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Capitolo 8

Canzoni del capitolo:

- Someone You Loved - Lewis Capaldi

- Always Remember Us This Way - Lady Gaga.

Sento, su di me, un vento gelido. Ed è calata la notte. Il treno non si è mai fermato e siamo in viaggio da due giorni.

Sono distesa ancora accanto a mio padre. I miei genitori dormono. Anche mia sorella è abbracciata insieme a Emmanuel: il suo fidanzato e, anche loro stanno dormendo. Non riesco a capire come facciano? Si muore di freddo. Ho le mani gelide ed ho solo questo vestitino addosso.

Mi stiracchio le gambe, cercando di non colpire nessuno. Mi guardo intorno. Le altre persone, dormono tutte... non tutti. Davanti alla finestrella vedo Simon. Il mio sguardo si illumina. Almeno non sono sola. Mi alzo, cerco di non calpestare nessuno.

Appoggio il piede su una piccola sporgenza, in modo da poter arrivare in alzo. Simon si gira verso di me, e cerca di aiutarmi a salire. Vedo i campi agricoli siamo ancora in Francia, per fortuna.

« Non riesci a dormire? » Domanda. 

« Stranamente, no » Gli accarezzo la mano.

È fredda. La stringo forte cercando di scaldarla. Vedo Simon avere le guance rosse, forse per via del freddo. Mi avvolge con il braccio e mi bacia la fronte. Sento le guance calde, e non è per via del freddo. Rimaniamo così, abbracciati ad osservare il paesaggio che scorre davanti a noi.

È un momento speciale. Niente può rovinarlo. Ora che ci penso, mi ricordo del suo bracciale.

« Sai una cosa? Quando i gendarmi ci hanno chiesto di cedergli le nostre cose.. Beh.. non gli ho dato proprio tutto. » tiro fuori da una fessura scucita del mio vestito, il suo bracciale. « Non me la sono sentita di darglielo »

Lui non mi risponde, al contrario, mi accarezza la guancia e mi bacia la mano. Gli sorrido. Torno a guardare il paesaggio.

« Secondo te... Perché ci stiamo mettendo così tanto? Si, insomma, per arrivare alla zona libera » sono una stupida, se ci penso ancora.

Simon mi guarda confuso.

« Non credo che stiamo andando lì. Sono riuscito ad orientarmi fino a Narcy*. Siamo nella regione della Lorena. Quindi siamo diretti a Est. »

Lo sapevo! I miei sospetti non erano fondati. Tutte le mie speranze svaniscono come un soffio.

« A Est?  Perché a Est? Cosa c'è a Est? »

Simon non mi risponde. Forse, non lo sa neanche lui. In fondo, come poteva?

Improvvisamente, il treno si ferma di colpo. Io e Simon ci reggiamo forte alla sporgenza della finestrella, per non cadere. Tutti gli altri si svegliano di soprassalto, domandandosi e chiedendosi dove ci troviamo e se siamo giunti a destinazione. Fuori, vedo un cancello che divide i binari, dalla nostra parte: ci sono i gendarmi, dall'altra i soldati tedeschi. Noto uno dei gendarmi proprio sotto la nostra finestrella.

« Mi scusi. Dove ci troviamo? » Il gendarme alza la testa. Lui mi gela con uno sguardo e rimane indifferente.

« Siete al confine. Da adesso in poi, siete nelle mani dei tedeschi. »

Che senso ha tutto questo? Perché portarci dalle persone (se cosi si potevano definire) che ci disprezzano e ripudiano. Non lo capisco. Il gendarme continua a fissarmi, questa volta con un certo interesse.

« Perché,  non mi date quello che avete. Tanto, li dove state andando... non vi servirà niente. Non è meglio che rimangano qui, in mani francesi? Anziché ai tedeschi » conclude.

Non posso credere alle mie orecchie.

« Che figlio di puttana » mormora, tra i denti, Simon.

Non capisco le sue parole. Allora lui sa la nostra destinazione. Prima che gli domando qualcos'altro, mio padre mi strattona il vestito. 

« Miriam. Scendi. » e prende il mio posto. Mio padre guarda quell'uomo, sotto di lui, non aveva l'aria di uno, di cui ci si poteva fidare; nonostante tutto,  mio padre gli fa la sua offerta.

« Va bene. Le daremo tutto quello che abbiamo.. »

Aspetta... ma noi non avevamo nulla. Avevamo dato tutto ai gendarmi. Che cosa ha in mente mio padre?

