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Capitolo 11

Canzoni del capitolo:

- Be Alright - Dean Lewis

- High Hopes - Kodaline

All'improvviso, sentiamo una voce. La conosciamo perfettamente e in pochi secondi ci alziamo tutte in piedi. Il cuore mi batte forte. Spero che nessuna di noi, si è cacciata nei guai, o peggio.

La kapò avrebbe punito tutta la baracca.

La porta si apre e come temevo, la kapò sta trascinando dentro una nostra compagna:

« Se ti azzardi, di nuovo, a disubbidire ad un mio ordine, sarà peggio per te! Miserabile, fetido, sacco nauseabondo di sterco! » urla.

Noi non emettiamo un fiato. La kapò della nostra baracca è una strega. È una donna cinica a cui piace divertirsi torturandoci. Anche io ho subito le sue umiliazioni.

Una volta, dovevo andare in bagno. Ma non potevo, perché c'era il coprifuoco. Ed era proibito uscire. Così, per non farmela addosso, ci andai lo stesso. Quando uscii dalla baracca delle latrine, me la trovai davanti.

Il compenso era stato questo: mi aveva gettato un secchio pieno di escrementi addosso. Mi aveva vietato di lavarmi, finché non me lo avesse ordinato lei.

Sono stata tre giorni con quegli escrementi addosso.

Tutte abbiamo paura di lei, e le stiamo a debita distanza, se possiamo.

La kapò lascia andare la nostra compagna, a calci e si ritira nella sua stanza. Tiro un sospiro di sollievo.

È quasi ora dell'appello mattutino. le altre guardie ci dicono di uscire, quando dalla stanza della kapò, sentiamo un urlo.

E adesso? Cosa è successo?

La kapò esce di corsa. Guardo preoccupata mia madre. Temo il peggio. La kapò, tossisce, finché non prende parola:

« Qualcuna di voi, ha tentato di uccidermi! Chi?! Chi mi ha messo dell'acido dentro il bicchiere?! »

Rimaniamo tutte in silenzio. Chi era stata tanto sconsiderata nel fare un gesto simile?

La collera della kapò sprigiona da tutti i pori. Ha uno sguardo che non ho mai visto prima. Mette paura solo a guardarla. Con il frustino in mano, ci osserva una ad una.

Tengo lo sguardo abbassato. Non ci tengo a incontrare i suoi occhi. Anche se ho la coscienza pulita.

« Tu! Sei stata tu! » alzo la testa e la trovo davanti a me. Ho paura, ma non tremo.

« Volevi farmela pagare, non è così?! »

« A fare cosa, scusi? » Sono determinata, non sopporto di essere accusata per una cosa che non ho fatto.

« Per il tentato omicidio, lurida ebrea! » sbraita, la Kapò, battendo il frustino contro l'asse di legno.

« Non sono stata io! »

« Cosa? Osi contraddirmi, puttanella?! »

« Non sono stata io! » continuo, insistentemente.

La kapò mi prende per il colletto con la forza e mi trascina fuori. Non mi stupisco di nulla, ormai. Qui, si viene puniti anche se non si è il responsabile. Ma so perfettamente il perché mi sta facendo questo.

Divertimento. Semplice, divertimento.

« So io come sistemare quelle come te! Ti darò trenta frustate che non te le dimenticherai tanto facilmente! »

Con la coda dell'occhio, vedo mia madre piangere. Le rivolgo un sorriso. Guardo in basso. Aspetto con trepida ansia la mia punizione. Farà male? Trenta frustate... beh non sono di certo coccole.

« Che questo serva di lezione per tutte quante voi! Esigo Rispetto, in questa block... in questa baracca. Io... sono... il... vostro... Dio! » tuona, infine.

Chiudo gli occhi, aspettando la mia sorte. Ma il colpo non arriva. Dietro alle mie spalle sento una voce. Quella di una donna. Mi volto leggermente, per capire che vicino alla Kapò, c'è una soldatessa delle SS.

