Jack di cuori
Prova scritta per il Winter Writing Contest del WritinwithyouProject .
Traccia:
Quando muori tutte le memorie scompaiono, ma per qualche ragione ti ricordi che eri un poliziotto che cercava un criminale. Quest'ultimo ti ha ucciso e sei rinato come figlio del tuo arci-nemico.
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Buio.
C'è il buio denso intorno a me, che a volerlo tagliare con un coltello ci si farebbero comodamente delle fette.
C'è l'odore metallico del sangue, serpente di ferro che ti striscia fin dentro le narici.
C'è il freddo che si infila beffardo dentro la manica e ti ghiaccia le ossa, minacciando di romperle al primo impatto.
Conduco la mia vita da adolescente un giorno dopo l'altro: mi sveglio ogni mattina alle 7:36, non un minuto di meno, non uno di più; faccio colazione, vado a scuola, torno a casa per il pranzo, svolgo i compiti per casa, guardo la tv, poi esco o rimango a casa a vedere un film. Mi piacciono i film d'azione, mi piace guardarli mentre pesco popcorn caldi da una grande ciotola.
Mi piace la pizza.
Mi piace la ragazza mora che entra ogni mattina nella terza classe a destra in fondo al corridoio.
Insomma: un ragazzo qualunque.
Eppure, ogni tanto accade che all'improvviso, non importa dove sia o cosa stia facendo, venga assalito dal buio denso, dal sangue, dal freddo e da questa sensazione paralizzante di terrore. Questa sensazione paralizzante di morte.
Poi, improvvisa com'è arrivata, la scena si ritira nei recessi del mio cervello, inafferrabile. Sempre uguale così da 10 anni a questa parte, senza aggiungere nessun tassello al puzzle, lasciandomi alla mia vita reale con questa sensazione agrodolce di insoddisfazione.
Fino ad oggi.
Sono seduto a tavola con la mia famiglia per cena e, mentre sto tagliando un boccone di filetto al pepe verde, la oramai familiare sensazione di buio denso mi avvolge.
Piove piano, le gocce ticchettano sul mio corpo scandendo il tempo che mi resta. Avverto il peso lieve di qualcosa sul petto e senza guardare so che si tratta del mio distintivo.
Dove sono?
Gli ultimi spasmi del mio corpo muovono le dita della mano destra in una pozza di fango sporco. Con fatica, apro gli occhi e mi guardo intorno: sono in una strada di campagna, steso sulla brecciolina che mi lascia solchi profondi sulla schiena. Mi sovrasta un cielo nero, senza luna, senza stelle. Sento i secondi finali della mia vita fluirmi via dal corpo.
E, improvvisamente, ricordo.
Sono un detective della omicidi e sono da un anno alle calcagna di un serial killer che da aprile ad oggi ha trucidato 10 giovani donne, caucasiche, sui 20 anni, lasciando sempre nella bocca del cadavere una carta da gioco, il Jack di cuori. Una serie di indizi meticolosamente raccolti nel corso dell'indagine mi ha condotto dopo un'innumerevole quantità di buchi nell'acqua fino a qui: un rudere sperduto nella periferia della città, un casolare dismesso dove supponevo si nascondesse Lui, l'assassino.
E non sbagliavo.
La consapevolezza di essere già morto, da uomo adulto, da detective, ed essere rinato 12 anni fa mi colpisce come uno schiaffo. Questa è la mia seconda possibilità.
Prima di tornare con la mente alla tavola imbandita a cui sono seduto, mentre i contorni della scena si fanno sempre più sfumati, si avvicina l'uomo che mi ha sparato un proiettile nel petto, la pistola fumante ancora in mano e un sorriso beffardo sul volto e si inginocchia al mio fianco. Mi infila un rettangolo di cartone plastificato tra le labbra, mi guarda negli occhi e temo di morire ancora una volta.
Gli occhi che mi scrutano, illuminati da una crudele scintilla, sono gli occhi dell'uomo che in questa rinascita è seduto di fronte a me e condisce il succulento pezzo di carne.
Gli occhi di mio padre.
"Vuoi un po' di sale?"
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