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39. "In the end" by Linkin Park

J.J. era uscita al mattino presto.

Quella notte non aveva preso sonno, sconvolta dall'ennesima ondata di vite spezzate da quello psicopatico: sette agenti e i due farmacisti presenti al turno di notte, tutte persone che facevano solo il proprio lavoro, gente con famiglia, figli e tasse da pagare, eliminati in un colpo solo da un serial killer senza scrupoli.
La bionda sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, riflettendo sul fatto che se aveva distrutto la farmacia poteva essere solo per paura di essere riconosciuto.
In qualche modo sa di essere braccato, e forse non siamo neanche troppo lontani.
Quindi?
Dovevano sbrigarsi: se le cose stavano come pensava lei, allora avevano davvero poco tempo per trovare la loro collega e catturare il Musicista, il quale stava di certo pensando ad un modo per defilarsi, cosa che avrebbe fatto anche in maniera discreta, come al solito.
Quella mattina J.J. sbrigò tutte le sue faccende nel minor tempo possibile: fece la spesa, andò all'ufficio postale, in banca, eseguì insomma le operazioni della quotidianità come se tutto fosse normale, anche se non era proprio così.
La sua mente era sconquassata dagli eventi: si sentiva in colpa per essere sopravvissuta a quella guardia con la quale stava parlando nei momenti della detonazione, la stessa persona che le aveva fatto scudo col proprio corpo, morendo per effetto delle gravissime ustioni riportate sulla schiena.
Erano tutti lì per salvare Beatrix e J.J. ne era sicura: quando l'avrebbe saputo, anche lei si sarebbe sentita in colpa, com'era già accaduto per via delle vittime usate come carta da lettere al fine di raggiungerla.

Era solamente il modo del Musicista per mettersi in contatto con lei, ma la collega non riusciva ad accettarlo, avendo un punto di vista più umano della situazione rispetto a quello del serial killer.
La bionda sospirò mentre attraversava il parco che separava il supermercato da casa sua, pensierosa, anzi, speranzosa che Beatrix tornasse a casa viva.
A quel punto le avrebbero fatto una grande festa e avrebbe voluto cucinare lei, che non aveva una grande passione per la cucina, ma per la collega l'avrebbe fatto, e non sapeva neanche spiegarsi lei il perché.
In fondo erano pochi mesi che era con loro, massimo tre. Come aveva fatto ad accaparrarsi le loro simpatie in così poco tempo?
Sorrise a se stessa: vederla cimentarsi nel punzecchiare Spencer le aveva fatto guadagnare diversi punti, anche se disobbediva spesso e volentieri a Hotch, non poteva essere considerata un membro serio del gruppo.

Inoltre ragionava come un'adolescente ribelle, la sua mente doveva essersi cristallizzata a quell'età.
Non aveva avuto un normale percorso di vita: dopo quel tentato stupro da parte del Musicista aveva dovuto combattere con i suoi fantasmi, impedire che quegli avvenimenti l'avessero vinta su di lei poiché sapeva che nella vita doveva esserci ben altro, ed era decisa a prendere tutto con leggerezza e superficialità.

Forse questo l'aveva salvata, forse accettare il problema le aveva permesso di...
– Ma che dici, quella catapecchia cade a pezzi.
– Mio fratello non dice le bugie, e poi lo diceva a mamma e a papà!
L'attenzione della donna venne catturata da alcuni bambini non molto lontano da lei che sembravano litigare, considerato il tono di voce molto alto combinato con l'atteggiamento di sfida che caratterizzava i loro corpicini in crescita, e si voltò, pensando a suo figlio.

