Capitolo 23
Canzoni del capitolo:
- Justin Bieber - As long as you love me.
- Lights - Ellie Goulding
Mi sveglio piena di dolori. Mi sembra di aver dormito un'eternità. Non ricordo quando sia stata l'ultima volta che l'ho fatto.
Da quando mi trovo al campo, per tre mesi consecutivi, io e le altre venivamo svegliate sempre alle quattro del mattino per l'appello. Ma questa volta è diverso. Il sole è già alto nel cielo. Sbadiglio, mentre mi stropiccio gli occhi a causa del fastidio che mi procura la luce. Mi accorgo che sono ancora nel bosco. Quindi ho dormito fuori tutta la notte.
Tutta la notte... tutta la notte?!
Mi guardo intorno. Sono nella radura, di nuovo. Ma cos'è successo? L'unica cosa che ricordo è di essere scappata da quei uomini. Ma se sono svenuta, come ho fatto a tornare qui?
Sento un profumo: Menta e tabacco. È buonissimo. È insolito, ma l'ho già sentito da qualche parte. Abbasso lo sguardo e noto che sopra di me c'è un capotto di pelle. Il profumo è impregnato sul capotto.
Ma di chi può essere?
« Era ora che ti svegliassi, Jüdin. Non ho mai visto una persona dormire così tanto. » sghignazza. Riconosco questa voce.
Mi volto di scatto. Non può essere. Lo vedo appoggiato contro un albero, con la sua aria da strafottente.Mi da i nervi.
È strano. Per un attimo, messo in quella posizione con i raggi del sole che lo illuminano, mi sembra ancora più affascinante. Così tanto da potermi togliere il respiro.
Wow, devo averla presa bella forte la botta in testa.
« Tu. » mormoro, con i nervi a fior di pelle
« Io. »
« Sta' lontano da me! Mostro! » esclamo, rimanendo seduta indietreggiando.
« Ti avverto: se ti avvicini, la riceverai tu questa volta, la botta in testa! » prendo un sasso piuttosto grande, tanto da prendermi tutta la mano.
Lo sento ridere. Certo è una cosa oltremodo ridicola. Lui ha una pistola e io un semplice sasso. Sono indubbiamente in svantaggio.
La sua risata mi irrita ancora di più
« Smettila di ridere! »
« Io non prendo ordini da te, Jüdin. E poi, credo che voi ebrei abbiate un concetto diverso della parola gratitudine. » dice, avvicinandosi a me.
« Neanche sai cosa vuol dire: Gratitudine! »
Sono pronta per lanciargli il sasso. Non ho paura. Ma lui mi ferma in tempo, mettendo la mano sopra la mia.
i nostri volti sono vicini. Sento il suo respiro caldo addosso.
Il suo cuore accelera. Sento le farfalle nello stomaco. È una strana sensazione che non ho mai provato prima.
Fisso le sue labbra. Sono carnose e stupende.
Chissà che sapore hanno... se solo le mie labbra toccano le sue...
Mi mordo il labbro, sperando che certi pensieri non mi si leggano in faccia. Voglio le sue labbra. Voglio baciarle e prenderle a morsi.
il mio pensiero, non fa altro che aumentare il desiderio.
Perché faccio questi pensieri? No. Lui è il nemico.
Lui è un mostro! Lui è uno di quelli che mi ha distrutto la vita. Lui è... bellissimo.
A malincuore, aveva ragione, quando diceva che lui è perfetto. Sì, lo è eccome. È perfetto in tutto: gli occhi, il fisico muscoloso, i capelli, la sua voce... il suo sorriso.
Ma è uno di loro. Perché mi sento attratta da lui? Sono ridicola. Anche se lo sono, lui non ricambierà mai i miei sentimenti. Non si abbasserà a tanto. Va contro i suoi principi. Ne vale della sua reputazione.
Una SS non può provare attrazione per un'insulsa ebrea come me.
No. Siamo destinati ad odiarci. Lo odio per ciò che mi ha fatto. E anche lui mi odia, solamente perciò che sono.