« Ma signor Solomon » lo interrompe, Simon. 

Mio padre non lo ascolta continua:

« Ma in cambio chiediamo dell'acqua. Non beviamo da molto e ci sono bambini, anziani che non ce la faranno a stare a lungo senza acqua »

Alla sua richiesta, non posso fare a meno di sorridere. Sono orgogliosa di lui e di quanto sia così premuroso e gentile, infondo ho ripreso da lui. Accanto a me, ci sono delle donne con in braccio i loro bambini. Piangevano, supplicavano che venga  dato a loro dell'acqua.

È in atto un affare, ed era un affare equo in cui, nessuno, avrebbe perso qualcosa.

« Dell'acqua? Beh vedo cosa posso fare. Ma, intanto, datemi il denaro o potete anche scordarvela l'acqua. »

Sento delle persone dietro di me, che dispongono del denaro. Allora non sono stata l'unica a farla franca con i gendarmi. Ma se gli avessimo dato il denaro, lui manterrà la promessa?

Mio padre è davanti a me. Conosco il suo sguardo. Non sapeva cosa fare. Non poteva rischiare.

« Papà... che cosa facciamo? » dico, preoccupata.

« Tranquilla, piccola mia.. Troveremo una soluzione » dice, sicuro di se. « Daremo i soldi a quell'uomo. Ma, come faremo a sapere se ci darà l'acqua? »

Ha ragione. D'altronde a quell'uomo, di noi, non importa nulla. Mio padre si rivolge a lui di nuovo:

« I soldi li avrà; non si preoccupi. Ma prima, la prego, ci dia dell'acqua. »

Il gendarme non si fa abbindolare, e non cede:  

« Datemi i soldi. Io voglio i soldi.  » risponde, scontroso.

Perché è cosi cocciuto?

Questa volta, mio padre non parlò da affarista; ma si rivolse a lui con il cuore:

« Ma non ce l'ha un briciolo di coscienza? Voi... voi siete peggio dei tedeschi. Ci avete strappato via dalle nostre case e abbiamo subito umiliazioni, giorno dopo giorno pensando che questa fosse casa nostra, e adesso, siamo costretti a viaggiare su un treno come degli animali, per non si sa dove. Ora per favore, ci dia l'acqua. »

Il gendarme inizia a tramare dalla rabbia. Il suo volto si fa minaccioso.  Lo vedo prendere  un sasso da terra.

« Come osi parlarmi cosi?! Lurido ebreo! » e glie lo lancia sul volto di mio padre.

Lo vedo cadere all'indietro. Il sasso lo ha colpito sulla guancia. Urlo disperata. Come ha potuto?!

« Papà! Papà. Stai bene? »  chiedo, agitata e con le lacrime agli occhi.

Non ho mai visto mio padre, subire una violenza. È stato molto coraggioso e questo momento sono fiera di avere un papà come lui. Lo abbraccio forte.

« Oh Jospeh » sussurra mia madre, aiutandolo ad alzarsi.

« Non preoccupatevi sto bene » dice , rassicurandoci. « Io, mi dispiace ho provato di tutto » aggiunge, rivolgendosi anche agli altri.

« Non si preoccupi, le siamo grati per quello che ha fatto. Ci dispiace che abbia dovuto subire questo affronto. » gli risponde un uomo lì vicino, toccandogli la spalla.

« Allora questi dannati soldi. Dove sono? » esclamò il gendarme.

« Lei, prima, ci renda l'acqua. » gli risponde l'uomo che aveva appena parlato con mio padre.  A questo punto il gendarme non ne può più.

« Porci ebrei! sempre a trattare e a fare i vostri schifosi affarucci, anche per le cose più sacre. Per me potete crepare anche di sete. Ma si, crepate. Crepate tutti! » urla.

Ogni speranza è stata vana. Come si può essere cosi crudeli?

Prima che ce ne rendiamo conto il treno si muove appena. Stiamo ripartendo, di nuovo. Ma prima voglio una risposta.

Salgo di nuovo sulla sporgenza. Il gendarme è ancora lì. Non vorrei parlare con lui, dopo quello che aveva fatto a mio padre. Ma devo sapere.

« Lei... Lei sa dove ci stanno portando? La prego, ce lo dica, se lo sa » il gendarme sorride.

