece non rimaniamo un po' a ballare? Sono sicura che ci divertiremmo un mondo!» gli dico, nel tentativo di convincerlo a restare, mostrandogli il migliore dei miei sorrisi, quello che di solito è riservato a Seth.
«Io invece sono sicuro che il mio programma sia molto più divertente, dolcezza» dice, stringendo la presa su di me, ma in maniera che sembri che mi stia abbracciando.
In realtà, il contatto con lui è decisamente sgradevole, e ho il forte istinto di provare a liberarmi, ma non voglio essere additata da tutti come un mostro, quindi ancora una volta è la ragione ad avere il sopravvento. Rimango quieta, anche se rigida, nella sua presa.
Tuttavia, la nostra passeggiata verso l'uscita la trascorro invocando sottovoce il nome di Seth, sperando che in mezzo a tutto quel casino riesca a sentirmi e che venga a salvarmi.
«Dove state andando?» chiede una voce. La sua voce. Sapevo che non mi avrebbe lasciata nei guai. Non può farlo. Non se io voglio che lui me ne tiri fuori.
«Stavo accompagnando Sarah a prendere una boccata d'aria, signor Clearwater. Deve aver bevuto qualcosa di strano e non si è sentita molto bene!» dice Scott, con aria da attore consumato. Seth però sa perfettamente che io non bevo mai, meno che meno per errore, dato il mio olfatto sviluppato.
E infatti inizia a tremare, facendomi spaventare, più per quello che potrebbe succedere a lui che per quello che potrebbe capitare a chi ci sta intorno.
«Signor Marshall, mi prende per uno stupido?» Scott inizia ad innervosirsi. Come tutti gli studenti della scuola sanno, Seth non dà mai del lei, a meno che non sia estremamente incazzato.
«No, signor Clearwater...»
«Allora perché non mi dice cosa ha a che fare una stanza al Bed-Mington a suo nome con questa signorina»
Stavolta quella che sussulta sono io. Mai Seth aveva usato le parole, estremamente impersonali, "questa" e "signorina" per riferirsi a me.
«Stavamo andando giusto...» risponde, o almeno tenta di farlo, Scott.
«Signor Marshall, lei sa che in questo stato avere rapporti sessuali con soggetti non consenzienti è un reato?»
Scott ha un'impennata di orgoglio, estremamente pericolosa con Seth in quello stato, ma lui non lo sa.
«E chi lo dice che il soggetto non è consenziente!» esclama.
Seth inizia a tremare più forte, e non riesce più a controllare le sue reazioni. Prende Scott per il bavero della giacca e lo alza di almeno quindici centimetri da terra.
E' a questo punto che ritrovo la voce. Sono l'unica a cui possa dare ascolto, quando è in questo stato.
«Seth!» grido. Non mi importa che qualcuno mi possa rimproverare del fatto che non posso prendermi tanta confidenza con un insegnante. Cavolo, la scuola è finita e, tra le altre cose, lui è mio.
Il primo tentativo, comunque, va a vuoto. Seth continua a fissare minaccioso Scott.
«Seth, ti prego! - lo supplico - Scott è uno studente, vuoi perdere il lavoro?» gli chiedo. E con quello riesco ad attirare la sua attenzione. Mi fissa intensamente per qualche istante, poi poggia Scott a terra con delicatezza e fugge via.
Non ci penso un secondo di più. Lo rincorro, mormorando appena uno "scusa" verso Scott. Che poi, se ci ripenso, dovrebbe essere lui a scusarsi con me!
Inseguo Seth lungo le strade buie di Forks, seguendo un po' il suo odore, un po' il rumore delle sue scarpe. Preferisco il primo, perché i rumori vengono tutti coperti dal ticchettio dei miei tacchi sull'asfalto. Correre con queste scarpe e questo vestito è una tragedia.
Proprio stasera dovevi scappare, tu, eh Seth? Gli dico mentalmente.
E' proprio in questo istante che lo trovo, fermo, in mezzo alla via. Le braccia tese lungo i fianchi e i pugni chiusi.
E' arrabbiato con se stesso.
Rallento fin quasi a fermarmi, e inizio a parlare.
«Perché sei fuggito, Seth?» gli chiedo, muovendo un primo passo verso di lui.
«Perché mi hai seguito?» mi chiede di rimando, continuando a darmi le spalle.
«Non potevo lasciarti in quello stato, Seth. Dovevo assicurarmi che stessi bene!»
«Beh, ora l'hai fatto. Torna dal tuo prezioso Scott!»
«Non ne ho voglia» gli dico, e in quel momento si volta verso di me e mi fissa. Fa un passo nella mia direzione ed alza le braccia, come per abbracciarmi, ma le abbassa quasi subito.
