33. "Ohne dich" by Rammstein
These days full of sadness
had joyfully changed into fear
My freakshow will start tonight
Don't miss the right time
Bright eyes suonava perfetta per la situazione creatasi: le parole si ripetevano senza fine nella mente di Beatrix, che se ne stava ormai da un paio d'ore seduta, la schiena poggiata al muro e le mani intrecciate in grembo, fissando con espressione stravolta l'armadietto che aveva aperto poco prima.
Lo stesso nel quale aveva ritrovato un cadavere di giovane donna, arrotolato come un serpente nello spazio angusto, che le era caduto ai piedi afflosciandosi come un palloncino sgonfio, non facendole capire nell'immediato di cosa si trattasse.
Ma non appena aveva messo a fuoco l'immagine, anche l'identità dell'autore di quella messinscena le era balzata subito chiara in mente, tanto che le era mancato il terreno sotto i piedi.
Non appena l'aveva vista crollare, J.J. si era voltata correndo verso di lei dopo pochi secondi di indecisione, soccorrendola.
Ma Beatrix non aveva dato nessun cenno di vita, seppur rimanendo con gli occhi sbarrati a fissare un punto imprecisato del pavimento.
Ancora lui.
Stavolta ha interferito col mio lavoro!
La stava perseguitando.
La sua mente si era spenta e non ricordava nulla, persa nei meandri del suo inconscio che suonava senza tregua canzoni su canzoni come un juke box impazzito, cercando di inquadrare quella situazione grottesca nell'unico modo che conosceva: uno spartito.
La donna se ne stava rannicchiata su se stessa, mormorando parole incomprensibili ai più mentre Emily le teneva compagnia, osservando gli altri che analizzavano la scena.
E tutto iniziò a riavere un senso solo quando le parole di Bright eyes presero forma nella sua testa, permettendole così di tornare in sé.
Alzò la testa e guardò la collega, senza riuscire a muovere le palpebre.
– ...come ha fatto?– domandò.
La collega notò che aveva le guance rosse e gli occhi lucidi, cosa che la insospettì tanto che le piazzò la mano sulla fronte.
– Accidenti, sei bollente. Devo riportarti a casa –, constatò, facendo per alzarsi.
– No!– quasi urlò Beatrix, afferrandola per l'angolo della giacca, – Ti prego... non voglio stare sola.
Un brivido percorse la schiena di Emily: ormai lo sapevano tutti.
Tutti sapevano che avrebbe provato a catturarla, era solo questione di tempo, ma ancora non capivano perché il Musicista volesse proprio lei.
Quando l'aveva vista la prima volta? Dove?
Perché l'aveva presa di mira?
Il bandolo della matassa era tutto nella musica, l'unica cosa che li collegava, ma solo Beatrix avrebbe potuto capirci qualcosa.
Ma ora è fuori uso.
Che fosse parte del suo piano indebolirla?
Emily si sganciò dalla presa della collega, avviandosi verso Hotch che esaminava il cadavere assieme a Spencer, ed ebbe modo di osservare il corpo: una ragazza dalle fattezze angeliche, bionda, vestita solo della biancheria e col busto inciso.
Ma stavolta non si trattava di uno spartito.
– Ma questo è un messaggio –, osservò mentre si chinava sulla vittima.
– E non promette nulla di buono –, proseguì Hotch, – Come sta?
Stavolta però la collega non rispose: era presa dalla frase incisa sul cadavere, stavolta un messaggio di testo compiuto.
Siamo sempre più vicini.
Si forzò di fornire una risposta al suo capo con ritardo:– Male, ha la febbre alta.
– Davvero?– chiese Reid, voltandosi verso la donna per rivelare un'improvvisa attenzione nei suoi confronti.
– Sì, vorrei accompagnarla a casa e rimanere con lei.
– Preferirei andaste in due da lei. J.J. verrà con voi –, comandò Hotch, che sembrava più preoccupato del solito, avendone tutte le motivazioni: il pensiero di perdere un'altra persona a cui era in qualche modo ormai affezionato non gli faceva affatto piacere.
