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21. "Aerials" by System of a Down

– Beatrix, apri la busta,– ordinò Hotch, ma dalla donna non arrivò nessuna risposta.

La sua mente si era persa in un onirico labirinto dal quale non riusciva a uscire, dal quale solo la voce rassicurante di Emily poté tirarla fuori:– Beatrix. Apri la busta, coraggio.

Beatrix tolse con paura lo sguardo dalla sua amica, portandolo sulla missiva che si rigirò più volte tra le mani, cercando di farsi coraggio, ricordando che non era sola.

La paura l'aveva bloccata, ma alla fine riuscì a non farsi sopraffare: guardò la busta e aggrottò le sopracciglia, assumendo un broncio determinato.

Con le unghie pizzicò la linguetta, senza riuscire nel suo intento di staccarla.

Indispettita afferrò un angolo della busta, strappando con delicatezza mentre gli altri allungarono il collo per sbirciare.

Tirò fuori il foglio, lo spiegò e gettò uno sguardo al testo.

Hai visto come sono stato bravo? Ti sono piaciuto?
Lo abbassò, guardando gli altri, ma solo Gideon sembrò iniziare a capirci qualcosa.

– Fatemi vedere i cadaveri,– disse infilando dei guanti avvicinandosi poi a uno dei due.

Si limitò a spostargli la testa e osservare in silenzio un punto specifico, annuendo.

– Come pensavo,– disse, indicando col dito un segmento di pelle dietro l'orecchio della vittima, dove figurava un tatuaggio minuscolo, stavolta bordeaux.

– Questi sono i capi della banda.


Erano già le quattro del mattino e Beatrix stava vegetando nel suo letto ormai da ore, cambiando posizione di tanto in tanto per evitare fastidiosi formicolii.
Non aveva chiuso occhio quella notte se non per una dozzina di minuti massimo, mentre J.J. dormiva nell'altra stanza.
La donna si voltò su un fianco per l'ennesima volta. Possibile che il materasso fosse diventato così scomodo?
No, il problema non è quello.
Il Musicista la stava seguendo, era chiaro come il sole. Si era fatto più intraprendente, qualcosa lo faceva sentire autorizzato a stuzzicarla in maniera così invadente anche mentre lavorava.
Non riusciva a stare tranquilla: e se in quel momento fosse lì fuori, appostato alla sua finestra?
Nel giardino condominiale.
Temeva qualsiasi rumore e non era riuscita a calmarsi nemmeno quando, qualche ora prima, J.J. era entrata in stanza per tenerle compagnia, recando in mano una tazza fumante di camomilla.

– Come ti senti?– domandò la collega, sedendo vicino a lei.

– Come una stronza,– rispose Beatrix.
L'altra aveva sorriso, osservando:– Se non altro sei ancora sarcastica.
– No, Jennifer, sono davvero una stronza. Talmente stronza da non essermi accorta che quello non solo mi sta pedinando, ma riesce anche a mettere le mani nei nostri casi.

Il suo tono apparve avvilito e alterato allo stesso tempo, tanto da far intuire a J.J. che Beatrix ce l'aveva con sé stessa.

– Non ce ne siamo accorti nemmeno noi, non è colpa tua.
– Dove arriverà?– domandò l'altra, colorando il tono con una sfumatura di terrore.
– Hai sentito cos'ha detto Hotch, no?
Sì che l'aveva sentito, forte e chiaro.
Hotch aveva detto che dovevano continuare a starle addosso. Spedire i cadaveri era stato un'espediente per avvicinarsi a lei ancor di più, passando dall'aria aperta dei ritrovamenti al farglieli portare a lavoro senza farsi notare.

Sapeva come destreggiarsi, sapeva passare inosservato.
Forse avrebbero dovuto rielaborare il profilo perché Gideon aveva avuto un'intuizione: questo tipo viveva in funzione di lei, adattandosi a ogni evenienza come un perfetto trasformista.
Nella sua testa Beatrix iniziò a prepararsi al peggio.

Il cellulare strappò violentemente il filo dei pensieri di Beatrix, ricordandole ancora una volta gli ostacoli della vita grazie a Zampaglione.