«Scusami» dice, distogliendo di nuovo lo sguardo. Non capisco perché si stia comportando così. E voglio che me lo dica, non posso continuare a supporre!
«Seth, perché sei scappato?» gli chiedo di nuovo, avvicinandomi ancora di più a lui, e posandogli le dita sul mento, per portare i suoi occhi nei miei.
«Per via della mia gelosia, Sarah» mi risponde lui, con lo sguardo rapito dal mio. Mi sento un po' vampira in questo momento. Papà si imbambola così quando guarda Nessie negli occhi. Ethan si imbambola così a fissare Juliet. Ma a lui capita anche con Esther, perciò quello potrebbe essere anche un problema di Ethan.
«Che vuoi dire, Seth?»
«Che stavo per picchiare a morte uno studente solo perché aveva insinuato che... e non volevo sembrare un mostro ai tuoi occhi e... non voglio "ridiscutere i nostri equilibri"»
«Allora è solo per via di quella stupida promessa che mi avevi fatto anni fa?»
«Non è una stupida promessa, perché mi ha permesso di tenerti vicina in tutti questi anni in cui non hai mostrato alcun interesse per me, e non voglio sentirmi dire che io per te non sarò mai più di un amico, perché potrei non sopravvivere, Sarah!». Distoglie lo sguardo e si volta, ma faccio in tempo a vedere le prime lacrime sul suo viso. Non mi piace che pianga. Non voglio che pianga. E soprattutto non deve piangere per una stupida come me.
Gli giro intorno, per portarmi di nuovo di fronte a lui, e gli sorrido.
«Tu per me non sarai mai un amico» gli dico, seria. Lui mi fissa a lungo, prima di parlare.
«Perché sono geloso di te? Non vuoi più avere a che fare con me? Capirei, se fosse così...» mi dice, con voce accorata, quasi disperata.
«No, perché ti amo, stupido» gli dico, e non faccio neanche in tempo a finire la frase che le sue braccia mi avvolgono, le sue mani mi accarezzano la schiena e la sua fronte è sulla mia. Trovo i suoi occhi vicini ai miei. Persi nei miei. Adoranti.
«Dici sul serio? Non sto sognando, vero?» mi chiede, ancora incredulo, mentre le dita di una delle sue mani si intrecciano tra i miei capelli, finendo di disfare quello che dell'acconciatura rimaneva dopo la corsa, sfidandomi quasi ad allontanarmi da lui.
«Sì, dico sul serio. Ti amo, da mesi. Da anni. Forse da sempre. Solo che ero troppo stupida per capirlo, Seth. Ti amo. Ti amo. Ti amo» gli dico, continuando a guardarlo negli occhi, perché capisca che le mie parole sono vere.
«Ti amo anch'io, Sarah. Non sai quanto. E non sai quanto ho aspettato di sentirti dire queste parole. Avrei strappato gli occhi ad ogni ragazzo che ti guardava o ti toccava, e stasera... Scott ha rischiato grosso, lo sai? Con questo vestito sei magnifica. Non che tu non lo sia anche di solito, ma... sei uno schianto!»
«E dopo tutti questi complimenti, posso avere un bacio, mio principe?»
«Subito, principessa!» dice. E le sue labbra scendono sulle mie. Solo questo leggero contatto risveglia tutti i miei sensi. Le mie mani si allacciano dietro il suo collo e stringono i corti capelli sulla sua nuca.
Il bacio diventa sempre più profondo. La sua lingua si intreccia alla mia, esplora la mia bocca, ne accarezza l'interno e ne assaggia il sapore.
Dopo quelle che mi sembrano ore, ci separiamo per riprendere fiato, ma restiamo allacciati, come se avessimo paura che questo sia un sogno.
Io non sono ancora sazia di lui. Ho bisogno di un altro assaggio di lui. Solo lui mi fa sentire completa, finalmente.
«Baciami ancora» gli dico, quasi in un ordine.
«Non sono mai stato così felice di obbedire, principessa!»
E mentre le sue labbra scendono di nuovo sulle mie, prima di perdere definitivamente l'uso della ragione, scopro che quel nomignolo mi piace di nuovo. Ha acquisito un nuovo significato. O forse l'ha sempre avuto e io non l'ho mai capito. Sono la padrona del suo cuore, e farò in modo che lui non debba più soffrire.
Il nostro universo privato viene bruscamente ricatapultato nella realtà dall'inizio della pioggia.
Seth si sfila la giacca per proteggermi da essa. Gli sorrido per ringraziarlo, e ritrovo sul suo viso il sorriso che mi dedicava quando ero ancora una bambina. Il mio sorriso. E so che Seth è tornato. Ed è merito mio. Così come era per colpa mia che se ne era andato.
«Mi accompagni a casa?» gli chiedo.
Lui mi stringe a sé, e insieme ci dirigiamo verso la sua auto.

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