19. "Angel's don't kill" by Children of Bodom
Non appena lo vide, Beatrix crollò sulle proprie ginocchia.
Julius, quel pover uomo che aveva chiesto loro aiuto, se ne stava esanime, accasciato addosso al muro del bagno del Bureau.
La sua camicia era stata aperta in fretta, particolare svelato dai bottoni che erano quasi tutti saltati via.
Sul tronco, dalle cui ferite era uscita qualche goccia di sangue, un nuovo spartito.
Sulla squadra piombò un senso d'impotenza che conoscevano fin troppo bene, ma quella più provata era senza dubbio Beatrix.
– Com'è successo?– Domandò la donna, il senso di colpa che iniziava a risalirle il corpo dai piedi.
– Doveva andare in bagno. Lo stavo aspettando fuori ma non usciva mai, – rispose Derek.
La collega scosse il capo, provata:– Ma come ha fatto a...
Nessuno rispose anche se tutti sapevano che l'unica via accessibile era quella dell'aeratore, il quale trovava uno sbocco diretto con l'esterno dell'edificio.
Poi Beatrix guardò meglio lo spartito, infastidita.
– Mio Dio, non è...
Prese il telefono per fare ricorso alla solita applicazione, per poi assumere una smorfia che rivelò la sua rabbia.
– Brutto bastardo.
– Che succede?– chiese Hotch.
– Colpirà un bambino, la canzone è Child in Time dei Deep Purple, sono sicura che se la prenderà con un bambino.
– Se non altro stavolta abbiamo qualcosa,– considerò Derek.
– Dobbiamo sempre aspettare che uccida qualcuno per ottenere qualcosa, grandioso!– Commentò la donna ma nessuno l'ascoltò.
Hotch chiamò J.J. a sé, annunciando:– Abbiamo la conferenza stampa ma dovremo cambiare qualcosa.
– Cosa devo dire?– Domandò la giovane, che non si preoccupò nemmeno di nascondere la preoccupazione sul volto.
– Vieni con me. Modificheremo il testo.
Beatrix rimase lì per un tempo indefinito, inerme a guardare i resti di quel ballerino tanto terrorizzato addossati al muro, come fosse un sacco di patate ripiegato su sé stesso.
Mille pensieri animati dal senso di colpa le fluttuavano nella testa, fastidiosi come piranha, letali come squali.
– Beatrix.
Quasi non si rese conto che Reid l'aveva chiamata, voltandosi dopo un secondo di troppo, e anche il dottore capì quanto fosse turbata, tanto da desiderare dire qualcosa, quando arrivò di corsa Garcia che li interruppe.
– Meno male che ho trovato qualcuno! Dovete venire da me, su internet gira voce che un bambino sia stato...
Prima che l'hacker potesse terminare la frase, Beatrix era già schizzata verso la sua postazione.
Venne raggiunta dagli altri due e Garcia catalizzò i suoi schermi sulla notizia del giorno.
– Un bambino di otto anni, Richard Ward, è stato ritrovato morto pochi minuti prima della conferenza stampa dell'FBI che avrebbe dovuto annunciare, secondo fonti sicure, l'esistenza di un serial killer detto Il Musicista per la sua abitudine a lasciare sui corpi delle vittime spartiti musicali.
Il corpo del piccolo è stato ritrovato per caso in un parco giochi abbandonato.
In contemporanea al servizio, veniva mostrata la conferenza stampa dove J.J. era affiancata da Hotch e Gideon, vista la gravità della situazione.
In quel mentre arrivarono Derek ed Emily.
– Cosa succede?– Domandò l'uomo ma gli bastò seguire qualche momento del notiziario per rendersi conto della situazione.
Di nuovo il senso d'impotenza prese ostaggio i membri della squadra.
– Calma, ragioniamo,– li esortò Emily, mani a mezz'aria nell'intenzione di far recuperare la ragione ai suoi colleghi,– Lui vuole Beatrix, giusto? Che senso può avere far fuori due persone in questo modo, a così poca distanza temporale? Era qui, avrebbe potuto aspettarla e catturarla con facilità.