Quante volte l'aveva visto in quella situazione, magari impuntato contro mamma e papà? E come le aveva fatto tenerezza!
Dovevano frequentare le elementari, cosa che intuì anche dal loro modo di parlare e rimase lì in ascolto, pensando che avrebbe dato un rene per trovarsi nelle loro infantili discussioni, senza doveri, senza preoccupazioni, senza nulla di nulla, nella testa solo il diritto di divertirsi.
– E che gli ha detto?– domandò una bimbetta grassoccia con le trecce.
– Ha detto che l'altra sera stava in macchina con la fidanzata e ha sentito urlare, e allora hanno guardato lì, ma non c'era nessuno –, raccontava con un dito a mezz'aria un bambino piccolissimo dalla sgargiante giacca a vento gialla.
– Forse era un gatto...– azzardò un altro con un cappello di lana verde, ma l'altro balzò su come fosse stato punto da un'ape.
– No! Era una femmina! Ha detto che una femmina strillava tanto tanto, e ha detto pure che la casa è abbandonata!– strepitò.
– Allora ci stanno i fantasmi?– domandò la prima bimba, portandosi le mani sulla bocca, spaventata.
– Scusate, bambini –, J.J. si era avvicinata, e il trio si era voltata verso di lei, rimanendo interdetti dalla sua intromissione, – dove sono questi fantasmi?


Beatrix cercò di guardarsi attorno, dolorante a causa delle violenze.
Stavolta non erano delle corde a tenerla ferma ma delle fascette stringi cavo, come quella che le era stata avvolta attorno alla gola, la cui coda vedeva dondolarle davanti agli occhi a ogni minimo movimento.
– Hai fatto quello che volevi –, disse a Wood, la voce arrochita dalla febbre, gli occhi chiusi, la testa ciondolante, – sono debole. Puoi anche togliermele, non andrò da... nessuna parte.
L'uomo se ne stava seduto sulla sedia vicino a lei come fosse un qualsiasi turista a un bar del centro, godendosi il post coito mentre la fissava mordendosi le labbra, atteggiamento lascivo che non riusciva a far stare tranquilla Beatrix.
Andreas alzò una mano e le carezzò il viso, sfiorandole la tempia coi polpastrelli, per poi iniziare a cantarle qualcosa.
Gli occhi di lei si riempirono di rabbia, lucidi come specchi:– Non cantarla, non sei degno, animale –, disse, riuscendo a trasmettere tutto il suo odio nel filo di voce che tirò fuori.
Il suo aguzzino fu colpito da quell'atteggiamento: nonostante tutto quel che aveva subito in quelle ore e la febbre che la rendeva indifesa, riusciva ancora a dargli addosso?
Dove trovava quella forza d'animo?

Perché era ancora sana di mente?
– Io ho il dono della musica, posso farne ciò che voglio.
– Tu non sei degno neanche di nominarla, bestia –, ringhiò lei, sputandogli in viso.
Lui non si spostò, fissandola, e la donna sostenne il suo sguardo, per quel che poteva.
In fondo cosa le importava ormai?

Se l'avesse ammazzata per lei sarebbe stato solo un bene, finalmente sarebbe stata libera dalla sua vita, da quel peso che le era stato caricato sulle spalle da quando aveva appena otto anni.

Tutto l'orrore sarebbe morto con lei, tutto sarebbe finito, basta battaglie, basta violenze, basta nemici ovunque, basta tutto.
Non avrebbe più rivisto Spencer, ma a questo punto non le importava.
Dopo tutto questo, nessuno vorrebbe vicino un abominio come me, perché proprio lui dovrebbe accettarmi?
Gli ingredienti per farla finita c'erano tutti, ma per contro non poteva suicidarsi dato che veniva liberata solamente per essere stuprata.

Il suo corpo era stato martoriato tra sigarette, graffi, polpastrelli impressi sulla gola, orme di morsi, segni di cinghiate e quant'altro.
Aveva motivi per placarsi?