Ma allora perché mi ha salvata? Se mi odia cosi tanto... che motivo aveva di soccorrermi?
Poi noto, appena sotto i suoi occhi, le occhiaie. Non ha dormito. Tutto ciò non ha alcun senso. Voglio delle risposte.
« Sei rimasto sveglio tutta la notte? » gli domando, senza smettere di fissarlo.
Lui rimane in silenzio. Respiro lentamente, aspettando la risposta che tarda a venire. Rassegnata, mi volto per andarmene. Non faccio più di due passi, che mi afferra il braccio e mi fa girare, costringendomi a guardarlo.
Il suo sguardo... deglutisco. Non può ridurmi in questo stato. Ho la pelle d'oca. Aspetto, ma lui ancora non dice nulla. Finché non prendo io la parole.
« S-sei stato tu a salvarmi? » chiese lei, sussurrando.
« Quante domande, Jüdin. » Il suo viso è troppo vicino.
Quest'attesa mi fa rimanere con il fiato sospeso.
« So per certo che sei stato tu. Perché lo hai fatto? »
Mi passa il pollice sulle mi labbra, delicatamente.
Mi piace . Il respiro si fa irregolare.
Continuiamo a guardarci negli occhi, come se non ne potessimo farne a meno. All'improvviso si allontana da me e mi sorride. Mi dispiace. Volevo ancora che quel contatto fra noi continuasse.
« Sì, Jüdin. Sono stato io. Ma non l'ho fatto per te. Anzi, ero rimasto a gustarmi la scena da lontano. Ma li ho fatti fuori perché... »
«Perché?» gli chiedo, senza pensarci due volte.
« ...Perché io odio i polacchi. » conclude, infine.
È la verità ciò che mi ha detto? Conoscendolo, presumo di sì. Lui è nato per uccidere e disprezzare tutti quelli che non sono come lui.
« Tu odi tutti, non è vero? » lo dico, con una nota di tristezza.
« Sì... Sì, odio tutti. Questo mondo è popolato da persone infide e mediocri. Non meritano di avere certi diritti, al pari di noi. Perciò stiamo ripulendo l'Europa dagli scarti. E ben presto, quando vinceremo la guerra, toccherà agli altri Paesi, come l'America. » mormora, con un tono di disprezzo.
Stento a credere che una persona provi tanta cattiveria e odio.
l'odio che provo per lui si trasforma in compassione.
« Sei tu a pensarlo o è il tuo Führer? »
« Certo che sono io a pensarlo, cosa credi? Sono capace benissimo di pensare con la mia testa. »
« Quindi, se supponessimo che quello che hai appena detto sia la verità, ovvero che sei in grado di prendere delle decisioni da solo... perché allora fai tutto quello che dicono gli altri? »
« Nel caso tu non l'abbia notato, ebrea, io sono un soldato. Sono tenuto ad adempiere al mio dovere. Se un mio superiore mi dà un ordine, io lo devo eseguire. Senza esitare. » risponde con aria calma e decisa, come se sia la la cosa più ovvia del mondo.
« Tu sei un soldato? Mmm, che strano, pensavo che i soldati stessero al fronte, non in un campo a uccidere delle persone innocenti! » esclamo, con tutta la rabbia che ho in corpo.
Lo sento sghignazzare. Ciò mi incrementa ancora di più la rabbia.
Mia alzo e vado verso di lui. La voglia che ho di prenderlo a pugni è tanta.
Quando mi avvicino, smette di ridere.
Gli sferro un pugno sul dorso con tutta la forza che ho, ma lui lo schiva e con un immane velocità mi afferra il braccio e me lo mise dietro la schiena.
« Jüdin, Jüdin. Così non va affatto bene. Se hai deciso di morire, bastava che me lo dicessi subito, senza tante scenate. » mi sussurra, vicino all'orecchio, ridendo. «Ora, se hai finito, dovremo tornare al campo. » dice, infine lasciandola andare.
Va a prendere il cappotto e, quando torna da me, mi mette la benda intorno agli occhi.
non è mai esistita una persona capace di farmi saltare i nervi.
