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2 - L'elefante bianco - by Area

«Possibile che questo corpo non abbia un segno particolare? Una cicatrice, qualcosa che lo distingua?» Hotch non staccò lo sguardo dal cadavere.
Gideon indicò a Morgan di avvicinarsi con un cenno, « Aiutami a voltarla.»
Si chinarono sulla deceduta, e insieme la fecero ruotare su un fianco.
«Dobbiamo controllare se sulla schiena ha qualcosa.»

«Sulla schiena, no. Ma sul collo», osservò il mulatto.
L'altro si avvicinò, «Cosa c'è?»
«Guarda questi nei. Non ti sembrano un po' troppo regolari?»
Il profiler rifletté, «Emily, hai una penna?»
La donna si voltò e gliela porse.
«Indelebile?» domandò Gideon.
«Va via con l'acqua.»
«Perfetto.»

Il disegno comparso dall'unione dei punti sembrava a prima vista insignificante.
«Cos'è?» domandò la donna, e Hotch si voltò verso Reid.
«Sembrerebbe... una costellazione», il dottore strinse le palpebre, «Ma non saprei dirvi quale. Forse l'ha inventata.»
Derek scattò una foto con il cellulare e chiamò Garcia, «Bambolina, ciao. Ti sto mandando un'immagine che sembrerebbe essere una costellazione, cerca di capire di cosa si tratta, ok?»


Gideon si guardò attorno, «La testa non c'è», mormorò, «L'avrà presa come feticcio?»
«Molti usano parti del corpo come fossero trofei, o li portano via per souvenir», ricordò Emily, e in quel mentre il telefono di Morgan trillò ancora.

«Dolcezza, cosa sai dirmi? Davvero? Grazie, stasera sarò tutto per te!» riattaccò soddisfatto.
«Fumetti», decretò.
«Ancora», borbottò Hotch.
Il mulatto proseguì, «Sembrerebbe che questi punti rappresentino la costellazione dell'orsa maggiore. Se dovessimo collegarla ai fumetti, grazie all'indicazione avuta da quella tipa nuova, Garcia dice che si rifà a un... manga chiamato Hokuto no Ken. Dice che ebbe un vasto successo attorno agli anni ottanta e novanta.»
«Cerchiamo un nativo di quegli anni.»
Derek annuì.

«La persona che stiamo cercando», stava dicendo Hotch alla squadra di agenti del posto, «è un maschio bianco, dai trenta ai quarantacinque anni circa.»
«Perché proprio quarantacinque?» domandò un ascoltatore.
«L'esplosione del fenomeno dei fumetti giapponesi si ebbe dopo la seconda guerra mondiale, quando mangaka come Osamu Tezuka iniziarono a disegnare storie basandosi su sedicenti guerre apocalittiche, forse in riferimento e in ricordo agli attacchi atomici subiti dalle città di Nagasaki e Hiroshima, che causarono terrore e sgomento nell'isola nipponica.
In Europa sono arrivati più o meno negli anni ottanta, e alcuni erano molto cruenti.»

Reid continuò a snocciolare informazioni prese dal web, passando per un esperto grazie alla sua fenomenale memoria eidetica.
«Colui che cerchiamo conosce molto bene quel tipo di fumetti, tanto da prenderne ispirazione. Hokuto no Ken è un manga molto crudo e violento, per Berserk vale lo stesso.
Questi sono appartenenti al genere Shonen, mentre le ragazze spesso sono più interessate al genere Shojo, un genere più femminile che trattava quasi sempre di storie adolescenziali e di amori tra i banchi di scuola.»

