기다리다 ;; w a i t
La mattina seguente ero più agitata che mai.
Sarebbe stato il mio turno di rivelare a Junior qualcosa della mia lista, ma più mi avvicinavo al porto e più mi stavo pentendo delle mie azioni.
Camminavo a testa bassa, contemplando la mia lunga ombra davanti a me, segno che il sole quel giorno mi avrebbe finalmente degnata di un saluto.
Ma poco dopo scaturì di nuovo in me quella strana sensazione che avevo avuto mentre compilavo la lista che ora tenevo accartocciata in un pugno, ovvero: troppo banale.
Insomma, immedesimandomi in un malato terminale erano davvero quelle le dieci cose che avrei voluto fare prima di morire? Non sapevo dare una risposta, né mai credevo che avrei saputo darla in futuro, se magari fossi stata destinata a morire anch'io.
Così, continuando a camminare a passi lenti verso il porto, tenendo le dita incrociate, in poco tempo arrivai a destinazione.
Mantenni di proposito la testa bassa, guardando le mie anonime scarpe diventate tutto a un tratto interessanti; questo perché aspettavo che come al solito lui mi chiamasse dall'alto mentre salivo, cosa che però non accadde.
Arrivata su in cima, infatti, sollevai la testa... ma Junior non c'era.
Al suo posto, nel suo ex scoglio in cui stava la prima volta che ci eravamo parlati, si trovava un vecchio pescatore che mi ricordò tanto quel pescatore che da piccola mi aveva fatto provare quel mezzo trauma.
Tuttavia mi sedetti e lo aspettai per un po', convinta che prima o poi sarebbe arrivato.
Passarono cinque, dieci, quindici, trenta minuti... forse anche un'ora intera, visto che il pescatore poco sotto di me nel frattempo aveva pescato una ventina di pesci. Ma di Junior non vi era ancora nessuna traccia.
«Forse verrà al pomeriggio. Forse» mormorai tra me e me, cominciando a giocherellare con un sassolino bianco staccatosi dallo scoglio su cui ero seduta.
Poi lo tirai in acqua con forza, e il suono che si sentì fu impercettibile.
Ora che ci riflettevo, non avevo mai imparato a far rimbalzare i sassi in acqua. Forse perché non mi era mai importato, altrimenti con la mia fretta nel voler fare le cose avrei voluto cimentarmi subito in quell'impresa.
Così per passare il tempo raccolsi tutti i sassolini che trovai nelle vicinanze, cambiando postazione più volte e allungando ogni tanto il collo per vedere se lui sarebbe arrivato, magari sorprendendomi da dietro.
Aspettai ancora e ancora, tutto il tempo che ci volle al sole prima di arrivare all'apice della sua altezza ed illuminare coi suoi potenti raggi tutto il paesaggio circostante, quando sentii un rumore familiare che mi ridestò dal mio incantamento.
Era il mio stomaco, visto che ero praticamente a digiuno dalla sera precedente.
A quel richiamo primitivo fui molto combattuta se restarmene ad aspettare ancora un po' - in fondo cos'era un po' di cibo messo a confronto con Junior? - o se andarmene all'ospedale a trovare di nuovo nonna e spiluccare qualche snack dalle macchinette automatiche.
Rimuginai un altro po': e se tutti i dialoghi avuti finora con lui fossero stati soltanto una presa in giro? Se mi avesse attirata a sé soltanto per noia e si fosse già stufato?
Questo io non potevo saperlo, ma sperai con tutta me stessa che non fosse veramente così. Insomma... non era da lui, per quel poco che lo conoscevo.
Passata l'una, quando ormai non riuscivo a pensare ad altro se non al fatto di stare perdendo tempo prezioso nell'aspettare qualcuno che probabilmente non sarebbe mai arrivato, mi feci coraggio e intrapresi il percorso di discesa dagli scogli, fino a quando non ebbi una visione che mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Fu allora che mi misi a correre.
Corsi, corsi e ancora corsi fino a farmi mancare il fiato, in direzione dell'ospedale. Oh, ero stata talmente stupida!
«Dove... dove si trova il paziente Park Jinyoung?» boccheggiai alla prima infermiera che incontrai all'entrata dell'ospedale, impazientemente.
