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Pierre Lignac

Prova scritta per il Winter Writing Contest del WritinwithyouProject

Traccia: In questa prova il vostro compito sarà quello di scrivere una one-shot grazie alla quale noi potremo "conoscere" un personaggio di vostra invenzione. Dunque dovrete scrivere qualcosa che ci descriva il personaggio che avete intenzione di presentarci in tutte le sue caratteristiche: a partire dall'aspetto per arrivare anche al suo più nascosto tormento interiore. Il vostro protagonista, però, deve relazionarsi almeno con un altro personaggio.

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Pierre Lignac è un uomo estremamente abitudinario.

Apre gli occhi ogni mattina alle 6:30, spegnendo la sveglia alla prima nota, e, facendo attenzione a non destare sua moglie, infila le pantofole bordeaux e la vestaglia abbinata mollemente adagiata sulla poltrona stile Luigi XVI.
Ciabattando sul parquet scuro e tenendosi ben saldo al corrimano dorato, scende in salotto e spalanca le imposte della porta-finestra che dà sul giardino curato. Ama godere della frizzantina aria mattutina, Pierre, e del delicato cinguettio degli uccelli che si posano sulle fronde della sua magnolia e degli aceri. Si guarda intorno soddisfatto: tiene molto al suo giardino, cui dedica gran parte del suo tempo libero. Si apre in un sorriso, sentendosi rinvigorire dai primi raggi del sole, dalle prime pennellate di pesca dell'alba, che spazzano il nero della notte.

Alle 6:45, dopo aver colto un fiore fresco, si dirige in cucina e prepara il caffè in una caffettiera tipica napoletana, regalo di un caro amico d'infanzia trasferitosi in Italia in giovane età. Utilizza una miscela per la maggior parte Robusta, così da rendere il suo caffè più corposo e amaro, e sorseggia la nera bevanda in una tazzina di porcellana bianca, mentre legge qualche pagina di quotidiano fresco di giornata. Ogni tanto si sente un verso che interrompe il silenzio ovattato, come un Oh! di indignazione, quasi sempre riservato alle notizie di politica, o una risatina di compiacimento, quando legge qualcosa che lo soddisfa appieno.

Alle 7:00 prepara nuovamente il caffè, utilizzando, stavolta, una miscela decaffeinata, che versa in una delle numerose tazzine colorate che fanno bella mostra di sé nella credenza del salotto; spalma uno strato di burro e un velo di marmellata di arance amare su due fette biscottate e ripone il tutto su un vassoio, che decora con il fiore colto in precedenza.
Porta la colazione a sua moglie, senza risparmiare brontolii da sforzo che si susseguono uno scalino dopo l'altro, somigliando terribilmente a una vecchia teiera che sbuffa e borbotta. Quando vede il suo amore, però, disteso ancora addormentato tra le lenzuola del corredo, ogni lamento è scordato e si apre in un sorriso. La sveglia con un bacio e le lascia il tempo di concedersi pigramente alla veglia, una palpebra dopo l'altra.

Alle 7:15 entra in bagno, sciacqua il viso e si osserva allo specchio.
Nemmeno per una mattina dei suoi 61 anni e 4 mesi, Pierre ha scordato di curare i suoi gioielli: ha un gran bel paio di baffoni bianchi, il nostro amico, cui dedica particolare attenzione. Ogni giorno li modella con la cera, accarezzandoli come fossero bambini, e una volta a settimana si dedica alla loro rifinitura, lavandoli, tamponandoli, pettinandoli con un pettine di tartaruga a denti stretti e spuntando l'eccesso con un apposito paio di forbicine. Rasa la barba con la lametta, rifinisce i bordi e infine applica un denso strato di crema.
Scruta il lavoro appena compiuto con i suoi occhi azzurro cielo che si affacciano da cespugliose sopracciglia e sorride a se stesso, compiaciuto. I suoi baffi sono per lui immensa fonte d'orgoglio.
Pettina all'indietro i radi capelli rimastigli, si lava e indossa un pantalone con le bretelle, una camicia con i bottoni (che stirano le asole a causa del suo ventre tondo) e uno dei suoi numerosi maglioncini. Ne ha a bizzeffe, accumulati nel corso degli anni e tutti in ottime condizioni, grazie alla cura che ripone nel lavarli e ordinarli in modo impeccabile.

