LE PAROLE DEL SILENZIO
Era un giorno normale, uno come tanti, mai noioso ma con niente di speciale. Eppure mi sono accorto che le cose più strane, quelle che ti rimangono in mente accadono sempre quando meno te lo aspetti.
Era appunto un giorno come tanti.
Alzarsi, colazione, lavarsi, vestirsi, uscire.
Niente di strano, tutto di normale.
Faccio la strada per andare a scuola con il mio amico e arrivati ci uniamo ad altri compagni.
Un saluto, quattro risate, le ultime novità, campanella, si entra.
La scuola era iniziata da un pezzo e ci avevo preso la mano.
Arrivati in classe ci sediamo e scherziamo, entra la prof. di matematica, la salutiamo alzandoci in piedi e continuiamo a scherzare finché non urla per farci stare zitti.
'Sempre gli stessi! Ma io non ve li rispiego gli argomenti!'
Non ha rimproverato tutta la classe, non ha rimproverato neanche me che avevo come minimo abbassato il tono della voce.
Ha rimproverato 'gli stessi' ovvero quelli che come sempre si fanno notare facendo battute anche oscene in classe.
La lezione inizia, qualche interrogato, qualche quattro e anche un sei, campanella, baldoria.
In genere nessuno accoglie così la campanella a meno che non ci sia la ricreazione o l'uscita. L'eccezione è fatta dalla campanella di motoria.
'Forza ragazzi andiamo'
Sempre se motoria si può chiamare dato che siamo senza palestra e giochiamo solo a ping-pong.
Qualche partita quindi, altre battute, il solito buffone e quello che non sa giocare, il secchione e lo sportivo che si 'danno battaglia' sul tavolo da ping-pong.
Alcuni non fanno niente e non si prendono neanche la briga di cambiarsi le scarpe o la maglietta, specie le ragazze, accanto al termosifone o nello spogliatoio, chiuse a gruppetti sparsi a chiccherare e fare qualche risatina acuta.
Campanella, terza ora, quella della ricreazione, quella di storia ma quel giorno anche qualcosa di più.
Entrato in classe mi vado a sedere al mio posto e noto qualcosa sul banco. Sono un fascicolo di fogli stampati tenuti insieme da un filo che passa in dei buchi praticati nei fogli. È tenuto con cura e ha un foglio bianco a mo di copertina. Prima non c'era ma nessuno viene a riprenderlo.
La prof. entra, giorno di interrogazioni. Ne chiama quattro, due per volta.
Io non sono stato chiamato.
Nella noia la mia attenzione torna al fascicolo di fogli.
Di chi è? Chi l'ha messo qui? Perché l'ha fatto?
Il mio compagno di banco è interrogato e non ho nulla da fare.
Apro il fascicolo e inizio a leggere.
C'è una ragazza, non una come tante, una che ancora sogna di volare ma che deve tenere i piedi per terra. C'è questa ragazza che non ha mai trovato niente di tanto interessante tenendo i piedi per terra.
Questa ragazza, a prima vista un po' pazza, felice un secondo e con lo sguardo perso nel vuoto nell'altro, che va avanti. Giorno per giorno va avanti come se dovesse affrontare mille giorni ancora e come se questo pensiero, il pensiero di tutti quei giorni con tutto quell' incognito che un momento la affascina e poi la spaventa, le pensasse sulla spalle.
Però ho sbagliato tempi, perché ora non lo è più.
Nuovo anno, nuova vita si dice.
Per lei fu più: nuova classe, nuova vita.
C'era qualcosa o qualcuno che, giorno per giorno, piano piano la incuriosiva sempre di più.
Giorno per giorno il suo interesse iniziò a focalizzarsi sulla sua vita a scuola.
Giorno per giorno il suo interesse iniziò a focalizzarsi su una persona in particolare.
Un commento, una risata, un modo di fare, catturavano il suo interesse e non capiva perché.
A quel punto, quando i perché non trovarono una risposta precisa, decise di andare più a fondo, farsi coraggio e parlarci.
Un'idea, che poi divenne una parola, una frase e infine un discorso. Ma da uno i discorso divennero dieci poi cento e altri ancora, parlando e scherzando quasi sempre.
Alla fine i perché ottennero una mezza risposta e poi una risposta vera e propria.
Ma quindi... ora che fare?
La ragazza se ne preoccupò non poco su cosa fare. Passò i giorni a pensare che fare. Ma le risposte sembravano tutte assurde.
Quindi alla fine decise.
C'era solo una persona il cui giuduzio era molto importante, ovvero il suo, avrebbe lasciato decidere a lui.
Glielo avrebbe detto e poi gli avrebbe chiesto cosa intesse fare ma, qualunque fosse stata la sua decisione, avrebbe voluto che continuassero a sentirsi, a parlare.
Andava bene tutto alla ragazza per non perderlo.
Passarono i giorni, si preparò un discorso ma le parole non volevano uscire. Non era mai stata brava con le parole.
Così un giorno decise di scriverglielo ma non in una chat, come facevano in molti. Prese il computer e iniziò a scrivere,parola dopo parola.
Quando fu terminato lo portò con sé a scuola.
Aspettò la campanella della seconda ora e quando tutti furono usciti per andare in palestra rientrò con il pretesto di aver dimenticato qualcosa e posò i fogli sul suo banco. Tutti rientrarono in classe a fine lezione e la ragazza aspettò che notasse il piccolo romanzo
E ora?
E ora è lì, seduto davanti a lei, che legge il suo romanzo.
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