Era stato lui a volerla in squadra e il senso di colpa iniziava a farsi spazio in lui, tanto da ritenersi in parte responsabile anche se era cosciente che questa storia era iniziata molto tempo prima che si conoscessero.
Tornò a concentrarsi sul caso per distrarsi, osservando il cadavere: appariva privo di rigor mortis al momento del ritrovamento, e ciò stava a significare che era stato sistemato poco prima del loro arrivo.
Forse durante la notte? No, più verso le prime ore del mattino.
Ma come ha fatto a non essere visto da nessuna telecamera?
– Adesso ci verrà tolto il caso degli adolescenti –, mormorò a Gideon, sopraggiunto in quel mentre.
– Non è detto. Sto andando al commissariato, io rimarrò con loro e offrirò la mia collaborazione come consulente esterno.
– Credi che lavorando su due fronti...?
Gideon annuì, e il collega strinse le labbra, dicendo:– Ci butteremo a capofitto su questa storia. Avremmo dovuto lasciare tutto il resto da parte dall'inizio.
– Smettila di crucciarti, Aaron –, il profiler anziano poggiò una mano sulla spalla del suo capo,– Non ti serve a nulla, ti logora e ti rende meno lucido. Non è da te.
– Hai ragione.
Si avviò verso la squadra, alla quale comunicò l'ipotesi fatta con Gideon, dicendo poi che, da quel momento in avanti si sarebbero occupati solo del Musicista.
Gli altri accolsero bene la notizia, nei loro occhi Hotch lesse sguardi di approvazione e si sentì più tranquillo.
Spencer si voltò verso Beatrix e la vide che dormiva appoggiata alla spalla di Emily con un'espressione per nulla tranquilla sul viso.
– Allora ti prendo il cappuccino? Non sarebbe meglio una camomilla?
Emily si era infilata in fretta il cappotto, facendo la lista della spesa a mente.
Beatrix aveva ancora la febbre molto alta e la collega la viziava come poteva per farla stare un po' tranquilla.
Non appena erano rientrate il pomeriggio precedente, aveva fatto loro visita il medico legale mandato da Hotch. Il dottore aveva sentenziato che si trattava di un esaurimento nervoso, grazie anche al fatto che la padrona di casa aveva assunto atteggiamenti come l'annodarsi i capelli attorno al dito e lo strofinarsi le mani tra loro fermandosi solo di rado.
J.J. le aveva abbandonate per un'emergenza casalinga e, data la scarsità di cibo in cucina, Emily si apprestava ad uscire.
Troppo debole per opporsi alla volontà dell'amica, Beatrix si sentiva lo stesso in colpa nel farla uscire ma non riusciva a fare altro che non fosse starsene coperta fino al naso sotto il piumone, tremando per il freddo.
E quando quella se ne andò, rimase sola a fare i conti con i propri pensieri ossessivi che la riportarono tutti allo stesso traguardo: il Musicista.
Non ha lasciato nessuno spartito e la vittima sembrava essere una modella nata negli anni ottanta.
Ma com'è riuscito a sistemarla senza essere notato?
Lei l'aveva visto, e non era certo un tipo che passava inosservato, ma riusciva a muoversi furtivo come un gatto e nascondersi tra la folla.
Chi è?
Come vive?
Perché ce l'ha con me?
Il suono del campanello la fece trasalire, generandole un batticuore che sembrò volerle sfondare la tempia.
– Pensavo che Emily avesse le chiavi –, borbottò, tirandosi giù dal letto a fatica.
Si avvolse in una coperta di pile e andò verso l'ingresso, strascicando i piedi mentre si grattava la testa, aprendo la porta senza nemmeno chiedere chi fosse a causa della mente annebbiata.
Spencer...?
Sulla soglia della porta c'era proprio lui, cosa che le cagionò ulteriore rossore sulle guance per quanto fosse possibile.
La coperta le scivolò dalle spalle per la sorpresa, riacciuffata al volo con prontezza, e lei ci si avvolse stringendola sotto al collo per coprirsi, rimanendo sulla difensiva.