«Perché quella donna allora aveva tatuato il simbolo di un... fumetto da maschi?» chiese un altro poliziotto.
«Questo dobbiamo scoprirlo», Reid si ritirò al suo posto.
Gideon prese la parola al posto suo, «Ricapitolando, maschio bianco amante dei manga, un vero esperto. Deve essere un tipo timido, gentile, timoroso e debole agli occhi della società. Quello che viene preso sempre di mira.»
Spencer abbassò il capo. Era consapevole di corrispondere a questo tipo di descrizione.
«Molto probabilmente porta gli occhiali, ha un aspetto trasandato con capelli lunghi e qualche segno di acne sul viso.»
«Per ora è tutto», concluse Hotch.
Gli agenti si alzarono per uscire dalla sala, e nel contempo a sorpresa Beatrix fece il suo ingresso.
«Cosa ci fai tu, qui?» domandò Hotch andandole incontro, e quella cacciò la lingua.
«Mi annoiavo. Vi state godendo tutto il divertimento.»
«Beatrix, questo non è divertimento, stiamo lavorando», il capo non le staccò gli occhi di dosso.
Sarebbe potuto risultare inquietante e minaccioso a un'altra persona, ma non a lei.

«Beh, sto lavorando anch'io e non ce la faccio a stare ferma al chiuso per troppo tempo!»
L'uomo si voltò verso gli altri per ignorarla, ma la testarda novellina lo seguì, osservandolo dal basso mentre gli parlava. Inciampò un paio di volte pur di comunicare con lui.
«Ho indagato sulle attività che smerciano fumetti. Ce n'è una sola e non credo ci siano molti amanti di manga a quel livello, da queste parti. Di solito sono tutti fan della Marvel!» 
«Sei già stata lì?»
La donna scosse il capo, «Non ancora. Voglio andare tra poco, ma prima voglio sapere se sei d'accordo.»
Hotch la guardò di traverso, senza mutare espressione. Sospirò, «Non potevi chiamarmi come tutte le persone normali?»
«Sai che detesto il telefono. Allora?»

Il suono della bambolina della pioggia appesa al soffitto echeggiò nel negozio diffondendo un simpatico rumore di campanelli.

Beatrix si guardò attorno. Era armata di fogli da disegno sotto braccio, tracolla e richieste precise.
L'album con i suoi schizzi l'avrebbe resa più credibile, sebbene al suo interno gli stessi fossero poco accurati. Si guardò attorno e si diresse verso gli Shonen, osservandoli con attenzione.

Devilman, Bastard, Death Note...oh, questo non lo conosco, Claymore. Uhm...
«Cerchi qualcosa?»
Di nuovo quel fastidioso tu.
Si voltò, sforzandosi di sorridere per cortesia, «Davo un'occhiata. Sai, sono piena di manga ma ogni volta non bastano mai.»
«Hai ragione!» rispose il tipo, lo stesso che aveva intravisto alla cassa.
Lo osservò con attenzione: capello lungo, per nulla curato, tenuto legato da una coda sulla nuca, età forse di poco minore della sua, basette, occhiali, pancia di chi sta sempre seduto e maglia un po' corta.
Eccolo qui.
«Se posso aiutarti...»
«Grazie ma li conosco a menadito, ormai.»
Intavolarono una discussione su manga e anime, durante la quale lei osservò il linguaggio del corpo del suo interlocutore: sguardo evasivo, gambe strette, guance arrossate
Questo mondo è popolato da timidi e impacciati.
Il suo pensiero andò a Reid, ma si sforzò di riportare la sua mente sul lavoro e alla fine, dopo aver instaurato l'empatia necessaria col padrone del negozio, scelse di acquistare dei manga che le mancavano, uscendo con una busta piena di fumetti tenuta tra le dita.
Ormai era sera e si domandò se non fosse il caso di rientrare in casa, chiamando Hotch.

Beatrix rientrò in casa, alla quale ancora non era abituata.
Le finestre erano sbarrate da pesanti grate scure, le luci calde illuminavano mobili fabbricati in pesante legno color noce dal design classico, come se avesse svuotato casa di sua nonna.

Nel corridoio troneggiavano due piccole librerie, sulla sinistra il salone con un grande mobile scuro, su cui aveva sistemato televisore, consolle varie, dvd, cd e l'impianto stereo.
Posò le buste sul divano con penisola e accese subito lo stereo.
Nel salone, diviso dalla cucina da un muretto alto appena un metro, si diffuse una voce che ricordava vagamente Freddie Mercury, un timbro acuto che raggiunse picchi di estensione molto alti.

