Capitolo 33
Canzoni del capitolo :
• Listen To Your Heart - DHT
• Everybody's Got To Learn Sometime - Jean - Philippe Verdin
• Night Changes - One Direction
Torno in camera.
L'emozione che provo, non si è ancora spenta del tutto.
Con tutto il cuore, ho desiderato di potermi chiarire con lui.
Vuole stare con me, adesso ne sono certa, ma non in quel senso. Per il nostro bene, non dovevamo andare al di là dell'amicizia. Anche essergli amica, portava alla morte.
Devo tenere a freno i miei sentimenti, se voglio sopravvivere.
Ancora non so con certezza che cosa provo, ma quando c'è lui, mi sento felice.
Sono confuso.... aveva detto.
E anche io lo sono.
Mi sento spaesata, sorridevo appena mi alzavo, escludendo ciò che mi è successo, ultimamente avevo sempre meno appetito. Dentro di me, è come se ci fosse un palloncino contenete tutta la felicità del mondo che poteva scoppiare in qualsiasi momento.
È strano, non so cosa mi stia succedendo.
Mi avvicinò alla finestra. Non smetteva ancora di nevicare.
Sospiro. Ho ancora tante domande da fargli. Da quando sono qui, o meglio, da quando l'ho conosciuto, non ho desiderato altro che conoscerlo a fondo.
D'altronde non era così cattivo come voleva dimostrarsi.
Quella che indossava era solamente una maschera. So che il vero lui, è li dentro da qualche parte e spettava a me farlo uscire allo scoperto.
Questa volta però, esigevo delle risposte. Anche se lui, avrebbe fatto finta di niente.
Io dovevo sapere.
***
Era calata la sera.
Per passare il tempo, avevo sistemato la stanza e ripulito il macello che aveva combinato lui questa mattina.
Per il resto sono stata vicino alla finestra a meditare. Pensavo alla mamma, a mia sorella e alle altre. Ormai erano passati giorni dall'ultima volta che le avevo viste.
Mi crederanno morta. Ma non lo sono. Avrei voluto con tutto il cuore poter andare da loro, per far sapere che stavo bene.
Invece sono costretta a stare qui. Non ho nessuno con cui parlare , soprattutto non avevo niente da fare. Di questo passo impazziro.
Desideravo solamente che la mia guarigione arrivasse al più presto.
Sento la porta aprirsi e sussulto.
Mi giro e vedo l'ufficiale entrare spavaldo. Con sé aveva una busta di carta, che mi ha particolarmente incuriosita.
Mi alzo per raggiungerlo e mi fermo a guardarlo. Non sono mai stata così felice di vederlo, dopo una giornata rinchiusa quindi dentro, sarei saltata dalla gioia anche se avrei visto il führer in persona.
« Ho portato qualcosa da mangiare. » e posa la poggia sul tavolinetto. « Non è molto ma spero che ti piaccia »
In quel momento avrei mangiato di tutto. Dalla busta, tira fuori due contenitori, e al loro interno vedo un liquido intenso color arancione, intuisco della minestra, del pane tostato avvolto da un pezzo di carta, una bottiglia di acqua e di vino accompagnati da due bicchieri.
Avrebbe mangiato insieme a me. Questo mi sollevava ancora di più il morale. Sistemo il tavolino in modo da renderlo adatto per l'occasione. Mi porge delle tovagliette e delle posate.
Questa era la nostra seconda cena, che passavamo insieme.
Apro il mio contenitore e assaggio la minestra. Il sapore della zuppa di carote passate, mi scivola in gola come il miele. Non avevo mai mangiato niente di più buono. Alzo gli occhi dal mio piatto. Dovevo sdebitarmi con lui, in qualche modo.
« Ti ringrazio per la cena. La minestra è buona. » dico, timidamente.
« Dovere. » Mormora.
Tiene lo sguardo abbassato, credo che non voglia creare dei contatti. Ma ero decisa a parlargli.
