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Domenica 5 giugno 2011 - Mattina

Ho viaggiato in una autostrada praticamente deserta sulla corsia verso nord. Milano è calda ed appiccicosa. Seguo le indicazioni per casa di Davide e mi presento alla porta, mi apre lui stesso, e non posso dire che sia in forma. È poco più basso di me ma decisamente più magro, la pelle ha un colorito decisamente giallastro, i capelli iniziano ad imbiancarsi non sulle tempie ma ovunque in testa, per quanto brillino di contentezza per il rivederci, gli occhi castani sono tutt'altro che accesi.

«Ciao Gek, mamma mia sei sempre uguale!».

«Ciao Davide, è un pezzo che non ci vedevamo, non sai quanto mi faccia piacere! Mi devi dire un po' come è andata in questi ultimi annetti eh?».

Mi fa entrare in un appartamento forse addirittura più piccolo del mio, in cucina si srotola un piano di medicinali che ho visto solo nelle cliniche, il caldo e l'umidità sembrano moltiplicati dentro questa camera.

Parliamo ma è come se Davide prendesse tempo, poi sospira e si china un po' sul tavolo a cui siamo seduti davanti a un caffè della moka.

«Gek, sai che non sono stato molto fortunato nella vita».

«A volte certe cose non le scegliamo, capitano».

«Si, lo so, ti ho sempre ammirato moltissimo anche in comunità, per la forza di volontà che ci mettevi, e per il tuo essere sempre positivo. Sei stato un esempio anche se alla fine eri più giovane».

Precipito indietro agli anni complicati della comunità, e soprattutto a quello che era successo subito prima.

«Ti assicuro che, in quanto a cazzate combinate, ero più vecchio di molti di voi!».

Sorride, poi torna un po' più serio: «Gek, purtroppo ho una insufficienza renale cronica molto grave» e mi ero fatto serio anche io «E non reversibile».

Sospira di nuovo «Sto morendo»..

Mi passa davanti tutta la mia vita in comunità con lui ma anche gli anni successivi, il Davide macilento che parlava del suo futuro, della disintossicazione, che mi chiedeva come facevo a non urlare, a non disperarmi, a non piangere, ad avere sempre voglia di parlare, di giocare, di correre, di imparare, di disegnare, di incidere.

Eravamo stati quasi fratelli nel momento in cui avevo capito che potevo aiutarlo, cosa che non ero riuscito a fare con il mio fratello maggiore, morto per overdose.

Eh si, a proposito di sfigati, anche la mia famiglia aveva la sua da dire.

Ma con Davide ero riuscito a costruire qualcosa, una amicizia che lo aveva aiutato a salvarsi, a tornare a camminare per il mondo. Aveva avuto una ricaduta, ma era uscito di nuovo dal suo problema, e la seconda volta senza di me.

Me lo ha raccontato qualche anno fa, quasi vergognandosi di non essere stato all'altezza di quello che era riuscito a fare mentre eravamo culo e camicia, ricadendoci, io gli avevo detto che chiunque può inciampare e che la forza sta nel sapersi rialzare e lui ci era riuscito da solo.

E ora mi dice che sta morendo.

Un uomo di trentasei anni, che nella vita ne aveva passate tante, schiacciato a terra per l'ultima volta, consapevole di questo.

«Ci penso tutti i giorni, tutti i minuti, penso soprattutto a tutte le cose che ho fatto e che mi hanno portato fino a qui, avrei potuto fare altro, o l'avrei potuto fare in altro modo, sarei stato in salute e non avrei dovuto affrontare questo percorso così doloroso».

Nonostante mi piaccia chiacchierare, sono senza parole e penso che io farei il diavolo nella sua situazione, sbroccherei di brutto, lui invece pare calmo, la sua voce non è rotta.

«Non credere, non è una passeggiata e mi sto sforzando tantissimo per non sembrare un moccioso piagnucolone, e spesso mi ritrovo a farlo, il bilancio della mia vita non è positivo se si escludono un paio di cose: alcuni amici tra cui tu, e mia figlia Brenda».

«Scusa, hai una figlia?» dico completamente sorpreso, quasi smarrito, interrompendo il suo discorso. Non avevo idea che avesse una figlia, era un argomento che mi giungeva nuovo.

«Si, è una storia un po' lunga, è successo quando ero con Katlona, non era un buon momento come sai».

«Durante la ricaduta?».

«Mentre ero di nuovo in comunità. Sai, io ero dentro quando è nata e con Katlona non è certo andata bene».

Ci credo, posso mettere la mano sul fuoco che sia stato proprio il rapporto con lei a rispedirlo dritto dritto tra le braccia degli stupefacenti. Due tizi che si attiravano e poi quando si avvicinavano troppo si respingevano in una relazione tossica da tutti i punti di vista già all'epoca della comunità.