Alle 8:00 Pierre è già immerso nell'intrico delle strade di Parigi, che sgomitando si dipanano attraversando tutta la capitale. Non ama quei trabiccoli fumanti che si muovono su quattro ruote e inquinano l'ambiente, no, lui non sostituirebbe mai una sana passeggiata con un'automobile.
Si perde, seguendo sempre lo stesso percorso, ad ammirare con occhi sempre stupiti il panorama che la sua città gli regala in ogni stagione dell'anno. È inverno, adesso, e Pierre arranca sui marciapiedi innevati di Rue de la Fontaine au Roi, lasciandosi alle spalle profonde impronte a testimonianza del suo passaggio; dopo circa 20 minuti, giunge in Boulevard Voltaire e si ferma di fronte al numero 72.
Su un'insegna dai bordi finemente cesellati, in un legno dipinto di un bellissimo verde bottiglia, si legge a caratteri corsivi dorati "Pâtisserie Lignac".

Come una cascata di colore nel grigiore della via e delle giornate parigine, la pâtisserie di Pierre dona agli avventori che si affacciano all'uscio come un viaggio attraverso i cinque sensi: si inizia dal profumo di dolce appena sfornato, zucchero, cioccolato e farina; si prosegue attraverso il rumore delle piccole forchettine e cucchiaini che tintinnano posandosi sui piattini decorati in oro e i mugugni di approvazione di uomini e donne, adulti e bambini, mentre l'occhio spazia tra le tinte talora tenui, talora decise delle numerose paste; quindi ci si perde tra la consistenza soffice al tatto del pan di Spagna, del marzapane, delle sfoglie, mentre le dita, libere di immergersi in quest'angolo di paradiso, si sporcano delle più varie creme; infine si termina col sapore, squisito, delle sinfonie di queste prelibatezze, dove ogni ingrediente è una nota sul palato e una melodia tira l'altra.
Sembra essere quasi un altro mondo, dove non esistono problemi, preoccupazioni, stress, dove ci si concede un tempo lontani dalle diavolerie tecnologiche, dai telegiornali, dalle bombe, dai rapporti artificiali.
Si intrecciano conoscenze reali e conversazioni sincere, si riscopre il piacere di un complimento, di una battuta amichevole, di un confronto alla pari.
Si prende una boccata d'aria dalla frenesia del quotidiano.

Dalle 8.30, il momento in cui varca la soglia della sua attività, Pierre, insieme ai suoi collaboratori, ogni giorno prepara e disponde ordinatamente nelle vetrine milioni di dolci: macarons, fondenti al cioccolato, lunette aux abricots, clafoutis, finanzieri, eclair, flan, bignè e molto altro ancora a circondare scenografiche croquenbouches e fontane di cioccolato.
Ama inserire dei dettagli che rimandino alla stagione in corso e così adesso un manto di neve di ovatta la fa da padrone, le paste sono adagiate su larghe foglie verdeggianti ricoperte di brina artificiale e i rami secchi, punteggiati di bianco, fanno bella mostra di sè incastrandosi tra loro in ingarbugliati intrecci di legno; candidi bucaneve fanno capolino, curiosi e con le corolle come spalancate per la fame, tra i vari dolciumi e piccole volpi dal manto fulvo, sparse qua e là, trasportano sul loro dorso deliziosi cioccolatini dalle confezioni sgargianti. Milioni di minuscole lucine bianche illuminano a intermittenza i contorni di ogni cosa e le superfici delle vetrine, decorate con fiocchi di neve e delicati nastrini rossi, sono piene delle ditate dei bambini, che con occhi spalancati appiccicano manine guantate e volti rubicondi al vetro, fino a farsi ghiacciare la punta del naso.

Le 17.15 arrivano in un lasso di tempo che a Pierre appare in realtà come una manciata di minuti, tanto è immerso nella sua nuvola di farina, clienti, magia.
Abbassa la saracinesca non appena l'ultimo dei clienti attraversa la porta salutando con un gesto d'addio, congeda i suoi collaboratori e si chiude nel retrobottega; prende un'ultima volta in mano gli attrezzi del mestiere e gli ingredienti e prepara qualcosa di diverso ogni giorno.
Un biscotto a forma di pupazzo di neve prende oggi forma tra le sue sapienti mani: prima la testolina, su cui modella la forma di un capello a cilindro, poi il corpo tondo e panciuto. Inforna a 180 gradi per una manciata di minuti e, mentre l'odore speziato della cannella aleggia nell'aria, dopo aver mescolato la ghiaccia reale ai vari coloranti alimentari ne riempie i contorni, definisce gli occhi, il naso come una piccola carota arancione e tre piccoli bottoni neri lungo il corpo; aspetta asciughi e lo incarta in una confezione rosso brillante.