« Credevo che non venissi più »
" Ma che dico?! " Sono pessima ad iniziare un discorso.
« Te lo avevo promesso, no? »
Arrosisco.
« Giusto.. »
« Per quanto dovrò rimanere qui? » gli domando, sperando di ricevere una risposta
« Finché non sarai guarita. » tiene ancora lo sguardo abbassato. Mi da un po sui nervi. Quando parlò con una persona mi piace guardarla dritta negli occhi.
« Speriamo presto. Non vedo l'ora di tornare da mia madre e da mia sorella. » dico, euforica.
Lo guardo. Il suo sguardo è ancora rivolto verso il basso, ma non i suoi occhi. Mi sta osservando con la coda degli occhi. Ed era molto serio.
« Scordarelo. »
« Cosa? » Non capivo quella reazione.
« Mi hai sentito. Quando sarai guarita, non tornerai a Birkenau. »
« Perché? » gli chiedo. Un'altra persona al posto mio, sarebbe saltata dalla gioia.
« Perché io ho deciso così! » esclama, irritato, battendo un pugno sul tavolo, alzandosi di scatto.
« No.. no non puoi. Non puoi impedirmi di vederle. Sono la mia famiglia! »
« Oh sì che posso. Sono io che comando qui! » ruggisce, furibondo.
Mi viene da piangere. Non poteva dire sul serio.
« È la mia famiglia... saranno in pensiero per me... Mi crederanno morta...»
« Non mi interessa... » dice tra i denti « ... Non posso... » si ferma.
Mi avvicino di più a lui. « Non puoi cosa? »
Lo sento sussurrare qualcosa in tedesco. Mi da fastidio perchè, oltre che non capisco la lingua, cerca di creare una barriera.
Tento di nuovo.
« Philipp ti prego... »
Non sapevo se avevo fatto la cosa giusta, forse è stata una mossa azzardata. Ma quando lo vedo girarsi, mi guarda con aria stupefatta, e allo stesso tempo sorpresa.
Forse avevo rotto qualcosa dentro di lui.
« Sì. Eri tu, stavi cercando di convincere il tuo amico... » la voce mi si spegne in gola. Si avvicina piano piano a me « Mi dispiace non dovevo pronunciare il tuo nome... io... »
« Ripetilo... » Mormora, appoggiando la sua fronte contro la mia.
Mi sento soffocare. Avevo di nuovo le farfalle nello stomaco. Non mi sentivo così, da non so quanto tempo. Non riesco a parlare. La lingua è incollata al palato.
« Ripetilo, jüdin » mormora, insistente. Le sue labbra sono pericolosamente vicino alle mie. C'era solamente un centimetro di spazio fra di loro. Prendo il coraggio e lo ripeto.
« P-Philipp » Sorride. Ed è bellissimo. Si allontana da me e mi dispiace. Volevo che quel contatto fosse durato più a lungo. Ma sono contenta.
« Ora finisci di mangiare. »
Mi siedo di nuovo e ricomincio a mangiare la zuppa, ormai diventata tiepida. Philipp si avvicina alla finestra. Dalla tasca prende un pacchetto di sigarette.
« Ti dà fastidio? » mi chiede. Scuoto la testa.
Ne prende una, l'accende e l'aspira creando una nube di fumo.
« E dove starò? Se non potrò tornare nella baracca? »
Esita un secondo prima di rispondere « Verrai a stare da me. »
« Da te? »
« Nel mio ufficio. C'è una camera da letto »
« Sì me la ricordo » sopraggiungo. Bene. Sarei stata dentro il suo ufficio. Rinchiusa in quelle quattro mura, come se non bastasse essere imprigionata in questo posto.
« Quindi mi vuoi rinchiuderai li dentro »
« Mettiamola così: Non voglio rinchiuderti. Voglio solo che tu sia al sicuro. E lì ti potrò tenere d'occhio ventiquattro ore al giorno »
« È proibito. » mormoro.