Lui ha tutti i requisiti per farmi arrabbiare.
ora che ci penso, non vedo la mamma e le altre da un giorno interno, ormai. Saranno sicuramente in pensiero. Le sto facendo preoccupare da morire. Già immagino mia madre in preda al dolore.
Mentre cammino, sento un gemito di dolore alle mie spalle. È stato lui.
« Herr Hauptsturmführer, si sente bene? » domando, preoccupata.
Che cosa? Sono preoccupata per lui? Dopo quello che è successo poco prima, avrei dovuto urlare dalla gioia, non essere preoccupata.
D'istinto, mi tolgo la benda e noto che lui si è seduto per terra. Mi avvicino. Vedo la sua mano che preme sul fianco. Non sento le sue proteste, e la tolgo. Con orrore, vedo che la sua camicia è pregna di sangue. Non mi sono resa conto. Devo ammettere che è molto bravo a nascondere il dolore.
« Ma lei è ferito! » sbotto, con una nota di preoccupazione.
E a giudicare dalla fuoriuscita del sangue, è abbastanza profonda.
Deve essersela procurata quando mi aveva salvata dai ladri.
Gli prendo il braccio e lo avvolgo intorno al collo, facendolo alzare. È pesante, ma devo farcela.
Lì vicino c'è un albero, lo faccio sdraiare delicatamente, di schiena.
La ferita deve rimarginarsi in fretta. Sta' perdendo troppo sangue.
Poi mi ricordo della cassetta del pronto soccorso che avevo intenzione di rubare a quei uomini.
Vado a riprenderla. Non c'è tempo da perdere. Quando la trovo, corro subito indietro e si mi siedo di nuovo vicino a lui.
Devo aprirgli la giubba. Con un respiro profondo, comincio ad aprire il primo bottone.
Ma lui mi ferma.
« Che cosa stai facendo? » mormora, digrignando i denti.
« Non vedi? Ti sto curando. »
« Non mi serve il tuo aiuto! » sibila con una smorfia di dolore.
« Non dire stupidaggini! Hai una ferita gravissima. »
« Questa non può considerarsi una ferita! » esclama, stringendo
I denti dal dolore.
Un'altra fitta, lo ha percosso. Adesso ne ho abbastanza. Sono stufa di lui e del suo modo di pensare.
Ho di nuovo gli occhi lucidi. E le lacrime incominciano ad uscire senza controllo.
Perché non capisce? Perché?
La rabbia è tanta, che mi scaglio su di lui:
« Sei uno stupido... » sussurro piano « Sei uno stupido! » dico poi ad alta voce e con rabbia « Sei uno stupido! Stupido! Stupido! » grido in preda alle lacrime, prendendolo a pugni sul braccio.
« Ti credi tanto forte? Beh, io sono stufa! Sono stufa di te e di quello che pensi! Se sei veramente forte come dici tu, per me puoi tornare anche a Birkenau strisciando! Vedremo la forza della razza ariana! » Detto questo, giro i tacchi e marcio verso il passaggio.
Il problema è che non so dove sia, dato che ogni volta lui mi bendava gli occhi, sono costretta a rallentare il passo. Questa volta, ha superato ogni limite. Non vuole il mio aiuto? Benissimo. È solo colpa sua, se è ridotto così. È anche vero, che è anche colpa mia. Se non mi fossi allontanata, non avrebbe affrontato quei ladri. Sono scappata per salvarmi da lui. È un circolo vizioso.
Mentre sono ancora presa dai miei pensieri, lo sento chiamarmi.
« Ehi, ebrea! » grida, a pieni polmoni.
Quando sento quell'appellativo, non mi volto. Anzi, aumento il passo.
« Io non mi chiamo ebrea! » lo correggo, non voltandomi.
Ne ho fin sopra i capelli della sua arroganza.
« Ehi, tu! » esclama, di nuovo lui.
« Non mi chiamo neanche 'ehi, tu!' » replico, furibonda.