Perché ha interrotto la punizione? Non è stato di certo per compassione.

« Ferma! Rimanda la punizione a dopo. Ho bisogno che tutte quante stiano dentro la baracca »

La Kapò è alquanto scocciata, per quella interruzione con un grugnito, mi rispedisce dentro la baracca con metodi pochi garbati.

La soldatessa rimane lì in piedi davanti alla porta e ci guarda con aria con aria seria.

« Chi di voi, è A/563485? » Si crea un vocifero.

Nessuna di noi osa parlare. Come al solito o per paura, o perché non è la diretta interessata.

Mi guardo il braccio. Il mio numero è: A/563485. Ma allora...

« Sono io. »  mi faccio avanti senza timore. Che cosa vuole da me?

In fondo, per quanto inverosimile, le sono grata di essere arrivata al momento giusto. La soldatessa mi guarda senza battere ciglio.

« Seguimi. » concluse, uscendo dalla baracca.

La kapò, mi guarda con rabbia, ma prima che possa fare un passo avanti, mi prende di nuovo per il colletto e mi guarda dritta negli occhi:

« Per questa volta ti è andata bene. Ma la prossima volta non sarai così fortunata. »

Sarà meglio che mi affretti, prima che ci ripensa. Poi, sento la voce di mia madre. Mi fermo e l'abbraccio.

« Miriam, Miriam. Dove ti portano?  » dice, preoccupata.

« Non lo so. Ma tornerò molto presto non preoccuparti  » aggiungo, infine. O almeno, lo spero.

Esco dalla baracca. Il sole è già alto nel cielo e in silenzio, seguo la soldatessa.

***

Abbiamo lasciato il campo principale. Siamo su una strada sterrata che passa in mezzo agli alberi. Vicino ai cammini. Il fumo nero non cessa mai. Mai. Ma non è quella la nostra direzione. Passiamo oltre.

In lontananza, vedo un piccolo block. Non ho mai visto questo lato del campo. Inoltre, ci è proibito di venire fino qui.

Non appena varchiamo il cancello, ad attirare la mia attenzione sono le pile di valigie. Centinaia di valige. Da dove verrà tutta questa roba?

La soldatessa entra dentro un magazzino e dice di aspettarla qui. Fuori dall'edificio ci sono gli uomini con addosso le casacca a righe. Fanno avanti e indietro dal magazzino alla pila di roba.

Le guardie delle SS li sorvegliano, senza sosta. Che posto è? La soldatessa torna e si rivolge a me, per la prima volta.

« Vieni con me. » la seguo ancora senza fare domande. Attraversiamo la piazzola ed entriamo in un altro edificio. Non è un magazzino. È diverso.

Saliamo le scale e alla fine, c'è una porta. La soldatessa bussa. Dall'altra parte sentiamo una voce maschile.

Entriamo. Rimano dietro alla soldatessa. Osservo. È una stanza grande.  C'è una scrivania e un divano con delle poltrone. Sulle pareti ci sono dei quadri e, proprio dietro alla scrivania, c'è il ritratto di Hitler. Ci sono anche due finestre, sulle quali ci sono dei vasi con dei fiori curati.

« Herr Untersturmführer, le ho portato una donna, come mi aveva richiesto. » la soldatessa parla in modo preciso e formale.

L'ufficiale viene vicino a me e mi scruta. Ho notato che, non tutti, ma quasi, gli ufficiali SS, sono piuttosto giovani. Questo ragazzo ha il tipico aspetto ariano. Capelli biondo cenere, pettinati alla perfezione e occhi azzurri e la pelle chiara.

Respiro lentamente. Che cosa vogliono da me?

L'ufficiale si rivolge alla soldatessa, sghignazzando:

« Dico, vorrai scherzare? Sei sicura che hai preso una donna che è venuta qui con il convoglio dalla Francia? »

Torna serio. « E allora perché ha la pelle scura? »

La soldatessa non risponde. Continua a guardare dritto.

