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Capitolo 2

Il turno finisce alle quattordici. Saluto la mia collega Marta che mi dà il cambio ed io e Michela usciamo dal bar.

«Pranziamo insieme?» mi chiede.

Acconsento e ci dirigiamo in quel meraviglioso ristorante che conosciamo bene.

«Ciao ragazze!» ci fa il titolare. Ormai veniamo così spesso che è come se fossimo a casa.

Lo salutiamo e ci accomodiamo.

«Senti…» inizio, impaziente «ma non è che ti piace?»

Michela mi guarda alzando un sopracciglio, poi sgrana gli occhi e mi fa «ma chi? Occhi verdi? No, no. Te lo lascio»

Sento le farfalle nello stomaco al pensiero di quel ragazzo dall'accento romano.

«Ma che… lo sai che a me non piace. Comunque, intendevo Giorgio». Che palle, non avrei dovuto chiederle se lo conoscesse. Adesso mi torturerà.

«Giorgio?» scoppia in una sonora risata.

«Sì, vedo che ti guarda in un modo strano» sbuffo, irritata.

«Ma sei scema? Ho mollato mio marito e mi metto con uno peggiore?»

Stavolta sono io che rido della sua ironia, e mi tranquillizzo. Mi dico che potrebbe essere una bugia, ma decido comunque di crederle. D'altronde Giorgio è odioso. Sicuramente ha un bel fisico ed è un uomo d'affari, sempre ben vestito, ma ha il potere di stare sul cazzo a chiunque. Non potrei mai sopportare che si mettesse con Michela.

«Ambra, noi ci dobbiamo divertire di più. Siamo giovani, cazzo. Delle giovani donne single. Dovremmo bere, ballare… che ne so!»

Io rido e non rispondo. E' più divertente così.

Ordiniamo e finalmente dopo un po' i nostri piatti arrivano.

Quando finiamo di mangiare il cameriere porta via i piatti e un altro nel giro di due minuti serve un caffè a Michela. Sanno già che io non lo bevo, e mi prendono sempre in giro perchè dicono che una barista che non beve caffè è un paradosso. 

«Andiamo a fumare?» mi fa Michela.

Annuisco. Paghiamo il conto, usciamo fuori e iniziamo a fumare.

«Da dove ti è venuta l'idea di Giorgio?» chiede, dopo qualche attimo di silenzio.

«Ci stai già ripensando? Lo sapevo!»

«Ma che dici, Ambra?»

«Te l'ho detto, ti guarda in modo strano»

«Se devo dirla tutta, stamattina chiedeva di te»

«Di me? Perché? Sapeva già che gli avrei fatto ustionare la lingua probabilmente. Dovrebbe essere più educato quando mi chiede di fargli un caffè.» sbotto.

«Mi ha chiesto perché non riesci ad essere gentile con lui come lo sei con tutti» sorride.

«Questo è tutto scemo, Michi. Io? Lui è un pezzo di merda, arrogante e prepotente. Non io!»

«Che esagerata che sei. Non devi odiarlo, è fatto così, che ti frega? Quanti clienti ci trattano con superiorità, al bar? Fingi che sia un cliente e trattalo diversamente. Non ne vale la pena, è un po' superficiale»

La guardo male e taccio, riflettendo su ciò che ci siamo appena dette. Può essere solo un folle se crede che sia io a non essere gentile. Io mi comporto di conseguenza.

Dopo qualche minuto ci salutiamo e vado a casa. Entro e trovo Venere seduta sul davanzale della finestra. Non muove un passo, mi guarda e sbadiglia. Si gratta con la zampetta e la campanellina che pende dal suo collare emette un rumore regolare e dolce. 

«Ciao, piccolina» vado ad accarezzarla.

Il cellulare squilla nella mia tasca e mi dico che ho poca voglia di rispondere a chiunque sia.

Cazzo, mi dico appena leggo il nome sul display.

«Pronto?»

«Che fai?» la voce è seria.

«A dire la verità sono appena arrivata a casa, perché?»

«Niente, mi mancavi»

Gli mancavo?

«Gabriele, non mi piace questo gioco. Devo andare» e attacco.

Mi siedo per terra e mi abbraccio le ginocchia. Ma davvero mi crede così stupida? Ieri sera era totalmente assente, oggi mi dice che gli manco.

