Capitolo 30
Canzoni del capitolo:
• M83 - Wait
• Ed Sheeran - Thinking Out Loud
Continuo a lavare ogni singolo scalino, stando attenta a non lasciare nessuna macchia.
Le mani mi fanno male, ma non mi importa. Volevo sbrigarmi a finire. Ma non so quanto tempo ci avrei impiegato.
Era passata, solamente, un quarto d'ora e avevo lavato solo la metà.
L'unico contrattempo, che mi impedisce di finire prima, era l'acqua del secchio. Quando diventa sporca, dovevo andare a svuotarla per riempirla di nuovo con dell'acqua pulita.
Così, devo fare continuamente su e giù con il secchio pieno, cercando di non farlo cadere.
A parte i miei continui spostamenti, non avevo mai alzato lo sguardo dal pavimento. La schiena mi faceva un male tremendo. Ma cerco di non pensarci.
Quando non sei abituata a svolgere determinati lavori, non puoi farci niente.
Era una zona alquanto trafficata, l'ufficio del comandante ed era un problema, per me.
Ho perso il conto di quanti ufficiali sono saliti nel suo ufficio, in quest'ultimo lasso di tempo.
Ma avevo notato che non uscivano di lì. Entravano, e basta.
Ma questo non mi interessa, l'unica cosa che non sopporto di questo viavai, è che passavano non curanti che la qui presente stava lavando la scala.
Così dovevo ricominciare tutto da capo!
Adesso, sembra che non passi più nessuno. Per fortuna.
Aumento la velocità, approfittando di questa opportunità.
e dopo altri dieci minuti, finalmente avevo finito.
Passo la mano sulla fronte, e sbuffo. È stata dura, ma c'è l'ho fatta. Sono fiera di me stessa. Adesso potevo andarmene.
Apro la porta per far circolare la corrente d'aria. Alle mie spalle sento la voce di Gertrude.
« Vedo che hai concluso. Bene. »
« Ora... posso andare? »
« No. Tieni. Devi portare questo. » mi ordina, porgendomi un vassoio, con delle caraffe di porcellana e alcuni bicchieri.
« Cosa?! » esclamo.
« Osi obiettare? Muoviti! E fai attenzione a non farlo cadere. » Mentre salgo le scale, Gertrude si rivolge a me con un tono meno autoritario.
« Ehy, quando sei dentro il suo ufficio, non azzardarti ad aprire bocca. Posa il vassoio sul tavolino e vattene. Hai capito? Non faranno caso a te, ma tu non dar loro il motivo per farlo.» Annuisco, tenendo conto del suo prezioso consiglio. Non avrei aperto comunque bocca. Non ero così stupida!
Le gambe mi tremavano, ma dovevo farcela. E se per qualche motivo mi sarebbe caduto?
Caccio immediatamente quel pensiero. Arrivo davanti all'ufficio del comandante.
Dai Miriam. C'è la puoi fare. Entri, posi il vassoio e te ne vai. È facile.
Senza pensarci troppo, busso, non tanto forte. Sento una voce, presumo che sia quella del comandante, ed entro.
È la prima volta che entro nel suo ufficio. È spazioso e grande.
Al centro della stanza ci sono: dei divani in pelle, dove sono seduti, almeno una dozzina di ufficiali delle SS.
Come aveva detto Gertrude, nessuno fa caso a me. Sono un invisibile ai loro occhi. E tale sarei rimasta. Per me va benissimo così.
Più sarei passata inosservata e meglio è. Appoggio il vasoio sul tavolino.
Sto per andarmene, quando vicino alla finestra vedo altri quattro ufficiali e fra di loro c'era lui.
Rimango li immobile a fissarlo. È talmente preso dalla conversazione che non mi ha notata, per fortuna.
Lo guardo attentamente. Il sole illumina il suo sguardo, facendo risaltare le sue iridi azzurre. La sua uniforme impeccabile e ordinata, i suoi capelli mori... tutto quell'insieme.
Ho una strana sensazione, mi sento le farfalle nello stomaco.
Mi sudando le mani, in modo impressionante. Non avevo mai provato nulla di simile.
Non vederlo per due giorni, mi faceva questo effetto? Mi sto rendendo conto che mi era mancato, ma se ripenso alle parole che mi aveva detto, la sesazione che sto avendo svanisce, dando posto alla rabbia.