Alle 19.00, mentre il grosso orologio a pendolo dell'ingresso batte i suoi colpi profondi e puntuali, Pierre gira la chiave nella toppa della sua abitazione.
Ha avuto modo di pensare, lungo la strada, come ogni sera, e di lasciarsi alle spalle quel suo mondo fatato per avvicendarsi nella realtà un passo alla volta. Un senso come d'inquietudine e al contempo d'impazienza, un grigio masso posato in un punto imprecisato al centro del petto, il profondo senso d'impotenza che ti invischia le dita e le appiccica tra loro come miele, un nodo scorsoio piantato lì nella gola: queste le sensazioni che lo hanno affiancato lungo la via del ritorno, come fedeli compagni di bevuta che barcollando in gruppo si muovono al ritorno dal bar nel pieno della notte.
Con i piedi sempre più pesanti, quasi come piombo fuso vi colasse sopra a ogni gradino, sale le scale che lo portano in camera da letto.

Sua moglie lo aspetta e come sempre non appena lo vede infila un segnalibro tra le pagine del libro che le ha tenuto compagnia durante il giorno e gli sorride, felice. Pierre asciuga una lacrima che rotola giù dall'occhio destro posandosi sui baffoni bianchi, sfuggita alla sua emozione, e si siede al fianco dell'amore della sua vita.
"Questo giallo acceso ti dona oltre ogni modo" dice, sfiorando la seta del foulard che indossa.
"Ti piace? Oggi mi sentivo gialla: allegra, soleggiata, viva, e il solo pensare di potertelo trasmettere ha fatto sì che scegliessi questo colore."
"È azzeccato come sempre." Pierre esala un profondo respiro mentre disegna con il ruvido polpastrello del pollice dei piccoli cerchi sulla mano di sua moglie. "Meriteresti una vita in grado di spettinarti."
"Il tuo amore mi ha spettinato per anni, milioni di capelli fa." Lei fa un gesto della mano a simboleggiare le ricce ciocche ramate che le ricoprivano le spalle. "Ho vissuto, ho amato, sono stata amata. Non nutro rimpianti, cerca di non farlo anche tu." Gli accarezza il volto e lui, chiudendo gli occhi, si abbandona al tocco delicato della sua mano.

Troppo delicato.

"Cosa mi hai portato oggi?"
"Scoprilo da te." Le porge il pacchetto e si ciba famelico delle mani impazienti e degli occhi spalancati di sua moglie, della sua meraviglia, delle guance che si arrossano lievemente alla vista di quel piccolo regalo.
"Vorrei tornare a vedere la neve." Gli dice, con gli occhi lucidi e le mani tremanti. "Com'è la neve oggi?"
"È soffice, fragrante, bianca, pura. Scricchiola sotto i piedi e avvolge tutta Parigi nel suo abbraccio. Si rimbocca agli angoli delle strade come l'estremità della coperta di un bambino e la città spunta dal suo orlo, sopita."
"E c'è neve nella pasticceria, Pierre?"
"Come ogni giorno, Cècile. Come ogni giorno."

Mentre la moglie inizia a sbocconcellare il biscotto, si reca in bagno e si guarda allo specchio.
Gira la manopola del rubinetto e lascia che l'acqua sgorghi coprendo ogni singulto e singhiozzo che tenta di soffocare nella sua manica, bagnando, sporcando, stropicciando il suo maglione, uno di quelli che ha a bizzeffe, accumulati nel corso degli anni e tutti in ottime condizioni, grazie alla cura che ripone nel lavarli e ordinarli in modo impeccabile. 
Perchè non c'è albero del suo giardino che non poterebbe, baffo che non raderebbe, automobile che non userebbe, frusta che non cestinerebbe pur di togliere quel chicco di riso che silenzioso e infidio e maledetto cresce nel lobo inferiore del polmone destro della moglie.

Dopo qualche minuto, sciacqua il viso e cerca di ricomporsi al meglio, imponendosi l'espressione più serena che riesce a trovare dentro di sè. Esce dal bagno e, dopo aver soffiato dalle sue dita tese un bacio a sua moglie, si dirige verso il piano inferiore al fine di preparare qualcosa per cena.

Perchè sono le 20.00 e Pierre Lignac è un uomo estremamente abitudinario.

Ha bisogno di esserlo, per entrambi.

Per tenere le fila di questa vita che, ormai, vita non gli sembra più.

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