15 | SAFE ZONE
Vittoria è sempre stata una di quelle che resta la mattina dopo. Anzi spesso è il suo momento preferito, almeno la prima volta, anche se poi spesso è l'ultima.
Avere problemi con l'amore, con le relazioni, non è qualcosa che le impedisce di apprezzare l'imbarazzo di ritrovarsi nel letto con un'altra persona, alla luce del mattino. Le chiacchiere sul cuscino, bere il caffè tra le coperte, ridere di cose di cui non rideresti al di fuori di quel rettangolo, guardarsi appena svegli.
Sono attimi con una purezza che difficilmente ritrova durante la giornata e per questo ne fa sempre tesoro.
Vittoria è una che resta la mattina dopo, ma quella mattina no.
Archie si è addormentato che l'alba stava cominciando a sorgere e steso a pancia in giù,
con la schiena tatuata in vista e l'espressione imbronciata raccolta dal cuscino, rende difficile lasciare il letto. Guardarlo genera un sentimento simile al perverso interesse per un delitto appena commesso. Gli stessi eventi di quella notte assomigliano ad un crimine.
Muovere gli arti provoca a Vittoria un leggero fastidio, ogni muscolo del suo corpo sembra aleggiare in un gradevole limbo tra il dolore ed il piacere.
Riesce a gestire tutto tranquillamente finché non raggiunge il bagno, dove si guarda allo specchio e vede un'estranea.
È Vittoria Sperti, eppure non lo è. O comunque non è chi le piace essere, chi sa di essere. Lei che è sempre stata un qualcuno dai contorni così nitidi, dai lineamenti marcati tanto quanto forti sono i suoi principi, ora non si riconosce più.
Perchè tutto ha fatto, quella notte, fuorché essere la persona che è sempre stata.
Non le ci vuole più di qualche minuto prima di uscire da lì e andare a cercare le proprie cose, rivestirsi e lanciare un'ultima, dolorosa, occhiata ad Archie. E' passata la curiosità ed è intervenuto il disgusto, quasi la repulsione per quel corpo dolcemente assopito, che nella sua testa ora non ha più il fascino del proibito ma il crudo odore di putrefatto.
Lascia silenziosamente casa sua, il che non la rende più Vittoria di quanto lo fosse quella nello specchio del bagno, ma ha un'idea di dove cominciare a raccattare i pezzi.
Il nuovo appartamento di Archie è in zona Oxford Circus, ne vede la fermata della metropolitana in lontananza ed è lì che si dirige. Nel frattempo apre il sito della sua compagnia aerea di fiducia e cerca il primo volo per casa, camminando frettolosamente e guardandosi attorno per non sbattere contro nessuno.
Per strada la gente sembra non riuscire a toglierle gli occhi di dosso, come se fossero tutti lì a giudicarla per quello che ha fatto, come se sapessero che quella non è più lei.
Il primo volo è tra tre ore dal London City e lo compra, scartando l'idea del ritorno in giornata perché l'unico rientro è alle sei del pomeriggio. Lo prende per il giorno dopo all'ora di pranzo, il che rende il passo successivo mandare un messaggio a Rose per aiutarla ad organizzare la giornata. Rose, che anche se è Domenica e sono le otto e mezza, legge subito il messaggio e la richiama.
<<Che devo fare?>> le domanda, operativa.
Vittoria dà istruzioni per il Lunedì, memorie da depositare, un'udienza di comparizione che può tranquillamente gestire qualcuno dei praticanti, e riesce a fare tutto prima di arrivare davanti all'ingresso della metropolitana.
<<Tranquilla, consideralo fatto. Altro?>> risponde Rose, con la solita efficienza di sempre.
<<Se Wayne o Hernest chiedono di me, dì che ho avuto un problema e sono dovuta tornare in Italia. Cercherò di scusarmi con loro appena torno. Grazie>>
Chiude la chiamata e scende le scale della metro con una frequenza veloce scandita dai tacchi. La stazione è affollata, Londra è viva anche a quell'ora presto della domenica, con gente che corre da ogni dove per non perdere il prossimo treno. Va di fretta anche lei, nonostante lo faccia più per essere parte della massa. Appartenere a qualcosa rende più facile spalmare il peso di propri pensieri.
