Secunda e Anthea
<< Quello me lo devi pagare, e non penso tu possa permettertelo, stracciona! >>
Il venditore non sembrava intenzionato a lasciarsi sottrarre la tiara incrostata di gemme, no.
Pareva proprio che Secunda si fosse infilata in una bruttissima situazione, e che non volesse nemmeno mollare il maltolto.
Ahi, pensò Anthea, avvicinandosi alla ragazza prima che la situazione degenerasse.
<< Secunda! Ti ringrazio di aver trovato quel che cercavo, ero sicura di potermi fidare del tuo buon fiuto! >>, le strillò non appena fu a portata d'orecchio, congelandola a metà di un passo nella direzione sbagliata.
<< Mi scusi, certamente non intendevo farmi portare il monile prima di averlo regolarmente pagato. Dev'esserci stato un malinteso, non è così? La prego, accetti un piccolo sovrapprezzo da parte di Lucius Arbor Venator: un compenso minimo, che certo non potrà rifiutare... >>
Il venditore sembrò quasi deluso da quell'intervento salvifico, ma subito i suoi occhietti neri e avidi si accesero di bramosia al luccichio delle monete tra le mani della greca.
<< Ma certamente, certamente >>, balbettò, contando i sesterzi e gongolando fra sè e sè, forse pensando non fosse palese quel suo fare da schiavo di Pluto.
Disgustoso, pensarono all'unisono le due ragazze, l'ancella e la ladra: maneggiavano entrambe il denaro altrui, anche se in modo diverso, ma se ne avessero avuto di proprio avrebbero detestato indossare quell'espressione di cupida adorazione per un mucchietto di metallo in sovrappiù.
<< Avete scelto l'oggetto più bello, mi congratulo con voi. Spero di avervi ancora come clienti... >>, biascicò infine l'uomo, rivolgendosi ormai al nulla.
<< Per ripagarmi del favore dovrai farmene un altro, Secunda! >>, rise Anthea, prendendo a braccetto la compagna e avviandosi verso la dimora di Lucretia
<< Non ti è bastato che mi vendessi al senatore al tuo posto? Se ti avesse acquistata lui come schiava, ora certo avresti meno fiducia nella bontà degli uomini... >>
La greca si accigliò, abbandonando l'allegria con cui aveva pronunciato la battuta iniziale. Vedeva spesso Secunda, quando stava abbastanza attenta alla fiumana che percorreva quelle vie in giornate simili: lei era l'ombra più silenziosa, il passo più agile, la figura più snella dietro ad ogni passante, la mano più veloce, l'occhio più scaltro. Una presenza quasi invisibile che saettava di passante in passante, a caccia di un bottino.
Nonostante questo, negli ultimi tre anni non era mai riuscita a rivolgerle la parola, nemmeno quando Marcus, chissà come, l'aveva portata nella loro casa: si era limitata a lasciarle una sportula di pane, frutta o altro cibo negli angoli dove la vedeva sgusciare più spesso, sperando che la randagia li trovasse e potesse leggere le poche righe di ringraziamento che vergava in grandi caratteri, apposta per lei. "Gratiam tibi ago, soror", iniziava; e ricordava bene quanto le doveva.
~
Erano fredde, quelle corde.
Umide e viscide per il sudore condensato, sporche e sozze per l'uso continuo.
Le stringevano i polsi, le caviglie; e lei era soltanto una ragazzina tra i quattordici e i quindici anni, scarmigliata, ignara della lingua che le feriva le orecchie.
Voleva la sua mamma, ricordava di averla vista: era da qualche parte, le belle chiome recise come i suoi ricci chiari, lo sguardo spento dalla conquista di quegli stranieri.
Erano state separate in malo modo, dopo aver assistito alla morte dell'unico che avrebbe potuto difenderle, brandendo una spada.
Non ce l'aveva fatta.
Rabbrividì, stringendosi all'unica altra presenza al suo fianco, una ragazza di poco più grande, forse sui diciotto o vent'anni. Sembrava avesse molto più della sua età, da come guardava l'esterno. All'interno, dentro la sua psyché... anima? Sì, era così che l'avrebbero chiamata quegli uomini, se avessero avuto una voce più gentile per pronunciare quella parola... Anthea non sapeva cos'avesse. Forse un mostro, un mostro che grattava la superficie di quegli occhi scuri e cupi, caldi soltanto di una rabbia feroce.
La giovane greca era stretta a lei, alla ragazza senza nome che ancora doveva essere venduta all'asta dopo ormai quattro giri di Roma.
Nessuno la voleva.
Nessuno desiderava una leonessa non ancora addomesticata nella la propria villa.
<< Ed ecco a voi le perle rare del nostro carnet! Una greca e una latina, una schiava per debiti e una prigioniera di guerra! Chi si aggiudicherà la pelle chiara del più giovane e tenero bocciolo? Chi accetterà il colorito olivastro del fiore ormai sbocciato?
Si chiamano sorelle di prigionia! Chi metterà alla prova il loro legame? Scegliete! I ricci di miele o le onde castane, cosa vi attira di più in un'ancella? >>
Una pausa, un sorriso sardonico:
<< Cosa chiedereste ad una concubina? Sottomissione... >> e indicó Anthea << ... oppure un pizzico di pepe? >>
Secunda rimase immobile, alzando appena lo sguardo nero verso il pubblico.