Devo andarmene, prima che mi veda.
Mi avvio verso la porta e quando sono fuori mi appoggio alla parete, cercando di riprendere fiato. Il mio cuore riprende il suo regolare battito.
Ok adesso basta. Ora è tutto finito. Dopo questa non lo rivedrai mai più.
Ma che dico? Io voglio rivederlo. Ma lui, non è della mia stessa opinione . Per lui sono solo un'ebrea. Era come tutti gli altri! Se ci penso, mi viene da piangere, ma non per lui.
Lui non merita le mie lacrime.
Ma a pensarci mi trasmetteva sempre una profonda rabbia. Se non fossi un' ebrea, non ci sarebbero stati problemi fra noi.
Scendo lentamente le scale e vengo distratta da un fischiettio.
Davanti alla porta trovo un uomo di mezza età, di media statura, ma sempre più alto di me, di pochi centimetri.
Noto che non indossa il nostro "pigiama a righe", ma semplicemente una maglia nera con sopra un gilet color kaki con sopra un triangolo e i pantaloni sono di un marrone scuro.
« Così tu sei quella nuova. » dice, senza smettere di spazzare.
« Come mi scusi? » chiedo, timorosa.
« Sei quella che pulisce l'ufficio del comandante. Sai, oggi stai sostituendo mia moglie. Si sentiva poco bene oggi e non è venuta. »
Rimango in silenzio ad assorvare il suo aspetto, perché era quello che mi aveva colpito di più.
E quello che avevo notato in questo signore, era il suo fisico perfettamente in forma. Non era mal nutrito. Non era pelle e ossa. Disidratato o sporco.
Ma com'è possibile?
L'unica cosa che uscii dalle mie labbra è stata questa frase:
« Mi permetta una domanda: anche lei è ebreo? »
« No. » lo sapevo « Non siamo tutti ebrei, qui dentro. »
« Io e mia mia moglie siamo tedeschi. »
Rimango spiazzata.
Tedeschi? Cosa? È uno scherzo?
Ancora mi è sconosciuto il fatto che questo signore sappia il francese, e per giunta come faccia a sapere che io sono francese.
Doveva averglielo detto Gertrude.
Sentire la sua pronuncia mi faceva pensare a lui. Il suo accento era uguale al suo.
« Perchè siete in questo posto? »
« Sai, non tutti la vediamo allo stesso modo. Siamo qui, perché andiamo contro il Führer e per questo, io e mia moglie, siamo considerati dei criminali. »
Non credo a ciò che sento.
« Ma è assurdo! E non è giusto! »
« Molte cose sono ingiuste, ma dio vede e provvede. »
Io avevo smesso di pregare da più di un mese, ormai.
« A proposito: io mi chiamo Miriam.
« Bruno. »
« Molto piacere, Bruno. Spero che vostra moglie si rimetta. »
« Grazie del pensiero. Saremo anche dei criminali ai loro occhi, ma almeno ci passano medicine e cibo. La nostra infermeria è fornitissima di tutto e l'unica cosa che ci rende felici è sapere che i nostri famigliari stiano bene. Ringraziando Dio, tutte le settimane riceviamo le loro lettere e.... »
« Cosa?! »
Quello che mi aveva detto Bruno mi aveva scioccata.
Infermeria fornitissima? Loro avevano i dottori che li curavano.
Le lettere? Le lettere! Loro potevano scrivere ai loro cari.
Ma che diavolo sta succedendo?! Pensavo chiunque venisse spedito qui, trovava: la morte, la disperazione, la miseria... e infine, scopro che, non tutti gli internati sono nella nostra situazione.
« Ehy ti senti bene? »
« Io... sì. » No.
« Cosa ci fai lì imbambolata, ebrea?! » riconosco la voce di Gertrude provenire in fondo al corridoio.
Bruno torna al suo lavoro e io mi avvicino alla Kapò.
« Eccomi stavo solo... » non mi lascia neanche finire la frase, che mi attacca di nuovo.
« ....A non far niente, ecco cosa. Osi anche negare l'evidenza! » esclama. È furibonda.
Ma io non mi lascio scoraggiare. E sto a testa alta.
« Giudea, ora hai un'altro compito è poi potrai andartene »
Sì!
Finalmente. Non vedevo l'ora.