« Cosa? » domanda, aspirando di nuovo.
« Non puoi portarmi nel tuo ufficio. Sono un'ebrea, ricordi? Se lo scoprissero... » era bella l'idea, ma non potevamo escludere questo problema.
« Sono un ufficiale, posso fare ciò che voglio. »
« Questo non vuol dire niente. Sei troppo sicuro di te stesso. »
« Jüdin non lo scopriranno mai. Smettila di preoccuparti. »
Che faccia tosta.
« E che mi dici del tuo amico? Il "medico"? »
« Di lui non ti devi preoccupare. È mio amico e terrà la bocca chiusa »
La tensione aumentava, ogni minimo errore poteva essere fatale. Forse ci stavano inoltrando in una cosa più grande della nostra portata. Potevamo essere uccisi. Per una sola accusa: Essere un'ebrea e una SS.
Eravamo diversi. Come la notte e il giorno. Non potevamo parlarci e neanche vederci. Era impensabile una cosa del genere. Ma stavamo sfidando ogni regola e ogni barriera. E lo stavamo facendo insieme.
« Senti facciamo così: Io starò nel tuo ufficio, se tu mi lasci tornare nel Kanada a lavorare.
Almeno così nessuno sospettara nulla » si gira e mi guarda con aria molto severa..
« No. È escluso. Jüdin vorrei ricordarti che tu dovresti essere morta. Nel Kanada già ti avranno sostituito. E non mi dire come faccio a saperlo. Se non lo so io chi lo dovrebbe sapere. »
Rimango scioccata. Mi siedo per non cadere.
« Non può essere vero. » sussurro con un filo di voce.
« Guarda il lato positivo: Sarai nel mio ufficio al sicuro. Niente lavoro, niente fatica. E soprattutto starai con me. Avrai del cibo, un letto. Molte internate sognerebbero di stare al posto tuo.»
Sospiro. Aveva ragione. Come al solito.
« Quel starò con te, che mi preoccupa »
« Non giudicare prima di conoscere i fatti »
Sorrido. Ero felice di stare con lui, avremo avuto più tempo per stare insieme. Ma il mio pensiero va a mia madre e mia sorella. Non le avrei riviste più e questo mi rendeva triste. In questo momento non sapevano che fossi ancora viva, la mamma sarà sicuramente impazzita per il dolore. Come potevo abbandonarle.
« Jüdin che cos'hai? » la sua voce mi riporta alla realtà.
« Sto pensando a mia madre e mia sorella. Philipp loro devono sapere che viva » rimase zitto, non sapeva chiaramente cosa dire. Gli prendo la mano e gli sussurrò un ti prego molto convincente.
« Mi dispiace. » Mi allontano. Mi ero ripromessa di non piangere. Osservo, al di fuori della finestra. La neve ancora dominava il paesaggio. Doveva fare molto freddo. Ricordo come ci si sente ad avere solo un pigiama come indumento.
Mamma... Papà... Sarah... perdonatemi.
Non mi volevo arrendere all'idea di lasciarli. Loro non lo avrebbero fatto. Sono un egoista. Ma non volevo essserlo. Io sarei tornata da loro. Dovevo tornare da loro. Anche se avrei rischiato di morire. Almeno per far sapere che sono viva.
Due mani si posano sulle mie spalle con presa possente.
« Jüdin. »
« Sì? » dico, ancora con lo sguardo perso nel vuoto.
« Come hai fatto a capirlo.. che sono stato io... »
Quella domanda mi coglie di sorpresa. Non me lo aspettavo. Mi giro e incontro i suoi occhi. Mi trasmettevano sicurezza.
« L'ho saputo dal momento in cui ti ho toccato la mano. Ho avuto la stessa identica sensazione di quella notte. Allora ho capito »
Mi posa la mano sulla guancia. Mi fa venire i brividi ogni volta che lo faceva. Intorno a noi si crea un silenzio, ma non uno di quelli imbarazzanti. Era uno di quelli di cui non vorresti mai che finisca.