Quando arriva a casa apre la porta in silenzio, sperando che le ragazze dormano ancora.
Vorrebbe sapere da Clarice come è andato Il Discorso, ma è sicura che la sua migliore amica non sarebbe tanto contenta di parlarle. È un po' anche per lei che va via, per darle spazio per metabolizzare, per evitare di litigare davanti ad Emma.
Nel silenzio dell'appartamento si cambia in fretta, gettando il tubino bianco che ora le sembra quasi sporco sul letto ed entrando in qualcosa di più comodo, leggero, adatto per la bella stagione in Italia. Mette addirittura le sneakers che quasi non ricordava più come infilare, poi scappa via come se quella non fosse casa sua, dopo aver lasciato un bigliettino in cucina per Clarice.
Vado a casa, torno presto.
Chiamami se hai bisogno di qualsiasi cosa.
Sono sicura che ieri avrai spaccato.
Mi dispiace per tutto.
Tvb.
Alla fine decide di scriverglielo anche come messaggio, così che possa vederlo appena si sveglia. Malgrado tutta la rabbia che proverà nei suoi confronti sarà stata sicuramente in pensiero per Vittoria tutta la notte. È più forte di lei preoccuparsi per le persone che ama, nonostante tutto. Attende una risposta finché più tardi sull'aereo non le chiedono di spegnere il telefono, ma una risposta non arriva e l'unica cosa che riceve è un messaggio di Archie che assomiglia più ad una pugnalata nello stomaco.
<<Dove sei?>>
Poi lascia diventare lo schermo nero.
Sono tante le cose che Vittoria non si perdonerà mai della scorsa notte.
Aver tradito la fiducia della sua migliore amica.
Aver lasciato ad Archie il compito di leccarle le ferite.
Aver messo da parte sé stessa, ed esserne stata per un momento contenta.
Tutte cose che Vittoria Sperti non avrebbe mai permesso. Dov'era finita? Cosa è successo alla ragazza che avrebbe protetto Clarice dal mondo? Quella che non avrebbe mai smesso di combattere per un momento di gloria? Quella che non sa cosa voglia dire dimenticare il mondo per un ragazzo?
A mente fredda avrebbe potuto trovare tante altre soluzioni per sbarazzarsi di Archie, invece aveva scelto la peggiore, la più denigrante, la più facile. Quella con il contentino, come se passare una notte con Archie potesse essere un adeguato premio di consolazione.
No, non se lo perdonerà mai, e anche Archie farebbe bene a non perdonarla, tanto meno Clarice. La pena, per sè stessa, dovrebbe essere rimanere sola. E non sola con la Vittoria con la quale sta bene, sola con questa nuova versione con la quale non andrebbe d'accordo per poco più di qualche secondo.
C'è qualcuno però che amerebbe qualsiasi Vittoria Sperti.
Sua madre, che spalanca gli occhi quando apre la porta di casa e la trova lì dietro, e suo padre, che con il suo solito fare impacciato quando si tratta di gesti affettuosi si avvicina per avere un bacio sulla guancia.
<<Ma che sorpresa Vi>> esclama Nicoletta, l'imponente donna con una chioma di capelli ricci e biondi e un prendisole indosso che non riesce a star ferma e abbraccia la figlia ad intermittenza. <<Avresti potuto avvisarci, saremmo venuti a prenderti in aeroporto. Avrei cucinato qualcosa di buono, avrei cambiato le lenzuola del letto>>
<<Stavamo andando in barca, ti va?>> domanda invece suo padre, con un sorrisino.
<<Speravo che lo dicessi>> dice Vittoria ridendo.
E le sembra solo ora di riprendere a respirare.
Mentre a Londra le giornate di sole di quella primavera potevano contarsi sulle dita e sulla Costa Azzurra il bel tempo era arrivato accompagnato però da un'aria frizzantina, sulla costa del Mar Adriatico quel pomeriggio presto sembra appartenere più all'estate che alla fine di Aprile.