– Ci sono delle discrepanze,– valutò Derek pensieroso.
Beatrix sentì all'improvviso il senso di colpa espandersi, prenderle il bassoventre, lo stomaco, il petto e le spalle, rosicchiarle muscoli e tessuti, tanto che si strinse nelle spalle.
– Se solo io...
– Non è colpa tua, Bea.– La fermò Emily con fermezza,– tu non c'entri.
Lei abbassò lo sguardo, annuendo per nulla convinta.
Reid non aveva potuto fare a meno di osservarla tutto il giorno: Beatrix era rimasta molto tempo sulle sue, tenendo spesso gli occhi bassi e lo sguardo proiettato nel vuoto, come se riflettesse in continuazione.
Gideon e Hotch erano rientrati sconvolti dalla conferenza, insieme ad una J.J. travolta dalla confusione.
– Che cosa facciamo?– Esordì Garcia al termine della giornata, preoccupata.
– Io andrò a dormire da Beatrix, teniamoci in contatto. Domattina vi terrò aggiornati,– rispose Emily.
Poi si voltò, incrociando lo sguardo di Spencer, che fino a un attimo prima era sicura stesse guardando Beatrix.
Dal canto suo, la giovane donna non ci aveva fatto caso, troppo presa dai sensi di colpa tanto da rosicchiarsi un'unghia quasi fino alla pelle.
Non aveva ancora preso visione del corpo di quel bambino, non sapeva che faccia avesse e nemmeno di che razza fosse, eppure si sentiva sommersa dalle sensazioni conseguenti all'averlo coinvolto nelle sue sventure.
Tutto questo...
Tutte queste vite...
Tutto solo a causa mia!
Emily capì che quella sera sarebbe stato molto più difficile gestire i tormenti dell'amica, e si avvicinò a J.J., intenzionata a chiederle una mano.
– Ti prego, vieni con me da Beatrix.
– Credi sia una buona idea?– Chiese la bionda, avendo notato il mutamento improvviso della collega.
Due corpi in una manciata di ore, e per causa sua. Se non era un crollo psicologico quello, non sapevano davvero come chiamarlo.
– Giudica tu,– Emily la indicò con un cenno del capo.
J.J. la guardò, alzò le sopracciglia accompagnandole con una smorfia della bocca, e disse:– Va bene. Vediamo se riusciamo a tirarla su. Hai in mente un piano?
– Improvviseremo.
Le due donne si diressero all'indirizzo di Beatrix, ancora piegata su se stessa e la presero chi per un braccio, chi per l'altro, tirandola su.
– E allora. Credo sia l'ora di rientrare, che ne dici J.J.?
– Che ho fame, quindi appoggio la tua idea.
– Che ne dici, Bea? Andiamo a riposare un po' e stacchiamo la spina?
La donna intuì i loro sforzi, e sospirò dicendo:– Scusatemi se vi sto facendo preoccupare.
Le strapparono un accenno di sorriso un po' triste ma furono abbastanza soddisfatte per averla tirata via dall'ufficio.
Mentre si avviavano all'uscita, Spencer le raggiunse chiamando Emily con tono un po' turbato.
– Cosa c'è?– Domandò lei.
Il dottore si guardò attorno come a cercare le parole giuste e l'altra cercò il suo sguardo poiché non era certo uno a cui mancava la parola.
– Spencer...? Tutto bene?
– Sì, sì...– rispose quello. Si fermò, chiuse gli occhi, strinse le palpebre e tornò padrone della situazione, dicendo – Statele vicine.
Emily accennò un sorriso, aprendo la bocca per dire qualcosa, bloccata da lui, che proseguì:– Fatelo e basta.
– Sei preoccupato. Vuoi venire con noi?
– Oh no, no. Hotch ha... sì, insomma, ce l'ha vietato, non ricordi?
L'altra annuì:– Giusto, giusto. Stai tranquillo, è in buone mani.
