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Capitolo 51: Ian

Eccola lì, proprio di fronte a me: pallida in volto, gli occhi gonfi e palesemente stanchi, gli zigomi tirati dal nervosismo, dalla rabbia, dallo sfinimento.
Se non fosse per i suoi inconfondibili capelli rossi, sono certo che non sarei in grado di riconoscerla.

È agitata, questo è ovvio... Lo si può intuire dal suo atteggiamento brusco, dai movimenti ritmici e scattanti delle sue gambe che penzolano dalla sedia, da come si morde il labbro con insistenza, dal sorriso che ci rivolge.

Un sorriso spento, smorto, quasi impercettibile. Un sorriso che si costringe a donarci.

《Ciao, ragazzi》 ci accoglie lei, venendoci incontro.
La abbraccio, una volta raggiunta, mentre scorgo Anthea, dietro di me, che si limita ad abbozzare un sorriso sinceramente mortificato e ad alzare la mano in segno di saluto.

《Come andiamo?》azzardo a domandare, pentendomene all'istante.
Come diavolo dovrebbe stare? Sua madre è appena stata ricoverata per uno dei suoi devastanti attacchi.
《Voglio dire... Come... Cosa...?》tento di rimediare. Inutilmente, oserei dire, dal momento che le parole sembrano incastrarsi lungo il mio esofago. Non hanno proprio intenzione di uscire.

Anthea sembra accorgersi del mio lampante disagio, e decide di intervenire.
《Perché non ci sediamo?》propone indicando la miriade di sedie vuote in questa inquietante sala d'aspetto.

Evelyn annuisce, ed entrambe si accomodano. Le seguo, sistemandomi di fianco alla ragazza dalla chioma più rossa che io abbia mai visto, che nel frattempo intuisco stia cercando in ogni dove la forza per darci un qualche tipo di spiegazione.

《Ha... ha cominciato a tossire all'impazzata, di nuovo》riesce a farsi uscire, dopo un tempo che mi sembra infinito.
《Ora... pare che il tumore si stia espandendo. Il chirurgo mi ha avvertito》continua. La voce strozzata, le mani che si muovono in lenti movimenti scostanti, che tentano di acciuffare alcune ciocche dei capelli ramati.
《Avranno bisogno di fare ulteriori esami... Dopodichè sarà il turno delle chemio.》ci comunica infine, mentre una lacrima ribelle le piomba giù lungo la guancia destra.

La rabbia prende a ribollirmi dentro... Come cazzo è possibile, eh? Com'è che bisogna sempre combattere contro qualcosa più grande di noi? Com'è che siamo impotenti di fronte a tutto questo? E perché a lei? Che cosa diavolo può avere fatto di male?!

Stringo i pugni e tento di regolarizzare i miei respiri, prima di riuscire a dire qualcosa.
Come al solito, però, le parole non sono il mio forte, ed è ancora lei... Anthea, a salvarmi.

《Non hai idea di quanto mi dispiaccia...》comincia lei. 《Voglio solo che tu sappia che io ci sono, e ci sarò sempre, qualora avrai bisogno di me.》tenta di rassicurarla in qualche modo... In effetti, il suo tono risulta talmente dolce da riuscire a rilassare, almeno un po', alcuni dei miei muscoli più tesi, e mi scopro allentare la presa dei miei pugni stretti talmente forte da farmi diventare le nocche biancastre.

Evelyn annuisce con un sorriso amaro stampato in volto, ed Anthea poggia la mano sulla sua, come ad infonderle il coraggio che sono sicuro non le mancherà.

Conosco Evelyn meglio di chiunque altro: è forte, indipendente, arrogante alle volte... Ma non si è mai lasciata sconfiggere da nulla. E di certo non lo farà ora...
Vorrei solo essere in grado di farlo sapere alla diretta interessata. Eppure... Le parole continuano ad essere raggomitolate tra loro.

《Grazie di essere qui, davvero.》Evelyn ci guarda uno ad uno, e mi scopro a scuotere insistentemente la testa.
《Sarò sempre lì, per te...》riesco finalmente a farmi uscire, mentre Anthea mi osserva con una sorta di espressione soddisfatta stampata sul volto.

Evelyn, dopodichè, si alza...
《Penso che starò un po' con lei, ora》ci avverte indicando una grande vetrata dietro di lei, probabilmente conducente alla stanza della madre. 《Aspetterò che si svegli... Potrebbe volerci parecchio. Andate pure, se doveste stancarvi... Vi ringrazio di nuovo.》
La voce tremolante, come se fosse sul punto di esplodere. Probabilmente vorrà nascondersi, piangere in libertà, celare il suo dolore dietro un'inquietante porticina bianca.
Lasciarsi andare solo dopo averla oltrepassata... D'altronde è plausibile, no?