La famiglia Sperti molla gli ormeggi del Grand Soleil e comincia a navigare verso il largo. Tendalino abbassato per catturare il sole, papà Riccardo in piedi tra i due timoni rotondi e Vittoria e mamma Nicoletta sedute sulla panca tutte e due a destra, il viso rivolto verso il sole.
Al caldo e tra le voci familiari dei suoi, nel suo elemento naturale, è facile vedere i problemi allontanarsi con la stessa facilità con cui la barca si allontana la costa.
Suo padre non è un gran chiacchierone, sua madre invece le chiede di tutto. La sommerge di domande sul lavoro, su Londra, sui suoi amici, come se non si sentissero quasi tutti i giorni. Riccardo ascolta in silenzio ed ogni tanto fa qualche battuta, con la faccia dall'aspetto serioso se non per un ghigno accennato. Più passano gli anni più Vittoria si accorge di aver preso tanto da lui, molto più di quello che avrebbe pensato quando aveva quindici anni e sentiva come se l'educazione rigida di suo padre le stesse tarpando le ali.
È un lupo di mare e come tale è una persona forte, pronta ad affrontare ogni imprevisto, con la pelle dura e la presa salda, sulle cime e sulla vita. Come ogni lupo di mare però bastano poche, magiche, parole per farlo sciogliere.
<<Veleggiamo?>> gli domanda quindi Vittoria.
Papà Riccardo annuisce contento, muovendo il timone fino a portarsi al vento mentre la ragazza corre ad afferrare le cime della randa.
Pochi minuti dopo le vele sono alte nel cielo e l'unico suono rimasto è quello del mare che si infrange placido contro la chiglia, il vento è leggero ma li porta, il sole scalda senza affannare.
È subito il paradiso.
In una vita in cui le piace andare di fretta, questo è l'unico modo che conosce per riconciliarsi con sé stessa.
Immersa nel silenzio del mare.
Non un silenzio assordante ma un silenzio che ti aiuta a sbrogliare i fili, a capire, mentre davanti agli occhi non hai che l'azzurro del cielo e dell'acqua e il bianco delle vele. Un silenzio che non la giudica quando si domanda cosa starà pensando Archie in quel momento, se la starà cercando in qualche modo, se anche lui sente un battito mancare quando ripensa alla scorsa notte. Pensa a lui e non se ne vergogna, non in quel momento. È facile, dondolando tra le onde, ricordare di essere solo un essere umano, succube di pulsioni, e desideri, e della strana voglia di guardare insieme a lui il tramonto.
Quando rimetterà i piedi per terra dovrà ritrovare la forza per essere Vittoria Sperti, quella originale. È così che si comincia però: fluttuando sul mare e accettando tutto quello che è, per ricordare quello che non può e non vuole essere.
<<C'è qualche motivo dietro questa sorpresa di oggi?>> domanda sua madre ad un certo punto, passandole con dolcezza una mano tra i capelli per toglierglieli dal viso.
Vittoria sorride a labbra strette e scuote la testa.
<<Aveva bisogno di riportare i piedi per terra dopo il grande discorso di ieri>> esclama suo padre, suo fan numero uno. Ovviamente non aveva detto loro di aver buttato all'aria quella chance, non c'era bisogno di vergognarsi ancora di più di sé stessa di quanto già faceva.
<<Mi mancava casa>> risponde semplicemente.
Anche se ormai, pensa, casa è anche Londra, ed Emma e Clarice, che vorrebbe fossero lì con lei a godersi il sole e l'aria salata e l'affetto di una famiglia.
E' facile vedere le ore scorrere in quel posto sicuro, come anche quando più tardi tornano sulla terra ferma e si concedono una passeggiata insieme sul lungomare, un gelato al tramonto, una pizza tra le vie della città vecchia. E' tutto così familiare, ogni posto parla della sua vita, della persona che è stata, di come è cresciuta.
