9 - Ex girlfriend - by No Doubt
Beatrix e J.J. optarono per abiti casual e qualche accessorio un poco appariscente che le facesse risaltare ma non troppo. Ci tenevano a farsi notare dal soggetto ignoto, dovevano fungere da api al miele, avevano bisogno di qualcosa per farlo avvicinare. Sedettero sulle scale dell'ingresso del campus, gettando occhiate furtive attorno a loro con ampi sorrisi sui volti giovanili.
Non sarebbe sfuggito ai loro sguardi attenti.
Il pomeriggio era abbastanza caldo da permettere loro d'indossare delle simpatiche gonne in tartan, stessi colori proprio per far sì che venissero notate.
«Mi sentite?» domandò la voce di Gideon negli auricolari che avevano alle orecchie.
«Sì.» Risposero in coro.
«Iniziate a parlare del più e del meno. Di qualsiasi cosa ma sorridete e siate solari, felici e spensierate. Siete due studentesse del college, avete tutta la vita davanti, siete perfette e lo sapete. Questo dovrebbe attirarlo, se è nei paraggi.»
Perfette... magari J.J. lo è!
Le due si scambiarono dei sorrisi e Beatrix sollevò le sopracciglia, «Ci ascolteranno tutto il tempo?»
J.J. annuì col capo.
– Allora potremmo iniziare dicendo che quel giovane dottore è davvero interessante, giusto Jennifer?»
La bionda non capì, tanto che Beatrix scandì il nome di Reid col labiale. Solo a quel punto la collega le rivolse un gesto d'intesa.
Cinguettò, «Oh sì, giusto! Però quando inizia a parlare, a volte è proprio pedante, non trovi?»
«Ma è così carino, dai! Nei suoi completini nerd, con quei capelli un po' grunge, l'aspetto trasandato... è molto tenero.»
«No, è un ragazzino.»
Le due scoppiarono a ridere.
«Finitela di giocare. Guardatevi attorno. Aprite dei libri e fate finta di parlare delle lezioni», ordinò Hotch.
«Sì», rispose J.J., che si rivolse alla collega in malo modo, «E togliti quel sorriso dalla faccia, altrimenti fai ridere anche me.»
«Dobbiamo ridere, siamo due stupide studentelle giovani e viziate. Ridi J.J., ridi anche tu, se no non ci crede nessuno.»
«Bene, ascoltate. Cerchiamo un tipo dall'aspetto inoffensivo», ricordò loro Hotch.
Beatrix lo interruppe, «Non era rassicurante?»
«Dopo la tua intuizione abbiamo deciso di modificare il profilo.»
La giovane donna piegò le labbra in una smorfia, «Wow. Sono lusingata.»
«Pensiamo abbia una corporatura minuta e potrebbe indossare degli occhiali. Forse ha i capelli spettinati, potrebbe essere un tipo all'antica. È di sicuro più grande degli studenti e potrebbe avere qualche mania derivata dal nervoso di trovarsi di fronte qualche sua coetanea.
Forse non sa come gestirle. Gesticolerà con le mani oppure batterà le palpebre. Vi si avvicinerà con insicurezza, magari inciampand...»
In quella qualcuno finì loro addosso, cadendo dalle scale sulle quali stava correndo.
Le due si alzarono per aiutarlo, prede dell'istinto. Si scambiarono un cenno d'intesa quando quello non le vide, e Beatrix cinguettò, «Ti sei fatto male?»
J.J. l'avrebbe uccisa: non doveva saltare avanti, non era lei l'esperta e avrebbe potuto combinare dei guai.
Dovrò ricordarle di rimanere al suo posto.
Quello alzò lo sguardo, rivelando un viso dallo sguardo deciso, «No.»
Si alzò da solo e si allontanò senza nemmeno ringraziarle, tanto che Beatrix fischiò per far notare alla collega la scortesia che era stata loro riservata.
«Non era lui. Comunque abbiamo afferrato il concetto, si tratta di un imbranato», concluse J.J..
Le due rimasero sedute sulle scale ancora un quarto d'ora a scambiarsi battutine idiote, ma alla fine la noia cominciò a stendere il velo sulle loro menti, che presero a vagare verso altri lidi.