Accidenti, sono in pigiama! Ed è anche rosa, dannazione...
In più aveva la febbre alta, per cui doveva avere il viso gonfio, gli occhi lucidi ed i capelli in disordine.
Imprecò tra sé e sé, ma provò a comportarsi con naturalezza appoggiandosi allo stipite della porta, dal quale scivolò rischiando di cadere.
– Ciao –, disse, cercando comunque di ostentare nonchalance, invano.
– Ciao –, rispose lui, guardandola con occhi che riflettevano la sua preoccupazione.
:– Come ti senti?
Sembrava non aver fatto caso al suo orribile look e alla gaffe appena fatta, cosa che la rincuorò.
– Non bene, purtroppo... ma non stare sulla porta, entra –, lo invitò, facendogli spazio.
Il dottore eseguì e varcò la soglia, guardandosi attorno con occhio critico.
– Emily è uscita?
– Sì.
Un velo d'imbarazzo calò sui due quando si resero conto di essere soli tra quattro mura, al riparo da occhi indiscreti e da quei pettegoli dei loro compagni di squadra.
Potevano essere liberi di fare ciò che volevano. Spencer ebbe qualche pensiero impuro, ma lo scacciò via in men che non si dica, pensando al fatto che il Musicista avrebbe potuto essere lì da qualche parte, pronto per agire.
– Dov'è andata?– domandò il dottore, appoggiando la giacca sull'appendiabiti alla sua sinistra.
– Non ho nulla da mangiare ed è uscita a prendere qualcosa. Posso offrirti solo una tisana, purtroppo –, rispose lei, contrita.
Sporca, trasandata e pure pessima donna di casa. Se dopo questa vorrà vedermi ancora, andrò ad accendere un cero alla Madonna!
Spencer scosse il capo:– No, grazie.
Beatrix lo invitò a sedere, e quello osservò con sorpresa:– Hai una casa molto austera.
– Mi piace molto il mobilio pesante, bello resistente –, rispose lei, avviandosi verso i pensili.
Aprendoli notò che aveva dei biscotti e li tirò fuori, gongolando:– Posso offrirti questi!
– Davvero, non c'è bisogno...
Ma ogni tentativo di rifiutare la proposta fu inutile: la donna stava già vuotando il sacchetto in una ciotola di porcellana bianca appena sbeccata, che pose tra loro due, quasi nella speranza che quella la difendesse con tanto di scudo e lancia.
Sedette di fronte a Spencer, che aveva bloccato il suo sguardo sui biscotti.
– Puoi prenderli, se vuoi –, disse lei.
Lui ringraziò balbettando e ne prese uno, che gli scivolò via, segno che fosse molto nervoso.
Lei si arrotolò una ciocca di capelli attorno al dito, assorbendo l'ansia di lui come fosse sua, e domandò:– Come mai sei qui?
– Ti ho disturbata? Posso andare via...– disse lui, alzandosi, ma lei gli fece cenno di tornare a sedere, continuando:– No, accidenti... mi chiedevo come sai dove abito.
– Me l'ha detto Hotch –, rispose lui, – E poi volevo... volevo sincerarmi di persona delle tue condizioni. E... occuparmi di te... personalmente.
Queste ultime affermazioni costarono care a Spencer, che faticò a tirare fuori i suoi pensieri, nemmeno stesse abbattendo un muro di cemento armato con paletta e secchiello da spiaggia.
Eppure, dopo aver detto ciò che pensava si sentì il petto molto più leggero. Neanche immaginare cosa potesse passare per la testa di lei dopo certe rivelazioni poté preoccuparlo o infondergli di nuovo il peso che sentiva dentro fino a pochi attimi prima, quella pesantezza che gli teneva i piedi inchiodati a terra e le gambe tese come corde di violino.
Si rilassò tanto che anche la sua postura apparve più naturale.
Dal canto suo, Beatrix si sentì felice per ciò che le aveva appena detto, tanto che sorrise.
