___- No disc loaded -
«Scendo qui, grazie», dico al tassista.
I taxi per disabili sono più comodi degli altri, senza dubbio.
Quanto sono stupidi gli esseri umani.
Si sforzano tanto per mettere tutti allo stesso livello, e poi li ghettizzano.
Locali per gay, assistenti sociali per disabili, mezzi dedicati... come se non potessero fare nulla insieme a noi.
E la pietas... quel buonismo odioso che esercitano, perché loro sono bravi, sono buoni, devono dimostrare alla società di essere perfetti, inattaccabili.
Idioti.
Non gliene frega niente dei disabili, non gli importa nulla di chi soffre.
Non li aiutano mai in prima persona, alla fine lasciano sempre che siano loro a cavarsela da soli.
Tutte le visite sono a pagamento ma gli stipendi sono più bassi, se hai perso le gambe devi fare una visita ogni tot, altrimenti perdi la pensione di invalidità.
Come se la mobilità degli arti potesse essere riacquistata.
Branco di meschini profittatori, ecco cosa siamo.
Il tassista ha arrestato la sua corsa da un po' ma non mi sta aiutando a scendere. Mi ha teso la mano unicamente per avere i soldi.
Ma guarda un po'.
Mi ficco la mano in tasca e gli allungo due banconote da dieci.
«Tenga il resto», gli dico ostentando fretta. Non voglio condividere un attimo di più in auto con questo essere.
Quello sorride e solo a quel punto scende a darmi una mano.
Mi disgustano.
Gli esseri umani mi disgustano.
Egoisti e avidi, non per nulla hanno tirato su le multinazionali, che sfruttano il più debole per i loro scopi, come fanno tutti, anche i pesci più piccoli.
Lo faranno sempre, sarà sempre così.
Li odio, li odio tutti.
Odio il loro buonismo.
Odio le loro bugie.
Odio la loro sete di potere.
Odio tutto degli esseri umani.
Il tassista si decide ad aprire la porta scorrevole del taxi, e in primis afferra senza grazia la mia nuova sedia a rotelle, cercando di aprirla con uno strattone, senza riuscirvi.
Non ce la fa neanche al secondo tentativo.
«Quella mi è costata fior di dollari su internet. Non romperla.»
Ho cercato di imprimere nella frase tutto il disprezzo possibile.
Sono un disabile e ti ho pagato di più. Se non sei capace, lascia perdere.
Quello mi tira un'occhiata scocciata per poi scusarsi subito, in nome del mio status sfortunato.
Ma chi te l'ha fatto fare a prendere un taxi per disabili? Non lo sai che sono solo più rogne?
Potevi prenderne uno normale, pezzo d'idiota.
Essere inutile.
Mi afferra con due braccia, sollevandomi e depositandomi più delicatamente di quanto mi aspettassi sul mio mezzo.
Gli sorrido e lo ringrazio.
Quello mi augura buona giornata e se ne va, dopo aver depositato il pacco postale sulle mie ginocchia.
Non pesa poi molto e mi avvio sulla rampa per disabili, raggiungendo il marciapiede.
Se non altro non sono italiani: quelli si parcheggiavano sempre sulla rampa.
Non ho mai avuto a che fare con un popolo assurdo come quello.
Totalmente idioti, ipnotizzati dai loro smartphone, impegnati in una continua lotta dove bisognava sempre metterlo dietro al prossimo, altrimenti non eri nessuno.
E più qualcuno ti era amico, più dovevi farlo.
Che popolo di merda.
Mi fermo di fronte a una vetrina di un negozio di elettronica e guardo la mia immagine riflessa.
Il cappuccio è ben messo, la barba rasata alla perfezione, la parrucca nera sembra ben posizionata ma mi porto una mano sulla testa per saggiarne la stabilità.
Non scivola. Ottimo.
Arrivato a questo punto della strada, non ricordo qual è la direzione giusta e fermo un passante a caso, «Mi scusi...»
Un uomo distinto si ferma e abbassa lo sguardo in cordiale attesa, «Si?»
«Mi sa indicare l'ufficio postale?»