Scuoto la testa. 《Ti aspetteremo qui.》la avviso in tono del tutto convincente. Poi mi correggo. 《Voglio dire, io ti aspetterò. Anthea può decidere da sola se...》balbetto e quasi non mi riconosco.
Sono così teso, nervoso, arrabbiato, che non riesco a controllare la mia lingua.

Anthea mi interrompe. 《Io rimango. Mi sembra ovvio!》esclama con un'eccessiva sicurezza. Il suo sorriso, così sincero, è addirittura in grado di rendere più accogliente questa nauseante sala d'aspetto, il cui bianco mi inquieta maggiormente, secondo dopo secondo.

Evelyn annuisce e si lascia sfuggire uno sbuffo di risata, prima di scomparire dietro la porticina.

Anthea scala di un posto, così da sedersi proprio di fianco a me e il silenzio piomba su di noi in un lampo, per poi scoprire che sarà destinato a durare per un periodo a me impossibile da decifrare: di certo parecchio.

《Ce la farà, ce la deve fare.》ripete Anthea in un sussurro, quasi come per autoconvincersi. 《Se solo avessi saputo prima... Avrei potuto fare di più》si rimprovera successivamente.

Sgrano gli occhi una volta che la sua affermazione giunge alle mie orecchie.
La prendo per il mento e la costringo a guardarmi, proprio come fa lei per calmarmi da una delle mie crisi di nervi.
Corrugo la fronte, quasi come a rimproverarla. 《Non avresti potuto fare nient'altro, chiaro? Nessuno avrebbe potuto. Possiamo starle vicino, ma cos'altro? Niente. Bella merda》sputo fuori come se si trattasse di veleno. La rabbia prende ad accentuarsi in me e come un macigno mi pressa lo stomaco.

Osservo i suoi occhi riempirsi di lacrime e il suo labbro inferiore prendere a tremare.
Quasi dimenticavo la sensibilità di !Anthea: basta una nullità per farla esplodere...
E a me basta una nullità per farmi sciogliere, quando c'è di mezzo lei.

《Mi dispiace, è che sono nervoso...》tento di scusarmi per i miei toni bruschi, che non fanno altro che peggiorare la situazione.
Lei annuisce insistentemente, mentre le asciugo una lacrima con il pollice.

I secondi scorrono lenti, scanditi dall'odioso orologio bianco appeso alla parete di fronte.
E così arrivano i minuti, e forse, alla fine, addirittura l'ora.

La testolina castana di Anthea ora è poggiata sulla mia spalla. Percepisco i suoi respiri regolarizzarsi poco a poco e deduco dunque sia riuscita ad appisolarsi.
D'altronde come biasimarla... Deve aver dormito pochissimo, esattamente come me, dopo gli eventi terrificanti della sera precedente.

Le massaggio delicatalmente la spalla libera quando uno scricchiolio non mi fa per poco sobbalzare: la porticina si schiude ed Evelyn ritorna tra noi.

Non avevo dubbi: gli occhi ancor più rossi di quando siamo arrivati, il volto paonazzo, ad eccezione delle righe biancastre lungo le guance, dovute alla marea di lacrime versate.

Come da copione, però, maschera tutto con quel sorriso tirato, mentre io medito sull'eventualità di dover svegliare la bella addormentata di fianco a me.

Evelyn si posiziona in un punto più lontano, sedendosi nella fila di seggiole di fronte a noi.
Scruta Anthea con un'aria assorta.
《È davvero una brava ragazza》sussurra con il tono più sincero possibile, tanto che stropiccio gli occhi nella sua direzione.

《Credevo la odiassi...》le faccio notare io, leggermente tentennante.

Lei sbuffa in una risata che tenta di interrompere, tappandosi la bocca con le mani, per non svegliarla.
《È così... La odiavo, o forse la odio... Ma solo perché non posso essere lei.》si lascia sfuggire come se si trattasse dell'affermazione più ovvia del mondo.

Sono più confuso che mai.
《Come sarebbe a dire? Ma cosa stai blaterando?》la prendo in giro per le assurdità che sta rivelando, mentre mi scopro fissare la piccola creaturina che giace vicino a me, scostandole una ciocca di capelli ricadutale sul volto armonioso.

È così piccola, innocua quando dorme.
Eppure può diventare una belva nell'arco di un paio di minuti, se istigata.
È forte come un uragano, ma sensibile come una piuma.
È delicata, ma distruttiva al tempo stesso.
Una marea di contraddizioni in una sola persona.

《Guardati...》mi interrompe lei. 《Presta attenzione al modo con cui la osservi.》mi fa notare, imperterrita. 《Io non vorrei essere lei... Io vorrei tu guardassi me con gli stessi occhi con cui guardi lei.》ammette infine, dandomi il colpo di grazia.

E ancora una volta, non ho idea di come controbattere.

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