«Dovremo rimanere qui ancora per molto? Tra poco iniziano le lezioni», La scusa di Beatrix era patetica, lo sapeva bene, ma doveva calarsi nella parte.
«Andate al bar. Per lui è più facile adocchiarvi. Dividetevi. Beatrix, tu vai al bar. J.J., nei bagni. Attendi qualche minuto, poi esci e torna da Bea.»
«Ricevuto.»
Le due si alzarono e seguirono le direttive di Hotch.
Beatrix si avviò verso il bar dopo aver salutato J.J., per poi dirigersi senza esitazione al bancone, che trovò in linea con l'arredamento in mogano del locale. Sembrava quasi un posto di classe, alle pareti vi erano dei quadri che ricordavano dei cammei, i soggetti erano uomini e donne dell'ottocento e dal soffitto pendevano strani oggetti in metallo invecchiato che davano al luogo un sapore steampunk.
Questo sì che è un bar coi fiocchi, non quella roba con le pareti sporche dove andavo io, dannazione.
«Un mojito», ordinò con nonchalance al ragazzo in cassa.
«Che cosa fai? Sei in servizio.» Nell'auricolare, Hotch mantenne un tono piatto.
Lei non rispose e aspettò che qualcuno liberasse un tavolino per sedersi, cosa per cui ebbe fortuna dovendo attendere giusto un paio di minuti.
«Devo avere un motivo plausibile per rifiutare una bevanda, nel caso m'incontrasse e volesse offrirmi da bere –, lo disse mentre si accomodava sulla sedia dai cuscini color bordeaux.
«Beatrix, il mojito è alcolico», le ricordò il suo capo.
«Oh si, ed è anche buono», premette le labbra sulla cannuccia per aspirare la bevanda, che le scese in gola come fosse acqua.
«Mmmmh, che frescura, che bontà!»
In sottofondo sentì le risate altrui che la fecero sorridere a sua volta. Era di nuovo riuscita a farla franca, il che la fece sentire soddisfatta, finché non venne richiamata all'attenzione proprio da Hotch, «Apri il libro e leggi. Ogni tanto guardati attorno.»
La ragazza seguì le istruzioni, vagando con la fantasia mentre fingeva la lettura, per poi alzare lo sguardo con la scusa dell'alcolico che si stava godendo.
All'improvviso le tornò in mente la missiva arrivatale e il suo macabro contenuto: l'Estate di Vivaldi.
Cosa significava?
Avrebbe colpito qualcuno?
Cosa voleva da lei?
Voleva farsi notare, certo.
Ma per cosa? A che fine?
«Beatrix!» le gridò la voce di J.J. nell'auricolare, tanto da stordirla e farle perdere la cognizione dello spazio. Un'ombra si stagliò sul tavolino, lei alzò piano lo sguardo.
Su di lei, troneggiava un tipo dall'aria innocua che non smetteva di fissarla, il che le fece salire dei brividi d'inquietudine sulla schiena.
La sensazione di sentirsi in trappola fu forte, il fatto che un uomo la stesse sovrastando le diede l'impressione di non avere vie di fuga. Sentì di nuovo quello sgradevole laccio alla gola che le toglieva il respiro, quello che arrivava ogni qualvolta si trovava in una situazione di tensione.
Gli occhi dell'invasore non furono d'aiuto: vuoti, fissi su di lei come se avesse trovato qualcosa che cercava da tempo. Come fosse un trofeo.
Conosceva quel tipo di sguardo, l'aveva già sperimentato, e sapeva benissimo quale reazione stava partorendo il suo cervello ammaccato.
P A N I C O.
D'un tratto i polmoni si sbloccarono, comandando la richiesta d'aria che venne soddisfatta con un sollevamento forzato del petto mentre tentava di tenere a bada la tensione originatasi alla base della nuca.
Non succederà nulla. Abbi fede.
Si sforzò di tornare alla normalità, rispondendo allo sguardo del ragazzo.
«Ciao», lo salutò, aggrottando la fronte.
Quello la scrutò come se la vedesse per la prima volta, «Stavo... stavo guardando il tuo libro. Servirebbe per il mio esame ma l'ho perso.»
Pessimo approccio, amico.
