All good things (come to an end) (Pov Sarah/Matt)
Sarah
Caro diario,
anche oggi nessun progresso. Ethan continua a fissare il vuoto, seduto sulla spiaggia, con le cuffie nelle orecchie, e si rifiuta di parlare. Mangia poco, giusto per farmi un favore, e sta sempre chiuso in se stesso. Se ha bisogno di comunicare lo fa usando il nostro speciale canale, e non si sforza neanche di parlare con la nostra ospite.
Denise è dolcissima con lui, lascia che faccia quello che si sente di fare, ma a me dà fastidio vederlo così. Mi dà fastidio perché so che questo non è lui.
Lui è quello sempre attivo e giocherellone, quello che da papà ha preso il meglio.
Eppure...
Eppure è lì, con le braccia strette attorno alle ginocchia, seduto su una spiaggia deserta ad osservare l'oceano. Almeno qui c'è il sole, e la cosa mi conforta non poco, almeno non rischia di prendersi un malanno. Ecco, di nuovo. Sembro sua madre. Come se fosse possibile, poi, che si prenda un malanno.
Mamma.
Mamma ci ha chiamati anche stamattina. Voleva parlare con lui, con Ethan. Come tutti i giorni. Delle volte mi chiedo perché non si sia ancora precipitata qui, poi ci penso e mi dico che lei è morta, per tutti quanti, e che comunque io e Ethan sembriamo più grandi di lei, ma... è inutile, inevitabilmente finisco sempre per pensare al fatto che ci abbia abbandonati, e che non abbia mai tenuto abbastanza a noi. Papà è già venuto a trovarci due volte, una volta, la prima, da solo, quando gli ho detto che ero preoccupata per Ethan, che non mangiava, non dormiva e non parlava.
Si è seduto vicino a lui, sulla spiaggia, e ha fissato l'oceano con lui. Non hanno parlato, li osservavo dalla stessa postazione che ho ogni giorno e che ho anche adesso. La sedia del tavolo della cucina, la cui finestra dà sulla spiaggia. L'unico progresso che ha fatto Ethan quel giorno è stato accorgersi di avere un altro essere umano al suo fianco. Ha passato una cuffietta a papà e hanno ascoltato insieme la musica per buona parte del resto del pomeriggio.
La seconda volta, con lui c'erano anche Ness e i piccoli. Ethan ha giocato un po' con July, poi ha afferrato il lettore mp3 e si è rifugiato in spiaggia. Di nuovo.
Mi sfugge un sospiro, e Denise alza lo sguardo su di me. Lo sento, il suo sguardo, quegli occhi azzurri e limpidi che ti frugano dentro.
«Cos'hai, Sarah?» mi chiede, infatti. Non che ci volesse un genio per capire che ho qualcosa, visto che mio fratello, il mio gemello, il mio doppio e la mia metà, è in quelle condizioni, e io lo rivorrei indietro come nuovo.
«Mi fa stare male vederlo così» rispondo, indicando la finestra con la penna. Il tappo è mordicchiato, come sempre, quando sono nervosa.
«Pensavo fossi in tensione perché è venerdì»
Venerdì. Significa che Seth sarà qui solo tra qualche ora. E Seth qui significa litigi, preoccupazioni in più, incomprensioni. Tutte cose delle quali non ho bisogno.
«Grazie per avermelo ricordato» sputo tra i denti, sarcastica. Certo, non deve esserle passato inosservato neanche che Seth e io non andiamo molto d'accordo, ultimamente, visto che quando è qui - tutti i fine settimana - preferisco dormire nella stanza di mio fratello, piuttosto che con lui. Denise non è una che si scandalizza, e il primo finesettimana in cui Seth è venuto qui abbiamo dormito insieme, ma Ethan aveva gli incubi e io mi alzavo continuamente per confortarlo. E' per questo che abbiamo iniziato a litigare, è sempre questo il motivo delle nostre discussioni. Ethan, il bene che gli voglio, il mio volergli stare vicina e il fatto che sacrifichi anche il tempo con Seth per stare con lui.
L'ultima volta è finita con me che uscivo dalla sua stanza sbattendo la porta e che gli urlavo di crescere. Io. Che urlo a Seth di crescere. E' assurdo. E' come se lui ed Esther si fossero scambiati i ruoli, ora è lui, quello geloso del tempo che passo con mio fratello.
Sospiro ancora e Denise alza di nuovo gli occhi dal suo ricamo. Mi guarda, sorride e ritorna al lavoro.
Esther.
Ho chiamato zia Emily, qualche giorno fa, mentre Ethan dormiva. Esther è tornata a casa, con lei e zio Sam, e sembra che Judith le sia molto d'aiuto, anche se ha solo sette anni. E' una ragazzina in gamba.
