Non ho sonno, sono raggomitolata su me stessa e mi rimbombano in testa tutti gli insulti detti dalle persone. Le lacrime mi rigano il viso, mi ripeto che devo essere forte, ma a chi la do a bere, troppe volte sono caduta e faticosamente mi sono rialzata ma ora non ce la faccio più. "stupida" "grassa" "cessa", piango ancora di più. Il punto è che non solo fuori casa mi vengono dette, ma anche all'interno, da parte della mia famiglia. I miei un giorno mi hanno detto che sono nata per caso, che non ero voluta e che avevano semplicemente dimenticato le protezioni. Basta, basta! Mi rigiro nel letto e mi accorgo di aver macchiato le lenzuola di sangue, i tagli bruciavano, questa volta erano più profondi, ma non facevano più male del taglio che avevo nel cuore. Continuo a piangere, fino a quando una volta esausta mi addormento sperando di poter essere felice almeno nei sogni.

"Ti amo" "ti amo anche io" rispondo. È bellissimo, si chiama Victor, frequenta il terzo anno nel mio stesso college ed è il capitano della squadra di football della scuola. È alto, muscoloso, moro con gli occhi color oceano, ogni volta che li incrocio mi ci perdo dentro. Lo vedo avvicinarsi lentamente, dolcemente mi poggia le mani sul viso e poi sui fianchi costringendomi a rimanere in contatto con lui. Mi tira a sé, sento il suo fiato leggero sul collo, si avvicina sempre più alle mie labbra.

"Drin, drin" La sveglia suona, sapevo che era troppo bello per essere vero, infondo una sfigata chi la calcola; lui è lo stereotipo di ragazzo americano e ovviamente le sue prede sono le ragazze facili e popolari.

Passando davanti allo specchio noto che ho un aspetto bruttissimo, più del solito, ho gli occhi gonfi; d'altronde ho pianto tutta notte. Mi allontano dallo specchio per paura di poter scoppiare di nuovo in lacrime e vado in cucina per prepararmi la colazione.
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Buongiorno a tutti, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Ricordo di lasciare un commento e condividere la storia!