Capitolo 17
Canzoni del capitolo:
- If Today was your last day - Nickelback
- In Between - Linkin Park
Non saprei dire con certezza da quante: ore, minuti o secondi sono qui, con il mio carnefice.
È un incubo dal quale desidero svegliarmi.
L'ufficiale, è seduto sul mio bacino e con le sue gambe fa pressione sui mie fianchi.
Lo sento ghignare con un'espressione pari a quella di una tigre indecisa su dove azzannare per prima la sua preda, si abbassa di nuovo su dime.
Sussulto, quando mi afferra i capelli. Chiudo gli occhi. Serro la mano a pugno e quando riapro gli occhi mi regala il più beffardo dei suoi ghigni:
« ...giocare con la mia nuova bambolina. »
Si avventa di nuovo sulla mia gola, riempiendomi di succhiotti. Inarco la schiena. Sbaglio madornale. Noto un rigonfiamento in mezzo alle sue gambe. Arrossisco violentemente.
« ...ti prego... » continuo a dirgli. Anche se so che è tutto inutile.
Inizia a sfilarmi la camicetta, fino ad arrivare all'ultimo bottone, e in un attimo lo strappa via con i denti. Sussulto, agitata. Lui, mi guarda con uno sguardo mordace.
« Rilassati, Jüdin ... o ti giuro che non avrò nessuna pietà. » detto questo, me la strappa definitivamente di dosso.
« Sai, Jüdin ... » inizia a toccare il mio corpo, con avidità. Mi fa alquanto schifo. « Non pensavo che un'ebrea come te potesse ritrovarsi un corpo come questo, anche se...» si lecca le labbra con la lingua, in maniera estremamente maliziosa e inizia a toccare il mio ventre caldo., salendo poi fino al pizzo del mio reggiseno e iniziandoci a giocarci. « ...mi sono sempre chiesto cosa nascondessi sotto a questi stracci.»
Si abbassa leggermente su di me. Inizio a tremare, ma non lo do a vedere. Non voglio dargli questa soddisfazione.
« Perfino quando venivo nel Kanada, ogni qual volta che che ci siamo incontrati...»
Il suo sguardo allusivo mi agita sempre di più e il suo tono di voce mi fa battere il cuore a mille.
« Non sai quanto ti ho guardata. Non sai quante volte ti ho spogliata con gli occhi... non sai quante volte ti ho desiderata legata al mio letto, nuda, sudata, mentre piangevi e mi imploravi di smettere, di avere pietà... ho sognato di umiliarti in questo modo mille e mille volte... ho sognato di farti mia in mille modi diversi, di distruggerti, di annientarti, di sfinirti... ed ora, finalmente, posso farlo... »
« Ma non temere... » Abbassa lo sguardo, e con le labbra scende fino all'incavo dei miei. « ...non lo farò adesso, sebbene te lo meriteresti. »
Sobbalzo, spaventata a quel contatto, ma quando una mano di lui andò a solleticarle un fianco, il suo corpo si rilassò.
« Non voglio sentire urla di dolore. Non voglio sentire suppliche e lamenti... »
Miriam non riuscì a trattenere un gemito di piacere.
« Ora... voglio sentire solo i tuoi gemiti e le tue grida di piacere... è questo quello che voglio! » mi sfila i pantaloni e le mutandine.
Con le dita stringo le lenzuola. Ho sempre immaginato la mia prima volta un tantino diversa, ma mi sbagliavo. Accanto a un ragazzo che mi avrebbe portato rispetto, ma soprattutto, amore.
Le lacrime prendono il sopravvento. Quando le sue dita entrano dentro di me, mando la testa all'indietro. Un dolore lancinante mi percuote tutto il corpo. Ma non gemo. Rimango impassabile, anche se è difficile.
All'improvviso sentiamo qualcuno bussare alla porta. Dio, ti ringrazio. Tiro un sospiro di sollievo.
La voce dall'altra parte della porta, bussa di nuovo. Lui è costretto a smettere.
« Herr Hauptsturmführer, il comandante richiede la vostra presenza, signore. »
Ma lui non smette, anzi continua interperrido a giocare con il mio corpo, finché non mi libera dalla sua presa.
Prima di lasciarmi andare del tutto, mi bacia con sensualità la guancia. Un brivido caldo mi investe.
Si alza e lo vedo prendere i miei vestiti. E li getta sul letto.
« Prendili e vattene. »
Non me lo faccio ripetere due volte. Infilo la biancheria intima insieme ai pantoloni e la camicetta ed esco.
Schifoso, maledetto!
Per fortuna, quella guardia ci aveva interrotti in tempo, altrimenti non saprei come poteva andare a finire.
L'unica cosa che mi lascia perplessa, è stata la reazione del mio corpo. Mi fa schifo solamente il pensiero. Ora l'unica è evitarlo. Decido di prendere una decisione drastica.
Non posso mettere a rischio la mia vita, e so a chi rivolgermi. Così mi dirigo verso il Kanada.
***
Esco dal magazzino con una cesta piena di vestiti. Oggi ho questo compito. Portarli in lavanderia per disinfettarli.
