Capitolo 25
Canzone del capitolo: Dilemma - Nelly ft Kelly 🔝
Note d'autrice:
Salve a tutte ragazze eccomi di nuovo qui, finalmente sono riuscita ad aggiornare *_*
Allora, scusate se ci ho messo tanto, ma avevo troppo da fare e soprattutto non avevo l'ispirazione :P
Spero che questo Pov,vi piaccia. Anche se so che è venuto fuori una schifezza :P
Vi piace la nuova copertina? ^^ ringrazio ancora una volta jensaz ❤
Qui, Miriam, si riferisce a Philipp, chiamandolo: Lui o l'ufficiale, in quanto Philipp non le ha ancora detto il nome.
Ora vi lascio alla lettura di questo schifo.
Grazie per la pazienza che avete avuto ❤ un megabacione a tutte.
Miriam's POV:
Entrai nel suo ufficio. L'ambiente si presentava caldo e accogliente. Ricordai l'ultima volta che ero stata lì. Lui mi aveva pestata e stuprata. Mi vennero i brividi. Quel ricordo viveva in me ogni giorno.
Alzai lo sguardo e notai che lui era accanto alla finestra. In quel momento percepii, una luce, una luce rassicurante. Non era la prima volta che mi faceva quell'effetto.
E ancora mi domandavo come fosse possibile tutto questo. Non riuscivo a muovermi. Le gambe mi tremavano.
Quando lui si voltò per guardarmi, mi venne un crampo allo stomaco.
« Non restare lì impalata, Jüdin. Vieni a sederti. » mi disse, con tono gentile.
Sussultai. Qualcosa non quadrava. Perché era così gentile?
Mentre mi sedevo sul divano di pelle, lo guardai dritto negli occhi. Ovviamente il mio comportamento non passò inosservato.
« Perché mi guardi in questo modo, ebrea? »
Volevo andare subito al sodo.
« Ok. Cosa c'è sotto? Perché mi hai fatto venire qui? »
Distolse lo sguardo e versò del liquore in un bicchiere. Prevedibile.
Tutto quel mistero mi irritava. Incominciai a stropicciarmi le mani.
Sbuffai. Poi finalmente decise di rispondermi.
« Come, ebrea, non lo sai? »
« Cosa? » Che cosa avrei dovuto sapere? Alcune sue uscite mi lasciavano sempre un certo stupore.
« Stasera è la vigilia di Natale. E si sa: a natale sono tutti più buoni. »
Prese il bicchiere e bevve il liquore.
La vigilia? Perché, oggi era la vigilia ?
Alzai il sopracciglio. Avevo l'aria di qualcuno che era stato appena informato di un mistero sconosciuto.
L'ufficiale mi guardò come se si aspettasse una reazione entusiasta.
« Allora, cosa fate tu e la tua famiglia quando è la vigilia? »
« Tu non dovresti essere con la tua? » dissi, sorvolando quell'argomento. Già, la sua famiglia. Lui, a differenza mia, ne aveva ancora una.
La mia famiglia... Quel pensiero di noi riuniti l'avevo sempre impressa nella mente. Cercai di trattenere le lacrime.
« Mia madre è a Berlino e mio padre, lo sai, è al fronte, quindi non mi andava di festeggiarlo con i miei uomini. Preferisco festeggiare con la mia nuova amica. » sorrise. Dio, quel sorriso mi faceva impazzire.
« Beh, non so cosa dire. Questa è la mia prima vigilia di Natale e, sì, sono contenta di festeggiarlo insieme a te, amico. » gli feci l'occhiolino. A quelle parole, lui mi guardo come se gli avessi appena comunicato una notizia scioccante.
« Cosa c'è? » sussurai, timidamente. « Cosa ho detto? »
Lui, scosse leggermente la testa. Forse non sapeva che noi ebrei non festeggiavano il natale. Feci una risatina.
« Come sarebbe a dire la tua prima vigilia? Vuoi dire che tu non hai mai festeggiato il Natale?! » Era scioccato. Vederlo con quell'espressione stampata sulla faccia era divertente.
Annuii, confermando le sue parole.