Quello si guarda attorno. Forse non lo ricorda nemmeno lui e sto già pensando di andarmene, quando mi dice, «Deve andare a destra all'incrocio e poi di nuovo a destra tra due isolati. Vuole che ce la porti io? Oggi le strade sono molto trafficate, potrei darle una mano.»
«La ringrazio ma ce la posso fare», rispondo col migliore dei miei sorrisi.
Avrei anche potuto usarne uno qualsiasi, tanto avrebbe comunque fatto quel che volevo.
Difatti sorride a sua volta, mi augura una buona giornata e se ne va.
Non appena si volta, la mia faccia torna seria.
Stupido essere inutile, figurati se ho bisogno del tuo aiuto.
Sussulto di sorpresa, sentendo in lontananza delle sirene spiegate.
Che mi abbiano già beccato? No, impossibile.
Non può essere.
Mi volto tremando e le vedo.
I SUV dell'FBI sembrano usciti da un film su Fast and furious, tanto stanno facendo zig zag tra le macchine.
Deve essere successo qualcosa.
Sorpassano anche me e sospiro di sollievo. Che figura ci avrei fatto? Beccato all'istante con le mani nel sacco... anzi, col pacco.
Devo stare calmo. Nessuno sa quel che ho fatto, cos'è successo e chi io sia.
Ma sarà meglio non soffermarmi troppo a lungo nel mondo esterno al mio, tra i normodotati.
Poggio le mani sulle ruote e spingo con forza, dandomi lo slancio necessario a ripartire, trascinando la sedia a rotelle per il marciapiede colmo di persone.
Ma non hanno un cazzo da fare, questi?
Accidenti, c'è troppa gente. La mia misantropia non li tollera.
Vorrei ucciderli tutti.
Forse avrei dovuto scegliere la strada del mass murder.
In fondo ho tutte le caratteristiche per farlo.
Perché no? In fondo sono un insensibile.
Non provo nulla di fronte a loro, sono insignificanti, non mi importa nulla di colpire la gente, io devo colpire una persona, una sola e poi potrò essere libero.
Libero da quest'ossessione, libero di vivere, di morire, di agire, libero.
Libero e basta.
I am a world before I am a man
I was a creature before I could stand
I will remember before I forget
Before I forget that.
Oh sì, come mi fa sentire bene.
Canticchio nella mente una delle mie canzoni preferite mentre vado avanti verso la meta odierna e nessuno mi sente o mi capisce, immerso come sono all'altezza dei loro busti.
Ma perché esistono tutti quanti?
A cosa servono?
Solo a creare traffico, rifiuti, e mi intralciano.
Vorrei sparissero tutti in una pioggia di sangue.
Dio, come li odio.
Ecco, sono arrivato all'ufficio postale.
Sorrido tra me e me: ci sono delle scale, nessuna traccia di rampe per disabili.
Come farò a recapitare il pacco?
Mi guardo attorno, cercando un aiuto con gli occhi.
È l'ora della recita.
Mi sporgo dalla sedia, le gambe strette, i muscoli immobilizzati. Guardo a destra e a sinistra, finché non vedo qualcuno incamminarsi per le scale con una raccomandata tra le mani.
«Signorina! Mi scusi!» chiamo, ma quella non risponde.
Ha fretta di salire, la puttanella, è troppo bella lei nella sua svolazzante gonna in seta color sottobosco per dare ascolto a un povero, inutile e malfunzionante disabile come me.
Ringrazia Dio di non essere la mia seconda preda.
Metto le mani sul pacco, continuando a guardarmi intorno con sguardo spaesato.
Perlomeno fingo di essere un innocuo disabile che ha bisogno di aiuto.
Si fermerà qualcuno, perdio!
...
No, non si ferma nessuno. Sono già passati due minuti e mi saranno passate davanti venticinque persone.
Affollata di stronzi questa città.
«Serve una mano?»
Mi volto.
Un gruppetto di cinque bambini si è fermato, tre maschietti e due femminucce.
Ma che carini.
