Martedi 20 settembre 2011
Dato che il lavoro sta rallentando, mi posso permettere di prendere una piccola pausa, qualche ora. Credo di aver capito cosa serve a Brenda osservandola ieri sera e stamattina alla fermata. Paga una differenza di look ad esempio, in fondo nella situazione in cui era Davide non si potevano permettere spese di quel genere, e ad un adolescente togliere l'aspetto esteriore è sempre togliere un modo di esprimersi e di farsi conoscere.
Uscirà da scuola, la caricherò, la porterò al Centro Commerciale a Savignano, mangeremo carboidrati (sigh) e poi ci rifaremo il guardaroba, soprattutto lei che così si passerà un pomeriggio serena, magari si scrollerà di dosso questo low profile, sarà più sicura di sé stessa...
«Uh Gek, Gek ciao!» fa una voce, mi guardo in giro nella tormenta dei tizi che escono dallo scientifico come una fiumana fatta di magliette, camicine mezze aperte e pantaloni ribassati, c'è un gigiarone che viene avanti, lo riconosco dopo un po', un ragazzo di Cervia che ormai è tre anni che viene un paio di volte all'anno a farsi tatuaggi. È un ragazzone simpatico ma non è proprio un Einstein.
«Ma cosa fai qua? Aspetti una tipa?» aggiunge ridendo.
«Ma sei scemo? Potrei essere tuo padre» gli dico ridendo ma nemmeno troppo.
«Magari lo sei, mia mamma è il quarto che cambia da quando sono allo scientifico» ride ancora poi chiama «Oh Vidal! Vidal! Vieni qua te che dici che ti vuoi tatuare la figa in fronte! Lui fa il tatuatore, è un dio del tatuaggio! Me li ha fatti lui!».
"Vidal" è un ragazzo color marinaio di lungo corso, con pizzetto e capelli tirati su a cresta, arriva tutto allegro con il volume della voce settato al massimo consentito ed inizia a dire cose a caso sulle ragazze e i tatuaggi. In breve si forma un capannello di ragazzi con nel mezzo io, a rispondere a domande prevalentemente idiote, cerco di far passare l'idea che il tatuaggio non è proprio una maglietta ma qualcosa di più profondo, fino a che non arriva Brenda che mi saluta in mezzo alla cagnara «Ciao, perchè sei qui?», sembra che quell'assembramento, quel pigia pigia, le faccia schifo.
«Avevo una mezza idea di andare all'Iper, ma mi hanno assaltato».
Una voce dal mucchio dice un «Lei chi è?» tra lo stupito e il divertito, e nella frazione di secondo in cui penso cosa dire Brenda mi anticipa dicendo «Sua nipote».
Qualche mormorio, dico «Volevamo fare spese autunnali» e lei mi guarda stupita, io le dico «Dai, un po' di rinnovo guardaroba, ci sta».
Una ragazzina che forse fa la quarta, senza smettere di masticare la gomma dice «Oh tutto il culo alle altre, a me quando capita uno zio che mi porta a fare shopping?!» e non riesco a venire via da quel continuo rimpallo di commenti, domande, battute. Passa un professore e guarda il capannello con fare interrogativo, poi tira dritto col suo malloppo sotto braccio.
«Gek, Gek, ti prego fammi un piacere dai, ti prego! Falle tipo un cuore con dentro scritto VALERIO, facciamo uno scherzone, dai, dai!» e dopo dodici ululati schizzo velocemente un cuore appena ombrato con un cartiglio sopra e la scritta Valerio, sull'avambraccio di una ragazza che passa il tempo a ridere e rabbrividire per il tocco. L'eccitazione segue il percorso dello scherzo e io mi ritrovo con Brenda, mentre andiamo verso il motore.
«Sul serio vuoi fare shopping?».
«Certo che sì, ho pensato che volessi comprare qualcosa per l'autunno, in fondo è quello che fanno un po' tutti gli adolescenti e che io non ti ho nemmeno chiesto se volevi fare nei giorni scorsi perché ero troppo preso dal lavoro. Anzi ti chiedo scusa per non averci pensato prima».