Gli canticchiò dietro. Al ritornello, sulla nota più acuta, abbassò la testa sulle verdure che stava affettando e rise.
Maledetto Mika, non ci arrivo!
Ridendo, continuò a cucinare in solitudine.

Il sole filtrò dalla finestra, i suoi raggi strisciarono sulle palpebre di Beatrix, disturbandola tanto da aggrottare le sopracciglia e voltare il viso altrove. Aprì gli occhi a fatica.

Accidenti, devo essermi addormentata mentre ascoltavo gli Opeth.
Si grattò la nuca e si guardò attorno. Gli occhi ancora appiccicati dal sonno, tanto che si accorse del telefono solo per la vibrazione attiva.
Lo afferrò con dita molli, «BeatrixPratt. Chi? Ah, Hotch, cia.... Cosa?»
Voltò l'apparecchio e si spalmò la mano sul viso, «Arrivo subito.»
Si precipitò per la casa, infilò maglione, leggins e scarpe saltellando, inforcò l'uscio e si sbatté la porta alle spalle.
Scesi due gradini, si batté la mano sulla fronte.
«Le chiavi della macchina!»

Quando arrivò alla base, ormai erano già tutti andati via e dovette sorbirsi una bella strigliata da parte di Hotch, che era rimasto lì ad aspettarla.
«Mi dispiace, Aaron... ho proprio dimenticato di puntare la sveglia!»
L'uomo sospirò,  «Bea, devi essere più responsabile. Non puoi continuare a essere così infantile, ti avevo avvertita. Qui non stiamo giocando.»

«Anch'io ti avevo avvisato, sai che sono fatta così, non posso farci molto.»
«Dobbiamo andare. Di te parleremo dopo.»
Salirono in macchina e raggiunsero il resto del gruppo in poco tempo.
La donna scese e si chiuse la portiera alle spalle, e il rumore attirò Emily, che si voltò a salutarla con un sorriso radioso, «Alzata tardi?»

«Mi sono addormentata sul divano, accidenti a me. Che è successo?»
«Dei bambini hanno trovato una testa. All'inizio pensavano fosse di qualche bambola, il sangue è rappreso.»
Hotch la guardò con freddezza, «Allora?»
Reid sollevò le sopracciglia, «Come facciamo a capire chi era?»
«Tornerò alla fumetteria, oggi», gli disse Beatrix, «Nell'ambiente notizie di questo genere si spargono in fretta. Magari capisco anche per quale motivo aveva le stelle di Hokuto sulla schiena.»
Gideon si rivolse a J.J., «Convoca una conferenza stampa. Abbiamo ritrovato la testa. Aspettaci per determinare cosa comunicare così ti daremo una migliore descrizione della vittima.»
Beatrix si chinò sul cadavere.

«Poveretta», mormorò, «Che sfiga.»
«Non essere così sentimentale altrimenti non te ne liberi più.» Morgan le si rivolse con fare fraterno.
«Sono più egoista di quanto pensi, caro modello.»
Il mulatto sgranò gli occhi, «Come mi hai chiamato?» 

Emily gli diede di gomito, fischiando, e Beatrix si allontanò persa nei suoi pensieri.
I tacchi in gomma facevano poco rumore nel parco, nonostante le foglie secche calpestate a ogni passo.
Non riusciva a stare ferma.
Perché le stelle di Hokuto?
Ok, l'assassino è un nerd appassionato di manga.
Ma perché far ritrovare la testa?
Perché se l'era portata via?
A cosa era servita?
In un primo momento le era tornata in mente la cappelleria di Ed Gein, che scuoiava le vittime e ne faceva maschere in pelle umana, il che poteva essere ricollegato a un macabro cosplay.
Ma la testa era integra, solamente mozzata alla base del collo con un'ascia.
Qualcosa non quadra.

