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Capitolo 14

Canzoni del capitolo:

- 9 crimes - David Rise

- Quite Miss Home - James Arthur

L'autunno sta per finire. E L'inverno è alle porte, ormai. Iniziano a cadere i primi fiocchi e l'aria diventa sempre più fredda e rigida.

Non sono abituata a queste fredde temperature che ci sono, qui, in Polonia. Non è un freddo normale.

Certo, se avessi dormito dentro una casa calda e accogliente, dentro, un letto caldo e soffice, non avrei avuto niente da ridire. Passare la notte dentro la baracca, è diventato insostenibile. Il freddo ti gela persino le ossa.

Non indossiamo niente di pesante solo questa tunica a righe di stoffa leggera. E non abbiamo niente con cui coprirci, se una coperta strappata e consumata.

Per scaldarci a vicenda , dobbiamo ammucchiarci e dormire vicine. Una accanto all'altra. Per me è scomodissimo, ma è meglio di nulla.

Domani sarei tornata nel Kanada, almeno li non avrei patito il freddo, in confronto alle donne che lavoravano ai lavori forzati. Mi giro su un fianco, quando sento la voce di Rachel:

«Ehy... Miriam. Sei sveglia? »

«Si » sussurro.

Rachel cerca di avvicinarsi,facendosi largo tra i corpi umani che ci dividono. Quando siamo l'una accanto all'altra, ci scambiamo un sorriso.

«È da molto che non parliamo. Ti trovo bene. È un onore parlare con una privilegiata. »  Rido, ma non troppo forte.

«  Scema. Lavorare nel Kanada avrà molti privilegi è vero... ma sei sempre un prigioniero. A parte gli scherzi... voi come state? Tu e Lèa.... »

«Stiamo bene, per ora. Viviamo alla giornata, non sapendo se arriveremo a domani. Invece.. tu? Come ti trovi lì? »

«Bene... credo. Ho conosciuto una ragazza si chiama Lucie. Sai, è francese anche lei. È molto simpatica e gentile. » Rachel sorride.

La guardo attentamente. Ha un'aria strana. Non capisco il motivo. Forse sarà la stanchezza. Ma io e lei ci conosciamo da quando eravamo nelle rispettive carrozzine. È come un libro aperto per me, come io lo sono per lei.

«Ti ho vista l'altra volta. I lividi.... chi ti ha ridotto così? » mi chiede.

Non rispondo. Cerco di dimenticare quello che mi è successo. Ma so di non incantare Rachel, anche se avrei negato, non ci sarebbe mai cascata.

La guardo. Rachel mi fissa in attesa di una risposta. « Beh, qualunque cosa sia successo. Adesso sei viva. È questo quello che conta »

Le sorrido e l'abbraccio. Sono fortunata ad averla qui. Anche se non lo avrei prefeito. Rachel rispetta la mia privacy, non insiste e chiude il discorso.

« Certe volte, ripenso alla nostra vecchia vita. La notte sogno di potermi risvegliare nella mia camera. E andare in giro per Parigi. Anche senza uno scopo. Voglio passeggiare. Come una persona libera. Non mi ricordo niente. L'aria, i rumori, i parchi in cui ci fermavamo a giocare da bambine... non ricordo niente. Secondo te... rivedremo mai Parigi? »

«Certo che la rivedremo. »  dico, senza pensarci « Hai mai pensato al nostro futuro? Mi avevi detto anche cosa volevi fare da grande »

«Io.. io non mi ricordo » sussurra, con un filo di voce.

«Sì che ti ricordi. Volevi vedere il mondo e....» non finisco la frase che Rachel mi precede « ...Diventare una stilista. Come Coco Channel. »

« Sì. Mi piacevano tanto i tuoi vestiti. Invece, io, quando la guerra sarà finita, terminerò gli studi. Riprenderò a studiare. Voglio diventare una maestra. Per poter insegnare alle generazioni future, i valori della vita e ciò che a da offrirti e quando c'è di più bello e caro in essa »

«Spero che il tuo sogno si realizzi, un giorno. Mi sono sempre immaginata, noi due da grandi. Avremo una famiglia e i nostri figli giocheranno insieme, che a loro volta avranno dei figli. E noi diventeremo nonne. Avevo pensato, quando sarò diventata una stilista, di poterti invitare in qualcuno dei miei viaggi. Quindi non ti liberai di me tanto facilmente. » Ridiamo, senza far rumore. Non vogliamo svegliare l'intera baracca.