« Non lo so e non mi interessa saperlo; l'importante e che i tedeschi vi sistemino per bene. Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Tutto sommato ci deve essere un motivo per cui quelli là ce l'hanno con voi. Detto questo, vi auguro Bon Voyage.» conclude ridendo, lasciandomi senza parole.

E con questo, il treno riprende la sua corsa, ed entriamo, così nel territorio tedesco.

****

Sono passati ormai, due giorni dall'incontro con il gendarme. Siamo senza cibo né acqua. Le condizioni iniziano ad essere insostenibili. I secchi di latta sono pieni fino all'orlo dei nostri bisogni, così ogni volta dobbiamo svuotarli dalla finestrella.

Sono rannicchiata vicino a mio padre. Per fortuna avevamo portato delle coperte con noi. Ma ho comunque freddo. Prima, sono tornata alla finestrella. Il paesaggio era ricoperto d neve. Anche se siamo ai primi di settembre, qui c'è la neve. In Francia è ancora estate. Non siamo abituati a questo inverno rigido.

Alcuni di noi si sono ammalati, se continuiamo di questo passo, non resisteremo a lungo.

In questi due giorni, mi capita di pensare a due mesi fa. Non potevo credere che saremo arrivati a questo punto. O il peggio doveva ancora venire?

Non era cosi che avevo intenzione di passare questa estate. Quel che peggio, non avrei potuto continuare la scuola. Da grande ho sempre desiderato fare la maestra, viaggiare e andare all'università.

Ho avuto come modello tante donne. Loro non si sarebbero arrese tanto facilmente. Devo solo tener duro.

I fiocchi di neve, entrano dalla finestrella, sono così piccoli che sembrano tanti piccoli diamanti. Ad alcuni, viene la brillante, idea di mangiarli, per placare la sete. Mi alzo, per sgranchirmi un po' le gambe.

In fondo al vagone vedo i miei amici. Stare un po' in compagnia mi farà bene.

Intanto, le ore trascorrono molto lentamente. È come se il tempo non volesse passare mai.

« Io non ce la faccio più. Ma quando si arriva? »  Lèa è  un fascio di nervi. Non la biasimo.

« Si arriva, quando si arriva » dice, Rachel.

« Gli animali viaggiano molto meglio di noi; e siamo su un carro bestiame » grugnisce, David. « Se non arriviamo entro stasera rischio l'esaurimento » incomincia a prendere a calci la parete, più volte. « Voglio uscire da questo cazzo di vagone »

Simon e Noah cercarono di fermarlo:

« David, fermati! Sei impazzito? »

David, alla fine, cede e si siede, mettendosi le mani sulla testa. Rachel va a consolarlo. Siamo arrivati a questi livelli, dunque. Stiamo rischiando l'esaurimento.

« Questa estate me l'ero immaginata diversamente » mormora, Lèa.

« È inutile pensarci. Adesso dobbiamo pensare solo al presente e al futuro. In fondo, siamo tutti qui e siamo vivi è questo l'importante. » dico, fiduciosa. Cerco di risollevare l'umore, ma a qualcuno non la pensa allo stesso modo.

« Ah si? E quale sarebbe? Me lo sai dire? » ribatte, David.

Alzo le spalle e gli rispondo, tranquilla:

«  Bisogna solo credere in noi stessi e non bisogna farsi prendere dal panico »

  A quel punto, David alza la testa e parla a voce spenta.

« Arrivati a questo punto, sapete che cosa penso? Che i nazisti, vogliono farci tutti quanti fuori. Uno a uno. Finché, non rimarrà più nessun ebreo in tutta l'Europa e dintorni. »

« Ma che stai dicendo?  È ridicolo. Non devi dire certe cose » Lèa incomincia ad agitarsi. È la più fragile di tutti quanti noi.

« Infatti, David. Piantala di dire queste stupidaggini. » ribatte, Simon.

« Tranquilla, Lèa. Non succederà. I tedeschi ci odiano, si, ma non fino a questo punto » la consola, mia sorella.

La guardo e vedo sul suo volto, un sorriso solare. Guardo e le altre, anche loro sono confuse. Sarah, quindi si decide di vuotare il sacco.

« Ok, credo che debba dirvelo. Io e Emmanuel, abbiamo deciso di sposarci. Dopo che questa guerra sarà finita. »  Io e gli altri rimaniamo a bocca aperta, entusiasti.

« Sarah sono così felice per te. Mamma e papà lo sanno? » lei scuote la testa « Non ancora. »

Almeno una buona notizia,  ci ha rallegrati, per qualche minuto. Noto che anche David, si è tranquillizzato. Io ancora fatico a crederci. Sono molto emozionata prendo mia sorella per mano.