– Devo cambiare questa suoneria,– borbottò, schiarendosi la voce prima di rispondere,– dimmi.
– Sapevo fossi sveglia,– era la voce di Hotch.

– Complimenti, hai vinto un lecca lecca. Da cosa lo avresti evinto?– rispose lei mentre cercava di sistemare le coperte per calmare i suoi istinti nervosi.
– Dalla tua espressione spaventata. Non ti piace l'idea di essere controllata.
– A dirla tutta mi sta un tantino sul cazzo,– disse alzandosi per camminare nervosa lungo il perimetro della stanza. Odiava essere tenuta d'occhio come una bambina delle elementari.

Poi disse, come fosse una provocazione:– Anche tu eri spaventato.
Il capo sospirò:– Già. Temo per la tua incolumità.
– Ce l'avessi tra le mani, sarebbe lui a dover temere per la sua,– ringhiò lei.
– Se quello fosse tra le tue mani, sarebbe solo che contento.
La conversazione sembrò terminare ma Hotch la esortò a dormire prima di riattaccare.
Beatrix posò il telefono e si avvicinò alla finestra, scrutando fuori.

– So che sei qui, figlio di puttana.
L'aprì, guardandosi attorno: non vide nessun movimento e ricacciò la testa all'interno, richiudendola.
Riprese il cellulare, scorse le canzoni e selezionò Burn dei The Cure.
Si accese una sigaretta e la fumò in pace, godendosi quei pochi attimi di solitaria libertà dispersi nell'aria che si andavano mescolando al fumo della bionda.

Il mattino dopo non tardò ad arrivare, e neanche Beatrix tardò a fare il suo ingresso nel Bureau con occhi spiritati grazie alla pessima qualità del suo scarso sonno.

Erano già tutti pronti nella sala riunioni, a parte lei e J.J.. Quest'ultima si rivolse a Hotch, le braccia incrociate sul petto e l'aria preoccupata che non faceva presagire buone nuove:– Immagino tu abbia visto la tv,– disse, cercando conferme.
– Già. Dobbiamo sbrigarci, hanno chiesto di noi senza la tua intercessione.
– Pensi che l'opinione pubblica potrebbe reagire male al fatto che abbiamo nascosto l'esistenza di questo SI?

La notizia preoccupava poco e niente J.J., che comunque doveva sapere quali intenzioni avesse il suo capo.
– L'opinione pubblica potrebbe addirittura scagliarsi contro di noi, sai come cambia il vento in questi casi. Ai piani alti sono venuti a conoscenza dell'esistenza del Musicista, hanno chiamato me per darmi l'ordine perentorio di catturarlo il prima possibile.
– C'è dell'altro?– la donna lo intuì a pelle. Conosceva Hotch da troppo tempo per non capire quando qualcosa non andava.
– Non è il momento per parlarne.

L'uomo troncò il discorso, dirigendosi verso la sala riunioni
– Sbrigatevi,– intimò.
Le due donne si prepararono senza perdere tempo, e Beatrix trovò l'ennesima lettera sulla scrivania.
Sospirò rassegnata.

– Ehm.. ce l'ho messa io.

La donna si voltò, piantando gli occhi sul volto di Reid.
Neanche lui sembrava aver riposato appieno, lo evinse dalle occhiaie più scure del solito e dal gonfiore delle palpebre mobili.
Scosse il capo, borbottando:– Dannazione, proprio tu dovevi portarmela.
– Ti... infastidisce?

Il dottore aveva posto una domanda davvero retorica e lei inspirò forte col naso, dicendo:– Sì, sinceramente. Mi rode parecchio che tu stia osservando il peggio di me.
– Ma non è colpa tua,– fu la risposta che giunse istintiva alle labbra di Spencer.
Beatrix scosse ancora il capo:– Sì che è colpa mia. Ho fatto qualcosa che ha attirato quello stronzo. A proposito, cosa si sa di quei due?
– Non ci sono ancora arrivate notizie particolari. Dovrebbero arrivare nel pomeriggio.

La donna annuì e tirò fuori dalla tasca la lettera della sera prima, mettendola sulla scrivania per poi afferrare quella nuova e fare per aprirla, ma il collega la fermò:– Aspetta! C'è ancora qualcosa nella busta di ieri sera, guarda bene.