– Emily!– J.J. stava chiamando la collega, non capendo cosa l'avesse trattenuta, ma non appena vide che parlava con Reid fece cenno di scuse con la mano e si affrettò a tornare verso l'auto.
– Non so... non so perché ma mi sto preoccupando,– riprese il dottore, – Suppongo sia positivo?
L'affermazione di lui si era trasformata in una domanda più con lo sguardo rivolto a Emily che con il tono della voce. Gli occhi sgranati di Spencer fissarono la collega, che sorrise e inclinò il capo, per poi annuire:– Sì, è una cosa positiva.
– Non capisco perché io...
– Non darti pensieri. Abbiamo cose davvero importanti a cui lavorare.
Per ora ti basti sapere che lei è una tua collega, la vedi tutti i giorni, può essere normale che ti sia affezionato in qualche modo e che ti faccia preoccupare vederla in quelle condizioni.
– Credi?– Chiese lui, il tono dubbioso.
– Guardati attorno, è così per tutti,– la risposta di Emily fu molto esaustiva.
Il dottore abbassò il capo e poi annuì:– Sì, forse.
La collega si voltò:– Devi scusarmi ma adesso dobbiamo proprio andare.
– Non preoccuparti.
Emily lo salutò con un cenno della mano prima di dirigersi verso le altre due che erano sul SUV fermatosi in quel mentre per lasciarla salire.
– Perché hai preso questo?– domandò a J.J. appena salita in macchina, che rispose con tono ovvio:– Perché è blindato, mi sento più al sicuro qui.
– Ah, che domanda stupida ho fatto.
Le donne incontrarono poco traffico e in un quarto d'ora arrivarono in una pizzeria consigliata da J.J., la quale scese per ordinare delle pizze tonde mentre Emily restava di guardia al SUV.
Quando squillò il suo telefono, che guardò sorpresa dall'orario:– Sì?
La sua espressione rilassata si corrucciò di botto, rivelando rughe che di norma non sarebbero venute alla luce, e la donna si voltò all'indirizzo di J.J., chiamandola:– Ordina altre cinque pizze!
Quella alzò gli occhi al cielo, tornando da dov'era venuta per eseguire l'ordine.
Beatrix, che non aveva parlato molto limitandosi a sorridere e annuire qualche volta, sembrò risvegliarsi da un torpore e si affacciò dal finestrino incuriosita dal trambusto, chiedendo con voce fiacca:– Cos'è successo?
Emily le spinse la testa, facendola rientrare nell'abitacolo.
– Sei impazzita? Se quello ti spara alla testa, Hotch se la prende con noi!
– Non mi ucciderebbe mai, tranquilla. Casomai sparerebbe a te per toglierti di mezzo. Chi era al telefono?
La collega si guardò attorno:– Hotch mi ha detto che ci sono stati sviluppi inaspettati. C'è un testimone.
Le ragazze entrarono nel bureau, bene accolte poiché recavano tra le mani scatole di pizza per tutti.
– Perché ci avete messo così tanto?– domandò Derek, che si zittì vedendo il cibo e bofonchiò qualche ringraziamento confuso.
– Non si vede?– Domandò di rimando J.J. con tono ironico, poggiando le pizze calde sulla prima superficie libera.
– Dov'è?– Emily andò subito al punto.
– Con Gideon, è il più affabile tra noi.
Proprio lui uscì dopo poco dalla stanza assieme a un bambino, con una mano dietro la schiena.
Beatrix mise gli occhi sul piccolo.
Ha nella mente la faccia del Musicista.
Avrebbe voluto prendere quel maledetto e strangolarlo con le sue mani, torturarlo a lungo.
Mentre fantasticava sui metodi di tortura che avrebbe potuto infliggergli, il tono affettuoso di Gideon la riportò alla realtà anche se non era a lei che si stava rivolgendo.
– Hai fame? Noi adesso ceniamo, mangi con noi?
– Posso?– Chiese il piccolo, guardando il profiler che gli sorrise come fosse un padre
– Ma certo! Fate spazio a questo giovanotto, abbiamo un ospite a cena.