« Ora devo andare »
"No"
Non volevo che andasse via. Così mi feci coraggio. Dovevo dirglielo.
« Rimani qui. Per la notte. Ho paura a rimanere sola. »
Come avevo previsto, rimase sorpreso.
« Ti prego... »
Ti prego... ti prego....
« Io, non so. Avrei degli impegni. »
« A quest'ora? » Era una scusa o era vero?
Non distoglieva lo sguardo da terra e la sua mano era ancora incollata alla maniglia.
Non appena perdo ogni speranza, mi guarda sorridendomi.
« Va bene » senza pensarci su lo abbraccio. Mi piace quando le sue braccia muscolose, avvolgono il mio corpo così fragile.
« Ad una condizione: voglio che adesso tu vada a letto. È tardi. Domani mattina, decideremo sul da farsi »
« No. Non voglio dormire. » dico, decisa.
« Jüdin obb.. »
« No! » esclamo senza dargli il tempo di finire.
« Adesso tu vai a dormire, ragazzina! » mi prende in braccio. Cerco di dimenarmi, ma le sue braccia mi bloccano.
« Se vuoi che rimanga qui, devi fare quello che ti dico. Domani avremo tutto il tempo per parlare. » conclude, lasciandomi cadere sul materasso. Rimango a fissarlo. Ancora non potevo crederci che sarebbe rimasto qui accanto a me.
« Fai da sola, o ti ci devo mettere io sotto le coperte? » dice con un ghigno divertito.
« No faccio da sola » e mi metto sotto le coperte. Philipp, intanto, spense la luce e va a sedersi vicino alla finestra.
La luce della luna illumina il suo viso. Non ho mai visto niente di più bello. Il suo sguardo glaciale, in contrasto con il buio della notte era inquietante e affascinante allo stesso tempo. Agli occhi degi altri era un demone, per me era solo un ragazzo, il quale non desiderava altro che essere una persona qualunque.
***
Apro gli occhi per via di un incubo.
Mi capitano spesso di farli in questo periodo, date le circostanze. Controllo se Philipp è ancora vicino alla finestra, ma quando alzo gli occhi per vedere, non c'era.
Un colpo al cuore.
Era andato via. Avrà aspettato che mi addormentassi. Beh forse non poteva rinunciare a quel suo impegno.
Sospiro. Sono triste, avrei voluto svegliarmi con il pensiero della sua figura ancora vicino alla finestra.
Mentre cerco di riaddormentarmi, in basso ai piedi del letto, vedo due stivali. Erano i suoi. Perché avrà lasciato qui i suoi stivali? Sulla sedia, dove prima era seduto, c'è la sua giubba, dell'uniforme.
Che strano...
In quel momento, qualcosa mi tocca il piede... con il fiato sospeso mi giro dall'altra parte.
Philipp era disteso accanto a me. Dormiva accanto a me.
Non ci credo. Mi porto una mano alla bocca. Cerco di trattenere la felicità. Mi avvicino di poco a lui. Aveva quel profumo di menta che a me piace tanto. Faccio un respiro profondo. Ho una voglia di toccare il suo braccio, ma avevo paura che si svegliasse.
Adesso lui è qui vicino a me, non ho nulla da temere.
Note dell'autrice:
Ecco a voi il capitolo 32. Siii. La storia è arrivata a 17 mila visualizzazioni! Grazie a tutti di cuore ❤
1 mese... 1 mese di ritardo lo so non ho scuse. E mi vergogno molto. Ma il fatto è che nome ero sicura di quello che scrivevo, così questo capitolo estate un scrivi e cancella continuo..
Spero che vi piaccia.
Perdonatemi ancora....
Un megabacione a tutti.
Noemi
Vi adoro.
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