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학교 ;; s c h o o l

Avevo compiuto da pochi giorni sei anni quando ho dovuto cominciare a frequentare la scuola elementare.

Era all'incirca metà marzo, e ricordo benissimo che il primo giorno, prima di entrare, mi avvinghiai alla gonna di nonna inondandola di lacrime.

Non avevo mai frequentato una scuola prima d'ora, al posto di essere stata all'asilo avevo passato i miei primi cinque anni di vita sempre con nonna.

Motivo per cui non volevo entrare in quell'edificio e, sebbene vedessi nuvole di bambini addentrarvisi spensierati, io avevo paura.

Paura di fare ingresso in questo nuovo mondo, paura che nonna potesse non venirmi più a prendere, nonostante le sue più sincere parole.

Il fatto è che l'esperienza vissuta quel lontano giorno di settembre di ormai tanti anni prima al porto continuava a riaffiorare nei miei più frequenti incubi, facendomi terrorizzare in continuazione. Non volevo che anche nonna se ne andasse come avevano fatto i miei genitori, ma allo stesso tempo avevo un certo timore nel dirle tutto ciò che mi passava per la testa.

Ero una bambina strana. Non parlavo mai con nessuno delle mie paure.

«Tesoro, avanti, ce la farai. Andrà tutto bene» continuava ad incoraggiarmi nonna, sorridendomi come solo lei sapeva fare.

Alla fine, nonostante tutte le mie suppliche, si decise a convincermi ad entrare con me mano nella mano e a portarmi fino alla porta della mia futura classe. Non calcolai minimamente quest'ultima, in quanto a mio parere era solo un ammasso di tavolini bassi raggruppati in più file.

I bambini più coraggiosi avevano già salutato i propri gentori, visto che erano seduti dentro soli soletti, facendosi forza a vicenda.

La maestra invece non si era ancora vista, ma mi sentivo che sarebbe arrivata fra pochi istanti.

E infatti, ecco che pochissimi secondi dopo fece il suo ingresso in aula, seguita da altri bambini accompagnati dai rispettivi genitori.

In due minuti di introduzione liquidò la faccenda, e congedò nel modo più gentile possibile tutti i genitori dei bambini. Era ora di iniziare la lezione.

Alzai lo sguardo su nonna, ancora in piedi affianco a me, sperando con tutta me stessa che quella non sarebbe stata l'ultima volta in cui l'avrei vista.

«Ti.. Ti voglio tanto bene, nonna» le dissi a mia volta, stringendola in un soffocante abbraccio che le avrebbe dimostrato quanto le volevo bene.

Poi, preso un respiro profondo, quando la porta venne chiusa, mi immersi alla cieca in questa nuova realtà.

***

Il mio primo compagno di banco, nonchè primo amico, fu un certo Kim Jongdae, che io avevo l'esclusivo privilegio di soprannominare Chen.

Ricordo ancora la scena del nostro primo incontro, punto per punto.

Dopo che la maestra ci ebbe fatti presentare ad uno ad uno in piedi alla cattedra - cosa che peraltro io feci con grande difficoltà - ci intimò di dividerci in coppie per svolgere il nostro primo lavoretto scolastico.

Essendo ancora dei bambini piccoli, non capivamo a fondo come effettivamente bisognasse fare per sceglierci un compagno, così la maestra si inventò un modo del tutto originale per aiutarci:

«A turno verrete a pescare qui alla cattedra un bigliettino colorato ad occhi chiusi. Il bambino che avrà il bigliettino del vostro stesso colore diventerà il vostro compagno»

Essendo la nostra classe composta sì e no da una quindicina di alunni, si fece presto a concludere l'estrazione.

Quando mi accorsi che il bigliettino giallo, oltre a me, lo aveva pescato quel bambino così carino seduto a pochi banchi di distanza da me, subito mi sentii sollevata.

Giustamente, non sapendo allora niente della vita sociale, mi ero illusa che "compagno di lavoro" equivalesse al termine "amico".

Tuttavia la fortuna volle che andò proprio così.

La maestra ci disse di fare un disegno in collaborazione con il nostro compagno di lavoro che rappresentasse qualcosa di bello che piace fare ai bambini.

«Allora, cosa ti piace fare?» mi domandò gentilmente Chen, prima di cominciare il disegno.

Ricordo di essermi sentita estremamente fortunata in quel momento, in quanto potevo già notare all'interno dell'aula numerose coppie che stavano litigando.

«Uhm... cose tipo... giocare a calcio, correre, andare in giro, le macchine, e il..»

Stavo per concludere con la parola "mare", ma mi bloccai. Mi vennero subito in mente le bancarelle piene di pesci immobili, il pescatore, e quel secchio affianco a lui pieno di pesci boccheggianti. Pensai alla frase che quel signore mi aveva detto. Pensai a mia madre, pensai a mio padre. Scossi la testa. Non volevo far riaffiorare quei brutti ricordi.

«E.. E basta. E a te?» mi limitai a concludere la mia risposta.

«Wow! Dici sul serio? Io le stesse tue cose, ah, e in più anche cucinare i dolcetti con la mamma!» il sorriso sorpreso di Chen mi mostrò la sua piccola finestrella in bocca, segno che gli era caduto un dentino da poco.

In risposta annuii soddisfatta, e Chen mi diede il cinque. L'unica cosa che mi turbava un poco era il fatto che avesse nominato sua madre, il che mi rese abbastanza invidiosa.

D'altronde.. non avevo mica idea che solo io, in una classe di quattordici bambini, ero orfana e vivevo con la nonna.

«Allora.. Disegniamo noi due che giochiamo a.. A calcio?» proposi, tirando fuori l'astuccio dallo zaino.

«Ci sto! E per questo sono sicuro che diventeremo ottimi amici!» rispose lui, lanciandomi un ultimo sorriso prima di chinarsi a disegnare.

Ricordo che in quel momento provai un sentimento di gioia immenso. Non paragonabile alla gioia che provavo quando giocavo con nonna, ma tutto un altro tipo di sensazione.

Qualcosa di nuovo e misterioso, che riprovai molte altre volte, senza mai capacitarmene.

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