Non ebbero bisogno di apparecchiare, solamente di distribuire i tovaglioli e di aprire una sedia in più.
Quando Beatrix si rese conto di com'era rilassato il bambino davanti alla pizza, capì
– Allora, dicci. Cos'hai fatto ieri con Richard?
Il piccolo addentò la sua fetta come se non ne vedesse da tempo:– Sono andato a giocare con lui al campetto.
– Verso che ora?
Quello non rispose, guardando in basso:– Appena mamma è uscita, verso le tre e mezzo... non avevo ancora fatto i compiti.
Si sentiva in colpa e quel gesto intenerì Beatrix, che gli carezzò i capelli:– Tua mamma non lo saprà, stai tranquillo.
Il piccolo tirò subito su il capo, felice:– Grazie!
– Senti e poi cos'è successo?
Beatrix ci sapeva fare coi bambini, essendo lei stessa molto infantile. Quelli con cui aveva a che fare le si attaccavano come una calamita ed era ben consapevole del suo potenziale.
Anche Hotch ne era a conoscenza, tanto che la lasciò fare.
– Avete giocato da soli? Non avete chiamato nessuno?
– No perché pensavamo che stavano già lì.–
Lo strampalato uso verbale del bambino non stupì Beatrix:– Ah sì!? E invece non c'erano? Forse stavano facendo i compiti.
– Già,– annuì il bambino,– Ci abbiamo pensato ma ormai stavamo già là!
– E a che avete giocato?
Il bambino, che era evidente quanta fame di attenzioni avesse, si lasciò andare senza porsi problemi su quei signori sconosciuti, raccontando ciò che sapeva:– Abbiamo giocato a pallone. Poi è arrivato un signore.
– Ah sì? E chi era?
Il bambino ci pensò su:– Non lo so.
– Ma com'era?–
Il piccolo rifletté:– Allora... aveva i capelli biondi, gli occhi tanto azzurri. Sembrava un angelo.
– E basta? Non aveva il nasone? O una ferita?
Beatrix insistette: avevano troppo poco per tracciare un identikit.
:– No, era normale. No, aspetta, era tanto bello, ecco.
La giovane guardò gli altri e Gideon le fece cenno che andava tutto bene, complimentandosi col bambino:– Bravo, Lauri, adesso ti va di giocare col pc? Penelope ha una collezione di giochi che adorerai.
Garcia mise il broncio al collega, che le fece tanto d'occhi indicando il bambino, il quale rivolse alla bionda un'occhiata di pura ammirazione:– Oh si!– gemette quello e lei si ritrovò senza scelta:– Andiamo, piccolino.
Gli altri si guardarono.
– Ha detto che sembrava un angelo,– azzardò Reid pensieroso.
– Ma la bellezza è soggettiva,– osservò Beatrix, un po' dicendo il vero e un po' cercando di lanciargli un messaggio che il dottore non captò.
Il sole era sorto già da tempo e la figura di Beatrix era già seduta in una scrivania dell'openspace, attendendo gli altri mentre tamburellava con una matita.
Era arrivata prima di tutti per analizzare il caso ma, dato che si sentiva sola aveva iniziato ad ascoltare musica con le cuffie per tenersi compagnia.
Le altre erano ancora a dormire quando era uscita di nascosto: le dava fastidio essere controllata a vista, lei aveva la sua libertà e se la voleva tenere stretta.
Nessuno l'avrebbe messa sotto una campana di vetro.
La musica l'aveva trascinata e così si era messa a canticchiare mentre riguardava i fogli sul Musicista, soffermandosi in particolar modo sugli spartiti.
– Ehi? C'è qualcuno?
Qualcuno le aveva tolto una cuffia e aveva potuto sentire la voce di Derek rivolgerle la domanda.
– Ah, ciao.
– Cosa borbottavi?
– Canticchiavo,– rispose lei, togliendo anche l'altra cuffia. Ormai la magia era stata interrotta.