Persino il broncio di suo padre perchè non hanno scelto il locale che lui aveva consigliato le è mancato, ricordandole ancora una volta da chi ha preso certi atteggiamenti come quel fare un po' permaloso, e la voglia di avere tutto e subito e come dice lei.
<<Quanto sei pesante, Richi>> lo prende in giro come sempre sua madre <<Vittoria non ti sposare mai>> ripete per forse la millesima volta nella sua vita.
Vittoria vorrebbe dirle che il suo eventuale matrimonio è l'ultima cosa di cui dovrebbe preoccuparsi, che né ne ha intenzione per il momento né ci sono pretendenti in vista, ma si limita a fare spallucce mentre sorride divertita, consapevole che in fondo sua madre non vedrebbe l'ora di vederla con un bell'abito bianco.
Sua madre crede così tanto nel matrimonio che quando suo padre l'ha tradita lei si è rimboccata le maniche e ha fatto di tutto per rimettere a posto i pezzi e tenere insieme una famiglia che sarebbe altrimenti andata in pezzi. E Vittoria non glie l'ha mai detto ma crede che sia la donna più forte del mondo, e che avrebbe preferito assomigliare a lei piuttosto che a suo padre.
Meno familiare in quel quadretto è immaginare che Archie Davidson possa apparire da un momento all'altro davanti a lei, spuntando dietro qualsiasi angolo di quelle stradine strette e consumate, nello stesso modo in cui è sempre apparso nella sua vita: all'improvviso, nei momenti più improbabili. Quello sarebbe troppo persino per Archie però, visto che non gli ha neanche risposto a quel "dove sei" inviatole in quella che le sembra un'altra vita. Eppure una parte di lei lo crede possibile e quasi ci rimane male quando la giornata volge al termine e non ha avuto la possibilità di dirgliene quattro per essere apparso senza preavviso.
Come primo atto per tornare in sè stessa però decide proprio di cominciare da quel messaggio, non volendo lasciarlo senza risposta. Ha sempre preso una posizione su tutto e lo farà anche su questo, anche se lasciare una porta aperta sarebbe stato più facile. Anzi, lo fa proprio per questo. Per sigillare tutto.
<<Finisce qui Archie, non cercarmi, non scrivermi.
Non sono quello che meriti.
Tu non sei quello che voglio.
Torniamo ai meri rapporti civili>>
Scrive ed invia mentre è seduta a gambe incrociate sul suo vecchio letto prima di spegnere la luce e mettersi a dormire. E' il terzo letto diverso che si sussegue in tre notti, ma è quello in cui aveva bisogno di ritrovarsi per racimolare le forze. Il solo respiro dei suoi genitori nell'altra stanza ha lo stesso effetto di sempre su di lei: farle sentire come se niente possa farle del male. Per questa notte preferisce sentirsi protetta anziché proteggere.
Domani si rimboccherà le maniche.
Domani, che per i suoi gusti arriva troppo presto.
<<Ti accompagno io in aeroporto?>> le domanda suo padre la mattina dopo, mentre fanno colazione. Sua madre sta stirando vicino al tavolo della cucina la camicia del il marito, come fa quasi ogni giorno da più di trent'anni - Riccardo ha una fissa per la stiratura delle camice -, e Vittoria le allunga ogni tanto un pezzo della brioche che stanno dividendo.
<<Solo se non hai da fare>> risponde la ragazza, controllando l'orologio a muro nella stanza luminosa per capire se ha il tempo di togliersi un ultimo sfizio prima di tornare a Londra.
<<Devo passare in studio, ma per le dodici posso essere qui e ci muoviamo>> dice suo padre, bevendo l'ultimo sorso di caffè prima di entrare nella camicia che sua moglie gli sta passando. Una cosa che a Vittoria è sempre piaciuta sono le iniziali di suo padre ricamate su ogni camicia del suo armadio, quando le vede anche su quella che sta infilando, in blu e poco sotto il petto, le guarda e sorride.
<<Io faccio un salto in Università e torno>> esclama Vittoria, lasciando la cucina per andare a cambiarsi.