Sfacciato. Io non ho la pelle scura! È semplicemente mulatta.

Ingoio la pillola. Cerco di guardare verso il basso. L'ufficiale mi alza il mento con prepotenza e mi guarda dritto negli occhi. Inizio ad avere paura. I suoi occhi sono spenti e glaciali.

« È anche piuttosto malconcia... » mormora. Poi con tono deciso, aggiunge « Che cosa me ne faccio di un essere così malandato? » si volta verso di lei.

« È giovane, Mein Herr. »

« Quanti anni hai? » si rivolge a me.

Rimango allibita. È la prima volta che un ufficiale delle SS mi rivolge la parola. Come potrei rispondere? Ogni minima parola, può essere fatale. Anche un piccolo gesto può portarti alla morte. Non mi sono mai preparata a questo. Voglio rispondere, ma la lingua è incollata ben saldamente al palato.

« Ebrea, non ho molta pazienza. Perciò vedi di rispondere... »

« S- sedici.. »

L'ufficiale ci riflette. Torna verso la scrivania e si siede. Non vedo l'ora di andarmene di qui. Non voglio averci nulla a che fare con questa storia. Qualunque essa sia.

« Almeno è giovane. Hai ragione. Ottimo lavoro. Adesso sai cosa fare. »

« Sì, Mein Herr. »

La soldatessa, mi prende per il braccio ed usciamo dall'ufficio. Sono stufa di farmi trascinare a destra e sinistra. Torniamo al magazzino di prima ed entriamo.

Vedo dei tavoli con sopra un mucchio di vestiti e ai lati, ci sono delle donne sedute, intente a scucire gli abiti. Vicino a loro, ci sono degli uomini, che pesano l'oro, trovato, su delle piccole bilance.

« Gertrude. » la soldatessa, si rivolge alla kapò del settore. « Una nuova arrivata. Dalle dei vestiti puliti e... » mi guarda « ed anche una bella ripulita. Non vorremmo scatenare un epidemia. »

Seguo Geltrude. Mi sento come una specie di cagnolino. Non so dove sono. Che cosa devo fare. Gertrude è una donna molto robusta e ha i capelli mori raccolti. Spero che non sia molto severa. Anche se so perfettamente che tutti i kapò sono crudeli.

Penso alla mamma. Deve essere in pensiero. Non vedo l'ora di tornare da lei.

Prima che me ne renda conto, siamo arrivati alle docce.

« Spogliati. » mi ordina.

Obbedisco. Mi tolgo la tunica a righe. Vado sotto il soffione. Come la prima volta, l'acqua è gelida, e poi diventa calda. Mi da sollievo. Sono secoli che desidero farmi un bagno. Gertrude mi passa il sapone.

Mi sento rinata. Cerco di godermi questo momento. Nel campo non potevamo farci il bagno, perciò siamo pieni di pidocchi e malattie.

Quindi dovevi lavarti anche dentro una pozzanghera, se era necessario.

Non mi sono mai resa conto, di quanto fosse preziosa l'acqua fino adesso. Gertrude mi passa un asciugamano e mi asciugo, per poi avvolgerlo.

« Questa la riavrai quando tornerai al campo. » mi informa, rivolgendosi alla mia tunica. « Non la indosserai qui. Mai. »

Mi porge, oltre alla biancheria intima: un paio di pantaloni, una camicetta, un maglioncino, due paglia di calzettoni, un due paglia di scarponi e un fazzoletto per coprirmi i capelli. Sono tentata di prenderli. Ho le lacrime agli occhi. Non può essere vero.

« Allora? Ti decidi, oppure no? »

Mi riprendo dal mio stato mentale e prendo i vestiti. Li indosso con estrema velocità. Quando indosso i calzettoni i miei piedi vengono avvolti da un calore non sentivo da tempo. Dopo tutti questi giorni. Ho patito il freddo come non mai e adesso, sono vestita con abiti decenti.

« Stupida ragazzina. Non durai più di cinque minuti. Almeno sei veloce, lo ammetto. »

« Cos'è questo posto? » domando, sperando di non pentirmene.