Sono ancora sotto shock per quello che è successo, solamente poche ore fa. In questo momento vorrei solo sparire.
Sparire completamente.
Voglio piangere, ma non ne ho più la forza.
Questo posto. Questa bolgia infernale. Non solo mi aveva portato via la sua famiglia, mi aveva anche condotta a lui.
Nella mia mente penso ancora al suo viso. La sua espressione sadica. La sua cattiveria.
Stringo i pugni.
Lo odio. Lo odio con tutta me stessa.
E mi odio anche io, per essere talmente impotente da non potermi opporre alla sua spietata ferocia.
Incrocio le braccia al petto, e mi accuccio in mezzo alle pile di vestiti e appoggio la testa sulle ginocchia.
Le lacrime, alla fine, hanno ceduto.
Come si è permesso? Come può un uomo trattare una donna in quella maniera?
È un mostro.
Anzi, era peggio.
Sento ancora le scie della sua saliva sulla sua pelle. Provo un sensazione di disgusto. Adesso il mio corpo è marchiato dai suoi baci non autorizzati. Mi sento sporca e umiliata. Ed era proprio questo il suo scopo: Umiliarmi.
Ho sempre pensato che un uomo tratti ogni donna, senza eccezione, con rispetto, che l'avrebbe protetta dagli altri, che si prenda cura di lei, che sia la sua migliore amica, sua sorella, una figlia o la sua compagna.
Mio padre mi aveva sempre protetta dai pericoli, si è sempre preso cura di me e di mia sorella. Non ci faceva mai mancare niente.
Alle feste, ai compleanni... ogni volta ci portava a casa dei doni, uno più bello dell'altro.
Ricordo che per il mio tredicesimo compleanno mi aveva regalato una macchina fotografica. Una Leica. È stato il più bel regalo che abbia mai ricevuto. Con quella macchinetta avevo immortalato tanti bei ricordi.
Alla mamma, per il loro anniversario, le aveva comprato una collana di perle. Era stupenda. Non eravamo ricchi, ma, nelle occasioni speciali, lui voleva sempre renderci felici.
Mio padre e mia madre... ricordo i loro sguardi complici, le carezze affettuose che si scambiavano... ogni gesto d'amore era come il primo.
Sono stati sempre innamorati. Si amavano alla follia. Che io ricordi, lui non l'aveva mai sfiorata con un dito. In tutti quegli anni l'ha sempre fatta sentire una regina.
L'aveva sempre protetta come se lei fosse stata l'ultimo diamante sulla terra.
E Simon... ricordo la sua timidezza, la sua goffaggine, i suoi abbracci, i momenti passati assieme, le risate. Lui non si sarebbe mai permesso di trattarmi così. Come se fossi stata uno scarto. Non avrebbe mai profanato il mio corpo, non mi avrebbe mai picchiata, non mi avrebbe mai... violentata.
Oh Simon... Mi manchi tantissimo.
In questo momento lo vorrei, accanto a lei. Voglio sentire le sue braccia che mi avvolgono. Le sue parole di conforto. Se non fossi stata così stupida e ingenua, avrei capito che lui, proprio lui, era il ragazzo giusto. Mi amava. Si è sempre preso cura di me. Mi aveva donato il suo cuore. Lui c'è sempre stato, in ogni momento, in ogni istante... lui era sempre lì.
E adesso, non lo avrei rivisto mai più.
Nascondo il viso fra le mani e singhiozzo silenziosamente. Lacrime amare piene di dolore. Rancore. Odio. Disprezzo.
Le SS sono dei mostri incapaci di qualsiasi sentimento. La sofferenza altrui alimenta il loro odio.
Anche io li odio, li odio tutti. Non sono uomini. Sono dei demoni assetati di sangue.
Un giorno pagheranno a caro prezzo tutto quanto.
Sento una voce alle mie spalle:
« Che cosa fai lì? Torna a lavorare! »
Mi alzo spaventata e mi giro di scatto. Gertrude è davanti a me. Mi asciugo le lacrime.
Mentre la guardo allontanarsi, ricordo la mia idea. Devo raggiungerla prima che vada via, mi avvicino a lei frettolosamente.
« Gertrude! Gertrude, aspetta! »
La Kapò non si gira, continua a camminare, facendo finta di non sentirmi.
Le afferro il braccio, costringendola a fermarsi.
« Come ti permetti?! »
« Gertrude, ti prego devo parlarti. »
La Kapò mi guarda con aria rigida e severa.
« Lasciami andare. Subito. » dice, scandendo bene le parole.
« No. È urgente. »
« Piccola stronzetta! Non mi interessa sapere quello che hai da dirmi. E ora, lasciami andare! »
« Va bene. Vai. Ma cambierai idea quando saprai che ti pagherò. »
La Kapò sentendo le mie parole si ferma e la vedo tornare indietro. Mi prende il braccio e mi conduce in un angolo appartato, in modo che nessuno ci possa sentire.
« Che cosa vuoi? »
Faccio un respiro profondo e parlo a bassa voce, ma con eloquenza.