«Credete che abbiamo sbagliato profilo?»

Emily rivolse lo sguardo agli altri, durante la riunione. Reid giocava con la penna, sovrappensiero.
Beatrix beveva una tisana, Gideon studiava le foto vicino a un pensieroso Hotch. Morgan entrò nella stanza scuotendo il capo.
«Ciò che non mi è chiaro è il perché abbiano chiamato noi per un solo omicidio», disse.
«Perché siamo i più vicini ed esperti, non hanno delle unità preparate. La cittadina è giovane», rispose Hotch.
Gideon era ancora in silenzio a osservare le foto e Beatrix sembrava estranea a tutto, gustandosi la sua bevanda calda.
Ah, che sollievo, ci voleva proprio!
Si guardò attorno.
Stasera voglio proprio andarmene a ballare in quel localino nuovo... potrei chiedere a Emily di unirsi a me, magari facciamo amicizia.
«Beatrix, ci stai ascoltando?» Morgan la richiamò all'ordine.
«Sì», mentì, «Devo tornare alla fumetteria, è l'unico punto di contatto. E a dirla tutta, non credo proprio sia il tizio, il cassiere.»
«Magari è uno dei clienti», azzardò Emily.
«Già, un cliente abituale, uno che passa spesso pomeriggi lì dentro», Derek diede credito all'intuizione della collega
Beatrix annuì: avevano ragione. Doveva ammettere che quei tizi erano proprio in gamba.
L'ombra di un ricordo le attraversò il viso.
Mai quanto me.

«Beh, visto che siamo a un punto morto, io andrei», disse.
Uscì senza permesso, stupendo gli altri per la sua condotta poco ortodossa e il disinteresse mostrato proprio nel momento in cui il lavoro di squadra era fondamentale.
«La lasci andare così?» Morgan sembrava stupito.

Hotch continuò a sfogliare i documenti sotto il suo naso, «Senza di lei, ragioneremo meglio.»

Eccola lì, la fumetteria.

Beatrix entrò, constatando che non c'erano le stesse persone della sera prima, e salutò il cassiere.

No, non può essere lui, ha la faccia buona.

Ci ripensò, redarguendosi da sola.

Ma la faccia non vuol dire, scema! Ti ci sei anche laureata per dire 'sta cazzata, pensa a Leonarda Cianciulli, ce la vedevi quella a fare i saponi e i dolci usando le amiche per ingrediente?
Un po' di distacco, perbacco!

Il tipo a lei conosciuto l'accolse, salutando con tono cordiale, «Ciao!»
«Ciao.»
«Desideri qualcosa?»
«Non in particolare... ieri ho visto che hai una saletta. È possibile mettersi a disegnare lì?»
Quello sorrise da un orecchio all'altro, «Ma certo! È gratis, siamo anche attrezzati con tavole luminose, campioni di retini, china, pennelli di prova, pennini... qualsiasi cosa ti serva, la trovi lì.»
Beatrix sembrò dubbiosa, «Posso farti una domanda?»
«Prego!» L'atteggiamento di quel tipo era fin troppo disponibile per i suoi gusti. Ma forse era solo la sua proverbiale diffidenza verso esseri di sesso maschile a destarle un giudizio sbagliato.
«Come mai questa sezione? Non sono molti qui gli appassionati di manga.»
Quello arrossì, «Beh, sai... in realtà sono stato sfrattato da casa. Per il momento dormo in negozio.»
La donna intuì l'imbarazzo provato dal ragazzo senza molti sforzi, quindi smise di fargli domande e ringraziò per la disponibilità.
Si inoltrò nello spazio e scelse un posto dal quale poteva vedere la gente che arrivava.
Aveva deciso di ritrarli tutti in fretta con degli schizzi, sperando di essere abbastanza veloce.

«Che roba è?» lo sguardo perplesso di Morgan si posò sulla nuova arrivata. Sotto il naso, dei fogli scarabocchiati.