No.
Non aveva speranze di una vita migliore ed era stufa marcia di questa sua condizione da marchiata, da vittima per sempre, come se l'aver subito una volta l'umiliazione significasse una condanna a doverla subire di continuo anche da persone diverse.
Voglio morire.
Andreas si alzò e si riallacciò i pantaloni, per poi si chinarsi su di lei, iniziando a tagliare le fascette che la tenevano ferma.
– Sai, ieri sera ho sentito il rombo di una macchina –, la guardò per soppesare la sua reazione, – Temo che ti abbiano sentita. Urlavi troppo forte.
Mentre si alzò, Beatrix venne colta da un capogiro e le gambe le cedettero, ma lui la riprese al volo, stupendola: durante la maggior parte del tempo era una vera bestia, ma a volte d'istinto agiva quasi come un essere umano, e la cosa le dava da pensare, nonostante la malattia.

Cos'era successo a quel tipo per aver deviato così la sua psiche?

Com'era il vero Andreas?

Chi era?
– Sai, se fossi stato normale forse mi saresti anche potuto piacere. Sei molto bello.
– Non dirlo!– urlò lui, schiaffeggiandola. Beatrix lo fissò stordita, e nonostante la patina di lacrime che le offuscava la vista, notò nei suoi occhi una luce diversa dal solito, come fosse triste, malinconico.
Oh, beh, tanto ormai...
– Perché no?– incalzò, noncurante delle conseguenze.
– Te non lo sai. Questo aspetto mi ha sempre, sempre, sempre causato solo problemi. Siediti, muoviti.
La donna sedette e lui le porse un piatto coperto, il pranzo di quel giorno, che lei scoprì.
Del pesce.
Lei l'osservò interdetta, per poi annuire dopo qualche attimo di riflessione.

– Ah, ho capito. Vuoi uccidermi. Ti sei informato sui miei shock anafilattici, che bravo.
– Sì. Tu mangerai, soffocherai, morirai, e poi morirò anch'io, con te. Così staremo sempre, sempre, sempre, sempre insieme –, rispose lui cavando una pistola fuori da chissà dove, lo sguardo folle, gli occhi che sembravano ancora più chiari per quanto sporgevano fuori dalle orbite.
– Basterà un colpo solo, bene assestato, ti trapasserà da parte a parte, schizzando il tuo cervello e materiale cerebrale qui, da qualche parte.– disse poi, facendo ruotare il tamburo, fermando l'arma a livello della tempia di Beatrix, premendo il grilletto.
Bang.

Il fuoristrada inchiodò, il motore venne spento all'istante e il mezzo venne abbandonato in mezzo alla strada. Ne scese J.J., correndo come il vento per imboccare l'entrata del BAU e intraprendere le scale, quasi volando sui gradini che venivano scavalcati a due a due.
Non aveva nemmeno indossato gli abiti da lavoro: si era precipitata così in casa e aveva afferrato le chiavi del mezzo, scendendo di corsa e ripartendo con la macchina carica di roba alla volta della base, nella quale entrò spedita, buttandosi di peso sulla porta, che si aprì sbattendo sul muro, incrinando il vetro e facendo crollare qualche traccia di intonaco.
– J.J., che succ...– stava dicendo Derek, ma lei inciampò quasi travolgendolo.
– So dov'è, Derek, so dov'è!– quasi urlò, piantandogli gli occhi nei suoi color carbone.
– Ma chi?– domandò lui, spaesato dal modo di fare della collega, che non aveva mai visto in quello stato.
– Beatrix –, mormorò Emily, avvicinandosi con occhi e bocca aperta dallo stupore, e la bionda annuì.
– Riunione! Muovetevi, tutti quanti!– urlò la mora, aggirandosi per l'openspace e annunciandolo più volte, esortando gli altri come poté.
Com'era prevedibile, Spencer andò da J.J. senza attendere la riunione: troppo lunga da preparare e troppe chiacchiere inutili da ascoltare. A lui interessava solo sapere una cosa.
– Dov'è?– ringhiò, mentre indossava la giacca
– Ho una mappa, ho...

– Dammela –, disse, strappandogliela di mano.

Lo sguardo carico di risentimento, i passi lunghi e la fretta che gli facevano tenere in mano la fondina invece che al suo solito posto stupirono la bionda, la quale stentava a riconoscere il suo amico nella persona decisa che era diventata.
Non vuole che accada di nuovo.
Dal canto suo l'uomo diede le spalle all'openspace, avanzando come un carro armato verso l'ascensore, mentre la collega lo seguì, urlandogli dietro, invano.
Lui l'avrebbe salvata.