«Posso prestartelo, se vuoi. Puoi fare le fotocopie, devo solo ripassare ma l'ho letto talmente tante volte che lo so a memoria.»
«Davvero? Sei gentile. Non come tutte le altre ragazze.»
La donna sorrise fingendo di essere lusingata dalle sue parole, e fu in quella che sentì l'ordine di Gideon nell'orecchio, «Beatrix, è lui. Trattienilo.»
«Sul serio?» domandò allungando il collo verso il suo interlocutore, dimostrandosi interessata.
«Sì. Posso sedermi?»
«Ma certo!»
Non aspettavo altro!
Il ragazzo prese posto vicino a lei con fare impacciato, e prese a guardarsi intorno come se tentasse di nascondere il timore di avere a che fare con una ragazza che lo degnava della sua attenzione. Era evidente che fosse in imbarazzo.
«Bevi qualcosa?» chiese lei per rompere il silenzio.
«No, no... sono a posto.»
Beatrix sorrise sghemba al ragazzo, agitando a mezz'aria il suo bicchiere ormai vuoto
«Io sì, prendo un altro di questi.»
Stava per spostarsi quando quello si alzò di scatto al suo posto, dicendo a voce un po' troppo alta, «No... offro io. Per ringraziarti del libro.»
Lei alzò le mani in aria in segno di resa, «Sei molto gentile. Grazie.»
Si rese conto di essere osservata di sottecchi dallo strano ospite mentre lui stesso si dirigeva verso il bancone, e finse indifferenza per poi osservarlo meglio: qualcosa gli cadde dalla tasca e dovette chinarsi a raccoglierlo con aria circospetta.
Guardò di nuovo Beatrix, che aveva già improvvisato una controscena mettendo gli occhi sul proprio cellulare, in posa rilassata.
Lo vide darle le spalle e armeggiare con la bustina in mano, ma non fece in tempo a versarne il contenuto che qualcuno gli strattonò il braccio dietro la schiena.
«FBI. Non fare un passo.»
Si sentirono dei mormorii riempire il locale, qualcuno si alzò e altri indietreggiarono, rimanendo a guardare senza dire nulla. I più pettegoli si sporsero dall'ingresso per sbirciare.
Beatrix era ancora seduta al suo posto e manteneva la posa plastica adottata appena pochi istanti prima, quando vide sopraggiungere una Emily preoccupata.
«Tutto bene?»
La novellina annuì, sollevando in aria il bicchiere, «Eccome, mi stava offrendo un altro mojito!»
«Un mojito al cloroformio», commentò la collega mentre l'altra fece spallucce.
Il ragazzo cercò di dimenarsi, vedendo la sua reputazione cadere in mille pezzi di fronte a tutto l'ateneo.
«Cosa volete da me? Stavo parlando con la mia amica e...»
«No, no», Beatrix scosse il capo e tirò su un sorso di quello che ormai era ghiaccio sciolto, «Non sono una tua amica.»
«Sappiamo tutto di te, Donald Vasilev. Sappiamo che sei uno degli infermieri del campus, che hai accesso indisturbato ai dati delle ragazze, come le hai adescate, come le hai stordite e come sono arrivate da te, sempre quando c'eri tu al turno di notte.
Sappiamo che te le portavano altri, che tu eri insospettabile, protetto dalla tua professione. Sappiamo anche che rubavi deleghe in bianco firmate dalle vittime, sulle quali stampavi i documenti relativi all'uscita dall'infermeria. Sappiamo tutto di te!»
Eccolo lì.
Di nuovo, Morgan nel ruolo di mastino.
Trasuda testosterone da ogni poro!
Forse Emily non aveva tutti i torti quando diceva che lui sarebbe dovuto essere più degno delle attenzioni femminili grazie al suo fisico e alla sua personalità molto marcata.
Ma a lei interessava un altro e la bellezza era soggettiva, lo sapeva bene.
«Non parlerà mai», concluse Hotch.
Il sospettato rimaneva chino sul tavolo a mani incrociate. La posizione assunta dal corpo trasmetteva tutta la riluttanza in un'eventuale apertura.
«Credo che debba andare io», propose Gideon.