«Non ci vedi? Sono disegni», Beatrix parve offesa.
Emily si sporse, «Io ci vedo solamente fumetti.»
«Lo so, ma è l'unico modo per avere un'idea di chi entra ed esce da quel negozio. Domani andrò di nuovo e vedrò se chi tornerà sarà fra questi.»
Sollevò appena lo sguardo, e si alzò di colpo per seguire il suo capo.

«Hotch! Hotch, aspetta!» strillò.
«Non puoi essere più discreta?» Le sembrò irritato.
«Perché, mi si nota molto?» si lisciò il maglione sulla pancia, imbarazzata.
L'uomo scosse il capo sconsolato ed entrò nello studio, Beatrix salì le scale a due a due per raggiungerlo.
Imboccò la porta dietro di lui e trovò uno scatolone sulla scrivania.

«Cos'è questa roba, hai intenzione di diventare un clochard?»
«Non ti sembra di essere un po' troppo insolente nei miei confronti? Gli altri capiranno subito che c'è confidenza tra me e te», la rimproverò lui.
«L'avranno già capito. Non sottovalutarli, Aaron.»
L'uomo si girò, piantandole gli occhi negli occhi, sguardo che l'ostinata Beatrix sostenne.

Per un lungo attimo non volò una mosca. Nessuno dei due abbassò lo sguardo.
«Dimentico sempre con chi ho a che fare», commentò Hotch.
La donna sorrise appena, «Ecco, bravo, non dimenticarlo.»
«Nemmeno tu devi dimenticare chi sono io.»

«Devo farti vedere i miei ritratti», lo interruppe e infilò le mani nella borsa che portava a tracolla, «Lo so che non ci capisci nulla e ti sembreranno insensati, ma sappi che per me è importante.»
«Beatrix, forse non hai ancora capito come funziona il nostro lavoro.»
Ci fu un ulteriore momento di silenzio con la giovane che sembrò riflettere.
«...ok, c'è qualche problema col mio metodo», constatò piegando la testa da un lato.
«Francamente sì. Non puoi muoverti solo in modo istintivo, abbiamo bisogno di fatti
«Hotch, un fatto è che quella tizia aveva due elementi che la collegano a quel negozio, chiaro? Più di così! Aveva documenti?»
«No. E abbiamo bisogno di cose concrete in mano. Cosa ne sappiamo che non le siano state disegnate addosso dopo l'omicidio?»
«Forse perché il medico legale ha confermato che si tratta di tatuaggi?» ribatté Beatrix, »Vedi che riesco a essere più logica di te?» 

L'uomo prese lo scatolone, porgendoglielo tra le braccia.
«Fila di sotto. La tua postazione è quella tra Prentiss e Morgan. Non voglio più vederti fino a domattina, chiaro?»

Lei sorrise, «Agli ordini, capo!»
Uscì gongolando dall'ufficio: aveva appena litigato con Hotch ma che importava?
Era riuscita a ottenere il posto che aveva sempre sognato!
Emily alzò lo sguardo, «Ti ha dato la scrivania?»
Beatrix annuì felice, mordendosi il labbro, «Ora però me ne vado a casa.»
Poggiò lo scatolone sul piano, poi si voltò, A«h, Emily... stasera pensavo di andare in un locale per festeggiare. Vorresti accompagnarmi?»
L'altra la fissò, stupita.
«Offro io», insistette Beatrix.
Emily annuì, «Sì, certo. Perché no?»

«Che razza di posto è mai questo?» Emily era sconcertata.

«Un luogo oscuro e malvagio frequentato da nerd. Un pub. Un sacco di gente si riunisce a giocare ai giochi da tavolo, è una delle cose più nerd del mondo!» Beatrix gongolava.
«Mi hai fatta venir fin qui per... giocare?» 
L'altra scosse il capo, mostrando il dito, «No, sto solamente cercando indizi. Questi posti sono come lobby, si conoscono quasi tutti. È normale, sono persone con interessi di nicchia e tendono a restringere il campo.»
«Guarda lì, c'è un quadro...»
La novellina si voltò all'indirizzo del gesto di Emily e notò una foto appesa al muro.

