___ - No disc loaded -
Ecco.
Il camioncino della posta si è appena fermato.
Lo sto seguendo da stamattina, da quando mi sono reso conto di aver fatto un grave errore.
Tutto questo perché sono un'idiota che si è fatto prendere dalla foga, dalla voglia di ricostruire un legame mai del tutto spezzato.
Non dovevo spedire il pacco per posta, non devo fare in modo che terzi entrino nella questione, non voglio.
Non devono permettersi.
Ucciderei chiunque si mettesse in mezzo, nessuno deve farlo, tantomeno un postino.
Ma è stata colpa mia, solo colpa mia. Mi sono punito severamente, ho di nuovo lavato il corpo e lo spirito dalla mia colpa.
La piega dell'avambraccio ancora brucia, il taglio non è stato profondo, ho fatto quel che faccio di solito quando sbaglio qualcosa.
Non tollero sbagli, assolutamente. A maggior ragione quando sono io a compierli.
Devo punirmi.
Ho sempre in tasca una lama pronta all'occorrenza.
Sono molto diligente nel ferirmi, e lo sono solamente per conservare intatta la mia splendida pelle. Per questo ho scelto la piega del braccio, non voglio lasciare cicatrici sul mio corpo.
Così mi hanno insegnato a fare.
Il postino è appena sceso e sta suonando alla porta.
Arriva qualcuno e non mi nascondo. Passeggio come nulla fosse e, dietro al mezzo mi accuccio, aspettando in silenzio.
L'uomo si avvicina, apre lo sportello del bagagliaio e afferra un pacco pesante che lo fa camminare a passi misurati. Arriva sulla soglia della casa e non trova i documenti, quindi deve rovistare nella borsa a tracolla.
Ne approfitto: sbuco dal mio nascondiglio e infilo la testa tra gli sportelli spalancati.
Eccolo lì, ancora sporco di sangue.
Sorrido, mi allungo e lo afferro.
Pesa poco così posso sparire senza dare nell'occhio mentre il postino ancora attende sulla soglia che la padrona di casa gli porti una penna, dandomi le spalle.
Io non avrei mai fatto lo sbaglio stupido di dimenticare una biro a casa. Senza quella rischi di restare bloccato.
Ma io sono un uomo dall'intelligenza superiore, questi esseri sono normodotati, pezzi di carne resa viva da una mediocre mistura di neuroni e convenzioni, nulla a che vedere col saper pensare con la propria testa.
Ecco perché li odio. Stanno alle regole.
Regole decise da pochi che governano la vita altrui, le vite, tante vite.
Assurdo.
Non ho mai concepito questo modo di ragionare, la voglia di farsi mettere i piedi in testa, la consapevolezza di farsi assoggettare dai capricci altrui in cambio di qualche programmino idiota in tv.
Io neanche la guardo, la tv.
Carico il pacco nella mia macchina nascosta in un vicolo dietro l'angolo, ci balzo su e accendo lo stereo, l'unica cosa nuova di questo catorcio.
Lascio che nell'abitacolo si diffondano le note dell'unico pezzo registrato più di cento volte sul CD, di modo che le sue parole mi ricordino di continuo perché sono qui, cosa devo fare.
Non voglio distrazioni e in questo modo non ne avrò.
La musica, la mia musica mi aiuterà a rimanere in toto concentrato sull'obiettivo.
Ich habe Pläne, grosse Pläne
Ich baue dir ein Haus
Jeder Stein ist eine Träne
Und du ziehst nie wieder aus
Eccolo che canta.
Ja, Ich baue ein Häuschen dir
Hat keine Fenster keine Tür
Innen wird es dunkel sein
Dringt überhaupt kein Licht einen
La voce di Till Lindemann mi ricorda cosa devo fare, passo dopo passo, come devo abbellire la tana. Il testo accarezza il mio sogno con i suoi versi profetici.
Mi ha dato l'idea, mi ha detto come realizzarla e io sto lavorando per renderla realtà.
Lo farò, sarà realtà e tutto sarà perfetto, la mia ossessione avrà termine e con essa la vita.
Una liberazione.
Sono arrivato di fronte a un bosco senza quasi rendermene conto, preso com'ero dalle mie fantasie. Credo che qui vada bene, c'è un bello spiazzo che sembra fatto apposta per incorniciare il mio regalo.
Poco lontano vedo la sede del BAU e sorrido a me stesso.
Sì, va bene qui.
Non c'è nessuno in strada e col mio mezzo mi inoltro nel bosco. Non importa se gli ammortizzatori avranno problemi, non è questa la mia priorità.
Non è la mia macchina, questa.
Ed è per questo che ho usato l'accortezza di indossare due guanti in lattice. La parrucca scura mi dà sempre un grosso aiuto, come gli occhiali.
È stato semplice aspettare che il padrone di questa carretta scendesse e la lasciasse esposta al mio sguardo. Mi è bastato usare un'asticella di metallo e un fermaporta. Avevo già questa idea e me li sono procurati in precedenza, rubandoli da un negozio di cinesi. È impressionante come questi non dotino il negozio di antifurto, quando lavorano senza pagare le tasse.
E non mi hanno detto nulla, mi è bastato guardarli, come al solito.
Lascio la macchina col motore acceso e la portiera spalancata, scendo e apro il bagagliaio, estraendone il pacco appena ritornato di mia proprietà.
Lo poggio sul tetto dell'automobile e mi infilo nella stessa, togliendo il freno a mano.