– Hotch lo sa?– domandò, ma Spencer scosse il capo:– Non gliel'ho detto.
Lei annuì stringendo le labbra:– Non approverebbe affatto, lo sai. Il Musicista è appostato qui, da qualche parte fuori casa mia.
– Non... non starai diventando un tantino...
– Paranoica? Forse, ma hai visto cos'ha fatto?– chiese lei di rimando, e Spencer poté osservare i suoi occhi spalancati, intasati di febbre, i capelli sfatti e sciolti sulle spalle, il pigiama spiegazzato.
Non era la solita e quell'improvvisa malattia era solo la manifestazione fisica delle sue preoccupazioni.
– Visto che sei sola, aspetterò il ritorno di Emily –, decretò deciso a tranquillizzarla per quanto potesse, e lei sorrise sincera:– Grazie, mi fa piacere che tu sia qui.
– Fa piacere a me.
Beatrix lo osservò un attimo e non capì perché, ma sentì una voglia strana crescerle nel ventre.
Sarà stato per il fatto di essere soli, di non avere ancora la confidenza per toccarsi come persone normali, eppure quella sensazione si faceva sempre più grande fino a farle male, quell'intimo dolore muscolare che conosceva fin troppo bene.
Le sue personalità, la donna normale e la ragazzina traumatizzata, si stavano di nuovo scontrando nella sua testa generandole il solito strazio che le faceva passare ogni minima voglia.
Ma non voleva distogliere lo sguardo da lui, dalle sue labbra carnose, dai capelli lunghi e disordinati che emanavano riflessi color rame, dal suo corpo magro.
Le piaceva da matti, ma non immaginava che lui provasse le stesse identiche cose, nonostante il bacio che c'era stato.
La sua mente non l'avrebbe mai creduto vero nemmeno se in quello stesso momento avesse potuto leggere nella testa di Spencer, che sentiva la voglia di toccarla crescere sempre di più, ma cercava di darsi un contegno e di risultare il più neutrale possibile.
Eppure lei era lì a portata di mano, indebolita e indifesa. Avrebbe potuto alzarsi, avvicinarsi, baciarla e...
E...?
E cosa?
Cosa sarebbe potuto accadere?
Si diede dello stupido: da quando l'aveva baciata, la sua mente eseguiva viaggi attraverso azioni che una volta non avrebbe mai avuto neanche la sfacciataggine di immaginare e che invece adesso si sentiva a tanto così dal compiere.
Più immaginava, più diceva a sé stesso che lei aveva un problema grande.
Cosa pensava di fare, lui che aveva l'esperienza sessuale di un cactus?
Eppure aveva voglia di lei.
Anche solo di starle vicino, di sentire la sua voce, la sua risata e il suo odore.
E così ecco che quel giorno aveva deviato fino a casa sua, soddisfacendo in parte le sue voglie.
Ma non gli bastava, iniziava a sentire di volere di più.
In fondo cosa c'è di male?
Il cellulare di lei squillò, e, nel prenderlo, quasi cadde di mano a Beatrix.
– Sì?
– Reid è da te?– Hotch non l'aveva neanche salutata, ma lei poté distinguere una lieve nota di disapprovazione nella sua voce.
– Sì.
– Siete due incoscienti. Il Musicista vi sta spiando, almeno tu lo sai. Adesso non avvicinatevi per nessun motivo, non dovete avere nessun tipo di contatto fisico. Fate qualcosa, ma rimanete lontani. Sto arrivando.
La linea cadde, segno che l'uomo aveva riattaccato, e la donna sospirò.
L'idillio era stato spezzato in meno di una ventina di minuti.
Accidenti a quel maledetto psicopatico!
Spencer la guardò, interrogativo.
– Era Hotch. Dobbiamo allontanarci, lui è qui fuori e ci sta spiando. Facciamo così, scegli un libro e mettiti a leggere ma mi raccomando, non davanti alla finestra, intesi?
– Pensi possa spararmi?
– Sì, se pensa che tu possa essergli d'ostacolo.– rispose Beatrix, tremando al solo pensiero.