Zio Sam e zia Emily non ce l'hanno con Ethan. Affatto. O almeno questo è quello che dice zia Emily... credo che zio Sam invece sia un po' risentito per come sono andate le cose. Non tanto per il fatto del bambino, quanto perché, nonostante l'imprinting, si sia lasciato avvicinare da un'altra ragazza. Non so se ce l'ha proprio con lui, o è perché gli ha fatto pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente tra lui e Leah, se solo ci avesse provato.
Ma il passato è passato. Leah si è ripresa e sta con zio Embry, e il piccolo Harry è una meraviglia. Lui sta con zia Emily e sono una coppia splendida che ha sfornato due figlie in gamba.
L'avere condiviso quel segreto con Esther ci ha molto unite, per questo vorrei avere il coraggio di prendere il telefono e chiamarla, ma non saprei cosa dirle, e non so neanche se mi risponderebbe.
Sarah. Ethan mi chiama, strappandomi alle mie riflessioni.
Che c'è?
Mi porteresti qualcosa da sgranocchiare?
No. No, adesso basta. Deve smetterla con questo atteggiamento.
E dai!
No, alzati e vienilo a prendere.
Ma sei lì!
Sì, e dovrei venire comunque a portartelo. Invece tu potresti venire qui e scambiare due parole con Denise, dato che in un mese non ha ancora sentito la tua voce, e potrebbe iniziare a pensare che tu sia muto.
Non saprei cosa dirle!
Beh, puoi iniziare con il ringraziarla, dato che non l'hai fatto e da un mese ci ospita a casa sua senza chiedere niente in cambio. Sarebbe il minimo!
E se...
E se?
E se poi mi fa delle domande?
Se avesse voluto farti delle domande l'avrebbe fatto nonostante il tuo mutismo. E adesso muovi quel sedere pesante che ti ritrovi e vieni qui!
Lo sento ridere. Nella mente, certo, ma ride. Mi fa così bene sentirlo ridere.
Mi mancava, sai?
Cosa?
Abitare con te. Ridere con te. E di te. Farmi prendere in giro per la mia pigrizia, per il mio essere un irrimediabile ritardatario e un metodico cronico. Mi mancava anche solo parlare con te, ultimamente eravamo diventati troppo tesi.
E te ne accorgi dopo un mese?
Non lo so... anche tu mi hai trattato come un moribondo in fin di vita, in queste settimane.
Adesso viene fuori che è colpa mia se te ne sei stato come un'ameba spiaggiata a sentire musica.
Non sto dicendo che è colpa tua. Ma forse, se ci fossimo impegnati un po' di più a rimanere noi stessi anche quando siamo andati a vivere in posti diversi... ricordi che ce l'eravamo promesso? Non doveva cambiare niente, quando tu ti fossi messa con Seth, ed io con Esther. E invece è cambiato tutto. Tutto. Non trovavamo più il tempo per essere io e te. Due fratelli che hanno combattuto insieme tutte le loro battaglie, e che erano inseparabili. Ci siamo allontanati, tanto, e me ne rendo conto solo ora che tu ritorni a trattarmi come sempre. Con un po' di superiorità e un po' meno preoccupazione. Obbligandomi a fare cose che non mi va di fare.
Non sono così prepotente! Protesto vivacemente.
Sì, che lo sei. Ribatte.
Forse, e solo forse, potresti avere un po' di ragione. Ma solo forse. E comunque... ti imputavo colpe che non erano solo tue. Ho ritenuto che Esther fosse responsabile del nostro allontanamento, per colpa della sua gelosia. E non mi rendevo conto che stavo facendo esattamente la stessa cosa. Passavo tutto il mio tempo con Seth, cercavo di fare la figlia perfetta e la nipote perfetta, convinta che tu per me ci saresti stato sempre, che tra di noi non sarebbe mai cambiato niente. Ti ho dato per scontato, forse. Ma mi rendo conto che ho bisogno anche di te, per essere davvero felice.
E io di te.
Sospiro, e torno a guardare quello che ho scritto sul diario.
Aggiungo una frase: "Forse, solo forse, le cose iniziano a cambiare"
«Sarah?» Ethan è arrivato alle mie spalle, e mi chiama. Con la sua voce, muovendo le labbra. Mi volto verso di lui, con gli occhi spalancati per la sorpresa, e di sfuggita riesco a vedere un sorriso sulle labbra di Denise, che fa finta di niente e continua a ricamare.
«Mi dispiace che tu debba litigare con Seth, per colpa mia. Ma sono felice che tu stia combattendo per rimanermi vicina. Ti voglio bene»
Mi abbraccia stretta, e non me lo aspettavo. Rimango rigida, in un primo momento, poi mi rilasso e ricambio l'abbraccio, chiudendo gli occhi e godendomi la sua vicinanza. Qualcuno entra nella stanza e si schiarisce la voce, riapro gli occhi immediatamente, pensando che sia Seth. Ma chi ho davanti non è il mio fidanzato.