Derek sembrò abbastanza confuso:– Che lingua era?
– Gaelico...? Esiste? Non ne sono sicura nemmeno io...
I due si scambiarono uno sguardo poco convinto, e lei spiegò:– Si chiama Omnos, è un pezzo degli Eluveitie ed è una storia triste
– Ok. Abbiamo il corpo in obitorio e...
– Oh, no,– mormorò lei, guardando altrove– Non ce la posso fare, Derek.
– Bea, devi farlo, sei quella che sa leggere la musica.
Si portò una mano alla fronte, sospirando forte per farti forza, senza però riuscire a cedere. Disse:– Al massimo posso guardare una foto ma non voglio vedere il viso.
L'agente Morgan sospirò:– E va bene. Ti sei fatta qualche idea sul profilo?
Lei annuì:– Ho notato che è molto veloce. Non è pulito, inoltre ci ha messo un attimo a uccidere Julius. Sa mimetizzarsi e non farsi notare, aggredisce a velocità elevata e ciò significa che gli spartiti li sa a memoria. Sorprendente...
– Quindi?
Beatrix guardò Derek, sorridendogli senza rendersi conto del fatto che Reid aveva appena fatto il suo ingresso nell'ufficio, rimanendo a osservarli.
– Come sei impaziente, Derek,– osservò lei e lui sorrise a sua volta, lieto di vederla sollevata.
Spencer avvertì uno strano peso sullo sterno: possibile che vederla cedere attenzioni a qualcun altro lo infastidisse?
Che fosse geloso?
Si diede dell'idiota mentre si allontanava: non era possibile, fino a poco tempo prima l'aveva persino odiata.
Si diresse verso il suo posto mentre i due ripresero la discussione sul caso.
– Dunque, considerato che conosce bene la musica tanto da sapere gli spartiti a memoria, direi che abbiamo a che fare con un musicista. In senso letterale, questo qui ha studiato musica, – disse la donna.
– Pensi che potremmo scoprire qualcosa di più?
Beatrix annuì sicura:– I musicisti sono artisti, ma spesso si dice che la musica sia come la matematica, quindi potremmo aver a che fare con un qualsiasi musicista. Di sicuro è uno con una mente molto aperta.
Però ho notato che mi ha mandato spartiti senza accompagnamento, quindi potrebbe essere un chitarrista.
– Perché proprio un chitarrista?–
– Di solito i chitarristi sono implicati nell'uso del solo, una parte di chitarra dove spiccano per tecnica. Una sorta di esibizione singola dove vengono accompagnati dagli altri. Sai, loro sono un po' primedonne, o meglio tutti i musicisti lo sono ma i chitarristi a volte sanno essere davvero pignoli, un po' come i violinisti.
Il chitarrista è spesso il soggetto della band più esposto assieme al cantante, nel rock e nel metal addirittura le due figure si fondono. Il suo strumento principale sono sicura sia la chitarra.
Certo, la sua conoscenza potrebbe essere molto vasta, potrebbe suonare qualsiasi strumento. Ma sono sicura che è stato affascinato dalla chitarra come prima scelta.
Derek era esterrefatto:– Accidenti. Voglio dire, anch'io faccio il profiler ma queste sono cose che hai osservato tu, non sono scritte in nessun manuale.
Beatrix rifletté:– Sai cosa, alla gente piace etichettarsi e regolarsi in base a questo. Tu, per dire, sei uno strafigo e dai l'impressione di essere un vero duro.
Reid è il classico sfigato e si concia proprio come chiunque si aspetterebbe dalla categoria.
J.J. è angelica e professionale, mai una parola fuori posto. Facciamo tutti parte di questa roba. Siamo tutti etichettati e, soprattutto nel lavoro questo conta molto. Alla gente fa piacere sapere cos'ha davanti, ti classifica, ti riconosce e si sente più sicura.
– Ok, basta. Siamo appena arrivati, ho bisogno di un caffè. Ne vuoi?
La donna sorrise:– Certamente,– e si avviarono alla macchinetta.
