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물 ;; w a t e r

Quando ero ancora molto piccola, era solito per me andare tutti i giorni con nonna alle bancarelle del pesce al porto.

Prima di uscire, nonna secondo me mi vestiva sempre molto elegante, tanto da farmi esageratamente pensare che fossi bella come una principessa delle fiabe, nonostante io fossi una tipa molto più selvaggia di quel che poteva sembrare dall'esterno.

Mi piaceva tenere i capelli corti fino alle spalle, mi piaceva mangiare con le mani, mi piaceva giocare a calcio, correre, adoravo anche il rumore delle moto e delle macchine da corsa in partenza, anche se non avrei mai voluto salirci.

Ma la mia passione più grande era senz'altro quella di stare ore e ore al porto, facendo vagare lo sguardo curioso su quell'affascinante tavola piatta che rifletteva l'accecante luce sole e sui pescatori che, con una pazienza che allora mi sembrava disumana, se ne stavano appostati ognuno sopra il proprio scoglio con la propria canna, in silenzio.

Nonna, la più grande amante del pesce che potessi conoscere, mi ci portava per mia grande gioia ogni mattina, verso le 7; anche in inverno, quando tirava un fortissimo vento o, peggio, quando diluviava.

Il suo obiettivo era semplicemente quello di comprare del pesce fresco alle bancarelle per poi poter tornare a casa a cucinarlo, ma si sa quanto la curiosità e l'insistenza dei bambini possano frenare i piani dei grandi.

Io, d'altro canto, ero una bambina che non obbediva tanto facilmente, soprattutto se si trattava di tornare a casa. Amavo stare all'aria aperta, quando invece in casa non combinavo un gran chè durante la giornata.

E poi, stando al porto, adoravo vedere come quegli strani animali marini di tutte le forme più varie venissero disposti ordinatamente nelle bancarelle, formando dei giochi di colori pazzeschi, ancor di più quando le loro squame riflettevano la luce del sole.

I colori andavano dal grigio, al blu, al rosa opaco, al violetto, al marroncino, al color ruggine. Di tutti i tipi, di tutti i gusti. Insomma, agli occhi di una bambina come me apparivano semplicemente bellissimi.

Gradualmente, col passare degli anni, la mia curiosità sul mare e sui pesci cominciò a crescere.

E, si sa, quando si è piccolissimi tutto sembra essere così bello semplicemente per il fatto che agli occhi del bimbo la realtà che si percepisce non equivale alla verità. Ma, quando si diventa più grandi, ci si inizia a porre domande sul perché delle cose in continuazione.

Ricordo che io, quando mi avvicinavo ai pescatori, avevo sempre tante domande che mi passavano per la testa.

Notavo quei larghi secchi bianchi riempiti di pesci di ogni tipo fino all'orlo, e non mi capacitavo del perché boccheggiassero e si agitassero così tanto.

Quindi, un bel giono, decisi di vincere la mia eccessiva timidezza.

«Ahjussi, perchè i pesci fanno così?» chiesi ingenuamente ad un pescatore sulla sessantina, indicando col ditino il secchio.

Il signore stava guardando un punto fisso nel mare, motivo per cui non mi rispose.

«Ahjussi...» continuai io, questa volta avvicinandomi quel tanto che bastasse per fargli intendere che stavo parlando con lui.

L'uomo si voltò, rivolgendomi finalmente lo sguardo, seppur di striscio.

«Perché questi pesci... Fanno così?» ripetei, curiosa.

«Perché cercano di respirare» mi rispose conciso il signore, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

«E... e non ce la fanno a respirare?» domandai di nuovo, avvicinandomi di nuovo al secchio e chinandomi su di esso.

Allo stesso tempo mi chiedevo come invece i pesci disposti ordinati alle bancarelle stessero completamente immobili come dei blocchi di ghiaccio. Che differenza ci poteva essere?

«Perché non sono in acqua» mi rispose ancora il pescatore.

Continuavo a non capire.

«M-ma... Neanche quei pesci lì - balbettai, indicando le numerose bancarelle poco distante - sono in acqua. Però... stanno fermi.» notai.

Da bambini si fa l'errore di identificare come cose giuste quelle che si vedono nella quotidianità della propria vita.

Io, ad esempio, mi immaginavo che i pesci in mare stessero semplicemente fermi, in attesa di essere pescati.

Come le palline o i bigliettini al lotto serale a cui ogni tanto mi ci portava nonna.

«Quelli lì sono già morti» precisò il pescatore.

Lo guardai: sembrava serio.

«Che cosa vuol dire "morto"

Mi portai una mano sotto al mento. Avevo sentito spesso quella parola strana, quando nonna mi parlava dei miei genitori, ma non avevo mai capito cosa effettivamente volesse significare, nè glielo avevo mai chiesto. Anche perché ero troppo piccola per capire.

Mi limitavo semplicemente a pensare che i miei genitori fossero in un posto molto lontano, visto che non li avevo mai incontrati.

Ma quella parola, "morto", associata anche a quei pesci così agitati che facevano quasi pena, mi inquietò tantissimo.

«"Morto" è quando qualcuno smette di muoversi, di respirare, di parlare o fare versi. E se ne sta semplicemente immobile, come quei pesci laggiù» spiegò il pescatore, allungando un braccio verso le bancarelle.

Non metabolizzai fin da subito la sua spiegazione; poteva anche essere il concetto più elementare di questo mondo, ma i grandi spiegano le cose troppo velocemente, pensai.

«Ma io qui respiro bene!» esclamai, allargando le braccia e prendendo il respiro più profondo possibile, per dimostrare a quell'uomo che fosse in torto.

«Ognuno ha il suo luogo naturale. I pesci vivono in mare, e, se vengono estratti dall'acqua, muoiono. Il contrario per noi. Noi respiriamo aria, e, se un qualsiasi essere umano venisse buttato in acqua e non potesse più respirare... Morirebbe»

Rimasi basita a quella spiegazione. Avevo vagamente capito che cosa tutto ciò potesse significare, ma allo stesso tempo mi rifiutavo di crederlo.

Quella frase di quel pescatore mi impaurì così tanto che quel giorno la magia di quel luogo apparentemente paradisiaco sparì improvvisamente, e io smisi di fare domande.

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