«Matt! Che ci fai qui?»
«Dovrei essere io a chiedertelo, visto che è casa di mia nonna!» dice, poggiando il borsone a terra, vicino alla porta. Parla con un tono scocciato, ma gli sorridono gli occhi, mentre si avvicina a Denise e l'abbraccia.
«Vi conoscete?» mi chiede Ethan, un po' sorpreso.
«E' Matt... il ragazzo di Jen» Ethan annuisce, ha capito che è proprio "quel" Matt, e non ci mette molto a cambiare espressione e a porsi sulla difensiva, nonostante allunghi la mano per stringere quella del mio amico.
«Considerato che tu non sei Seth, direi che dovresti essere Ethan. O sbaglio?»
«No, non sbagli»
Ethan lascia la mano di Matt, e si rifugia al mio fianco.
«Vorrai stare un po' con tua nonna da solo, Matt! Noi ce ne andiamo un po' in spiaggia!» affermo allegra, mentre spingo mio fratello fuori dalla porta finestra, afferrando al volo il mio diario.
Seduta sulla sabbia vicina ad Ethan, rifletto su quello che significa la parentela di Matt con Denise.
«A cosa pensi?»
«Che i nostri dubbi su Matt erano fondati. Se è parente di Denise, è possibile che sia uno di noi»
«Ma il suo odore è completamente umano, Sarah!»
«Già, come quello dei - » fisso mio fratello con gli occhi sbarrati, e lo sguardo che mi rivolge mi fa capire che forse potrebbe essere questa, la risposta giusta.
Matt
«Che ci fanno qui?»
«Matthew Timothy Gordon, smettila di ringhiare e mettiti a sedere» mia madre non cambia di una virgola. Era così settant'anni fa, quando sono venuto al mondo, e questo è il suo carattere anche adesso che almeno all'apparenza è invecchiata. Non quanto avrebbe voluto, purtroppo. O per fortuna, per quanto mi riguarda. I suoi geni hanno impedito che avesse l'aspetto di una novantenne. Quello che dovrebbe avere, per l'appunto. Mia madre, invece, ne dimostra una settantina, una nonna giovane, che altrettanto giovane si è trovata a badare al figlio di suo figlio, morto giovane in un incidente stradale assieme alla moglie. E' questa, la nostra relazione di parentela ufficiale, da circa vent'anni. Lei ne dimostrava poco più di una sessantina, all'epoca, e io avevo smesso di invecchiare da un bel po'.
«Mamma, per favore, è importante. Che ci fanno qui?» e se avessero scoperto tutto? E se Sarah volesse rivelare tutto a Jen, io... io cosa farei? Respiro di nuovo, quando ricordo che mi ha chiesto cosa facessi qui, perciò non sa ancora niente.
«Ricordi Leah?» mi chiede.
«Come scordarla?» Leah, la ragazza che mia madre aveva trovato in un bar in città, e che aveva portato a casa nostra, perché "aveva gli occhi vuoti". Quando me l'aveva detto, al telefono, avevo pensato che fosse completamente impazzita a mettersi una sconosciuta dentro casa. Ma poi l'avevo incontrata, quella ragazza dai lineamenti fieri e dagli occhi spenti, e tutti i miei dubbi erano spariti. Erano spariti, perché avevo capito cosa avesse spinto mia madre a farla entrare in casa nostra. Innanzitutto la sua natura, così simile a quella di mia madre. Così lontana dalla mia.
«Sarah è fidanzata con il fratello di Leah»
«Aspetta... Seth... è il fratello di Leah? Quello che...» mia madre annuisce, capendo a cosa mi sto riferendo. Perciò, anche Seth e Sarah hanno avuto i loro momenti no, quando lei ha scoperto di essere la sua sathina. A proposito, come mai non è qui, dato che non si staccano un secondo?
«E come mai non è qui anche lui?»
«Ha un lavoro. Ed è in lite con Sarah» mi spiega con poche concise parole, come suo solito. La cosa mi sorprende, ma visto come il fratello l'abbracciava, penso che Seth sia un po' geloso, lo sarei anche io. Lo sono anche io. Quando Daniel è venuto a trovare Jen a Boston - per conoscere me - non facevo altro che gravitarle attorno, come a marchiare il territorio.
«Come mai? - chiedo, avvicinandomi alla dispensa e cercando i magnifici biscotti con le gocce di cioccolata che mia madre ha sempre pronti per gli ospiti - E non dirmi che non lo sai»
«Anche se fosse, non te lo direi. Non sono affari tuoi, e comunque Seth sarà qui, oggi».