– E te?– Chiese Derek
– Cosa?– Domandò lei di rimando, distratta dalla vasta scelta offerta dalla macchina del caffè.
– Te a che categoria appartieni?
Lei ci pensò su, rispondendo:– Non credo di averne.
– Deve esserci, dai. Che musica preferisci ascoltare?
– Mi piace tutta.
L'uomo prese il caffè e lo porse alla collega:– Non hai dei preferiti?
– Beh, sì. Ci sono i Rammstein, Yann Tiersen, i Kiss, i Faun...
– Non li conosco. Che genere è?
Lei arrossì, cosa che per il collega fu molto strano da vedere.
– In realtà sono diversi... I Rammstein fanno industrial metal, Yann Tiersen si occupa prevalentemente di musica francese e colonne sonore, i Kiss hard rock dagli anni settanta e i Faun una sorta di musica folk con influenze varie che...– la donna frenò il suo entusiasmo guardando la faccia di Derek, che stava per scoppiare a riderle in faccia.
– Non ti dico più niente, ecco,– borbottò lei, trovandolo oltremodo scortese.
Alla fine l'agente non resse e si lasciò andare in una fragorosa risata:– No, è che non ti facevo così... acculturata. E lo hai detto con la faccia di chi ci crede proprio!
Beatrix stava per ribattere qualcosa, ma due voci femminili la fecero scattare sull'attenti, anche se era tardi ormai per nascondersi.
Emily e J.J. la travolsero, iniziando a sfornare domande su domande.
– Dove sei stata? Quando sei uscita? Perché non ci hai chiamate? Sei impazzita? Sai come ci siamo sentite?
– Vi... avevo lasciato un bigliettino...– mormorò Beatrix, sconvolta.
– Non c'era!– Strepitò Emily.
In quella Hotch fece il suo ingresso nell'ufficio:– Buongiorno ragazzi. Beatrix, vieni con me.
La donna guardò dubbiosa gli altri e lo seguì nel suo ufficio, alzando gli occhi al cielo e recitando una preghiera col labiale. Sapeva di averne combinata un'altra delle sue, ma che poteva farci?
Lei era fatta così.
– Aaron...– chiuse la porta mentre lui si sedeva e tirava fuori dalla scrivania dei fogli.
– Ehm, mi dispiace essere uscita da sola...
– Sei un'incosciente e so che non ti dispiace affatto. Non è di questo che volevo parlarti,– disse l'uomo mentre si accingeva a sistemare i suddetti fogli.
– Ah, oh, – la giovane sembrò fare un veloce riepilogo mentale delle sue marachelle, dicendo:– Beh, dunque... scusami se ho sporcato la tua giacca.
– Che giacca?– Domandò lui, allarmato. Sapeva di potersi aspettare di tutto da quella donna.
– Beh, mi hai chiamata per riprendermi, no? Ieri ho sporcato la manica della giacca del tuo... completo... nuovo... e....– la voce di Beatrix andò spegnendosi mano a mano che constatava il volto di Hotch diventare cereo
– Ah si? E com'è successo?– Chiese lui tra l'alterato e il divertito.
– Beh, ehm, mi è scoppiata la penna tra le mani mentre, uhm, scrivevo un rapporto... e... io...
Quello si appoggiò con la schiena sulla poltrona, sospirando:– Ne combinerai mai una giusta? Sei peggio di mio figlio. E comunque non era di questo che volevo parlarti.
:– Ah no?– Domandò lei, dandosi dell'idiota.
Brutta stupida, parli sempre troppo! Non crescerò mai, accidenti a me.
Hotch le porse i fogli:– Non vuoi vedere il cadavere e mi son fatto mandare le foto dello spartito.
Beatrix fece un sospiro e sorrise sincera:– Grazie, sei stato davvero gentile.
Ma l'uomo non rispose e lei iniziò ad analizzare le immagini. Dopo pochi secondi prese ad annuire:– Sì, conosco questo spartito. Non ho dubbi, è Phantom of the Opera.