Si avviò, entrò nella sala degli interrogatori e si diede il cambio a Morgan, che capì e andò via rimanendo nella parte.
«Come sta?» chiese il profiler più anziano con la sua solita cortesia.
L'infermiere annuì e andò subito al punto, «Non avete prove.»
«Ne abbiamo diverse, invece. Però a me interessa sapere perché. Cosa le manca?»
L'altro non capì e Gideon adottò un atteggiamento molto più confidenziale.
«Lei è così... intelligente. Lei è giovane, ha meno di trent'anni eppure è già infermiere. Si è laureato a pieni voti, lavora fianco a fianco con il professore di medicina legale, è il suo migliore studente. Ha un cervello sopraffino e un buon futuro, Donald. Perché?»
Quello abbassò lo sguardo, intimorito, «No... no, io non credo di essere... così. Lei ha descritto una persona brillante, io... io sono... sono così.»
«Donald, si guardi! Che cosa dice? Lei è riuscito ad avvicinarsi a un'agente dell'FBI, tra tutte le ragazze del campus ha scelto lei! Questo denota intelligenza, un istinto che le permette di andare oltre.
Lei può scegliere. Può farlo. È lei a decidere, non loro.»
Donald sembrò tentennare.
Poi scosse il capo, cambiando discorso, «Perché mi state trattenendo qui?»
«Donald, ha rapito delle ragazze. Anzi, se le è fatte portare. Dio!» Gideon si afferrò la testa tra le mani, «Dio, Donald, che intelligenza! Giuro, se l'avessi conosciuta in una situazione diversa, l'avrei voluta nella mia squadra.»
«Dice... dice sul serio?» il volto del ragazzo sembrò illuminarsi.
«Ma certo! Lei è intelligente e ha un'ottima conoscenza chirurgica. Ho visto cos'ha fatto a quelle ragazze, la sua opera artistica. I suoi patchwork. Incredibile. Un infermiere con quella mano. Incredibile, veramente.»
Il profiler si appoggiò allo schienale della sedia. Lo sguardo verso il torchiato era pregno di ammirazione.
«Sì, io... ho fatto molta pratica», borbottò l'arrestato, «Quelle ragazze sono state gentili con me. Mi hanno ascoltato. Quando la mia Margaret mi ha lasciato io... a me è crollato il mondo addosso. Loro mi hanno ascoltato. Mi hanno detto che ero gentile, che lei non mi meritava.»
L'espressione di Donald mutò, passando dalla riconoscenza all'odio misto al ribrezzo.
«Ma poi... mi hanno detto che sarei dovuto cambiare. Io! Io sarei dovuto cambiare! Hanno osato dire che io dovevo cambiare! Io, con la mia pazienza, le mie capacità!»
Il ragazzo si alzò all'improvviso e batté un pugno sul tavolo di metallo con furia, e il suono cupo dell'impatto rimbombò nella sala come un tuono. Gideon non si scompose.
«Mi guardi. Mi guardi!»
Il profiler rimase ancora coi gomiti appoggiati sul tavolo, le mani incrociate davanti alla bocca, spostando gli occhi su di lui.
«Mi guardi, cazzo! Guardi dove sono! Sono già assistente del professore, alla mia età, ventitré anni! Quelle sgualdrine normodotate si sono permesse di dire che avrei dovuto cambiare la mia immagine... l'immagine!»
Il ragazzo scaraventò con un calcio la sedia metallica contro la porta, che all'impatto partorì un altro assordante tuono.
Donald ansimava: la sua furia sembrava placata.
«Sì, non ha tutti i torti», rispose Gideon, alzando le sopracciglia.
L'infermiere lo guardò, stupito, «...cosa?»
«Ha ragione. Donald, siamo seri. Stiamo parlando di ragazzine appena iscritte al campus, ochette che pensano che il college sia un divertimento e basta. Magari alcune vanno anche con i professori, perché no? Capita, lo sa bene.
Lei si è impegnato per avere una carriera, un futuro. Ha un'intelligenza superiore e loro sono nella norma.
Come osano dire a lei cosa deve fare?
Come hanno osato dirle di dover cambiare?»
Donald lo guardò incredulo, gli occhi sbarrati, i capelli spettinati sulla fronte, testa che faceva ritmicamente di sì mentre una palpebra non smetteva di tremargli.