<< Vi odio tutti >>, scandì, maledicendo gli astanti che già si stavano leccando le labbra.
<< Io voglio entrambe. >>
La voce bassa che si era levata dalla prima fila le diede un brivido, parlandole di lascivia e violenza. Sapeva a chi apparteneva, e non desiderava finire tra le sue mani. Ma ancora di più...
<< Spiacente, degno compratore: il prezzo è senza dubbio troppo alto anche per le tasche più facoltose dell'Urbe, e le due non vanno tenute unite. Troverebbero il modo di fuggire o creare altri grattacapi, l'abbiamo sperimentato a nostre spese! L'unico danno che riceverà acquistando soltanto la piccola sarà non riuscire a farla smettere di piangere. Sembra spegnere la sirena solo vicino a questa qui >>, rise la voce del venditore, punzecchiando Secunda con il bastone.
La ragazza lo afferrò, rifiutandosi di mollare la presa anche quando il battitore prese a scuotere la gabbia per farla desistere.
<< La mora mi piace, ma ripeto che non la porterò con me senza l'altra >>, ribadì l'uomo, alzandosi e avvicinandosi al palco d'asta. Secunda, istintivamente, mollò la presa sul bastone e tornò ad abbracciare Anthea, mordendosi a sangue l'interno di una guancia.
L'uomo si chiamava Publius Valerius Sisinnius: aveva all'incirca cinquant'anni, una stazza non ragguardevole ma certo robusta, un cipiglio crudele sempre stampato in faccia e un delirio di onnipotenza scolpito sul cuore.
Ancor più che evitare le sue grinfie, la ragazza romana voleva che Anthea le evitasse.
<< Ascoltami, piccola >>
Sospirò, incapace di trovare le parole e di farlo in tempo utile.
<< La tua mamma non tornerà. Potrebbe essere dovunque in Italia, viva e desiderosa quanto te di rivederti, ma non ti libererà dalla tua condizione: dovrai affrontarla, sopportarla come forse sta facendo lei, per poterla incontrare di nuovo qui o nell'Ade e dirle... Eccomi, ho fatto il possibile per riabbracciarti ed essere degna di te, mamma.
Il mio nome, Anthea, è Secunda: non dimentocarmi e prega i tuoi dei per mio conto, per favore. >>
Impercettibile, era seguito un "perdonami": le braccia forti di Secunda avevano strattonato via le vesti già lacerate di Anthea, mettendo in mostra la voglia color del miele che si estendeva lungo tutto il fianco ossuto della giovane; al contempo, si liberò dagli stracci che le erano stati gettati addosso e mise in mostra il suo corpo, le cui forme allenate e piene non potevano non essere notate dal potenziale compratore.
Le avrebbero denudate in seguito, certamente: ma avrebbero messo in mostra Anthea in modo che quella macchia non risaltasse di fronte agli occhi del pubblico, difetto imperdonabile per una candida puella come lei, per una ragazzina dalla pelle di marmo.
Il senatore esaminò il marchio con occhio critico, per poi rivolgersi con noncuranza al battitore: << La romana è mia. Disfatevi della greca >>.
Anthea, per fortuna, non comprese quel breve discorso: comprese però l'aprirsi della gabbia, il serrarsi di quelle braccia nemiche intorno a quella che era stata la sua unica amica.
Pianse e urlò, ma nessuno si volse a consolarla, questa volta: avrebbe dovuto imparare a farlo da sola.
~
<< Sapevo che ti aveva comprata Venator. Sei stata fortunata, tratta bene le sue serve >>
<< Già... Ma tu? >>
<< Io sono viva. Sisinnius è sceso nelle nere tenebre dell'Orco. Sua moglie ha deciso per la manumissione di parte delle sue schiave. Fine della storia. >>
Le due si erano sedute a poca distanza dalla dimora di donna Lucretia, a mangiare un boccone e parlare.
<< Perché non sei mai tornata a cercarmi? >>
La domanda di Anthea cadde nel vuoto, mentre Secunda le restituiva la sportula che le aveva comprato per pranzare.
<< Sei rimasta con il senatore tanto quanto io sono rimasta nella gabbia, dopo che si è sparsa la voce sulla mia... imperfezione. >>
Di nuovo silenzio, interrotto dopo una lunga pausa.
<< Grazie per il cibo, Anthea >>, le disse Secunda, alzandosi in piedi: << E non solo per questo >>, soggiunse, indicando il cesto vuoto.
<< Saresti potuta tornare da me, lo sai! Sorella... >>
... Soror.
<< Venator ha abbastanza serve, non si farebbe carico di una come me. E se scoprisse che spendi per me anche solo un soldo più del necessario smetteresti di essere l'ancella più degna di fiducia. Di Marcus, per favore, non parlare neppure. È andata com'è andata, perciò... >>
Secunda iniziò ad indietreggiare, passo dopo passo, inesorabilmente.
<< ... Vivi la tua vita, sorellina, e dimentica la promessa che mi hai fatto. Non serve più che ti ricordi di me, vivi libera... Per quanto ti è possibile. >>
Si voltò, correndo a perdifiato, rendendo sin da subito vano ogni inseguimento.
Anthea rimase ad osservarla finché le fu possibile, muta: l'aveva persa ancora una volta.
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