Gli diede ascolto, voltando gli occhi verso la vecchia missiva, accorgendosi che sporgeva qualcosa, un minuscolo angolino morbido ingiallito, forse un tessuto.
Stavolta lo prese lui, tirandolo fuori con decisione, sorprendendola: quel mattino Reid non sembrava lui, prendeva troppe iniziative.
Il giovane dottore aggrottò la fronte nel leggere, non comprendendo cosa recasse il lembo di stoffa che cercava di decifrare.

– Non capisco,– disse infine, porgendolo a Beatrix, che riconobbe subito lo spartito:– Mamma mia...– borbottò imbarazzata.

– Cos'è?– domandò lui, notando la reazione della collega.
– Ah, inutile dirtelo, non... non capiresti,– rispose quella, evitando il suo sguardo.
L'uomo strinse le palpebre, osservandola mentre arrossiva fino alla punta dei capelli e teneva lo sguardo basso, il che non era proprio da lei.

– Beatrix. Dimmi che diavolo c'è scritto, – intimò.
Lei si voltò, colpita: Reid le aveva dato un ordine! Nella sua voce non c'era traccia di insicurezza, le era anzi apparso quasi aggressivo.
Nascose la lettera dietro la schiena, come fosse una bambina piccola, decisa a proteggere il suo piccolo segreto.

– No,– rispose, mettendo il broncio.
Lui inspirò, spiegando:– Statisticamente gli uomini sono più forti delle donne a livello fisico, ergo riuscirei a sopraffarti, impadronirmi della lettera, fare una ricerca online e scoprire di cosa si tratta. Vuoi dirmelo tu, così ci risparmiamo questa perdita di tempo?
Una volta tanto la donna dovette riconoscere di essere stata messa a tappeto da lui.

Gli diede le spalle, in un ultimo tentativo di sfuggire alla vergogna, ma quello la incalzò:– Come si chiama il pezzo?
La collega era davvero troppo in imbarazzo per esplicare ad alta voce il contenuto della lettera, tanto che si mise al pc, navigando alla ricerca di un video, balbettando:– Questi spartiti così... questi lenti sono solo delle dediche da parte sua. Non c'entrano con le vittime. O meglio, in modo diverso, come se... dedicasse gli omicidi, ecco.
Si alzò e si diresse in bagno con la nuova lettera tra le mani, mentre dalle casse audio del pc si diffondeva la struggente melodia di Mad about you degli Hooverphonic.
Reid guardò il video, ascoltando con attenzione le parole:– Questo figlio di...– ma venne interrotto da Gideon, che osservò:– Non è da te, Spencer.
Il profiler era apparso alle sue spalle come un ologramma, senza produrre rumori di alcuna sorta.
Il dottore si voltò, alzandosi e prendendo dei fogli di carta. Si avvicinò al collega, esternando le sue preoccupazioni:– Questo qui vuole rapirla. Il messaggio non è tanto nella canzone quanto nel video, vuole portarla via, non ho dubbi.
Sembrava agitato, e Gideon gli rivolse un sorriso sghembo:– Tu la odi, no?

– Che c'entra?
– A te ha sempre dato fastidio che ti prendesse di mira, giusto? L'hai sempre considerata insolente, seccante, una scocciatrice. Per te, questa sarebbe quasi una cosa buona.
Reid continuò a non capire, rivolgendo al collega uno sguardo confuso.

– Te la toglieresti di mezzo,– concluse il più anziano, e l'altro scosse il capo, stupito dalle sue parole:– Gideon, è... lei è una nostra collega!– esclamò, fissandolo senza carpire la provocazione.
Continuò a guardarlo sconvolto mentre si allontanò dalla scrivania, avvicinandosi all'ufficio di Hotch.
– Che cosa gli hai detto?– Domandò Derek all'avviso di Gideon, avvicinandosi a lui.
Questi sorrise:– Sto solo cercando di farcelo arrivare con la sua testa.
– Non si sveglierà mai,– considerò Morgan, scuotendo il capo.
– Non essere così negativo, Derek.
All'improvviso il rumore di una porta aperta con forza segnalò l'irruzione di Emily, che trascinava Beatrix con un braccio attorno al collo.