« Noi ebrei non festeggiamo il natale. Credevo che lo sapessi. »
« Beh, non mi interessa la vostra cultura. » Smise di parlare per continuare a bere il liquore. « Oh, cazzo. Ecco perché voi ebrei siete strani. Dio, come si fa a non festeggiare il Natale? È la festa più bella che ci sia, sopratutto per un bambino. Ricevere regali, quella è la parte piu bella. »
« Regali? Ma certo, regali. Anche noi abbiamo una festa dove ci scambiano i regali. Noi festeggiano Hanukkah. Anche Hanukkah viene di dicembre. »
Quanti ricordi. Se chiudevo gli occhi, potevo sentire l'odore delle pietanze cucinate dalla mamma e noi riuniti intorno al tavolo a cantare le canzoni e a scambiarci i regali. Mi mancava tutto della mia vita precedente. Anche le piccole cose.
« Hanucosa? » fece lui, trattenendo una risata.
« Hanukkah è la festa delle luci. Per otto giorni, noi accediamo una candela, cantiamo e ci scambiano regali. Un po' come il vostro Natale. »
« Adesso ho capito perché tutti quei candelabri dentro le valigie. » mormorò.
« Quel candelabro si chiama Menorah. » dissi, sorridendo.
Per un attimo mi sembrò strana quella situazione. Noi due lì a conversare delle nostre culture. Poi, improvvisamente, il suo sorriso si spense.
« Hai deciso di farmi il lavaggio del cervello? Non mi interessano le vostre stronzate. »
Aveva uno sguardo gelido che mi lasciò spiazzata. Forse stavo andando un po' troppo di fretta. Era già tanto per lui considerarmi come un'amica. E poi: fargli il lavaggio del cervello? Non era mia intenzione. Assolutamente no.
« Scusami. Credevo che non ci fosse niente di male nel confrontarsi. Forse è meglio che vada. »
Non volevo fare l'offesa di turno, ma lui aveva una barriera di mattoni dentro di sé e ogni qual volta cercavo di romperla, lui ne ricostruiva i pezzi, quindi se lui non voleva collaborare, era tutto inutile. In fondo stavamo facendo solo una piccola conversazione, niente di più. Perché doveva rovinare sempre tutto?
Non appena mi alzai, lui mi prese il braccio.
« No. Resta. Ti prego. » mi supplicò.
Mi accomodai di nuovo sul divano. Lo guardai e mi misi a braccia conserte, aspettando che lui dicesse qualcosa.
« Senti... C'è un'altra ragione perché ti ho fatta venire qui. »
Sussultai. Wow. una confessione. Ero impaziente di sentirla.
Era nervoso. D'altronde, non lo biasimavo.
« Ecco... Io... » Si passò le mani fra i capelli. « Fanculo... Ok, so di essermi comportato da stronzo, ultimamente. »
"Da stronzo?! Solo?! Io direi più da un bastardo figlio di... "
Ok, mi trattengo. Feci un respiro profondo e continuai ad ascoltarlo.
« Spero che con questa serata tu possa perdonarmi. »
Dio... Ma dice sul serio o sta scherzando?
« Credi che questo risolva tutto? »
Adesso non poteva fermarmi più nessuno. La rabbia incominciò a crescere.
« Credi che io dimentichi di ciò che mi hai fatto, che io ti perdoni solamente perché mi hai detto quattro paroline dolci e perché mi fai stare qui? Tu non hai idea di cosa io abbia passato. Qualcuno, da un giorno all'altro, bussa alla tua porta, ti prende, ti caccia via e ti sbatte qua e là per il Paese. E poi, un bel giorno, vieni sbatutto in un campo e lì perdi tutto. La tua identità, i tuoi beni, la tua famiglia. Tutto! »
Stavo sputando quelle parole con rabbia e veleno. Forse era un modo per sfogarmi anche se sapevo che era tutto inutile.
Lui teneva la testa abbassata. Ovviamente non sapeva che cosa dire. Non c'era niente da dire.