Lei mi guarda con una faccia particolare come se mi stessi scusando per qualcosa che non ho fatto e partiamo per il centro commerciale. C'è poca gente in quell'orario e le vetrine sono completamente a nostra disposizione. Stiamo girando da diversi minuti ma nessuna vetrina la attira particolarmente, sembra quasi che non sia interessata ai vestiti, piuttosto alle pubblicità dei prossimi film in uscita o ai menù dei fast food che sono sparsi dentro e fuori il centro commerciale. Le chiedo che cosa le piacerebbe comprare, lei mi risponde che non sa bene cosa prendere e soprattutto non sa che budget abbiamo e non vuole certo spendere molto solo per un paio di pezzi di abbigliamento. Io sorrido, entro da FootLocker guardando un paio di scarpe e sperando che faccia altrettanto dato che le Converse iniziano a segnare il passo.
«Non pensare al budget, in fondo è una cosa che fai perché così puoi rinnovare un po' il guardaroba per la prima volta da quando sei qui. Sei in una scuola nuova, hai compagni nuovi, per te è tutto nuovo. Ci sta che ti presenti agli altri con qualcosa addosso che ti possa rappresentare al meglio. No?».
Non mi sembra molto convinta, guarda le Vans senza molta convinzione.
«Cerca pure quello che ti faccia stare bene e poi al budget ci penseremo» poi aggiungo «Basta che non vai a vedere la vetrina della gioielleria».
Sorride, ricomincia a guardare.
Alla fine del pomeriggio io ho comprato un paio di scarpe e una camicia, lei tre magliette super basic e un paio di leggins che forse al negozio manco sapevano di avere. Sto iniziando a capire che siamo diversi e che sebbene io non sia uno che ama mettersi sotto i riflettori, a suo confronto sono Davide il Vichingo.
La giornata sta per finire, ceniamo in un posto al volo con una insalata mista, per lei un hamburger di pollo, scambio quattro chiacchiere con la cameriera in una serata tutto sommato fiacca per il locale. Non la conosco ma non è difficile attaccare bottone: l'estate che finisce, il tempo. Avrà venticinque anni, ma soprattutto si vede che non le dispiace aprire la bocca solo per prendere le ordinazioni e chiedere se va tutto bene. Mi accorgo dopo un po' che Brenda si fa scura in volto. Mollo la cameriera gentilmente e mi rivolgo a lei.
«Che succede?».
«Non prendertela, ma tu parli troppo».
«In che senso?».
«Racconti mille cose, chiedi mille cose, non dai pace».
«Questo è il tuo punto di vista, di solito la gente apprezza le persone espansive».
«Allora sarò strana io» e si rimette a mangiare.
«Mi dispiace se ti senti a disagio con me, vorrei essere meno un problema e più una risorsa».
Siamo a casa, sono passate due ore e mezza dal suo mini sfogo, lei sta giocherellando col cellulare.
«Scusami non volevo essere maleducata».
Mi avvicino «No, è giusto. Non sono più da solo, non devo ragionare solo sui miei tempi e sui miei bisogni, scusami ma non è facile ritrovarsi dopo trent'anni in solitaria a dover accudire qualcuno».
«Ci sono abituata, non importa».
In effetti la sua vita è stata quella di pacco consegnato a sorpresa, più volte. Mi faccio forza e le domando una cosa che mi frulla da un po':
«Non abbiamo parlato seriamente di come ti senti ora che Davide non c'è più, ti va?».
«Non molto».
«Ma sarebbe meglio parlarne».
«In fondo sapevo che sarebbe successo».
«Questo non vuol dire che tu sappia cosa ti viene a mancare quando succede veramente. Molti pensano di essere pronti a certe cose, e poi ne vengono travolti lo stesso».
«Non mi sento travolta».
«Ok, ci credo. Io non ti conosco, cioè non so come eri prima di questo pasticcio, magari eri così anche prima, vorrei solo che ti sentissi più serena e non so bene come fare, avevo pensato che parlare di tutto quello che è successo in questi giorni ti potesse aiutare».
«Neanche io ti conosco tanto. Però ti assicuro che sono così, parlo poco, non ho molti amici».
«Ma allora, se mi posso permettere, il tempo che passi con il cellulare, come lo passi?».
«Pinno immagini».
«Cioè?».
«Trovo immagini che mi piacciono e le raccolgo in gruppi».
«E poi?».
«Poi niente».
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