« Mai sentito parlare del kanada? Voi esseri viscidi non ne parlate al campo? »

In risposta, scuoto la testa.

La kapò sbuffa, scocciata. E con molta calma, inizia a spiegarmi:

« Il Kanada è dove portiamo gli oggetti confiscati alla rampa. La rampa è dove sei scesa tu con il treno. Avrai visto quelli come te, al tuo arrivo. Gli uomini con la casacca a righe. Loro prendono le valigie e le portano qui. E qui entrate in gioco voi. Il vostro compito è trovare roba di valore nascosta tra i vestiti, per poi ricucirli. Alcuni smistano l'oggettistica e il materiale. Tutto per poi essere trasferito in Germania, dove sarà rivenduta. »

Questo è... un reato...

Una vera e propria rapina, su vasta scala. È cosi che stanno le cose. I nostri effetti personali, vengono dati ai soldati tedeschi e alle loro famiglie. Un uomo tedesco poteva radersi con un rasoio utilizzato da un ebreo, una donna poteva pettinarsi con un pettine utilizzato da una ragazza ebrea, un signore sarebbe andato in giro mostrando il suo abito "nuovo" non sapendo che fosse appartenuto ad un ebreo.

È una cosa da barbari!

« Sei stata fortunata, che ti abbiano spedita qui. Non tutte le internate, per giunta ebree, possono dirlo. Avrai una razione di cibo in più. Le internate qui, devo essere in ottima forma. Non vogliamo delle larve umane. D'ora in avanti, qui, indosserai solo quegli abiti che porti addosso. Non li porterai con te al campo, sia ben chiaro. »

« D'ora in poi? Vorrà dire che lavorerò qui e non più alla cava? » Ancora non ci credo. Forse sto sognando. Dio ha ascoltato le mie preghiere.

« Esatto. Ma ci sono delle regole da rispettare. Una di queste è il rubare. Se vieni sorpresa a rubare... verrai punita e rispedita nel campo e tornerai a lavorare nella cava. L' Untersturmführer Deutscher non te la farà passare liscia, credimi. È un uomo spietato. Ed meglio stargli alla larga. Lo hai incontrato prima, ancora mi sorprende che ti abbia presa. »

Il segreto è seguire le regole e lavorare sodo. Se mi sarei comportata bene, non correrò pericoli.

Usciamo dalle docce. La kapò mi mostra i vari magazzini. Rimango a bocca aperta.Non aveva mai visto tantissimi oggetti, così tutti insieme. C'erano migliaia di valigie, migliaia di scarpe, migliaia di occhiali, carrozzine, spazzole e candelabri.

Più avanti, vedo centinaia e centinaia di capelli. I nazisti non sprecano nulla. Gertrude mi dice che con le nostre chiome si possono ricavare dei tappeti.

Entriamo nella stanza di prima. Mi siedo insieme alle altre. Gertrude mi porge un taglierino, per poter scucire i vestiti.

Iniziamo. Prendo un vestito e inizio a scucire le tasche. La kapò gira per i tavoli e ci osserva con molta costanza.

« Il denaro e gli oggetti di valore sono nascosti, principalmente: nei colletti, nei polsini, nelle cinture e alla fine delle maniche. » dice, Gertrude, rivolgendosi a noi.

« Sta attenta. » si rivolge a me. Annuisco silenziosamente.

In alcuni punti è difficile, scucire le parti interessate. Non riesco a tagliare, la parte dove ci sono i bottoni. Faccio scivolare il taglierino, con forza che questo sfugge andandomi a recidere la parte inferiore della mano destra, sotto il police.

« Ahi » sussurro. Porto la parte tagliata in bocca, per bloccare la fuori uscita di sangue.

Vicino a me, una ragazza mi da un fazzoletto. Anche lei è molto giovane.

« Mi chiamo Lucie. Anche io sono francese » mormora. Ricambio il gesto con un sorriso.