– Aiutatemi,– disse agli altri. Derek si precipitò:– Che le è successo?
– Non ne ho idea. È uscita dal bagno ed è caduta.
– Un esaurimento nervoso?– considerò J.J..
Gideon le mise una mano sulla fronte, dicendo:– Bolle. Chiamate un'ambulanza.

Rape me

Rape me, my friend
Rape me
Rape me again

Non mi sono mai piaciute le stanze sterili.
Questo fu il primo pensiero di Beatrix quando aprì gli occhi, fissando un punto alla sua destra.
Il muro bianco era interrotto da una porta altrettanto bianca e sterile, incastonata alla perfezione nella parete, così brutta da riuscire a non rompere la noiosa neutralità della superficie ospitante.
Spostò lo sguardo sul suo braccio e vide il deflussore che si inerpicava verso l'alto fino a collegarsi al flacone dal quale un medicinale gocciolava pigro prima d'intraprendere il percorso verso le sue vene.
Sospirò e poggiò la testa sul cuscino con arrendevolezza, mormorando:– Che palle.
Guardò il soffitto immacolato, non una macchia a turbare il suo candido vuoto, proprio come il muro.
Beatrix chiuse gli occhi nel tentativo di riposare ancora.
Non si accorse che J.J. ed Emily la stavano osservando dal corridoio.

– Cosa le è successo?– la bionda assunse un tono imperativo, segno che voleva sapere tutto.
Ma Emily scosse il capo:– Mi dispiace J.J., ma non posso dirtelo.
– Emily, sono stanca. Alcuni di voi sanno tutto, altri sanno le cose a metà. Non sopporto questa differenza, inutile. Anch'io vengo a dormire da Bea, anche io le sto dietro, non è giusto che io non sappia nulla, non trovi?
L'altra sollevò le sopracciglia, annuendo:– Non hai tutti i torti. Capirai molte cose di lei.

Sospirò, sapendo che se ne sarebbe pentita, per poi iniziare a raccontare:– Vedi, Beatrix è stata vittima di molestie. Mi ha raccontato cosa le è successo nei minimi particolari ma non chiedermeli.
J.J. rimase interdetta, ma decise di seguire la direttiva della collega.

– Vai avanti,– la esortò.
Emily riprese:– Le accadde una volta a otto anni, ma se l'è saputa gestire e se n'è tirata fuori da sola, non sa neanche lei come. Si domanda sempre perché lei sì e altri bambini no, si domanda dove sia la sua diversità, si vede come un prodotto negativo. E poi la seconda accadde quando era quattordicenne. È stata più pesante e l'ha segnata in maniera molto profonda.
La bionda abbassò il capo:– Mi dispiace,– e rifletté altri due secondi prima di continuare,– ora capisco i suoi modi. Il vestire così largo, il fatto che usi poco trucco, il suo essere lunatica...
Emily annuì, valutando:– Derek l'aveva già capito, ne sono sicura.
– Perché adesso è qui?
La spiegazione di Emily non l'aveva soddisfatta del tutto.
– Deve aver visto la lettera di oggi in bagno, non so perché l'abbia aperta lì, forse voleva starsene da sola. Ce l'ho in borsa ma devo ancora visionarla, eppure sono sicura che la causa sia lì.

Sai, accade spesso che un forte stress causi senza preavviso delle anomalie fisiche anche molto importanti. Credo la causa sia un forte stress emotivo.
Emily chinò la testa e spiegazzò la lettera sporca di sangue iniziando a leggerla, ma in quel mentre il telefono di J.J. trillò e quest'ultima dovette a rispondere, lasciando l'ingrato compito alla collega.
La donna non capiva il testo ma aveva notato che stranamente questo spartito riportava sulla sommità una scritta.

– Rape me,– lesse a voce bassa.
Poi capì.
J.J. tornò da lei di fretta:– Hotch mi ha detto che devo rientrare per parlare col medico legale. Ha scoperto dei segni sui corpi dei due. Cosa dice la busta?
– Uno spartito. Si chiama Rape me, non so di chi sia ma immagino cosa sia.
La bionda guardò il soffitto e sospirò:– Va bene. Io torno alla base. Potresti chiedere aiuto a Garcia. Se scopriamo l'autore, possiamo sapere cos'è successo a Beatrix.
Emily assunse una smorfia con la bocca, spiegando:– Stuprami. Il titolo dice tutto. Spero che le mie paure non siano fondate.