« Vieni dobbiamo dirlo a mamma e papà! »

Raggiungiamo, la mamma e papà, ma vediamo che gli adulti sono tutti riuniti in cerchio e sono molto seri. Il momento di felicità si è sgretolato in una frazione di un secondo.

« Sono due giorni che penso a quello che ci ha detto il gendarme. » dice, una donna.

« A porci ebrei? » gli risponde, un uomo, vicino a lei

« No. Che dove stiamo andando non avremo bisogno di nulla... Ma dov'è che andiamo? Domanda, con tono disperato.

Un uomo, sulla cinquantina, si fa avanti ed espone la sua opinione:

« Facciamo il punto della situazione. Secondo il mio senso dell'orientamento, dovremmo essere arrivati quasi al confine con la Polonia. »

« Ho sentito dire che lì ci sono territori per gli ebrei. » interviene, un signore.

« Non ci sono territori per gli ebrei, in Polonia »

« Ah no? E come li spiega i ghetti »

« Tutte menzogne. Al solo scopo di far aumentare la mano d'opera. I tedeschi ci vogliono usare solo per lavorare, ci staranno portando in qualche fabbrica. Gli siamo indispensabili, si sa un lavoratore ebreo costa molto di meno di un lavoratore ariano. »

« Allora tutto quello che dobbiamo fare è rimboccarci le maniche. Non sarà un problema. Basta che lascino la mia famiglia unità. » dice, mio padre, guardandoci. Lo abbraccio.

« E gli anziani e i bambini, che cosa faranno? Metteranno a lavorare anche loro? »

« Certo. Faranno dei lavori meno pesanti »

Nel vagone si crea un gran vociferare. Chissà se sia la verità oppure no?  Per il lavoro non è un problema, al contrario non mi spaventa. Mi piace rendermi utile e collaborare. Ha ragione papà. L'importante è rimboccarsi le maniche. Adesso che so dove siamo diretti, sono molto più tranquilla. È solamente un campo di lavoro, giusto?

« Credo che non manchi molto all'arrivo » ci comunica, un ragazzo. All'improvviso.

« Come fai a saperlo? »

« Il treno incomincia a rallentare »

« Finalmente. Non ne posso più di stare rinchiusa qui . Sono tre giorni che siamo chiusi qui dentro »

« Almeno, quando ci faranno scendere, ci faranno rifocillare. » La signora guardò il suo bambino e sorrise.

« Ancora mi domando come siamo arrivati fino a questo punto... A volte mi chiedo, che siamo come Giobbe subiamo le angherie che Hitler ci impone.  » sussurra una signora, a malincuore.

« No, era diverso per Giobbe. Lui non doveva fare i suoi bisogni davanti a tutti, come un animale... Giobbe non è stato strappato via dalla sua casa e aveva la facoltà di dire di no. » le risponde, mia madre.

Il treno rallenta ma non si ferma del tutto. Ormai, tutti, siamo allo stremo delle forze. Sono  invasa dalla stanchezza.

Anche io inizio a non poterne più. Nel vagone cala un silenzio, nessuno ha  voglia di parlare. I bambini piangono. Vedo una bambina. La  madre cerca di farla addormentare, di calmarla, ma invano.

Mi avvicino a loro. La madre alza lo sguardo su di me e mi guarda disperata.

« Non vuole calmarsi.. non so perché... » Mi metto in ginocchio e accarezzo la fronte della piccola.

Inspiegabilmente, smette di piangere.

« Ehy piccolina..  che cos'hai? » dico, con un tono dolce.

La bambina mi risponde. Allunga le braccia,  verso di me per venirmi in braccio.  Miriam la coccolò con tenerezza. Le asciugò le lacrime. E incominciò ad accarezzarle i capelli.

« Ti canterò una ninna nanna – la mia mamma me la cantava sempre prima di farmi addormentare »

Inizio a canticchiare la canzoncina in ebraico. La cullo dolcemente. Piano, piano gli occhi della piccola si chiusero. Sorrido, teneramente,  vedendola dormire tranquilla, mentre aveva il ditino in bocca. La madre, rimane stupefatta.

« Io.. non so come ringraziarti. » dice riprendendola fra le sue braccia.