«Un momento, prego» mi rispose lei, piatta, avvicinandosi al computer per controllare.
Non mi sentivo più le gambe, ma stare ferma in piedi peggiorava soltanto la situazione.
Volevo correre. Dovevo correre.
«Spiacente, signorina, ma il paziente Park Jinyoung è stato dimesso da questo ospedale ieri pomeriggio» mi rivelò l'infermiera, lasciandomi basita.
«C-come?»
Non potevo crederci. Era veramente scappato? Non avevo idea che sarebbe potuto arrivare a tanto!
L'infermiera fece spallucce.
«Forse ha sbagliato nome... o magari è un omonimo! Quello che dico io è un ragazzo giovane, della mia età circa, alto così e...» precisai, sperando che si trattasse di un malinteso.
«Sì, lui. È proprio il Park Jinyoung di cui le stavo parlando poco fa» precisò l'infermiera, annuendo.
«E dove... dov'è andato?!» volli sapere, poggiando entrambe le mani sul bancone.
«Non saprei. Essendo maggiorenne si è firmato il foglio da solo, rifiutando le cure di quest'ospedale, e se n'è andato» l'infermiera scosse la testa, sembrando quasi dispiaciuta per me.
Scappai via, non sapendo cos'altro pensare se non che se ne fosse andato da qualche parte in solitudine, magari a togliersi la vita.
Eppure... non c'era alcun motivo per cui avrebbe dovuto farlo, visto che noi due avevamo un patto!
«Junior! Per la miseria, dove sei finito?!» urlai, mentre correvo per l'affollatissima città, facendo lo slalom fra centinaia di persone indifferenti.
Dove sarei dovuta andare, adesso?
Non avrei avuto il cuore in pace fino a che non l'avessi trovato, poco ma sicuro.
Tuttavia non avevo uno straccio di indizio su dove si potesse essere cacciato.
Insomma, se non era né al porto né all'ospedale, allora...
All'improvviso fui nuovamente vittima di un altro lampo mentale, che mi fece cambiare totalmente direzione, facendomi quasi cadere a terra per essermi scontrata con le persone dietro di me.
Corsi ancora per un bel po', desiderando mai così tanto come in quel momento di possedere una macchina o una moto che mi avrebbero sicuramente reso il percorso molto più facile.
Ci misi parecchio, forse un'altra ora intera, fino a che le gambe non mi stavano per cedere quasi definitivamente in prossimità dell'entrata di quel luogo chiamato cimitero.
Non vi avevo mai messo piede prima d'ora, dal momento che nonna mi aveva detto che non era qui che i miei genitori erano stati sepolti, ma in un cimitero a Seoul, in cui non eravamo mai potute andare a causa delle nostre ristrettezze economiche.
«Junior!» urlai ancora, sebbene ci fosse un silenzio inquietante fra le persone presenti, ognuno davanti alla tomba del proprio caro.
Ripresi di nuovo a correre, al limite delle mie forze, fino a quando non mi parve di vederlo da lontano, chinato su una tomba situata vicinissimo ad un albero.
«Junior!»
Il ragazzo si voltò verso di me, facendomi esalare un sospiro di sollievo mentre gli andavo incontro.
«Ah, IU...» sussurrò, asciugandosi il volto lacrimante con un braccio.
Alternai lo sguardo fra lui e la tomba di fronte a cui era inginocchiato poco prima.
Do Yeon Joo, 29/08/1971 - 02/04/2015.
Feci mente locale, ricordandomi che quel giorno eravamo proprio il due aprile.
L'anniversario della sua morte. Proprio come pensavo.
«Mi... mi dispiace se ti ho fatto aspettare laggiù inutilmente, ma...» continuò lui, singhiozzando. Era fin troppo distrutto, e dovevo fare assolutamente qualcosa per farlo sentire meglio.
Fu allora che, andando completamente contro la mia personalità da ragazza fredda che non mi avrebbe mai fatto compiere un gesto simile, agii esattamente come aveva fatto lui con me il giorno prima.
«Ssshhh, non fa niente. Sta' tranquillo, va tutto bene» lo abbracciai forte, tenendomelo stretto e cercando di consolarlo, per quel poco che potessi.
Lui ricambiò la stretta, e restammo così racchiusi nel nostro mondo per un tempo che mi parve interminabile.
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