Si creò un silenzio imbarazzante. Era stata dura per me sbattergli in faccia ciò che pensavo. Credevo che se gli avessi parlato con quel tono qualche mese fa, ora mi ritroverei con la testa fracassata al muro. Ma non me ne sarebbe importato nulla.
« Te lo ripeto ancora. Non è colpa nostra se voi giudei siete finiti qui. Ci avete costretto voi. »
Ancora con quella storia?! Se non mi fossi calmata, sarebbe andata a finire male.
« Sai una cosa? Abbiamo fatto bene a prosciugarvi tutto, fino all'ultima moneta. Se potessimo, lo rifaremmo ancora e ancora! Voi nazisti siete solo dei bastardi senza cuore! »
In un attimo si alzò di scatto e mi venne incontro. Con una spinta mi fece cadere di schiena sul divano. Lui era sopra di me e le sue mani tenevano ferme le mie. Non riuscivo a muovermi. Ma non avevo paura di lui. Non più.
« Coraggio, picchiami! Tanto sai fare solo questo!» esclamai.
Vidi il suo sguardo. Non era arrabbiato, ma triste. Mi colpì al cuore. Mi balenò in mente di dargli una possibilità, ma la testa mi diceva tutt'altro.
"È un bastardo! Lui e quelli come lui devono marcire all'Inferno! Non devi dargli una seconda possibilità!"
Ma io non volevo dare retta a me stessa.
In quel momento ripensai a tutte le cose che aveva fatto per me: mi aveva salvata da quei ladri, mi aveva portato in quella splendida radura e adesso ero qui in questo ufficio, davanti a una stufa. In quel momento avrei potuto essere dovunque. Nella baracca insieme alle altre, con il gelo che ti penetrava fino alle ossa o giù di sotto con Lucie e le mie compagne a lavorare fino a notte fonda. Invece ero lì, con lui.
Allentò la presa facendomi rialzare. Per mia grande sorpresa parlò per primo, rompendo quel silenzio.
« Mi dispiace. Perdonami, di nuovo.»
Cosa?! Avevo capito bene? Lui si era scusato. E lo aveva fatto per ben due volte! Dopo tutto quello che gli avevo urlato, non mi aveva neanche picchiata.
Non ci credevo. Dov'era finito quello spietato e cinico SS che avevo conosciuto pochi mesi fa?
Forse gli dispiaceva davvero. Chi ero io per giudicare?
Gli sorrisi. Ero felice. Almeno avremmo trascorso quella serata da persone civili.
In quel momento sentì un brontolio provenire dal mio stomaco. Arrossii violentemente.
« Jüdin, a giudicare dal tuo stomaco, direi che hai fame. » mi fece notare lui con una risata.
« Beh, un po' sì. » gli sussurai, imbarazzata.
« A dire la verità anche io. Vieni con me. »
Mi alzai e lo seguì nella stanza. Dentro c'era un tavolino con sopra due bicchieri, delle posate e lì vicino due carrelli con delle cloche.
Rimasi a bocca aperta. Non ci credevo. L'ufficiale mi fece segno di sedermi sulla sedia. Mi sistemai bene, mettendomi il tovagliolo sulle gambe.
Quella era una cena. Una vera cena. Con posate e bicchieri.
Alzò una delle cloche. Sotto di essa, c'erano spaghetti al sugo.
Ad essere sincera non avevo mai mangiato italiano.
Beh, meglio tardi che mai. Mi mise la mia porzione sul piatto. Avevo gli occhi lucidi.
« Jüdin, che cos'hai? » mi chiese, mentre inforchettava gli spaghetti.
« Niente. Sono così felice. Mi sembrano passati secoli dall'ultima volta che ho fatto un pasto completo. » e sopratutto ero felice di non mangiare nella gavetta. Almeno nel piatto non c'erano delle cimici che galleggiavano dentro.
« Sono contento che ti piaccia. Prendi tutto quello che vuoi e non azzardarti a fare complimenti. »
« Va bene » risposi, mandando giù un'altro boccone.
« Ti piace la pasta? » mi domandò incuriosito.