«Lei, sai, è riuscita a stare appresso alla bambina qualche anno poi ci è ricaduta, il giudice gliel'ha tolta».

«Su queste cose non scherzano per niente».

«No, e infatti mi ha chiesto aiuto, nei momenti di lucidità era veramente disperata. Per provare a rivedere ci siamo riavvicinati, è stato un momento positivo. L'ho riconosciuta legalmente, ma non è contato nulla se non per la bambina. La Katy non ha mai brillato per forza di volontà».

No, anzi, per parte mia ho imparato in fretta a detestarla, e quello che mi sta dicendo non mi sorprende di certo. Potrei passare per razzista parlando di questa sua ex, quindi non dico nulla e facciamo prima.

«La Katy non ce l'ha fatta ma l'avevo già persa da quasi un anno, e ti assicuro che non è stato facile fare padre e madre, l'adolescenza lo sai che è un periodo infelice e io sicuramente ho fatto molti errori, il rapporto con lei non è facile».

«Ma quindi adesso quanti anni ha?».

«Deve compierne quindici, e ripeto, non è facile, rimane nei paraggi solo perchè sto per morire e un po' alla fine le faccio pena» aveva fatto una risata un po' amara. Vorrei fare qualcosa ma non posso fare nulla, tutto quello che mi racconta non ha possibilità di essere ricomposto, aggiustato, raddrizzato nella sua stortura. Devo solo ascoltare il racconto di una persona che sta tirando le somme di una vita troppo breve e troppo sfigata. Vorrei piangere con lui ma lui non piange, e caccio indietro la voglia di lasciarmi andare.

«Il problema è il dopo. Lei non ha nessuno, sai che mia madre è in una casa di cura e non sta di certo bene, anzi tutt'altro con la demenza senile che va troppo veloce, non vedo una prospettiva molto positiva. È per questo che siamo qui a parlare».

«Spiega meglio, di notizie inaspettate me ne hai già date tante».

«La ragazzina sta per diventare orfana. È già passata una volta per assistenti sociali, se posso farle l'ultimo regalo, voglio evitare che succeda di nuovo».

«Dovrei fare qualcosa?» chiedo sempre più preoccupato.

«Una cosa molto seria che so essere molto pesante, sto scrivendo il mio testamento e non che ci sia molto da scrivere: non ho case di proprietà, non ho certo molto denaro, tutt'altro, ho una TV e una macchina pronta per lo sfasciacarrozze» si mette a ridere mesto «Non pago bollo e assicurazione da due anni!».

Rido anche io un po' forzatamente, vorrei arrivasse al punto.

«Vorrei una vita migliore di quella che sono riuscito a dare a mia figlia. Vorrei che tu fossi il suo tutore legale».

«Ma sul serio? E come tutore legale cosa dovrei dare?» gli chiedo allarmato, non so nulla di adolescenti.

«La legge parla di una preferenza che può dare il genitore. La scelta deve cadere su persona idonea all'Ufficio, di ineccepibile condotta, che deve educare e istruire il minore».

«Nel senso che dovrei assicurarmi che vada a scuola?».

«Che non si cacci in guai grossi e che vada a scuola, e poi c'è un problema che non posso nasconderti: la casa».

«Dovrei trovarle una casa in poche parole?» cerco di anticiparlo con una considerazione che mi sembra evidente.

«Si, io qui sono in affitto» ed aspetta che io dica qualcosa, ma non riesco a dire nulla perchè questa cosa è talmente grossa che non so da che parte farmi, e per togliere la parola a me ce ne vuole.

«Ehi Gek, si tratta di un tempo limitato, fino alla maggiore età, giusto perchè non finisca per strada, e poi magari io riesco a campare fino a vederla maggiorenne, chi lo sa» mi dice in tono quasi gioviale, dandomi una pacca sul braccio. Sarà l'effetto della notizia ma in questa stanza sembra ci siano sessanta gradi.

«Quello che mi chiedi è una cosa inaspettata, grossa, molto grossa» faccio una lunga pausa perchè vorrei proprio dire che è una cosa che non voglio fare, è una pazzia affidare una adolescente a me! Poi riprendo «Non so se sono in grado di farlo, sono abituato ad altri ritmi e ad un altro modo di vivere, sono ancora molto disordinato, e il mio appartamento non è per... due. Anche se non saremmo proprio i due standard, cucinare per due, lavare per due, tutto per due».

«Purtroppo sa fare molte cose, in questi ultimi mesi si è dovuta arrangiare, ma non posso fare diversamente, di fatto non sono un uomo autonomo».

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