Click.
Nessun colpo era esploso, Beatrix avvertiva ancora l'aria viziata fluire dentro e fuori il suo corpo, sentendo Wood che rideva compiaciuto.
– Non ti ho spaventata, incredibile! Anche di fronte alla morte conservi il tuo sangue freddo.
Ghignò ancora, dicendo:– Adesso mangia.
La donna guardò il piatto: quel pesce aveva un'aria deliziosa, ma per lei era veleno.
Ricordava ogni crisi che aveva avuto in vita sua, alle quali era sempre sopravvissuta, nonostante la gola gonfia, il sudore, la tachicardia e tutto il resto, inequivocabili segni di uno shock anafilattico, probabilmente leggero visto che non era morta.
Ma ce l'avrebbe fatta anche stavolta?

Sì, forse, in fondo non era una cosa nuova e sapeva che il suo corpo avrebbe anche potuto buttar fuori a suon di conati di vomito tutto quel che lo stomaco non considerava buono. Conosceva il suo organismo: testardo, combattivo, non si arrendeva facilmente.
Ma lei non aveva più voglia di combattere. Poco prima aveva desiderato la morte, e ora le veniva servita su un piatto d'argento.

Ma che fortuna.
Prese la forchetta ma esitò un attimo, stupendosi quando si rese conto di tremare.
– Che aspetti? Mangia!– la esortò il suo aguzzino, mentre uno schiaffo la colpì sul viso martoriato.
Ma cosa le stava succedendo?
Perché esitava, lei che si era sempre gettata nelle situazioni peggiori senza pensarci due volte?
Spencer.
Era per lui? Stava esitando per lui? Non voleva morire perché...
Perché?
Forse perché le bastava vederlo arrossire, arrabbiarsi, o anche solo averlo vicino come aveva sempre fatto?
Già, cos'aveva fatto? Si era gettata tra le fauci del lupo, per cosa?
Per spostare l'attenzione via da Spencer.
Troppe domande le frullavano in testa, tanto che si fermò e fu Andreas ad afferrare la forchetta, prendere un pezzo di pesce e metterglielo a mezz'aria, nell'intenzione di imboccarla, cosa che lei di colpo non volle accettare, voltando il viso altrove.
No.
Non voleva morire nemmeno stavolta.
A cos'era servita la sua rabbia, la forza di volontà per combattere e salvaguardare la sua sanità mentale?
Lei non era fatta per soccombere del tutto.
Posso essere sottomessa nel fisico, ma nessuno riuscirà mai a distruggere la mia mente. L'ho giurato, l'ho fatto finora e non permetterò a nessuno di mettermi nella situazione di rifiutare la mia vita.
Ho promesso che l'avrei resa migliore, normale e felice.
Non permetterò che feccia come questo qui rovini la mia vita, no, non finirà così, non mi arrenderò.
Io combatterò.
Io sono migliore.
Andreas ringhiò di disappunto e le afferrò la testa, spingendo la forchetta sulle labbra di lei, che le tenne serrate cercando di non respirare l'odore nauseabondo del pesce, ricevendo così un altro schiaffo, seguito subito da tre dita che le tappavano il naso per farle aprire la bocca.
Beatrix cercò di respirare a denti stretti, ma un pugno glieli colpì, facendole sanguinare labbra e gengive. Le fauci si aprirono senza che lei lo volesse e Wood riuscì a farle entrare il cibo nella cavità orale, facendoglielo masticare a forza, muovendole la mascella con ambedue le mani.
Le tappò il naso e la donna dovette ingoiare per respirare, iniziando a tossire al fine di vomitare tutto.
Ma fu inutile, stavolta non riuscì a farlo.
Andreas ripeté la manovra, resa più facile dallo stordimento della donna che era già intontita dalla febbre, e al terzo boccone sentiva i segni dello shock farsi strada nel suo corpo: ebbe l'impressione che la gola si stringesse, dei brividi la colsero, lo stomaco sussultò in preda a un crampo e la schiena si imperlò di gocce di sudore freddo.
In breve Beatrix cadde riversa a terra, le mani sulla gola, la bocca spalancata dalla quale gocciolava della saliva nel disperato tentativo di respirare, gli occhi sbarrati come volesse inalare ossigeno anche da quelli, ma non riusciva a far entrare l'aria necessaria nei suoi polmoni.
Andreas rise, guardandola contorcersi nel dolore.
– Sì, soffri... sarà l'ultima volta, per entrambi.