« È buonissima. Come mio primo pasto, non è niente male. »
Lo vidi ridere sotto i baffi. E mi chiedevo cosa ci trovasse di così tanto buffo. Poi mi balenò un pensiero.
« Non è avvelenata, vero? » Non sapevo perché mi era venuto quel dubbio. Sarà stato il mio sesto senso o il mio intuito. Il fatto era che avevo trovato strano il modo in cui me lo aveva domandato.
« Può darsi. » Con quella risposta confermò tutti i miei dubbi. Rimasi con la bocca spalancata e con la forchetta vicino alla bocca. Ero sbiancata. Mi sentivo svenire. Lo sapevo che c'era sotto qualcosa. Presi il bicchiere con l'acqua e lo bevvi tutto d'un sorso. Lui, vedendomi in quello stato, scoppio a ridere.
« Bastardo! Io mi sono fidata di te! » esclamai, alzandomi dalla sedia e incominciando ad agitare le mani.
« Jüdin, stavo scherzando. Siediti »
Avevo capito male o aveva detto che era uno scherzo? Continuai a guardarlo. Non la smetteva di ridere.
Mi sentivo ridicola.
« Avresti dovuto vedere la tua faccia. Che spasso! »
Gli lanciai un occhiata torva. Mi rimisi seduta, facendo finta di non sentirlo. Voltai lo sguardo, facendo l'offesa.
« Io non ci trovo niente di divertente. »
« Credimi, Jüdin. Se lo avessi visto da quest'altra prospettiva, avresti riso anche tu. »
Sussultai. « Ne dubito. »
Finimmo di mangiare. Come secondo, avevamo mangiato arrosto di maiale con patate al forno. Era la prima volta che mangiavo maiale, sebbene fossi ebrea lo avevo mangiato lo stesso. Mia madre all'epoca mi avrebbe fatto una ramanzina che sarebbe durata due giorni, anche se me ne avessi mangiato un pezzettino.
Ma adesso non me ne importava assolutamente nulla. Avevo troppa fame per pensare alla nostra cultura. Avevo cosi tanta fame che mi sarei mangiata anche il piatto. Dio saprà perdonarmi.
Era stato il primo pasto completo dopo quattro mesi di digiuno. Non era poi andata tanto male. Per fortuna avevo saputo controllarmi mentre mangiavo; se fossi stata da sola avrei divorato l'arrosto come un animale.
Ma non dovevo dimenticare che ero pur sempre una ragazza. Non un animale. Come molte di noi qui avevano dimenticato.
Mi avvicinai alla finestra. Nevicava ancora. Da lì si potevano vedere il fumo delle ciminiere. Era nero come il carbone. In questo istante, alla Judenrampe poteva esserci un treno carico di persone ignare di ciò che le aspettava. Da quando ero lì, erano arrivati centinaia di treni. Dalla mattina alla sera. Ogni minuto. Ogni ora. Ogni giorno. E altri ancora ne dovevano arrivare.
Avrei tanto voluto sapere cosa stava succedendo nel mondo esterno. Lì ad Auschwitz era come se il tempo si fosse fermato.
Ma, per ora, la fine della guerra era solo un bel sogno.
Due mani si posarono sulle mie spalle. Quel tocco mi fece venire i brividi. Mi piaceva quella sensazione. Sorrisi. Mi prese la mano e mi condusse di nuovo sul divano. Questa volta lui si mise accanto a me.
Per qualche minuto rimanemmo in silenzio.
Adesso che fra noi le cose stavano prendendo una buona piega volevo saperne di più sul suo conto.
« Ti ringrazio per questa bellissima serata. » Lui mi ricambio con un sorriso.
« Non devi ringraziarmi, Jüdin. » Il suo viso era vicinissimo al mio. Era bellissimo. Sentivo il suo profumo. L'odore di menta mi invadeva le narici. Era lo stesso che avevo sentito quella mattina, quando mi aveva salvato.
Lo adoravo. Addosso a lui era perfetto.
« Dimmi qualcosa, Jüdin. » mormorò. Il suo volto, adesso era rivolto verso il camino.
« Mh? » feci, voltandomi verso di lui.