«Ecco perché dobbiamo combattere. Questi sono i nostri scopi e pensare ad essi, ci mantengono in vita. »

«Londra. New York. Sydney. È lì che andrò io. A vedere il mondo » mormora, Rachel sognando a occhi aperti

« A vedere il mondo. »

***

La mattina dopo, nel kanada, io e Lucie siamo all'interno dei soliti magazzini. Stiamo smistando alcuni oggetti.

Ricordo, quello che avevo visto. Tra lei e Jacob. Dovrei farmi gli affari miei. D'altronde non ero lucida.

«Allora, tu e Jacob. Da quanto va avanti? » Lucie si gira verso di me. La vedo impallidire.

« Ma tu... come fai a sapere...» sussurra.

«Quando mi avete curata, Jacob mi aveva iniettato il tranquillante ed ero dormiveglia. Tranquilla. Il vostro segreto è al sicuro con me. Sono così felice per voi »  Almeno lei, ha qualcuno accanto. Ha trovato l'amore. Anche se in un posto orribile come questo . Chissà, se un giorno avrei incontrato anche io una persona speciale.

«Invece, tu? Hai qualcuno? » mi chiede, Lucie, incuriosita.

Abbasso lo sguardo « Gli... hai dovuto dire addio? Oh mi dispiace, non lo sapevo.. »

«No. » la interrompo. « Nessuna delle due. Non ho mai avuto un ragazzo e... non so neanche se lo avrò. In questi giorni, mi soffermo molto a pensare alla mia vita. E penso, gli altri bene o male hanno vissuto la loro giovinezza. Ma io e come tante altre, l'adolescenza ci è stata strappata senza preavviso. Io ho un po' di speranza. Ma le mie amiche... non sanno se riusciranno ad arrivare vive al giorno successivo. Io sono quella che le incoraggia, quella che da supporto... un sostegno morale. Ma, se, dovessi, perdere anche io quel poco di fiducia, come faranno? Le deluderei. » concludo, asciugandomi le lacrime.

«Ehy, va tutto bene. Miriam, è una cosa bellissima quella che stai facendo. Dare la speranza alle persone. Tu hai un dono. Un dono davvero speciale. Tu stai salvando delle persone. In pochi, qui dentro, hanno questa capacità. Non devi abbatterti, le tue amiche ti voglio bene e capiranno. Ti invidio. Anche io voglio avere la forza d'animo che hai tu. Alcune volte ti vedo sorridere, persino ridere. Come ci riesci? Io ho dimenticato come si fa... »

Rimango stupita dalle parole di Lucie. Adesso è lei ad avere lo sguardo triste . Mi viene un'idea. Con  l'indice sia della mano destra e della mano sinistrale sollevo gli angoli della sua bocca in modo da poter mostrare un sorriso.

«Ecco. Ora hai di nuovo il sorriso. Un po' arrugginito ma c'è » Levo le mani.

E questa volta, Lucie sorride. È  un sorriso spontaneo. Persino  da mostrarne i denti. Lucie mi Abbraccia così forte da farmi mancare il respiro.

«Grazie. Grazie » esclama, commossa.

Ricambio quell'abbraccio. Ho fatto una cosa stupenda per Lucie. Dire che ho un talento naturale, per far risollevare l'umore. Ed è un dono prezioso.

Torniamo nel solito magazzino e continuiamo a scucire vestiti, e pulirli. Così, fino a mezza giornata.

Sto facendo un ottimo lavoro, ultimamente e sono fiera di me stessa.

Metto le banconote che ho trovato dentro una manica nella scatola. Alzo lo sguardo e vedo una kapò venire verso di me.

« Alzati » ordina. Faccio quello che mi dice. La vedo chiamare un'altra ragazza e ci da delle coperte.