Strinse le palpebre, «Sai che senza occhiali non la distinguo da così lontano?»
La sua collega si portò una mano al capo, esausta, «Incredibile, come diavolo hanno fatto a prenderti in squadra?»
«E io che ne so? Chiedi a Hotch. Vado a raccattare informazioni.»
Beatrix non attese risposta e si alzò per dirigersi al bancone.
Emily la vide chiacchierare col barista e questo le fece pensare di aver fatto una stupidaggine a seguire quella specie di psicopatica in un posto del genere.
In breve la novellina tornò al tavolo, quasi cantilenando, «Ho scoperto nome e cognome della nostra vittima. Alexis Hill, una cosplayer di professione.»
Servì una bibita gasata a Emily, che la guardò torva.

«Una cola...? Mi hai preso una cola
«Siamo in servizio, agente Prentiss.»
«Chiedimi un'altra tisana in ufficio, e ti porterò acqua sporca.»
«Sei poco gentile, ho pagato io e ho anche scoperto qualche informazione.»
Beatrix si bloccò, gli occhi sbarrati andarono oltre le spalle della collega.

«E quello chi è?»
L'altra si voltò, incuriosita, «Chi?»
«C'è un tizio, è appena entrato. Non corrisponde affatto al profilo delle persone che sono qui dentro. Cosa ci fa qui? Perché è qui? Aspetta qualcuno?»
«Rallenta, mi fai scoppiare la testa! Magari è amico di qualcuno... guarda, sta andando dal tipo col codino.»
Le due osservarono la scena con attenzione.

«Che atteggiamento ostile!» commentò Emily.
«Dici?»
«Già. Lo ha salutato guardandosi attorno, sembra come se sia qui per forza.»
«Non ci avevo fatto caso, accidenti a me.»
Le due continuarono a fissare il tipo.
«Credi siano amici?» domandò Beatrix.
«Sicuramente quello coi capelli lunghi ha intenzioni pacifiche... ma il nuovo arrivato mi sembra sfuggente.»
«Non l'ho visto questi due giorni alla fumetteria. Perché non provi a rimorchiartelo?»
Emily guardò male Beatrix, «Stai scherzando? Lo hai visto?»
«E te? Avrà trent'anni, è un locale di adulti, questo. E poi guardalo, è del tutto diverso dagli altri. Che legame ha con questo posto? Non gli sta nemmeno simpatico il suo amico.»

Il mattino dopo Beatrix si svegliò e constatò con soddisfazione di essere riuscita almeno a trascinarsi nel letto dopo la serata di bagordi appena trascorsa.

Aveva solo brevi frammenti di ricordi del resto del tempo trascorso al locale: lei si era alzata ed era andata a salutare il cassiere della fumetteria per scoprire qualcosa in più su quel tipo.
Quest'ultimo era sembrato molto sospettoso e questa cosa non le era piaciuta, lasciandola con un senso di amaro in bocca per il comportamento che il nuovo arrivato assumeva nei confronti del timido ma, così le era sembrato, più popolare amico.
Si alzò a sedere col piumone sulle ginocchia, si stiracchiò e guardò fuori: una splendida giornata di pioggia.
Le adoro!
Tutta contenta scese dal letto, avvertendo il contatto del parquet con le piante dei piedi.
Si avviò verso la cucina, accese la tv con noncuranza e si alzò sulle punte per prendere la sua tazza mug preferita. 

Era troppo in alto. Sbuffò e cercò di allungarsi di più
Se continuo così, crescerò in altezza.
Riuscì ad afferrarla ma quella per poco non le scivolò dalle mani: aveva appena sentito qualcosa alla tv, verso la quale si voltò di scatto per poi correre verso l'ingresso.
Afferrò subito il telefono, componendo frenetica un numero.
«Hotch! Hotch, hai visto la tv?»

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