« Dimmi qualcosa su di te. Da dove vieni? So che sei francese. Ma da dove vieni esattamente? » mi domandò.
Ero io che volevo sapere qualcosa su di lui, ma decisi di rispondere.
« Vengo da Parigi. »
« Parigi.. Ci sono stato un po' di tempo fa. È una bellissima città. Peccato per quegli idioti dei francesi. La rendono insipita. » Ecco spiegato perché sa parlare francese correttamente.
« Non è vero. Noi francesi siamo molto gentili e ospitali. » obiettai.
« Sai, Jüdin, a giudicare dal colore della tua pelle non si direbbe che tu sia al cento per cento francese. Non ho mai visto i francesi con la pelle mulatta. »
« Scometto che voi in Germania non avete della ragazze così. »
Sghignazzò. « No. Sono tutte dalla pelle chiara e capelli biondi che risplendono di luce propria. E sono quelle che preferisco. »
Mi faceva male lo stomaco a sentirglielo dire. Beh, certo, a lui piacevano le ragazze ariane, non quelle come me. Aspetta... Cosa? No. Ma che andavo a pensare?
"Miriam, sei una cretina. Non devi pensare a certe cose. Siamo solo amici. "
« Immagino. » presi u bicchiere dal tavolino e lo riempii d'acqua. « Se lo vuoi sapere, anche mia madre e mia sorella hanno la mia stessa carnagione. Ed è dovuta al fatto che mia madre è metà cubana e metà spagnola. »
« Wow, ebrea e anche cubana, chi lo avrebbe mai detto? Ci sono ebrei anche lì? » chiese, con curiosità, ma allo stesso tempo schifato.
« Sì. Ci sono anche lì. Noi abbiamo parenti anche negli Stati Uniti. Non ricordo in quale Stato però. C'è una comunità ebraica persino alle Hawaii. » Se pensavo ai nostri parenti in America o alle altre comunità sparse per il mondo, mi sentivo triste. Ma anche felice. Perchè loro in confronto a noi ebrei d'Europa stavano trascorrendo la loro vita in modo normale. Erano a casa loro. Avevano un lavoro. Non erano descriminati. Se il resto del nostro popolo avesse saputo che cosa stava accadendo a noi... Ma dubitavo che lo sapessero. Chissà se le notizie sulla nostra persecuzione erano arrivate alle loro orecchie. Magari sì. Ma non ritenevo che fossero a conoscenza dei campi.
« Oh, cazzo. Siete dappertutto. Siete peggio della peste. Ma tranquilla, quando avremo vinto la guerra non esiteremo a fare piazza pulita anche agli altri ebrei sparsi per il mondo. »
Accidenti alla mia boccaccia larga!
« Dubito che vincerete. » dissi, cercando di smorzargli l'entusiasmo.
Si mise a ridere.
« In poco tempo abbiamo conquistato tutta l'Europa, compresa l'Africa settentrionale. Vinceremo di sicuro. »
Era proprio sicuro di sé. Ma lo lasciai sognare. Lo vidi mentre si accedeva una sigaretta. Mi chiese, se mi desse fastidio il fumo e gli risposi di no.
Ancora non ci credevo che fosse cambiato... ma una SS poteva davvero cambiare?
Non lo sapevo. Ma di una cosa ero sicura. Un lato buono lo aveva anche lui. In fondo in fondo, bastava solo farlo uscire. Sarebbe stata una sfida abbastanza difficile.
« È tardi. Devo tornare al campo, scusami. »
Notai che l'orologio segnava l'una di notte passata. Mi diressi verso la porta, ma la sua voce mi risuonò da dietro.
« Vengo con te » e prese il cappotto di pelle.
« Ma... »
« Davvero pensi che ti lascerei andare da sola in giro per il campo? I miei uomini non appena ti vedranno ti spareranno senza pensarci su. »
Era stato categorico. Insieme al suo cappotto vidi che aveva preso anche un golfino di lana, che mi porse.
«Tieni. È per tenerti al caldo. »
Lo presi senza fare troppi complimenti e lo infilai. Era caldo e soffice.
«Grazie.» Glielo dissi con un immane calore. Lui rispose accarezzandomi la guancia.