« Portate queste in infermeria. » 

Io e l'altra ragazza usciamo dal magazzino. Alla fine non mi dispiace fare queste commissioni. Non sopporto di stare sempre seduta.

Quando arriviamo al cancello, mostriamo il pass alle guardie.

Il pass, lo avevano solo gli internati del kanada. Può farti accedere in qualsiasi parte del campo, senza essere fucilate.

Entriamo nella stanza dove ci sono tutte le donne, ammalate. Poso le coperte su un letto. E le guardo. Stanno soffrendo. Ma non vedo ferite. Forse hanno la febbre.

Un dottore delle SS esce, da quella che si direbbe una sala. Si avvicina a noi e la sua assistente prende la ragazza che è venuta insieme a me.

Mi guarda spaventa e mi prende le mani. So che non vuole entrarci. Ho un brutto presentimento. Mi abbraccia, prima che l'assistente dell'ufficiale, la porta dentro la sala.

Non ho il permesso di entrare. Non mi fido. Che cosa le staranno facendo? Non sento nulla.

Forse è solo un semplice controllo. Da un'altra stanza, vedo entrare un altro dottore delle SS e... no, non è possibile.

Ancora lui.

Mi nascondo dietro una colonna, sperando di passare in osservata. Questa è una maledizione. Più desidero di non vederlo e più lui mi appare sempre.

Rimangono lì davanti, finché la porta della sala si apre.

La raggiungo, anche se questo vuol dire: uscire allo scoperto. Noto che ha le lacrime agli occhi. Non faccio in tempo a dirle, che cosa le avevano fatto, che l'assistente trascina me questa volta dentro la sala.

Cerco di opporre resistenza. La ragazza cerca di aiutarmi. Ma invano. Prima di entrare, lo guardo e lui guarda me. Sento una specie di calore in me. Ed ho le farfalle allo stomaco. È senza dubbio per l'ansia. I suoi occhi sembrano ipnotizzarmi.

Svanisce, quando sono nella sala. Al centro della sala c'è una sedia. Simile a quella utilizzata dal ginecologo, quando vai a farti una visita.

L'assistente mi fa sedere. Prima di realizzare, mi lega i polsi all'estremità della sedia. Mi divarica le gambe e mi sfila le mutandine.

Che cosa succede?!

Davanti a me c'è un macchinario. Ha una specie di imbuto puntato verso la mia intimità. Faccio respiri profondi.

  « Sterilizzazione, pronta. » comunica al dottore che annuisce.

No..

« No... no, no, vi prego! Vi supplico, no.. per favore! » esclamo, implorando.

Preferirei morire, piuttosto che subire questo! Voglio avere dei figli, un giorno. Non è giusto! Adesso capisco tutto. Le donne che sono qui fuori. Le hanno sterilizzate!

Inizio a tremare. Guardo il dottore, sta per accendere la macchina, quando qualcuno lo chiama. Sono salva, ma per quanto.

Faccio dei respiri profondi per non andare in preda al panico.

Quando vedo tornare il dottore, sono pronta ad accettare questo abbominio. L'unica cosa che rende felice una donna è questa: aspettare un bambino. Loro vogliono togliermi anche questo dono prezioso.

Le lacrime scendono. Con mio grande stupore, il dottore spegne la macchina. Non aveva premuto il bottone. Perché?

« Sterilizzazione... completata. » lo dice, con un tono dispiaciuto. Perché dire una cosa simile? Se ha spento la macchina e non mi ha reso sterile.

Poco importa. Sono felice. Mi infilo di nuovo i pantaloni ed esco da quella stanza con un sorriso a trentadue denti. Io e la ragazza usciamo. Non mi domanda nulla. Lei ha avuto sfortuna, io no. Mi volto, guardando quella stanza, sperando di non metterci più piede.

Nota Dell'autrice:

capitolo modificato

Salve a tutte ed eccomi qui, come promesso ci ho messo meno di una settimana per pubblicarlo :) . Vi aspetto nel prossimo capitolo

Come sempre ci tengo a ringraziare:

♥ Chi recensisce.

♥ Chi legge la mia storia.

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