<<Da quanto non te lo sentivo dire>> afferma ridendo sua madre.
Purtroppo non ci sono lezioni che la attendono, ma ha saputo che l'Università ha aperto uno store ed è sicura di poterci trovare una matita brutta da portare a Clarice per la sua collezione come segno di pace.
Peccato che la matita non sia l'unica cosa brutta che trova quella mattina.
**
Molto più tardi di quello che avrebbe voluto, la ragazza apre il familiare portone di legno in quel di Southwark. L'aereo ha fatto quasi due ore di ritardo e il suo gelataio di fiducia era chiuso, quindi ha dovuto girare mezzo quartiere per trovarne un'altro prima di potersi ritirare. Non poteva certo affrontare discussioni pesanti con Clarice senza una vaschetta di gelato alla stracciatella.
Quando entra in casa scopre che Emma e Clarice l'hanno anticipata di pochi minuti
<<Zia Vi>> esclama Emma con ancora indosso il body di danza, lasciando cadere per terra il giubbotto che si stava sfilando e correndo verso di lei. Vittoria si abbassa e allarga un braccio per afferrare la bambina e sollevarla.
<<Ciao amore mio>> le dice, dandole un bacio tra i capelli legati e camminando fino al divano per gettarci sopra la borsa. Solo in quel momento gira su sé stessa fino a cercare lo sguardo di Clarice.
<<Ei>> mormora la sua amica intenta a sforzarsi per mantenere un'espressione arrabbiata, o quanto meno rigida.
<<Ciao>> la saluta, azzardando un sorriso <<Ho portato il gelato>>
<<Vado a cucinare>> risponde l'altra, dandole le spalle e sparendo in cucina.
<<Cattivo segno>> le sussurra Emma nell'orecchio, coprendosi la bocca con le manine. Vittoria ride, facendola saltare tra le braccia per afferrarla meglio.
<<Niente che il gelato e una matita brutta non possano curare>> esclama la ragazza <<E un po' di risate>>
L'attimo dopo sta sommergendo Emma con il solletico.
Nonostante l'aiuto della piccola di casa, la cena è silenziosa e una nuvola di pensieri sembra aleggiare sulla testa delle due ragazze. Vittoria cerca di racimolare le parole con cui spiegarsi, Clarice probabilmente si strugge nel non sapere cosa la aspetti.
Poi però succede, alla fine le ragazze si ritrovano da sole, senza più bambine da mettere a dormire o piatti da lavare, e con il gelato al centro del tavolo e due cucchiai incastrati al suo interno cominciano a confrontarsi.
<<Come è andato il discorso?>> è la prima domanda di Vittoria, intenta a lanciare piccoli e sfuggevoli sguardi verso la ragazza seduta di fronte a lei.
<<Bene, ad Hernest e Wayne è piaciuto, gli ho detto che hai avuto un imprevisto urgentissimo>> risponde lei, mangiando la prima cucchiaiata di gelato. Già solo questo sembra sciogliere la tensione sulle sue spalle. <<Come ti sei liberata di Archie?>>
<<Andiamo per gradi, ci sono altre cose di cui ho bisogno di parlare>> mormora la bionda, prendendo un grosso respiro prima di dire <<Ho incontrato Davide>>
Davide è il padre di Emma.
Inutile sottolineare quanto poco contenta di quell'incontro fosse stata.
<<Dove? Avete parlato?>> domanda subito Clarice, quasi rischiando che il gelato le vada di traverso.
<<Mi ha chiesto di voi, ho risposto che state benissimo senza di lui>> dice Vittoria, scrutando gli occhi dell'amica che sembra ancora non riuscire a reagire all'aver sentito nominare Davide.
<<E lui come sta?>>
La bionda alza gli occhi al cielo, chiedendosi come possa, dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che le ha fatto, voler ancora sapere come stia quell'idiota.