Il veicolo comincia una lenta ed estenuante discesa lungo il leggero pendio che ho tutta l'intenzione di lasciarmi alle spalle. Ho il tempo di prendere il pacco tra le braccia ed osservare la macchina scivolare all'indietro, sbucando sulla strada appena percorsa.
Sorrido quando noto che non passa nessuno di lì.
Come sono fortunato.
Prendo tutto questo come un segnale che mi lancia l'input per iniziare a percorrere il pendio in salita, lasciando dentro di me un'ottima sensazione.
Il profumo del bosco, il rumore degli animali, gli uccelli che comunicano tra loro, le foglie e i rametti che scricchiolano sotto le mie scarpe, radici e sassi inumiditi che fungono da trappole.
Adoro la natura, così vera.
Infida per nascita, non ha bisogno di convenzioni sociali alle quali far fede per rapportarsi agli altri esseri.
In qualche modo faccio parte anch'io di questa natura infida, malvagia agli occhi altrui. Ma seguo solo il mio istinto, ciò che mi dice di fare.
Arrivo nei pressi di una radura e mi guardo attorno, nutrendo i miei occhi della sua perfezione
Metto il pacco a terra e lo apro.
Sorrido: al suo interno il tronco inerte di quella donna, la rossa Antoinette.
Ricordo ancora con piacere il momento in cui ho privato il suo corpo di quegli inutili e ingombranti arti. La lunghezza delle gambe in una donna viene sempre vista come una delle massime espressioni di bellezza, ma per il mio fine erano solo un ostacolo.
La sua pelle è fredda, dura, sembra fatta di cera.
Il tronco è perfettamente curato, ho fatto attenzione a non rovinarlo pulendo con la massima cura tutto il sangue superfluo per mettere in rilievo la scrittura nel mezzo dell'addome.
Mi sono dovuto limitare a pochi versi. Il tronco di una donna è piccolo, il punto vita stretto.
La prossima volta potrei puntare un uomo, almeno la cassa toracica sarà più spaziosa.
Sì, si potrebbe fare.
Ma dovrò usare una dose maggiore di anestetico.
Se una donna così minuta si è ribellata, ci potrebbe essere la possibilità che un uomo riesca a sopraffarmi.
Sono un essere superiore. Non permetterò che ciò accada.
Afferro il pacco da terra e lo rivolto, infischiandomene del tonfo attutito dalle foglie che il tronco mozzato della mia vittima produce.
Mi chino per voltarla sulla schiena. Voglio che vedano la mia opera e siano colpiti da essa, non mi piace l'idea che vengano distratti da altro.
Devo ammettere che è stato difficile trovare un pacco degno. Avrei dovuto decapitarla ma la testa era una parte troppo importante.
Lei lo sa, lei capirà.
I capelli, i suoi capelli sono tanto, troppo importanti, sono fondamentali per il legame.
Lei capirà.
Oh.
Ho sporcato la mia vittima, sul viso ci sono dei rimasugli di terra.
Strappo un lembo della camicia e strofino la fronte di lei per pulirla. Ecco, ora va meglio.
La guardo: è davvero bellissima.
Sorrido a me stesso. Ho scelto proprio una vittima alla mia altezza, senza neanche farlo apposta.
L'ho scelta quando è arrivata ad Alexandria e l'ho pedinata, per capire quando avrei potuto attaccarla.
Mi ha offerto la possibilità su un piatto d'argento, quando si è staccata dalle sue amiche.
«Grazie.»
I suoi occhi vitrei fissano il vuoto, l'espressione di terrore ancora cristallizzata, il momento della morte catturato dal suo sguardo desideroso di aiuto.
Mi ha sempre eccitato procurare sofferenza, eppure sono talmente assorto nel mio compito che nemmeno questo mi dà un briciolo di appetito sessuale.
I capelli li ho accuratamente lavati con uno shampoo che li lucidasse. Voglio che questo rosso splendido colpisca chiunque le metta gli occhi addosso, deve colpirli come uno schiaffo.
Trasportarla senza gambe e senza braccia è stato un gioco da ragazzi, anche se mi è dispiaciuto un po' smembrarla. Quelle braccia erano così belle. Affusolate, muscoli poco accentuati, perfette.
E le mani, piccole e candide, minute come quelle di una bambola.
Quanta bellezza c'era in questa donna, mi è quasi dispiaciuto averla dovuta uccidere.
Ma la sua esistenza è stata sacrificata per una causa migliore della sua stessa, inutile e patetica vita.
Un corvo gracchia prima di levarsi in volo e smuovere un ramo. Mi guardo attorno: il sole è alto, deve essere ora di pranzo.
Quanto mi sono attardato qui con la mia vittima?
Beh, adesso devo proprio lasciarla andare.
Le do un bacio sulla fronte come segno di riconoscenza perché è così che mi sento nei suoi confronti, ora che si è piegata al mio volere aiutandomi a realizzare il mio piano.
Adesso conta qualcosa per me, tanto che riesco a provare una minima percentuale di affetto nei suoi confronti.
Va sempre a finire così, solo quando sono morti riesco a considerarli esseri umani. Perché fanno quel che dico io, tutto lì.
Mi alzo in piedi e controllo che sia tutto al posto giusto. Non voglio nasconderla, voglio che la vedano e la trovino subito.
Afferro il pacco ormai vuoto e lo smonto, gettandolo lì vicino.
Mi infilo le mani in tasca, faccio qualche passo indietro e sorrido alla mia vittima.
«Grazie.»
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