« Si figuri per così poco. »

« Io mi chiamo Ruth. E le è mia figlia: Michelle. »

« Molto piacere »

« Sei una ragazza molto dolce. Ci sai fare con i bambini »

« Per un periodo, ho fatto la baby-sitter a due bambini. Erano i miei vicini di casa. E poi mi piacciono i bambini. Li adoro »

Noto che la donna è senza un uomo. Non aveva nessuno di fianco a lei. Nessuno con il quale stare accanto.

« Mi perdoni se sono sfacciata, ma... dov'è suo marito? »

Ruth alza lo sguardo. Ha gli occhi lucidi « Non ho un marito. Se ne andato prima della guerra. Quando ha saputo che ero rimasta incinta mi ha lasciata. E così ho cresciuto Michelle da sola. »

« Che cosa orribile... Deve essere stata dura per lei, crescere una bambina da sola... non è facile »

« No, infatti. Michelle è tutto ciò che ho e mi da la forza per andare avanti »

Ammiro questa donna, il suo coraggio e la sua forza. E mi rendo conto che,  l'amore di una madre è la cosa più potente che c'è al mondo.

Mi volto e poco più lontano, vedo Simon vicino alla finestrella, ad osservare il panorama. Lo raggiungo. Davanti a noi: la campagna polacca. Immensi campi agricoli, ricoperti da un velluto leggero di neve.

Il cielo è ricoperto di nuvole e l'aria è abbastanza frizzantina. Non sono mai stata in Polonia. A differenza della Francia, è piena di foreste e immensa nel verde.

Lo sguardo di Simon è perso nel vuoto. Sono triste nel vederlo in queste condizioni, così gli faccio una smorfia per fargli tornare il buon umore.

Sorride. Direi di esserci riuscita.

« Sai sempre come far sollevare il morale alle persone » dice, ridendo.

« Lo so. Ho un talento naturale. »

« Ho visto prima che cosa hai fatto. Hai aiutato quella signora, facendole addormentare la bambina. Sono molto fiero di te »

Arrossisco.

« Beh ho fatto solo quello che dovevo » dico, timidamente. Faccio una pausa breve e poi aggiungo: « Adesso.. tutto cambierà. Non è vero? »

Simon posa la sua mano sulla mia spalla « Sì... » sussurra.

Vedendomi triste, mi prende le mani e le stringe forte. « Promettimi, che qualunque cosa accadrà.. resteremo sempre uniti »

Simon la guardò negli occhi e disse con tono solenne « Te lo prometto. »

« Ti voglio bene, Simon. »

« Anche io... Miriam »

Il treno, all'improvviso si ferma creando una frenata brusca, da svegliare tutti quanti. Le persone si guardano attorno confuse. Un signore si rivolge a Simon.

« Ragazzo. Dove siamo? »

Simon guarda fuori. « Siamo in una stazione »

« C'è scritto il nome del posto? » gli domanda, una donna. Simon guarda bene le insegne.

« Si, c'è scritto Auschwitz – Birkenau » dice, scandendo le parole « Auschwitz – Birkenau » ripete, rivolgendosi agli altri. Le persone si guardano fra di loro, confuse.

«  Auschwitz – Birkenau? Ma che posto è? Non l'ho mai sentito nominare. »

Auschwitz... non mi dice nulla questo nome... ma che posto è?

« Qui i tedeschi hanno cambiato tutti i  nomi dei luoghi. Quindi non so di preciso dove ci troviamo. »

All'improvviso, fuori dal vagone, sentiamo l'abbaiare dei cani e le urla dei soldati.

Stringo forte a mio padre, e tremo. Ho paura. Non ne ho mai avuta tanta fino a questo momento. Ho il cuore a mille.

In fondo sono contenta che questo viaggio sia finalmente finito, ma adesso non ne sono più tanto sicura.

Che cosa succederà quando scenderemo dal treno?

Non sono l'unica ad essere così spaventata. Anche gli altri iniziano ad avere il terrore.

« Andrà tutto bene. Vedrete » sussurra, mio padre.

La sua voce mi da conforto. Sentiamo le porte del vagone aprirsi, dopo ben tre giorni. Quello che vedo davanti, basta per farmi rimanere senza parole.



Note dell'autrice:

( Capitolo Modificato)

intanto vi annuccio che, finalmente, nel prossimo capitolo Philipp e Miriam si incontreranno :D Non mancate, ne vedremo delle belle.
Ringrazio:
Chi recensisce.
Chi legge la mia storia.

Grazie ancora, alla prossima.

Bacioni, Noemi

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