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La Stanza

<< Erika, no >>.
Dolce. Ma ferma.
<< Ma non li vedi? Non li vuoi aiutare? >>
Oltre la porta, le sagome nere e indistinte di due persone, colpite dal raggio di luce che lo spiraglio appena aperto fa passare.
<< Non così, ascoltami... >>
La mia compagna appoggia una mano sullo stipite, come se non si fidasse di me: non vuole che richiuda quella porta, vuole che la spalanchi così, d'improvviso, inondando l'interno del bagliore del giorno.
<< Li accecheresti, Eri. Smettila di avere fretta, e capiranno >>
<< Che cosa? >>, mi risponde, triste ma non rassegnata, con una persistente idea nella mente.
<< Che devono camminare in questa direzione >>.
Lo guardo: se ne sta in vista dell'uscita, storcendo il collo di lato e fingendo di non sentire, di non vedere. Accanto, un altro ragazzo ci volta le spalle; osservo Erika mentre lo scruta, pensosa, caparbia, e fa un passo in avanti, al limitare dell'ombra.
<< Non posso scegliere per te, lo sai, no? Se gli correrai incontro, dovrò ritrovare anche te... >>
Sente la malinconia che mi assilla, sente che il mio affetto la circonda, una piccola aura di luce che riesce ad accompagnarla oltre la soglia. Tende un braccio verso la sagoma, un contorno immobile che non si volterà. Non adesso, non nell'immediato futuro, e forse mai per lei.
Distinguo ora altri visi, altri sguardi che annegano in quella pece: è una stanza che inghiotte, che trattiene avidamente con sè chi vi entra una volta. Chi la sceglie, la abita, la vive... Vi muore, a meno che qualcosa non lo trattenga dal camminare verso i suoi angoli più oscuri, verso i corridoi ancor più neri che si snodano oltre la parete di fondo.
<< Eri, per favore... >>
Supplichevole. Impaurita.
<< Basta... >>
Il braccio proteso verso l'ombra che ci offre la schiena le ricade al fianco, ma non trovo altro segno che m'incoraggi, nei suoi movimenti. Non ha abbandonato la speranza, e chi sono io per chiederle di farlo?

<< Pensavo non si potesse temere la luce>>.
Non è niente più di un sussurro, ma quella constatazione mi raggiunge, amara, con il suo profumo di lacrime: accarezzo i capelli biondi di Erika, la attiro a me. Ma non basto io, a scacciare quel pianto che le divora il cuore. Non basta quello che le posso offrire, perchè abbia pace.
<< Perché non parlano? Almeno tra loro... >>
<< Perché è come se ognuno fosse solo, lì dentro. Hai presente l'Inferno di Dante? >>
Capisce, ma non vuole accettare: << Perché non parlano a noi, allora? >>
Guardo di nuovo verso di lui, scoprendo che sta fissando la linea di sole sul pavimento. La percorre, incuriosito, tenendosi a distanza di sicurezza, forse interessato a scoprirne la provenienza; sorrido, e una nuvola di pulviscolo si solleva verso l'interno, in un piccolo turbine di particelle rifrangenti.  
<< In realtà, anche il silenzio ha parole >>, dico, mentre Erika già mi chiede: << Quali senti, da lui? >>
Come risentitasi, la figura alta e magra si allontana, nascondendosi, fuggendo; c'è chi del buio diventa amico, d'altronde.
<< Non cercarmi >>, sussurro.
Ma tu non ubbidirai, non è così?

<< Perché per te è tutto diverso? >>
Non so risponderle, e quasi non so darne ragione a me stessa, in fondo: tamburello le dita sulla maniglia, provando a riflettere.
<< Perché per te è tutto più facile? >>
Straluno gli occhi, scoppiando quasi a ridere: facile?
Non parlo, la prendo per le spalle: a forza, la rivolgo nella direzione opposta a quella porta, a quella stanza, a quell'ombra che non la merita; i suoi occhi d'ambra chiara guardano il panorama di una mite primavera, di una giovinezza ridente e spensierata che non le appartiene, e che vorrei fosse sua.
<< Sorella, sai che non posso... >>
<< Cosa? Dimenticare? Tu, piuttosto, non vuoi. E non devi: hai amato, serba il ricordo di quell'amore; ti sei dedicata a qualcuno? Non hai speso male il tuo tempo. Hai offerto il tuo affetto e te stessa con quanta più generosità hai potuto, hai dato tutto e ricevuto sì e no l'acconto di un debito che non sarà mai saldato. Straccia il documento che lo attesta, perdona l'insolvente e la creditrice, ma ricorda: ricorda, per non finanziare con i tuoi sentimenti un'altra bancarotta, ricorda, perché la liberalità ha un prezzo... E c'è chi espatria, pur di non doverlo pagare>>.
Il vento solleva le mie ciocche d'ebano e rame, quasi le intreccia con quelle color cannella e oro della ragazza che ho di fronte; la guardo, la sua bellezza candida e fragile, il mio opposto, il mio complementare.
<< Fa' che nessuno ti strappi via ciò che sei >>, è il mio augurio. Mi volto di nuovo, e un viso sorpreso mi accoglie, mi sorprende a sua volta, mi cerca: mi sono scostata dalla porta, e scopro che chi ho guardato, chi ora mi guarda, chi domanda la mia presenza, chi desidero a mia volta... è un po' più vicino a quell'uscio, a quella soglia che forse non oltrepasserà mai.
Non gli corro accanto: cammino, lenta e costante, nella direzione della Stanza: tendo un braccio al suo interno, rivolgendo il palmo verso l'alto.
<< Non ti farò del male >>, prometto, e chiudo gli occhi: << Mi fido di te... >>, aggiungo soltanto, quasi parlando a me stessa.
Dita tra le dita, ed è tutto ciò che voglio sentire.

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