« Ho bisogno che mi trovi qualche altro posto dove lavorare. Voglio andarmene. Non voglio più rimanere qui. Qualsiasi lavoro va bene. Basta che sia il più lontano possibile da qui. »
« Ma sei pazza? Lo sai benissimo che è proibito cambiare il Kommando di lavoro di propria iniziativa. »
Tiro fuori dalla tasca quattro diamanti. Cerco di parlare la sua lingua.
« Per favore. »
Gertrude, li fissa senza prenderli.
« E dimmi... Posso sapere perché vuoi andartene? Se devo rischiare la pelle, è bene che io sappia il perché. Ci sono internate a Birkenau che venderebbero la loro anima per venire qui. E tu vuoi andartene... »
Non esito a rispondere, replicando con una mezza verità.
« Voglio stare vicino a mia madre e mia sorella. Tutto qui. »
La kapò mi osserva, attentamente. Deglutisco. Spero di averla convinta. In fondo a lei, cosa le cambia?
« E così questa è tutta la verità? Beh, quindi se ti dicessi che quell'ufficiale non c'entri niente con il tuo abbandono... è sicuramente una menzogna. »
Abbasso la testa. Sento di nuovo gli occhi lucidi.
« Mi ricordo, ora. Vi avevo sorpresi in atteggiamenti alquanto intimi. Ma ti dico una cosa: ne vale la pena? O qui o in un altro posto. Che differenza farebbe? Ti troverebbe lo stesso. È da stupidi rinunciare a un privilegio come questo. »
Finita la frase, le lacrime cominciano a spingere, rigandomi il viso e sono costretta a chinare il capo a terra.
Improvvisamente, sento la carezza delicata di Gertrude, che mi coccola dolcemente la guancia e, non potendo farne a meno, le stringo forte la mano con la mia, appoggiandomi con tutta la forza rimasta, piangendo calde lacrime di disperazione e rassegnazione.
Gertrude è diversa dalle altre Kapò. Anche loro sono delle prigioniere, ma, a differenza delle altre sue colleghe, lei prova compassione. Lo avevo notato anche il modo, a cui mi si rivolge.
La donna mi abbraccia con tenerezza, mentre mi aggrappo disperatamente a lei, nel tentativo di non cadere, di non cadere in quel baratro di dolore e solitudine che minacciava di cogliermi da un momento all'altro.
« Piangi, piangi tutte le tue lacrime. »
Le mie gambe cedono. Le ginocchia crollano a terra, facendomi restare in ginocchio, portandomi a terra anche Gertrude.
Non ce la faccio a mantenere la sua promessa. Nonostante tutto, non mi reputo forte.
Ho paura. Una paura folle e disperata.
Gertrude mi accarezza la testa, guardandomi piena di compassione e tristezza. Perché tutto questo dolore?
Non dice niente, finché non mi calmo un pochino, per poi aiutarmi ad alzarmi e mi asciuga dolcemente le lacrime
« Su, su,... ora respira, calmati... »
« Mi perd... oni... p-per... quest... questo... »
Gertrude prende dalla sua tasca un fazzoletto di stoffa e me lo porge.
Mi asciugo le lacrime. Ora non so che cosa fare.
« Vuoi un consiglio? Non cedere. Mai. Non perdere la dignità. Possono portarti via tutto, ma non farti mai togliere quel poco di dignità. Ora è meglio se torni a lavorare. »
La Kapò mi guarda ed è in procinto di andarsene. La fermo di nuovo.
« Gertrude... Grazie. »
Sorride e se ne va. Dopo questo momento di debolezza, continuo a smistare vestiti.
Dignità...
No. Non glie lo permetterò mai. Non avrei mai permesso a nessuno di prendersela. Ci sono tre valori fondamentali nella vita e sono: Famiglia, amore e dignità. E non bisogna svalutarli.
Perché, sapere quando è ora di andar via significa saggezza ed essere in grado di farlo è coraggio.
Andare via a testa alta, è dignità, perché ogni anima è un universo di dignità infinita. Quindi decido di rimanere.
Odo dei passi e mi accorgo di avere ancora fra le mani il fazzoletto di Gertrude.
È tornata per riprenderselo, sicuramente. È stata molto gentile con me. E gliene sarò grata grata.
Colgo l'occasione per dirglielo. Quando i passi si fermarono, mi alzo mostrando un sorriso.
« Scusami, non ti ho ridato il fazzoletto. Me ne sono completamente dimenticata. » dico, voltandomi « Grazie ancora, Gertr... » la mia voce si spegne.
Mi accorgo solo ora, che non è Gertrude la persona che mi è di fronte, ma un ragazzo dagli occhi azzurri, con la divisa impeccabile.
Indietreggio lentamente. Scioccamente mi sono illusa, che l'incubo fosse finito. ma non c'è mai fine al peggio.
Cosa sempre ci tengo a ringraziare:
♥ Chi recensisce/vota
♥ Chi legge la mia storia.
♥ Chi la mette nella biblioteca.
Grazie ancora, alla prossima.
Bacioni, Noemi
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