– Ecco, deve essere quella cascina abbandonata –, indicò J.J., e Spencer inchiodò, lasciando il SUV per la strada sterrata senza nemmeno preoccuparsi di spegnere il motore, cosa a cui provvide la collega.
Scese al volo seguito dalla bionda e dagli altri, che erano partiti all'inseguimento di Reid degno delle pellicole americane, guadagnando terreno solo grazie ai semafori rossi che lo costringevano ad arrestare la sua corsa di tanto in tanto.
Il giovane Dottore non intendeva stare a nessuna regola e sapeva benissimo di aver infranto più norme del codice stradale, ma la cosa non gli interessava: c'era in ballo qualcosa di più importante.
Stava andando avanti da solo, quando Derek lo afferrò per la maglia.

– Dove vai, ragazzino?– domandò, porgendogli il giubbotto anti proiettili.
– Credi sia armato?– domandò Spencer, lo sguardo incollato sulla casa nel tentativo di individuare una facile via d'accesso.
– Ne sono convinto.
– Non sottovalutarlo.– lo ammonì Gideon, ma ormai Reid era fuori di sé, gli importava solo di trovarla e riportarla a casa, di salvare il salvabile, ammesso che ci fosse ancora qualcosa da salvare.
Ma la cosa di cui tutti erano certi era che Spencer volesse mettere le mani addosso a quello psicopatico, e dovevano calmarlo, farlo ragionare e cercare di infondergli un po' della razionalità che era sempre stata sua, ma che in questo momento doveva essere stata soppiantata da una istintiva paura che lo portava ad agire in maniera impulsiva.
Si appostarono alla porta d'ingresso dopo averla cercata a lungo, dato che era stata ben nascosta con frasche e cespugli, e la sfondarono senza incontrare particolare resistenza.
Hotch entrò per primo, pistola spianata e sguardo determinato a riportare a casa la sua pupilla.
– Libero.
Gli altri entrarono dietro di lui avvistando le scale, illuminate appena dalla debole luce che filtrava dalle loro spalle, e le salirono piano, cercando di generare meno rumore possibile stando in fila indiana.
Un odore di cibo li investì.

– Pesce –, mormorò Emily, terrorizzata dall'intuizione che le era appena venuta in mente.
Hotch entrò per primo, mentre Gideon tenne Spencer indietro e gli altri entrarono dopo di lui, ammirando orripilati lo spettacolo che si presentava di fronte ai loro occhi.
La tv era rotta ed emetteva un rumore bianco, la lampadina dondolava appena generando una luce intermittente, dalle sbarre del letto penzolavano ancora quattro fascette stringi cavo trasparenti, mentre sul materasso sporco c'era sangue scuro, mischiato a qualcosa di biancastro che riconobbero subito.
Quando Emily si rese conto di quest'ultimo particolare, si voltò verso Reid e la sua espressione la spaventò.
– Derek, portalo via –, esortò il collega, che si voltò per eseguire, ma Spencer si avvicinò ulteriormente scostando Morgan con uno sguardo che mescolava incredulità, rabbia e orrore, osservando ancora la scena: bottiglie rotte, pezzi di vetro insanguinati, corde tagliate, una cintura...
Ma nessuna traccia di Beatrix o del suo cadavere.
– Sono... sono andati via –, mormorò, incredulo.
Non ce l'avevano fatta.

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