« Devi tornare nell'ufficio del comandante e riprendere il vassoio. »
La mia felicità dura per una frazione di secondo. Questo voleva dire che lo avrei rivisto.
Oh mio dio pietà!
Non voglio tornare lì dentro, ma una parte di me voleva andarci solo per rivederlo.
Che situazione.
Torno di nuovo su di sopra. Nella mia mente rivedo la figura splendida di lui illuminata dal sole e il mio cuore ricomincia a pompare mandandomi abbastanza sangue sulle guancie facendomi diventare bordeux.
Busso di nuovo ed entro.
Non c'era la stessa atmosferva di prima. Gli ufficiali erano seduti, sempre sui divani, ma guardavano tutti dalla parte del comandante. Quest'ultimo stava parlando a loro in tedesco, ragion per cui non capisco niente. Si direbbe che sono in pieno svolgimento di una riunione.
Ma a me non importa. Vado verso il tavolino dove prima avevo appoggiato il vassoio.
Ho la sensazione che qualcuno mi stia osservando. Alzo lo sguardo e vedo lui appoggiato al muro, a braccia conserte. Questa volta si accorge di me.
Non possiamo parlare ma i nostri sguardi dicono tutto.
Perdono, rabbia, fraintendimenti..
Io non voglio niente da lui. Niente.
Anche se per qualche stupida ragione, ne sono attratta, lui doveva sparire.
Faccio un passo verso la porta ed è successo tutto in una sequenza di attimi. Mi ritrovo per terra e il vasoio mi cade mandando in frantumi il servizio di porcellana.
Osservo con terrore i cocci sparsi qua e là. Non sento più la voce del comandante. Tutti gli sguardi sono puntati su di me.
Ma come è potuto accadere? Sono stata attenta ai minimi particolari in modo da evitare questo.
Mi giro e vedo un ufficile con la gamba rivolta verso l'esterno.
E capisco che mi ha fatto inciampare di proposito. Quando si gira per guardarmi, mi rivolge un ghigno alquanto crudele.
Tremobperché ho paura. Paura che di lì a poco mi avrebbero punita.
Così mi metto in ginocchio a raccogliere i cocci.
Qualcuno si avvicina. Alzo lo sguardo.
Di fronte a me, l'ufficiale che mi aveva appena fatto cadere, mi schiaccia la mano contro i cocci, con tutta la forza che aveva.
Il dolore è lancinante. Sento quei piccoli frammenti che si conficcano, in modo impressionante, sulla mia pelle. Fino a perforarla.
« Basta! BASTA! Mi fa male! La prego! BASTA! » urlo a pieni polmoni.
Nessuno gli ordina di smetterla, anzi, la stanza si riempie di risate.
Provo a togliere la mano. Ma non ci riesco, il dolore aumenta sempre di più. Si era creata una piccola pozza di sangue, credo che morirò dissanguata.
Finalmente dopo minuti interminabili di agonia, l'ufficiale lascia libera la mia mano.
Senza pensarci due volte, incomincio a correre verso l'uscita.
Sentivo gli occhi bruciarmi per via delle lacrime.
Lì odio... li odio tutti!
Incomicio a piangere a sighiozzare e corro corro senza voltarsi indietro. Prima di varcare il portone dell'edificio; sento la sua voce. E non sapevo se esserne felice o meno.
« JÜDIN! ASPETTA! » urla.
Neanche questo riesco a fermarmi. Non volevo vederlo. È peggio di loro, perché non aveva fatto niente.
Rabbia. Solo rabbia.
« VAFFANCULO! » questa è stata la mia risposta.
Nota dell'autrice :
Salve a tutte. Rieccomi qui. Con questo nuovo capitolo.
Ora ci sono delle clausole che devo dire:
Aggiornerò più spesso, perché:
1 ho più tempo
E 2 finalmente ho passato il test della patente daje si *_*
Aggiornerò con un capitolo alla settimana. ❤
Spero che questo capitolo vi piaccia.
Lo so vi starete domandando: oh stiamo al capitolo 29 ma quando si baciano questi XD
Vi dirò a me non piacciono le storie dove si baciano subito e si innamorano subito. Tempo al tempo ;) poi alla fine succederà, no.
Ora vi lascio. Ringrazio ancora tutte voi per le visualizzazioni, per i commenti e per i voti. Grazie a tutte ❤
Un megabacione ❤
Noemi
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