Una settimana fa forse avrei fatto i salti di gioia a questa affermazione, ma oggi, tutto ciò che mi riempie la mente sono un paio di occhi verdissimi e dei folti boccoli neri.

Trascorre una settimana, il ragazzo che mi ha rubato il sonno per qualche giorno non è mai più venuto al bar. Tanto meglio, mi dico. Ho già quasi smesso di pensare a lui, d'altronde ci ho scambiato appena due parole.

«Disgraziata, non mi consideri proprio oggi, eh?» trilla Michela, con il grembiule pieno di farina.

Sorrido a quella scena e le dico "dovresti cambiarti" indicandole le condizioni in cui è ridotta. 

Lei sorride, poi fa «non cambiare discorso» io la guardo e continua «il misterioso uomo dagli occhi verdi si è fatto vivo?» faccio cenno di no con la testa, pronta a ricordarle che comunque non ci avevo fatto molto caso. 

«Si è fatto vivo l'altro uomo, però. Una settimana fa».

«Uomo? Mi pare un parolone, comunque, che voleva?»

Sorrido e mi dico che tanti torti non ha.

«Boh, gli mancavo» pronuncio queste parole con totale disinteresse. Forse è davvero la volta buona, forse non mi importa più di lui.

«Si, come no. E quindi vi siete visti? Com'è andata?»

«No, gli ho riattaccato in faccia, a dire il vero».

Lei sgrana gli occhi. Non se lo aspettava. Ma davvero sono stata così sottona in questi mesi? Gabriele è stato quell'eccezione alla regola, perché io davvero non ero così.

«Ma davvero?» mi fa, ancora sconvolta.

«Lo trovi così strano? Sì, comunque. Non voglio averci niente a che fare. Anzi, non voglio più avere a che fare con nessuno» mento, per placare la sua sete di curiosità riguardo Boccoli Neri.

«Eh, fai finta che ti credo. Comunque sono fiera di te, tesoro» mi bacia una guancia e torna in laboratorio a lavorare.

Forse mai nessuno mi aveva detto queste parole. Qualcuno è mai stato fiero di me? I miei genitori sono felici del fatto che io mi sia creata una vita qui, a Milano, da sola? Spesso me lo chiedo. Spesso sento la loro mancanza, ma non lo dò a vedere quasi mai. Non riesco a dimostrare loro quanto ci tengo, è più forte di me. 

«Potremmo fare una passeggiata» propongo a Michela.

«Sì, non avrai il coraggio di mangiare dopo tutti gli aperitivi che ci siamo scofanate prima» lei ride e rido anch'io.

Ci fermiamo davanti ad un parchetto e parcheggiamo. Entriamo ed entrambe per prima cosa afferriamo il pacchetto di sigarette e ne estraiamo una.

Comunque potevi dirmelo prima, di Gabriele» dice. Non è arrabbiata, solo preoccupata per me.

«E che sarebbe cambiato? L'ho finalmente rifiutato, volevo godermi il mio momento di gloria» ridacchio.

In realtà non ci ho proprio pensato. Mi è passato di mente del tutto. Non ho pensato ad altro che a quel bellissimo uomo. Ma che mi prende, poi? Ambra, tu nemmeno lo conosci. Mi dico che potrebbe tranquillamente essere un serial killer, e mi rammarico del fatto che probabilmente continuerebbe a piacermi. Rido tra me.

«Che ti ridi?» mi chiede Michela, stranita. L'abbraccio senza troppi preamboli, e lei scioccata da questo mio gesto d'affetto improvviso più unico che raro, ricambia dolcemente

L'indomani è un giorno come tutti. Sistematicamente mi alzo, mi lavo, asciugo i capelli ramati, mi trucco e riempio la ciotola di Venere. Mi reco a lavoro e Michela mi ha già messo da parte il mio cornetto alla marmellata, che divoro nel giro di pochi minuti.

«Cazzo, che fame avevi?» mi sorride.

Estraggo una sigaretta dal pacchetto e le spiego che ieri sera non ho cenato perché avevo troppo sonno e sono collassata sul letto alle nove.

Lei ride di gusto dicendomi che non sono tanto normale.

Esco dal laboratorio e accendo la sigaretta, quando entra Giorgio.

«Buongiorno» dico, con più nonchalance possibile.

«Sempre a fumare stai?»