Oddio.
Quel tocco era così intenso e magico.
Se pensavo ancora alle altre volte, quando mi schiaffeggiava per nulla. ..
Era orribile. Non volevo andarmene, questo era chiaro. Avevamo passato una serata bellissima. Purtroppo per me era volata come un soffio.
Uscimmo dal Kanada e poco dopo arrivammo a Birkenau. Era strano. Non mi ero mai avventurata di notte in giro per il campo. D'altronde chi era il pazzo che osava farlo.?
Ma con lui mi sentivo al sicuro.
Nel campo regnava il silenzio. Era inquietante.
In giro c'era solo le guardie con i cani.
«Dov'è la tua baracca? » mi chiese.
«È quella lì in fondo.» lo informai.
Superammo altre tre baracche, ma non appena arrivati, da dietro l'angolo spuntò una guardia, che. non appena mi vide, mi puntò il fucile contro.
«Ferma! Cosa ci vai ancora in giro, puttana ebrea?! » Urlò, diventando bordeux in viso. Ero pietrificata. Non si era accorto che con me c'era l'ufficiale. Per fortuna lui intervenì prima che potesse succedere l'irreparabile.
«Ehi. Abbassa quel fucile, pezzo di idiota! Non lo vedi che ci sono io, qui? »
Gli occhi gli diventarono come due fessure. Le mani gli tremavano per via della rabbia. La guardia abbassò immediatamente il fucile, impaurita da lui.
«Mi scusi. Non l'avevo vista, Hauptsturmführer »
Lui gli passò oltre, come se niente fosse. La guardia mi guardò in cagnesco. Io seguii l'ufficiale, standogli il più vicino possibile.
Arrivati finalmente alla mia baracca, ci spostammo verso il lato destro vicino all'entrata, in modo che nessuno potesse vederci. Ci sarebbe mancato solo quello.
«Eccoci qui. Io... Ti ringrazio per la serata. È stata bellissima, davvero. Ora però devo andare. »
Mi dispiaceva troncare in quel modo. Fosse stato per me ci saremmo salutati in modo diverso. Ma volevo evitare altri incontri come quello di prima.
Era davvero questa la verità?
No. La verità era che non mi volevo illudere. Se lo avessi fatto, ne avrei sofferto e io stavo soffrendo abbastanza.
Non appena mi girai, lui mi prese per il braccio, e mi fece girare di scatto, facendomi finire a bruciapelo vicino al suo viso.
«Aspetta. » mormorò rimanendo per pochi secondi in silenzio.« Volevo dirti che anche per me è stata una serata stupenda. »
Sorrisi. Era meraviglioso. Ed era assurdo pensare a noi due, lì, in mezzo al campo, con il rischio di essere scoperti. Anche se non stavamo facendo niente male, lui sarebbe finito nei guai anche se mi avesse rivolto la parola. E avevo paura. Paura per lui. Non volevo che gli succedesse niente.
«Sono contenta, davvero. Grazie ancora di tutto. È stata la mia prima vigilia di Natale e non lo dimenticherò mai.»
In quel momento, mi strattonò, prendendomi per il colletto.
Per un'attimo ebbi un po' di paura, ma quest'ultima si dileguò in una frazione di secondo. I suoi modi mi lasciavano ancora attonita.
«Jüdin, se ti azzardi di nuovo a dire la parola 'grazie' giuro che ti uccido. » Sussurrò sulle mie labbra, mentre intrecciava le sue mani fra le mie. Erano calde e morbide al tatto.
Era il suo modo di fare sarcasmo. Ma con il tempo mi ci ero abituata.
«Mi dispia.. » Sussurai a mia volta. Ma non finii la frase, perché lui mi diede un bacio sulla fronte.
Non me lo sarei mai aspettato. Sentivo le guance divampare. In quel momento, non sentii piu il freddo gelido. Mi voltai per entrare nella baracca e gli rivolsi un ultimo sguardo.
«Buonanotte e buon Natale, Herr Kommandant. »
«Buonanotte e buon Hanukkah, mia piccola Jüdin. »
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