« Ehi, accidenti a te! Torna subito qui! È un ordine! »
Devo ritenermi soddisfatta del risultato ottenuto. Quindi torno indietro.
Ma il mio piano è completo solo a metà.
Quando sono di nuovo di fronte a lui, mi inginocchio per guardarlo meglio e, con aria soddisfatta e compiaciuta, dico:
« Allora è questa la razza ariana? Oh cielo... che delusione. Pensavo che voi tedeschi foste molto forti, invece... no»
Nei suoi occhi, intravedo la rabbia e l'odio. Infondo lo ha voluto lui.
« Se hai finito di fare l'eroe, posso incominciare a medicarti. Ma prima ci sono delle cose da mettere in chiaro. »
Ora è vulnerabile, posso ribaltare la situazione facendomi rispettare
« Dimmi quello che devi dirmi... e in fretta. » mormora, stringendo i denti.
« Punto primo: non chiamarmi più ebrea, Jüdin,giudea, eccetera. Io ho un nome ed è Miriam! »
« Sì, che bel nome ebraico » ghigna, con una smorfia di dolore.
Sorrido soddisfatta per quella fitta e continuo.
« Punto secondo: non osare mai più mettermi le mani addosso. »
« Tutto questo è ridicolo. » obietta lui, indignato.
« Ultimo e terzo punto: potremo provare ad essere... amici. Io e te. »
Alla parola "amici", lui scoppia a ridere.
« Io... amico tuo? Oddio, mi sento male. Non ho mai riso così tanto in vita mia! »
Rimango seria. Mi è costato molto dirlo. Ma d'altro canto, come posso biasimarlo?
Ma lui mi ha salvata. Anche se non lo ammetterà mai che lo aveva fatto per me, e quindi tanto cattivo non può essere.
« Hai ragione tu. È una follia. »
« È una pazzia! Io, amico di un'ebrea. »
« Vuoi che ti aiuti, sì o no? Allora promettimi che manterrai queste cose che ho detto. »
Non risponde. Ma il suo sguardo minaccioso parla per lui. Sospiro. Mi alzo di nuovo, e sono sul procinto di andarmene. Quando, finalmente, si decide a rispondermi:
« Va bene! Va bene! » esclama, furioso.
« Non ho sentito 'lo prometto'. »
« Tu... »
« Allora? »
« L-Lo p-prom..etto » disse, sussurrando.
« Non ho sentito. »
« Lo prometto. » dice, stringendo i denti.
« Ecco, visto? Non era poi così difficile, fare il bravo bambino. » disse, riprendendo alla lettera le stesse identiche parole che le aveva detto il giorno prima.
« Maledetta... Arriverà il giorno che... »
« Sì, sì, ora fammi medicare la ferita. »
« Mi porterò questa vergogna nella tomba. » lo sento dire.
« Se non volevi subire questa vergogna, non avresti dovuto aggredirmi in quel modo! Ora stia zitto e lasci che la curi. »
Inizio a sbottonargli la giubba dell'uniforme. La camicia da bianca è diventata rossa. Devo far presto. Gli tolgo le bretelle e gli sbottono la camicia.
Vedo la ferita. È rossa e lucida.
Un pensiero mi passa per la testa, e mi fa rimanere senza fiato. È la prima volta che lo vedo a torso nudo. Sento le guance avvampare dal rossore.
I suoi bicipiti sono gonfi e i pettorali scolpiti.
Il cuore batte sempre più forte. Non ho mai visto un ragazzo a torso nudo, forse una volta Simon.
Ma non è la stessa cosa. Non sò il perché, ma con lui, mi sento diversa. Un'altra persona.
Torno a pensare alla ferita.
Apro la cassetta del pronto soccorso e prendo delle bende, un ago e un filo.
« Hai un accendino? »
Lui lo tira fuori dalla tasca. Passo l'ago sopra la fiamma.
prendo un panno dentro la cassetta, sul quale verso del disinfettante.
« Ora stia fermo. Brucerà un pochino.»
Premo il panno sulla ferita. Lui emette un grugnito quasi percettibile. Devo ammettere che sa sopportare il dolore. Cerco di concentrarmi. È la prima volta che eseguo un'operazione del genere. Non devo distrarmi.