Lui tira dritto non degnandomi di uno sguardo ed io spengo la sigaretta a metà e rientro.

«Buongiorno, signorina» sento d'improvviso.

L'accento romano mi riporta le farfalle nello stomaco. Mi prendo una frazione di secondo per respirare e infine lo guardo. Ha gli occhi intensi della volta scorsa, lo sguardo attento di chi vorrebbe captare ogni particolare di ciò che lo circonda, i capelli ricci che gli scivolano leggermente sulla fronte e la barba perfettamente sagomata. Una camicia blu abbraccia perfettamente il suo petto e un paio di pantaloni grigi che giurerei siano stati creati per il suo sedere perfetto, gli mettono in risalto ogni particolare.

«Buongiorno a lei, cosa le preparo?» dico, tutto d'un fiato. 

Lui sorride. Il cuore mi martella nel petto e non smetto di chiedermi perché. Perché mi fa questo effetto? 

«Un caffè, grazie». Apparecchio il piattino e ci porgo sopra il cucchiaino, lui mi guarda ma non riesco a decifrare le sue espressioni. Credo che abbia capito l'effetto che mi fa. Lo trova divertente?

Il caffè è pronto, così glielo porgo. 

«Zucchero?» chiedo.

«No, lo bevo amaro» i suoi occhi mi parlano, e prima che possa iniziare a bere il suo caffè, gli chiedo "non l'ho mai vista da queste parti", sperando che possa togliermi qualche dubbio quantomeno sul lavoro che fa. Osservo la sua mano e vedo che nessuna fede gli contorna l'anulare sinistro. Sospiro di sollievo. Non è sposato, ma potrebbe sempre essere un serial killer. Rido tra me.

«No, infatti, è la seconda volta che vengo». LO SO, vorrei strillargli. Ho tenuto il conto dei giorni. 

«Già» mi limito a dire. Non sembra uno molto loquace, ed io non ho il coraggio di chiedergli altro.

Beve il caffè, guarda l'orologio e dice «è ancora presto, è un problema se leggo un po' il giornale?»

«Certo che no, si accomodi» rispondo prontamente. Il mio subconscio dice: tu puoi fare il cazzo che ti pare, basta che lo fai qui.

Afferra il quotidiano e si accomoda su di una sedia adiacente a un tavolo. Che lavoro potrebbe fare un uomo così ben vestito già alle sette del mattino? Forse è un medico, o magari lavora in banca. Lo osservo e noto che è totalmente immerso nella sua lettura. Due anelli in acciaio gli contornano gli indici di entrambe le mani, rendendole più virili e più affascinanti. Continua a spostarsi dalla fronte quel riccio ribelle, e tra me dico che vorrei toccarli anch'io.

«Sei imbambolata?» mi sussurra una voce. Io sussulto, è Giorgio.

«Perché?» chiedo, fingendo di non capire.

«Boh, lo stai mangiando con gli occhi», dice convinto.

Ma che cazzo gli frega?

«Mi chiedevo solo chi fosse, non l'avevo mai visto»

Giorgio fa spallucce e va via.

Occhi Verdi mi guarda e sorride, probabilmente ricordando la nostra prima conversazione.

Io ricambio il sorriso e lui si avvicina al bancone.

«Comunque io sono Edoardo, piacere» e mi porge la mano. 

«Ambra» riesco a dire, con il cuore a mille.

«A presto, Ambra».

Io resto imbambolata per una manciata di secondi, quando lui lascia il bar.

Michela non ha visto né sentito niente. Grazie al cielo mi dico. Non riuscirei a scrollarmela di dosso.

Arrivo a casa e saluto Venere con una carezza sulla testa. Michela mi ha chiesto di pranzare insieme, ma io non ne avevo voglia. Mi capita spesso di voler restare da sola, non so per quale motivo, ma lei ormai mi conosce e accetta anche questa sfaccettatura di me. Vado a fare una doccia e dopo, pranzo con dei semplici spaghetti al pomodoro. Sono sfinita e non ho voglia di far nulla, così una volta messo tutto a posto apro instagram. Potrei cercarlo, anche se conoscendo solo il suo nome sarebbe un po' difficile. Comunque vale la pena tentare.

Digito "Edoardo" sulla barra di ricerca di instagram. Cazzo, siamo a Milano, non potrei mai trovarlo avendo in mano solamente il suo nome.

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