– Cosa sai dirmi a riguardo?–
– Oh, tutto. Ci sono diverse versioni di questo pezzo. Se lui è quel che penso, ha preso ispirazione dai Nightwish.
– Perché proprio loro?
Lei inspirò:– Molti fan della band sostengono che il tastierista, Tuomas Holopainen fosse innamorato dell'ex cantante, Tarja Turunen. Inoltre dicono che molti testi nascondano significati scabrosi e che siano stati scritti per lei.
Tra il fantasma dell'Opera e Christine, nel musical di Webber c'è un rapporto poco chiaro. Ricorda un po' la questione tra i due componenti della band, e per un tipo come il Musicista tutto ciò è perfetto.
È un tipo dedito al dramma e alla teatralità, guarda cosa sta combinando.
– Hai in mente altro?
– Sì,– annuì Beatrix,– ucciderà un uomo e una donna, ne sono certa.
Sentirono la porta aprirsi ed in quella J.J. fece il suo ingresso nell'ufficio, interrompendoli:– Dovete scusarmi ma è appena arrivata una chiamata
– Dove ci stiamo dirigendo?– Domandò Beatrix.
– A Dale City. Gideon mi ha detto che c'è stata una strana catena di suicidi,– rispose Derek, che era alla guida.
– Il suicidio viene considerata come l'undicesima causa di morte in America. Si stima che se ne verifichi uno ogni diciotto minuti circa, nel duemilacinque ce ne sono stati trentaduemilaseicentotrentasette.
Nel mondo viene classificato come la dodicesima causa di morte ed è una delle principali cause di decessi nelle persone tra i diciotto e i quarantaquattro anni, con una tendenza di tentare il suicidio nelle donne ma un numero maggiori di morti effettive negli uomini. Inoltre...
– Ragazzino, verrà voglia anche a me di suicidarmi se continui a parlarmi di questa roba,– sbottò Derek, mortificando Reid, che invece rispose:– Tu hai il fisico, io il cervello.
Beatrix, seduta sui sedili posteriori, sollevò le sopracciglia per la sorpresa: non aveva mai sentito quei due beccarsi come galline.
La cosa si sta facendo interessante.
Derek lo guardò un momento:– Devo ricordarti chi tra di noi è il più forte?
– E io devo svelarti chi è il più intelligente?
– Sei solo un ragazzino con una memoria da elefante.
– E tu invece...
Aiuto.
Beatrix ne aveva avuto abbastanza e si infilò le cuffiette nelle orecchie, accucciandosi all'angolino della sua postazione con le braccia incrociate sul petto e gli occhi chiusi mentre la modalità casuale lettore mp3 sceglieva per lei Tex dei Litfiba.
Non sentendola più, i due si voltarono mentre erano fermi al semaforo e la videro sonnecchiare.
Derek diede di gomito a Reid, che lo guardò:– Cosa stai aspettando, ragazzino testardo?
– In che senso?– Spencer sembrava davvero confuso.
– Non la vedi? Ti sta dietro come poche.
Reid non ebbe il coraggio di affrontare lo sguardo di Derek e lo tenne basso, borbottando:– Non so di cosa tu stia parlando.
– Smettila di fare lo stupido, Spencer. Non puoi continuare così, non è giusto.
Ma il dottore si ammutolì e l'altro rinunciò, non accorgendosi che, durante il viaggio il giovane collega osservò Beatrix dormire dallo specchietto laterale del lato passeggero.
*** Angolino dell'autrice ***
Non ho molto da dire, solo ricordare Alexi Laiho dei Children of Bodom (voce e chitarra di una delle mie band preferite in assoluto), scomparso ormai più di un anno fa.
Ho scelto stavolta un live perché volevo rendere partecipi i lettori della qualità live dei Children of Bodom, delle vere bestie per quanto mi riguarda.
E anche per bestemmiare, perché me li sono persi come una deficiente, all'epoca.
Bestemmierò intimamente, a voce bassa per non turbare nessuno.
Alla prossima.
- A.
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