Mi viene quasi da ridere. Come al solito i bambini sono sempre quelli più intelligenti e svegli di tutti, puri come l'acqua, non ancora insozzati dalle malsane regole della società.
Sorrido, «Devo spedire questa lettera e questo pacco ma non so come arrivare all'ufficio postale. Ci sono solo scale e io non...»
«Lo facciamo noi», si propone un piccoletto, il più alto della combriccola.
Quanti anni avrà? Otto? Dieci?
«Davvero? Ma non voglio darvi fastidio, sapete come si spediscono i pacchi?»
«Glielo chiediamo.»
Accidenti quanto sono svegli i mocciosi di oggi!
Quasi mi dispiace pensare alla sorte che spetterà loro, vivendo in un mondo atroce come questo.
Non faccio trapelare i miei pensieri, «Beh... in tal caso grazie, mi fareste un grosso favore.»
«Che dobbiamo fare?» chiede un altro bambino, presumibilmente il braccio destro del primo.
Non conosco queste gerarchie di persona ma le ho osservate a lungo, quando ero piccolo ed ero in orfanotrofio.
Spiego loro che la lettera deve essere spedita di modo che arrivi in ventiquattr'ore mentre il pacco deve essere spedito coi tempi normali. In teoria dovrebbe metterci qualche giorno ad arrivare, tre o forse qualcosa in più.
Consegno loro tutti i soldi.
«Non si preoccupi, spedisco sempre le cose per i miei genitori. Andrà tutto bene», dice quello che ha tutta l'aria di essere il capo.
Mi tranquillizzo.
I bambini osservano la busta, rigirandosela tra le mani fasciate.
«Perché è così sporca?»
Dannati mocciosi! Non sono riuscito a non sporcarla col sangue, «Mi è caduta. Sto ritinteggiando la casa, e in queste condizioni...» indico le mie gambe.
«Ok, andiamo che se no facciamo tardi al campetto», ordina il primo bambino, salutandomi con la mano.
In due trasportano il pacco e li sorveglio sorridendo benevolo, finché non entrano nell'ufficio e spariscono dalla mia vista.
E dalla mia vita.
Il sorriso si trasforma in un sogghigno.
Ottimo. È andato tutto secondo i piani.
È ora di tornare.
Blocco la sedia a rotelle, appoggio le mani guantate sui braccioli e mi alzo, tra lo stupore della gente che mi sta camminando attorno.
Si voltano tutti a guardarmi, alcuni si fermano, alcuni mi indicano, altri ancora gridano al miracolo.
Nel brusio generale, me ne vado, mollandoli lì tra le loro domande e considerazioni.
Che esseri inutili. Nessuno ha pensato che stessi fingendo.
Idioti.
Una società composta da totali idioti.
Scuoto il capo si fronte alla stupidità umana e mi avvio in un'altra direzione, lasciando la sedia a rotelle vuota in mezzo al marciapiede.
***Angolino di una disperata***
Eccoci qui, salve a tutti!
Spero stiate tutti bene.
In questo piccolo capitolo dedicato al nostro serial killer assistiamo a una delle sue "trasformazioni". Andreas è un tipo abituato a nascondersi per non farsi notare, altrimenti sarebbe impossibile perpetrare le sue azioni criminose.
Conosciamo un po' più a fondo la sua mente malata. Misantropo e antisociale allo stato puro, disprezza la vita e cerca solo soddisfazione personale.
Non si pone problemi nello sfruttare dei bambini innocenti, nella sua infinita mania di grandezza è convinto che nessuno potrà mai arrivare a lui, tanto da infischiarsene del fatto che ci siano altre persone, alzarsi e andarsene lasciando la sua copertura in mezzo alla strada, sicuro che il suo travestimento lo coprirà.
Ma sarà davvero così?
Lo scopriremo solo leggendo!
Spero che la storia vi stia piacendo e ringrazio tutti coloro che la stanno leggendo.
Il pezzo che Andreas canticchia è Before I forget degli Slipknot, che letteralmente adoro e vi ho linkato sopra lo spazio dedicato.
Vi auguro un buon weekend!
- A.
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