È  bello trovare qualcuno che parla la mia stessa lingua.

« Grazie Lucie. Io sono Miriam. »

Continuo a tagliare, finché non trovò un anello d'oro. Sorrido mostrandolo a Lucie. Gertrude mi aveva spiegato, chi trova più oggetti ha la possibilità di rimanere a lungo, nel Kanada.

Guardo  quel piccolo anellino. È  il primo oggetto, che  ho trovato. E in così poco tempo. Chissà di chi sarà? Di chiunque sia stato, probabilmente, adesso, è morto. All'improvviso, sento una mano toccarmi la spalla. È la Kapò.

« Molto bene. Continua così. » dice.

Lo metto nella scatola, dove si trova gli altri anelli.

Prendo un altro vestito, quando in mezzo a questo, vedo un oggetto a me famigliare. Non posso crederci. È la mia borsetta. Ne sono certa. L'avrei riconosciuta tra mille.

« Questa è mia » sussurro, prendendola.

L'apro. La prima cosa che prendo fra le mani è il bracciale di diamanti di Simon e la foto della mia famiglia. Li guardo entrambi con commozione. Il bracciale è l'unica cosa che mi è rimasta di Simon .

Mi guardo intorno, per vedere che nessuno mi stia osservando. Riesco a nasconderlo dentro la camicetta, in mezzo al reggiseno.

Ho ancora la foto tra le mani, ma prima di mettere in salvo anche quella la osservo. Vedo mio padre, mia madre e Sarah, sorridenti. Io sono seduta per terra e abbraccio Nana.

Mi ricordo perfettamente quel giorno. La gita in campagna. Il pic-nic. I ricordi riaffiorano. Non è possibile.

Lucie mi guarda.

« Questa è la mia famiglia. Mia madre e mia sorella si trovano a lavorare in una cava. Mio padre, non so niente di lui e che cosa gli sia capitato. Non lo vedo dal nostro arrivo, qui. » sussurro, con le lacrime. Le sento scendere lungo il viso.

« Questo è il mio cane. Nana. Mi manca molto »  passo la mano sopra la foto come per accarezzarla. Come d'istinto la stringo in petto e la bacio.

« Mi dispiace. Ti capisco. Io ho perso tutta la mia famiglia. Non ho più nessuno. »

Ora mi sento in colpa. Sono così presa da me stessa di non pensare agli altri. Le prendo la mano e la stringo. Lucie mi sorride. Credo che sarà la nascita di un'amicizia.

Guardo per l'ultima volta, la foto e la faccio scivolare giù, in modo da poterla nascondere.

Ma la Kapò mi prende il braccio togliendomela. È  successo tutto così, all'improvviso.

Non può farlo. Sto per replicare, ma la Kapò scuote leggermente la testa, facendomi capire che è inutile pensare al passato. E mette la fotografia, dentro una cesta con le altre foto. Gli altri ricordi dei prigionieri.

A malincuore, riprendo il lavoro. Mi asciugo le lacrime. Per lo meno, sono riuscita a prendere il bracciale.

Mi manca mio padre. Spero  che sia ancora vivo e che stia bene. Sono felice di trovarmi qui, ma anche molto dispiaciuta, per il fatto che mia  sorella, mia madre e mia zia si trovano nella cava. A morire di fatica e io qui, seduta a scucire dei vestiti.

Ma questa sera, le avrei riviste.

Posso procurare del cibo in più. Forse, non è stato un caso riaver trovato il bracciale di Simon. Il destino, ha voluto che lo ritrovassi, per i suoi diamanti. Anche se mi dispiace molto; ma lo avrei fatto per uno scopo benefico. Sono  sicura, che, anche Simon, sarebbe stato d'accordo.

Sorrido. Sono stata davvero fortunata.


Note d'autrice:

Capitolo modificato. mamma mia entro il 15 novembre devo aver finito tutto. sto facendo le notti in bianco D:

spero che vi piaccia.

un megabacione Noemi

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