<<Non mi interessava chiederglielo e a te non dovrebbe importare saperlo>> risponde infatti, allungando il cucchiaio verso il gelato <<E comunque ti prego, smettila di far vedere Anastasia ad Emma perchè più passano gli anni più quell'idiota assomiglia a Dimitri>>
Questo è il turno di Clarice di farle il verso, ma la battuta allenta almeno per un momento la tensione strappando ad entrambe un sorriso amaro.
L'attimo dopo la bruna sospira.
<<E Archie?>> domanda con arrendevolezza, perchè infondo lo sa anche lei cosa aspettarsi. Non che questo renda più facile per Vittoria pronunciare quel <<Ci sono andata a letto>>
Schiocca la lingua sul palato e un'espressione colpevole si dipinge sul suo viso.
<<Il miglior sesso della tua vita, vero?>> chiede con fare sarcastico Clarice, senza azzardarsi ad alzare gli occhi dalla vaschetta del gelato.
Vittoria ha sempre creduto che non sarebbe mai arrivato il momento in cui si sarebbero contese un ragazzo, tanto meno uno che nessuna delle due avrebbe potuto avere, e invece eccole lì, entrambe pronte però a gettare le armi.
<<E' stato uno sbaglio, gli ho già detto che non succederà più>> risponde risoluta Vittoria.
La bruna sembra voler dire qualcosa, poi ci ripensa e piuttosto mangia altro gelato.
<<Parlami Clary>> la esorta, non avendo intenzione di portare avanti quella situazione ancora per molto <<Arrabbiati, sfogati>>
<<Non sono arrabbiata>> si affretta a dichiarare, scuotendo lentamente la testa e con un modo di fare duro che sembrerebbe indicare il contrario <<La cosa che mi fa rimanere male è che tu abbia dovuto aspettare una scusa per fare qualcosa che volevi fare, come se un gesto eclatante come quello che hai fatto fosse più facile di parlarmi e dirmi che Archie Davidson ti piace>>
<<Non l'avrei fatto se non avessi avuto bisogno di portarlo via da lì>> specifica però Vittoria, non perdendo tempo a negare.
<<Si, ma questo non toglie che avresti voluto e non me ne hai mai parlato>> continua l'altra.
Vittoria sa che non è solo quello il punto, che il fatto che ci sia proprio Archie di mezzo centra eccome, ma decide di non sforare i limiti di ciò di cui Clarice vuole parlare. Su certe cose, infondo, si capiscono anche senza dover parlare.
<<E' che sono meglio nel fare gesti impulsivi che nelle chiacchiere a cuore aperto>> afferma scrollando le spalle, l'espressione colpevole <<Mi dispiace>>
<<Alla fine andiamo d'accordo proprio perchè siamo così diverse, no?>> risponde Clarice, abbandonando definitivamente il cucchiaio nel gelato e spallandosi sulla sedia per poi cercare lo sguardo di Vittoria <<Non voglio litigare per qualcosa di stupido come un ragazzo>>
<<Un po' di dramma adolescenziale>> ride Vittoria, agganciando gli occhi della sua migliore amica e suggellando quella pace in un battito di ciglia.
E' stato più facile di quanto si sarebbe immaginata, con meno grida e meno lacrime, ma infondo Clarice glie l'aveva sempre detto, solo una cosa non le avrebbe mai perdonato: se si fosse dimenticata del suo compleanno. Per il resto avrebbero potuto superare tutto.
<<Clary, ho preso una decisione>> dice la bionda dopo qualche attimo di silenzio, il tempo sufficiente che le basta per arrivare a quella conclusione senza averci neanche pensato prima <<Smettiamo di truffare la gente>>
Clarice annuisce leggermente, le labbra strette in un'espressione buffa.
<<Facciamone un'ultimo>> controbatte quest'ultima <<Uno grosso, e che abbia un senso>>
<<Andata>> esclama Vittoria, tornando ad afferrare il cucchiaio di gelato e invitando con un cenno Clarice a fare lo stesso <<All'ultima, grossa, truffa>> dice e non appena anche l'altra alza per aria il suo cucchiaio li fa scontrare, in un improvvisato e ridicolo brindisi.
<<All'ultima, grossa, truffa>>
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