– Ma io lo sono.
Lo disse con un tono che sapeva di arroganza, tanto che la sorprese non poco mentre continuava a mantenere gli occhi nei suoi. La padrona di casa dovette inspirare a fondo per recuperare una briciola di raziocinio.
– No, hai ragione. Ma lui non deve capirlo. Fai come ti ho detto, io ora mi rimetto a letto.
Beatrix si diresse nella sua stanza, sistemandosi di fronte alla finestra per farsi notare da chiunque potesse osservarli da fuori, mentre Spencer si diresse verso la libreria, colma di volumi.
Vicino alla quale però vi era un'intera parete coperta di cd musicali, che attirò la sua attenzione, tanto che iniziò a curiosare scorrendo i vari titoli.
Tirò fuori Steal this album dei System of a Down, inserendo il cd nello stereo, impostato sulla sequenza casuale.
Partì Aerials ma non fece in tempo a farsi un'opinione a riguardo, che apparve Beatrix sulla soglia, intimando:– Posalo, sbrigati.
– Perché? È molto bella –, valutò lui.
Lei annuì:– Una delle mie preferite, ma devi rimetterlo a posto.
Si avvicinò, tolse il cd e lo sistemò nella custodia, che tornò in mezzo agli altri.
Poi si voltò, dicendo seria:– Lui non deve vedere che ti interessi di musica. Quella è una cosa esclusiva tra me e lui, non devi metterti in mezzo.
Esclusiva?
Il sangue di Spencer risalì fino al cervello, facendo ingelosire all'istante il dottore, che domandò a denti stretti:– Che significa?
– Significa che voglio che tu non corra rischi per colpa mia –, rispose lei lapidaria, tornando a letto.
Il dottore seguì il suo consiglio, dandosi dello stupido per aver agito in maniera avventata: non era da lui.
Scelse un libro da leggere e si accomodò sul divano col volume aperto tra le mani, anche se non riuscì a concentrarsi nella lettura.
Questa è gelosia.
Ormai conosceva bene quel sentimento che gli invadeva la mente e il corpo ogni volta che lei scherzava con Derek, o quando venivano fuori episodi come quello appena accaduto.
Cercò di distrarsi con la lettura, finché Emily e Hotch entrarono in casa con le buste della spesa grazie alle doppie chiavi in possesso della collega.
– Eccoci qua –, disse lei, ostentando leggerezza.
Spencer si alzò, andando loro incontro per salutarli.
– Adesso vai via. Non salutarla, corri al Bureau e fai attenzione, chiaro?– disse Hotch,– e guai a te se fai ancora una cosa del genere senza interpellarmi.
Reid non rispose, e si voltò per andarsene.
Una volta sceso in strada si guardò attorno, quasi sfidando il Musicista: era davvero stufo di quella storia, di doversi limitare per colpa sua adesso che riusciva a provare qualcosa per qualcuna. Se quello psicopatico era davvero lì, l'avrebbe visto e avrebbe di certo reagito alla provocazione.
Attese un paio di minuti, ma non accadde nulla, tanto che riprese a camminare, dirigendosi verso la sua auto.
Un rumore di esplosioni lo colse impreparato, e la conseguente sensazione di bruciore a un braccio lo costrinse a fermarsi dopo qualche passo, piegandosi sulle ginocchia.
All'improvviso Spencer venne trascinato sull'asfalto dietro un'auto, e riuscì solo a voltare il viso: qualcuno si era posto ai suo piedi, spiando di tanto in tanto come per verificare che la via fosse libera.
– Togliti!– intimò a Beatrix, che cercava di individuare la direzione dalla quale erano partiti i colpi.
– Stai zitto.– ringhiò lei in risposta, riparandosi dietro il cofano quando partì un altro colpo.
Spencer era stufo di essere messo in secondo piano e di non riuscire mai a fare qualcosa: prese la sua arma di ordinanza, tese il braccio e premette il grilletto.