«Bene» dico, mordendo il primo biscotto della visita. Chiudo gli occhi, e inspiro profondamente. Casa, finalmente.
Espiro lentamente, e mi decido a chiedere a mia madre quello che mi preme sapere.
«Quanto pensi che ci metteranno a fare due più due?»
«Poco, Matt. Di me credo che abbiano un'idea precisa già dai tempi di Leah. Per te... non ci metteranno molto. Hanno tre fratelli minori, che hanno esattamente la tua stessa natura»
«Aspetta, vuoi dire che la moglie del padre è... una mezza vampira?»
Mamma annuisce. Non pensa mai volontariamente a papà, e in questi giorni deve averlo fatto anche troppo. Non me lo ricordo bene, avevo poco più di tre anni, quando ce ne siamo andati di casa, e nonostante la memoria infallibile sia un'eredità che ho avuto da lui, non riesco a ricordare bene il suo volto.
In casa non ci sono mai state sue fotografie, e sono passati poco meno di settant'anni. Non riesco quasi a credere di averlo avuto, un padre. A volte, nei sogni, rivivo le litigate di mia madre e mio padre, ogni singola parola volata in quella casa. Ricordo i suoi occhi viola posarsi su di lei, furiosi, e addolcirsi posandosi su di me. Sono sicuro che mi voleva bene. Ma perché ci ha lasciati andare così facilmente, allora?
«A che pensi?»
«Niente di rilevante, mamma»
«Puoi dirmelo, se pensavi a tuo padre»
«E'... difficile»
«Cosa?»
«Accettare il fatto che non ci abbia mai cercati» ammetto, rassegnandomi al fatto che mia madre non mi lascerà mai in pace, se non le dico esattamente quello a cui stavo pensando. A volte è dura avere una madre così sensibile a quello che prova chi le sta intorno. Altre volte rende tutto più facile, basta un sospiro e sa già tutto.
«Cosa ti fa pensare che non ci abbia mai cercati?»
«Dopo settant'anni ci avrebbe di sicuro trovati»
«Matt, io penso che tuo padre ci abbia cercato per mesi, se non per anni, poi si sarà rassegnato al fatto che non ci avrebbe trovati»
«E' per questo che in quel periodo cambiavamo spesso posto dove vivere?»
«In parte sì. Non volevo che ci trovasse»
«Perché?»
«Lo sai il perché»
Già, lo so. Perché io fino a vent'anni sono cresciuto normalmente, come un normale umano. Poi... ho semplicemente smesso di farlo. Non sono invecchiato di un solo giorno, dal mio ventunesimo compleanno. E lei sì.
Il motivo delle liti dei miei genitori era sempre lo stesso, il fatto che io stessi crescendo come un umano, che probabilmente mi sarei trovato ad invecchiare prima di loro. Decisamente prima di mio padre, visto che lui non invecchiava.
Mia madre aveva sacrificato la sua vita con lui, il suo amore per lui, e l'aveva fatto per me, perché non dovessi sentirmi strano. Ce ne eravamo andati nottetempo da quella casetta ai margini della foresta, mentre lui era lontano per una battuta di caccia.
«Mamma?»
«Dimmi»
«Mi racconteresti qualcosa di lui?»
«Perché?»
«Vorrei... cercarlo. Non voglio rimanere solo»
«C'è ancora tempo» mi dice, abbassando lo sguardo sul lavoro di ricamo che tiene tra le mani.
«Lo so, ma vorrei sapere qualcosa di lui, prima che sia troppo tardi»
«Va bene - posa il lavoro sul tavolinetto di vetro e legno che ha di fronte, chiude gli occhi, ed inizia a parlare - Lo incontrai nella foresta, dopo che me ne ero andata dalla tribù. Sai che per tutti ero la Putri Utara, la figlia del Nord, dato che mio padre, tuo nonno, veniva dal Canada. Quando lui e mia madre se ne andarono per colpa di quel nubifragio, la tribù lasciò che crescessi, ma lo sentivo con quanto disprezzo mi guardavano, nonostante, o forse proprio per quello, avessi ereditato la natura di mia madre, una macan tutul, e una volta maggiorenne decisi di andarmene. Era passato solo qualche mese, quando mi scontrai con un uomo dagli occhi viola e dalla carnagione scura. Tuo padre -»
«Nahuel»
Ci voltiamo entrambi verso la porta finestra, a completare la frase è stato Ethan. Sarah ha gli occhi gonfi di lacrime, e si copre la bocca con una mano.
«Si chiama così suo padre, no?» chiede a mia madre, che annuisce.
«Come lo sai?» chiedo, guardandolo furioso. Non può permettersi di sconvolgere mia madre a tal punto e passarla liscia.
«E' il mio compagno di stanza al campus. Nonché guardia del corpo».
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