Il profiler lo guardò negli occhi per poi lanciare la frase regina della conversazione
«Erano loro a dover cambiare.
A doversi adattare a quelli come lei. Non potevano dirle le stesse cose che le aveva detto la sua ex ragazza. Non dovevano azzardarsi. Avrebbero dovuto ascoltarla, curarla. Come fa lei quando stanno male e vengono in infermeria.
Perché lei deve curarle, sorbendosi magari confidenze senza dire una parola di troppo, mentre loro possono permettersi di essere così... così invadenti, di insultarla? Gliel'hanno mai spiegato, Donald?»
«Alcune sì.. altre no.»
«E cos'hanno detto?»
«Che ero brutto. Brutto! Non conta niente questo!» con rabbia il ragazzo si indicò una tempia, i denti stretti allo spasmo, la palpebra tremolante che non accennava a calmarsi. Anzi, peggiorò.
Gideon lo guardò e scosse il capo, «Le ha catturate, le ha scelte bene ed ha assemblato quelle che le sembravano perfette per creare la donna dei suoi sogni, colei che l'avrebbe amata per com'è davvero, perché era stato lei a donarle la vita.»
«Sì. Sì, lei è la donna della mia vita! Mi manca ancora qualche pezzo ma... io... ho tutti i pezzi... tutte le macchine... devo solo assemblarle insieme.»
Dall'altra parte del vetro, Morgan scattò col cellulare in mano, «Garcia, vedi se c'è un qualcosa legato alle auto nei pressi del campus. Un garage, una discarica... qualsiasi cosa.»
«Non ci sentiamo da giorni e mi tratti in maniera così rude, eh? Me lo segnerò», rispose quella dall'altro lato del telefono, le sue dita già volavano sulla tastiera, «Eeeeeed ecco qua! Non c'è nulla, a parte il parcheggio del campus. Senti, senti. Una parte è in riparazione da più d'un anno, praticamente in disuso.»
«Altre informazioni?»
«Un momento...» la ragazza digitò ancora, «Ecco, qui dice che, durante i lavori una parte del garage interrato è crollata, rivelando una grotta naturale. Naturalmente è stata chiusa al pubblico e i lavori non sono continuati per non destabilizzare il resto del cantiere. Soddisfatto?»
«Sai una cosa? Sei il mio angelo.»
«L'arcangelo Penelope, a tua disposizione!»
L'intero parcheggio era già stato transennato dopo la comunicazione di J.J. alla polizia locale, ma il team non incontrò difficoltà nel raggiungere il luogo esatto, dove trovarono il Rettore che fece loro da cicerone fino all'ingresso della parte in disuso.
«Incredibile. Donald! Non lo avrei mai detto.»
«Sembrava innocuo, vero? Sono quelli dai quali bisogna guardarsi», sentenziò Hotch.
Bisognava spostare qualcosa per passare, e Morgan si propose, «Vado per primo.»
La squadra si fece avanti e il mulatto tolse di mezzo dai calcinacci aiutato per quel che poteva fare da Reid.
«Guarda che caso, chiudono una cavità », osservò il Dottore.
«Le abbiamo trovate?» Emily si sporse per osservare.
I due uomini riuscirono a smuovere qualche detrito in più, finché videro spuntare prima solo un braccio, poi una gamba di colori diversi, avvinghiati tra loro.
Sporchi di polvere bianca e immobili, il colorito freddo non prometteva nulla di buono, ma i due non si fecero impressionare più di tanto.
«Sono qui! Un'ambulanza, presto!»
Reid afferrò il telefono componendo il 911 mentre gli altri toglievano tutto il resto dei detriti formando una catena umana per riportare alla luce del sole le ragazze catturate e ammassate come manichini.
Beatrix ed Emily le accolsero all'uscita, trasportate dai soccorritori che nel frattempo erano giunti. Vennero avvolte con delle coperte, passando alle giacche quando quelle finirono.
La prima le osservò meglio: avevano linee tracciate con un pennarello su diverse parti del corpo.
La base del collo, l'inguine, le caviglie, le mani, le spalle, persino il naso, le orecchie e l'attaccatura dei capelli.
