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Capitolo 24

Canzoni del capitolo:

- 9 crimes - Damien Rice

- Pieces - Red

È ormai arrivato l'inverno. È passata una settimana dalla nostra ultima uscita. I giorni a seguire, sono stati meno tragici, al dire il vero. L'ufficiale mi viene a far visita spesso. Ma è cambiato dall'ultima volta. Stava mantenendo la sua parola. Non mi aveva sfiorato più neanche con un dito.

È un soldato, in fin dei conti. È un uomo d'onore. Anzi, qualche volta, trovo la sua presenza piacevole. Però non mancano mai i soliti battibecchi.

Ora sono in lavanderia quando intravedo, dall'altra parte dello scaffale, due occhi azzurri come il cielo.

« Jüdin, ti vedo in splendida forma, come sempre. E ancora mi sorprende che tu sia ancora viva. » ghigna, uscendo da dietro lo scaffale.

Alzo gli occhi al cielo. Fare dello spirito non gli manca di certo.

« E io sono sorpresa di vedere quanto tu sia ancora così stronzo. » dico, con un sorriso finto.

Ride. Ruoto gli occhi. È il solito. Non gli do spago mettendomi a piegare le camice.

« Jüdin, se non saresti mia "amica", adesso ti ritroveresti appesa per gli alluci a testa in giù. »

Sorrido, senza farmi notare, dandogli le spalle.
Allora ha accettato la mia amicizia. Però, chi lo avrebbe mai detto?

« Allora sono fortunata. »

« Molto. Sei fortunata ad avermi come amico. Non tutti hanno questo privilegio. O almeno non quelli della tua razza. »

Gli lancio un occhiataccia. Non mi va giù, il fatto di discriminare ancora la mia gente.

« Credimi, non ci perdiamo niente. » dico, acida. « Come mai sei qui? Sei venuto per darmi fastidio? »

Lo supero, ma lui mi precede mettendosi davanti, appoggiando il braccio contro il muro e cercando di non farmi passare.

« L'intento era quello, Jüdin. »

Cerco di passare oltre, ma lui non me lo permette.

« Lasciami passare! » esclamo, lasciandogli un'altra occhiataccia.

« Devo avere paura? »

Lo spingo via con tutte le sue forze, ma lui non si sposta di un millimetro.

« Coraggio, Jüdin, ce la poi fare. Che fine hanno fatto i tuoi muscoli? » ghigna, divertito.

« Sei odioso! » esclamo.

« Anche tu. »

Gli do una botta sul braccio. Lui finge di sentire dolore.

« Senti, Mister Perfezione, se non hai niente di meglio da fare, io dovrei tornare a lavorare, altrimenti mi frusteranno. »

« Va bene, Jüdin. Ti lascio andare, ma devo chiederti una cosa; sei impegnata il 24, la  sera? »

Lo guardo confusa. Fa sul serio? Cosa succede il 24? Siamo a metà dicembre e non ricordo cosa c'è in questo mese, oltre a Hannukka.

Lui mi passa oltre, per poi girarsi e sussurrarmi vicino all'orecchio:

« Tieniti libera, qualsiasi cosa accada. » conclude, andando via.

Questa poi.. Lo guardo allontanarsi con impressa un'espressione di sgomento.

***

Ripenso alle parole dell'ufficiale , così affascinante quanto misterioso. Che cosa voleva dire con: "Tieniti libera, qualsiasi cosa accada"? Questa sera, senza dubbio lo avrei scoperto. È  strano per me. Se prima non volevo avere niente a che fare con lui, adesso lo vedo troppo spesso e... non mi dispiace.  Mi sento attratta da lui. ma non dimentico che lui mi aveva fatto del male. Com'è possibile che ne sia attratta?

Pensando a lui, il cuore batte all'impazzata. Non mi è mai successo prima.
Al contempo, penso anche a Simon, non posso tradirlo. Ma, in fin dei conti, cosa c'è da tradire, se neanche stiamo insieme?
Poi un terribile pensiero mi sfiora la mente.

E se è  morto?

A pensarci, mi fa male lo stomaco.
Simon non è morto, me lo aveva  promesso, ci saremo rivisti un giorno.
Poi penso di nuovo all'ufficiale. È  affascinante ed attraente, sento emozioni che non ho  mai sentito per nessun altro.  Sono cosi confusa.

Guardo l'orologio. Sono le otto.  E ancora si è  fatto vivo. Ogni tanto guardo verso l'entrata per vedere se riesco  ad intravedere la sua figura. Ma non lo vedo.
Penso a qualcos'altro.
Il sole è  tramontato già da un bel pezzo. La neve cade fitta. Ho i brividi per via della porta che è sempre aperta. Ma il freddo è l'ultimo dei miei pensieri.

A me, la neve non dispiace. Ricordo di essere stata in montagna tante volte con la mia famiglia, ma adesso è diverso.

Quando ci sono andata l'ultima volta indossavo un capotto, non una semplice camicetta.
Sono stata molto fortunata. Mia madre e le altre sono ai lavori forzati al gelo.
Se ci penso , mi vene da vomitare. Ho i sensi di colpa. Ma nel campo vige una sola regola: badare solo a se stessi. È un po' come la legge della giungla.
Ormai non siamo  persone. Non più.
I miei pensieri vengono interrotti da Lucie.

« Oggi ci faranno stare qui, anche tutta la notte. » Poi guarda la mia mano. « Miriam, la ferita che hai sulla mano, ancora non l'hai...»

« Silenzio! Continuate a lavorare! » ordina, la Kapò dietro di noi, interrompendola.

Non appena la vedo andar via, Lucie riprende a parlare, stando bene attenta a non farsi sentire.

«... ancora non l'hai fatta vedere? » mi chiede, sottovoce.

Noto un leggero rimprovero nella sua voce.

« Non ho avuto tempo.. e io non ci vado in infermeria.» So che  cosa succede a chi entra lì dentro. È fuori discussione. Ho giurato di non metterci più piede.

« Se continui a ignorarla, si infetterà e allora sì che non uscirai più viva di qui. » dice, tenendo gli occhi bassi.

« Non preoccuparti, la farò vedere. Promesso. »  Le faccio un sorriso forzato.

Entrambe continuiamo a lavorare, in silenzio, per non farci riprendere di nuovo dalla Kapò, che,  in questo momento, passa dietro di noi.

In questo istante, arriva Gertrude, che mi prende per il braccio e mi fa alzare.

« Vieni.» intima.

Usciamo dal magazzino. La neve continua a cadere fitta, posandosi sui miei vestiti.

Metto le braccia conserte. Inizio a sentire freddo. Ma dove mi sta portando?

Ma quando vedo la strada, capisco. Riconosco questo posto. Saliamo le scale, arrivando davanti all'ufficio. Gertrude bussa. Sento la sua voce, dall'altra parte della porta. Il cuore inizia a battere. Quando Gertrude, apre la porta, Lui le fa segno di entrare.

Rimasta sola, entro con il cuore in gola.

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