« Dove hai imparato? » mi domanda.
« Mia zia era una crocerossina, quando c'era la guerra. Mi ha dato qualche lezione. »
« Anche mio padre partecipò alla prima guerra e da quel momento non ha più smesso di fare il soldato. »
« Anche tuo padre è un soldato? » domando, sorpresa.
Non sapevo che anche suo padre era nel rango militare.
« Sì » conferma con voce spenta.
« Lo dici come se fosse una cosa brutta. Anche lui saccheggia e uccide le persone? »
« Non proprio. Lui è più uno di quelli a cui piace comandare e basta. »
« Dove si trova adesso? »
« È al fronte, in Russia. »
« Da come ne parli, sembra che tu e lui non andiate molto d'accordo. »
« No, infatti. Mi vede più come un soldato che come un figlio. Da piccolo, non ho mai avuto le sue attenzioni. Non l'ho mai reso fiero, secondo lui. »
Devo ammettere che è una situazione molto triste. Ci sono tanti nuovi aspetti di lui che affiorano. Lui è molto di più di quello che vuole far credere. Mi sento in colpa.
« Con mio padre, invece, era diverso. Ci portava al parco giochi, a me e mia sorella, ci raccontava delle storie prima di andare al letto, ci portava al cinema. Gli volevo bene. Mi manca da morire. » dico, malincuore.
« Beh, tutte cose che avrebbe dovuto fare anche mio padre. » dice, infine.
Ho quasi finito la medicazione. Finisco di cucire la ferita. Sto sudando. Mi ricordo che zia Mimì mi disse che non era affatto uno scherzo cucire una ferita. Aveva ragione.
« Perché lo stai facendo? Perché mi stai curando? Io non lo avrei fatto, se tu fossi stata al mio posto. Ti avrei lasciato lì senza pensarci su. »
« Oh lo so. Avrei dovuto fare la stessa cosa. Ma, vedi, mi è stato insegnato che nella vita non c'è spazio per il rancore e l'odio. Neanche verso i tuoi nemici. »
« Cosa ne sai? Quando mi sarò rimesso non esiterò ad ucciderti e lo farò senza alcuna pietà. »
« Io non credo che lo farai. »
« Come fai ad esserne così sicura? » sussurra.
« Perché se mi odiassi veramente, mi avresti già ucciso la prima volta che ci siamo incontrati. » sorrido.
Finito di cucire la ferita, ripongo tutto dentro la cassetta.
« Bene, ecco fatto. Ce la fai ad alzarti? »
« Sì. » disse, mentre cerca di rialzarsi. Ma poi ricade di nuovo. Vedendolo in difficoltà, lo aiutò.
« Dovrò scortarti fino al campo, in questo modo »
« Sì, Jüdin. Ma non pensare che questo cambi qualcosa tra di noi. Arrivati al campo, ognuno per la sua strada. E poi incomincerò ad odiarti più di prima. »
Sorrido. Non è difficile per lui abituarsi a quella nuova situazione. Ma so che, nel profondo, non la pensa cosi. Adesso, ho capito.
Questo mi fa sperare in un futuro positivo.
« Almeno posso sapere come ti chiami? » dico, curiosa.
« Non voglio che le tue labbra infanghino il mio bellissimo nome. Quindi per te sono ancora: Herr Hauptsturmführer. »
Sorridiamo entrambi. Mi piace questo suo lato scherzoso. Sento che qualcosa sta per cambiare. Il mio odio verso di lui, si dilegua poco a poco.
Nota dell'autrice:
Capitolo modificato
Ecco a voi il nuovo capitolo :)
Allora come avrete visto ho cambiato i nomi dei personaggi tranquille/i vi spiegherò tutto, ma non qui. Perché ho da scrivere un bel po' di cose XD a breve pubblicherò un avviso :)
Spero che vi piaccia ❤
Ringrazio chi leggere questa storia, chi vota e chi commenta❤
Un megabacione
Noemi
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