Sembravano tutte vive ed Emily tastava loro il collo, cercando battito per avere conferma, finché non si bloccò più a lungo su una ragazza.
«Hotch», chiamò, e tutti si voltarono.
Lei fece cenno di no con la testa.
Una ragazza dalla pelle chiara con le lentiggini sul naso non ce l'aveva fatta.
Beatrix sentì il mondo crollarle addosso. La sensazione della sconfitta la prese alla sprovvista, e la destabilizzò.
Ormai era sicura che il lavoro fosse finito bene, e invece il destino aveva deciso di giocarle quel brutto tiro, di ricordarle che quella non era una fiction televisiva dove i buoni non muoiono mai.
Quella era la realtà, ed era cruda.
Il mondo era un posto cattivo, lei lo sapeva bene.
Mica tutti sono fortunati come te.
Il senso di colpa scaturì nella sua testa come un fiume in piena, le attanagliò lo stomaco fino a farle male. Sentì l'acido risalirle l'esofago fino alla bocca, il sapore salmastro del rigurgito le accarezzò la lingua, e dovette portarsi una mano a tapparsi il naso per evitare di vomitare.
Non ora, non adesso che hanno bisogno di me!
All'improvviso una ragazza tossì così forte da dare l'impressione di essere appena tornata da un viaggio nell'oltretomba, e non fu difficile capire perché: il suo corpo era coperto di polvere bianca per intero.
Era probabile che si trattasse di una delle giovani poste alla base della massa di corpi.
Chissà da quanto tempo non respirava.
Nonostante i suoi movimenti scattosi, Beatrix avvertì un barlume di speranza accendersi.
«Quelle ragazze erano ammassate l'una sull'altra come fantocci», considerò Emily mentre rientravano a Quantico sui loro SUV, «Incredibile. Siamo davvero viste alla stregua di oggetti.»
«Oh, non sai quanto. E non solo dagli psicopatici.» Beatrix mantenne lo sguardo fisso nel vuoto.
La visione di quella ragazza morta non accennava a lasciare la sua mente, riproponendosi in tutte le salse.
Certo, faceva parte del loro lavoro, ma lei lo aveva scelto per salvare le persone, non per vederle morire.
Dannazione.
Emily le passò un braccio attorno alle spalle, «Bea, non possiamo salvare tutti.»
«Ho bisogno di dormire da te, Emily.»
«Ehi, cos'è questa storia? Voglio venire anch'io!» esclamò Morgan.
«Un'ottima idea!»
«Qualcuno dovrà chiamare Garcia e gli altri, allora.» Derek sorrise e afferrò il cellulare.
«Reid, vieni anche tu?» domandò Emily.
«Certo. Ma non voglio dormire vicino a Derek.»
«Neanch'io voglio dormire vicino a te, ho altri gusti», rispose l'altro mentre attendeva una risposta al telefono.
Beatrix non disse nulla ma capì e si limitò a sorridere, annuendo.
Grazie, ragazzi.
Mentre Morgan ed Emily facevano chiasso per risollevare un po' il morale generale dopo lo spettacolo raccapricciante vissuto quei giorni, Reid si voltò verso Beatrix senza farsi notare dagli altri, «Beatrix...»
Lei fu stupita di ritrovarselo davanti, e in più l'aveva anche chiamata per nome!
Il suo cuore fece una capriola mentre lui proseguì, «...so che sono il bersaglio preferito dei bulletti e delle ragazze come te... ma, ti prego, non mettermi più in imbarazzo così. È... è sconfortante... io non voglio essere al centro dell'attenzione.»
La donna capì e sentì la vergogna esploderle sulle gote. Doveva fargli capire che scherzava.
«Spencer, io...»
«Per favore, non farlo più.»
Il Dottore troncò la conversazione e tornò con gli occhi sul libro. Beatrix avrebbe voluto sotterrarsi con le sue mani.
Brava, scema! Brava, cretina! Brava! Bulletta! Adesso gli sei addirittura antipatica! Ma che genio, un vero genio del male!
Riprese a guardare fuori con sguardo torvo: quella che pregustava come una bellissima serata era stata rovinata del tutto da se stessa.
Sono proprio un'idiota.
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