La pistola sputò un proiettile che andò a colpire qualcosa tra le macchine alla loro sinistra, e fu in quel momento che lo videro: era di spalle, vestito di nero e stava fuggendo, i capelli biondi che sobbalzavano a ogni movimento.
Beatrix scattò in piedi per inseguirlo mentre Hotch le ordinava di restare, ma fu come se non le avesse detto nulla: il Musicista era lì, a due passi da lei.
Non poteva farselo scappare.
Me la pagherai, me la pagherai cara!
Ma la debolezza non aveva finito di giocarle brutti scherzi: le gambe cedettero dopo tre balzi e lei cadde a terra, sollevandosi su un braccio per seguire la scena, mentre Hotch, Emily e Reid stavano ancora sparando.
Poi crollò su se stessa.
I soliti muri asettici.
La solita stanza sterile.
Beatrix aprì gli occhi dopo poche ore, rendendosi conto di essere circondata dalla sua squadra, le uniche note di colore in quella stanza neutra.
Mentre gli altri esultavano per la sua ripresa, lei rotolò verso sinistra e si passò le mani sul viso.
– Ce l'avevo, ce l'avevo, cazzo, era lì...– borbottò, per poi battere i pugni sul letto in un impeto di rabbia,– Era lì, perdio!
– Adesso basta, lo prenderemo –, disse Hotch.
– Cerca di stare calma –, la esortò Emily, più rassicurante.
– Non posso, era lì, a due passi e l'ho mancato! Quanto continuerà a darmi il tormento? Finirà mai questa storia? Non posso farcela, non ce la faccio più!
Dicendo ciò, Beatrix afferrò dal comodino la prima cosa che le capitò tra le mani per lanciarla con rabbia contro il muro.
Era stremata dallo stress, non reggeva più la tensione.
Ho paura.
Roteò gli occhi verso Spencer, osservandolo.
– Sei ferito –, constatò guardandogli l'avambraccio, e lui scosse il capo nel dire:– Solo un graffio.
– Mi dispiace... è tutta colpa mia...– balbettò lei, mentre tutta la tensione iniziò a sciogliersi in lacrime.
– Oh no, no, non devi... non è così –, il Dottore si allarmò, avvicinandosi con la sedia, e gli altri pensarono bene di lasciarli soli, osservarli dall'esterno.
– Io... non avrei mai voluto che se la prendesse con te –, disse lei piano, accarezzandogli la ferita già incerottata.
– Non pensare a me.
– Ma come faccio? Non vedi cosa ti ha causato la mia vicinanza?
– Sarei potuto cadere dalle scale e ottenere lo stesso risultato.
– Non essere assurdo, per favore –, rispose lei, irritata.
Spencer prese fiato, dicendo:– Preferisco che se la prenda con me, stavolta.
Calò un breve silenzio carico di aspettative e lui lottò con la paura e l'incertezza di agire, un mix che bloccò in toto le sue azioni, ma che alla fine sconfisse.
Le poggiò piano le mani sulle guance bollenti e accostò la fronte alla sua, chiudendo gli occhi per godersi il lieve rumore del respiro di lei in un attimo di incredibile pace come non ne viveva de mesi.
– Ohne dich kann ich nicht sein.*
Beatrix aprì gli occhi di scatto e si allontanò, guardandolo esterrefatta.
– Quella canzone... tu... come...?
Lui ricambiò lo sguardo, sorridendo appena. Pose lo sguardo sull'i-pod che teneva tra le mani.
– Mentre aspettavo che ti svegliassi, ho ascoltato qualche pezzo dal qui. Questo è molto... bello.
– Ma.. conosci le parole?
Lui sorrise ancora, stavolta compiaciuto nel dire:– Ho una memoria eidetica. Mi è bastato cercare il testo e la traduzione su internet.
La donna intese e chiuse gli occhi, traendo un profondo respiro prima di dire:– Ich auch.**
– Come?– domandò lui, non conoscendo l'idioma.
– Niente.
NOTE:
* "Senza te non posso stare" è il ritornello di Ohne dich dei Rammstein, canzone del titolo del capitolo.
** "Anch'io".
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