Hotch riagganciò al telefono e guardò i membri restanti della squadra con una tensione che non amava provare. La responsabilità di illuminare gli altri sulla situazione di Beatrix lo stava facendo sentire in colpa, ma a questo punto aveva pensato di non avere più molta scelta.

– Quindi?– domandò Reid
Non gli era sfuggito il fatto che Reid fosse impaziente di sapere e molto, molto nervoso. Quasi aggressivo, perlomeno questo era ciò che trasmetteva il suo linguaggio del corpo.

– Beatrix è stata prema di mira da un pedofilo quando aveva otto anni,– ci fu una pausa durante la quale il capo della squadra soppesò le reazioni degli altri.
Gideon sapeva tutto ma parve comunque riflessivo.
Reid restò a bocca semi aperta, fissando un punto nel vuoto mentre Derek annuì, segno che lo immaginava già.
Poi riprese:– Fu fortunata perché i suoi l'avevano messa in guardia sugli sconosciuti. Il suo istinto reagì con un rifiuto totale di ciò che stava accadendo. Diede retta al pedofilo e rispose alle sue domande, guadagnando la sua fiducia, riuscendo a cavarsela senza essere toccata.

Purtroppo però ci sono state comunque delle conseguenze, ma la volta successiva le andò peggio.
– Ce n'è stata un'altra?– domandò Morgan, preoccupato e insieme sorpreso.

– Ce ne sono state molte altre, Derek. Queste sono quelle più rilevanti. Durante l'adolescenza è normale ricevere avances per le ragazzine ma alcuni si spingono troppo in là. Quando aveva quattordici anni appena compiuti, accadde una seconda volta.
Gli altri attendevano in religioso silenzio il seguito, neanche fosse una fiction, e Hotch se ne rese conto scegliendo di non svelare tutto ciò che sapeva in difesa della privacy della sottoposta.

– Non vi dirò i dettagli, nonostante io sappia tutto per filo e per segno. Sappiate solo che è stato un avvenimento che le ha distorto la mente.

Lei non considera il sesso una parte della sua vita, l'ha escluso in toto. Ha rischiato di diventare una vedova nera e ha dovuto fare un lavoro molto duro per uscirne.

Ha un'autodisciplina stupefacente, ha scelto di escludere relazioni sentimentali dalla sua vita,– Hotch guardò Spencer, – Finché non ha visto te.
– Me?– domandò quello, mutando il suo atteggiamento da nervoso a imbarazzato.
Hotch annuì, e il dottore domandò ancora:– Questo è ridicolo, che cosa ho fatto?
– Non lo è. Forse immagino perché ti abbia preso di mira,– disse Derek, – di solito le donne dominanti scelgono persone più tranquille. Alcune adorano comandare, altre pensano che così possano imparare qualcosa, altre ancora solo per compensare.

E poi ci sono quelle alle quali i tipi sfigatelli come te fanno tenerezza, – concluse il mulatto, dandogli un buffetto sulla guancia.

– Non sei divertente,– rispose Reid, teso come una corda di violino.
– Sai, il sospetto ce l'avevo da quando mi ha scansato. Era schifata da me. Certe cose le riconosco a pelle, le ho vissute anch'io,– svelò Derek, continuando, – e poi il suo modo di vestire... indossa sempre roba di diverse taglie in più. Non ama farsi notare e ha avuto quella reazione sulla vedova nera che...
– Ora conoscete la situazione, basta farle il profilo. Agite di conseguenza, ma non trattatela in maniera differente da prima, altrimenti si sentirà emarginata. Ha fatto di tutto per essere una persona normale,– concluse Hotch, dando le spalle agli altri.

– Sentito, ragazzino? Regolati di conseguenza,– disse Morgan, poggiando una mano sulla spalla di Reid, che rispose contrariato:– Non c'è nulla su cui scherzare.
Aveva ragione.

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